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Autore Discussione: Silvia Allegri - Il Viaggio in Italia di Fabrizio Barca  (Letto 1611 volte)
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« inserito:: Luglio 11, 2013, 10:07:24 am »

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“Alla ricerca di un Partito nuovo”

Il Viaggio in Italia di Fabrizio Barca

Intervista all'ex ministro

Silvia Allegri
Lunedì 8 Luglio 2013, 18:09



Viaggio in Italia: così sul suo sito (www.fabriziobarca.it) è intitolato il tour che Fabrizio Barca sta conducendo attraverso le città italiane e i circoli del Pd. Un titolo ricco di suggestioni letterarie, ma a differenza di Goethe o di Stendhal, Barca nel suo viaggio di romantico coglie ben poco. L’obiettivo, ufficialmente, è quello di presentare il suo documento “Memoria politica dopo 16 mesi di Governo Monti”. Ma parlando con l’ex ministro, oltre alla sua disarmante lucidità nell’analizzare il corto circuito che ha interessato di questi tempi il Partito Democratico, si percepisce un intento ben più profondo: quello di cercare un confronto vero, sincero e appassionato con gli elettori, con quelli che nutrono ancora qualche speranza di vedere il Paese e il Partito risalire dal baratro in cui sono precipitati, e con quanti vanno ai suoi appuntamenti mossi soltanto da curiosità. Barca si presenta in maniera diretta e gioca subito una delle sue carte migliori: la capacità di ascoltare la gente. Lo fa con semplicità, con uno sorriso sincero e accattivante, con adesione e pazienza, facendo emergere una cifra etica e un senso di rispetto per l’altro che ci eravamo ormai dimenticati, di fronte agli scivoloni e alle cadute di stile dei tanti politici che affollano quotidianamente gli schermi televisivi.

La radicalità delle idee e delle posizioni di Barca non infastidisce il pubblico, può infastidire semmai qualche collega di partito. Perché Barca parla chiaro. Con sintesi e ironia, parla dei problemi che affliggono il Pd senza offrire facili speranze, ma sbattendo in faccia a chi lo ascolta la verità nuda. E al tempo stesso, rifiuta quel sistema di comunicazione oggi tanto in voga fatto solo di sms e tweet, scegliendo invece di redigere un documento di diverse decine di pagine, che definisce un “esercizio di scrittura”, con cui spiegare cosa intende per “convincimenti comuni a un partito di sinistra”. Usa termini come “catoblepismo” (da catoblepa, animale leggendario che fulmina con lo sguardo e ha una testa pesantissima che lo costringe a guardare sempre a terra, ndr) per indicare il fenomeno con cui i partiti gestiscono uno Stato che dovrebbe a sua volta far esistere i partiti: termini che gli hanno fatto meritare l’appellativo di snob, lontano dal linguaggio delle masse, forse troppo abituate a formule e slogan di facile e immediato consumo.

Fabrizio Barca: ministro del Governo meno amato dalla maggioranza dei militanti Pd, e ora che ci si avvicina al Congresso e si moltiplicano i candidati alla Segreteria, uno dei nomi più accreditati. Lei però non si è ancora fatto avanti. Cosa aspetta o cosa si aspetta?

Niente. Non ho nessuna intenzione di candidarmi. Sono e mi definisco volentieri un elemento destabilizzante. La mia funzione? Far discutere un partito che di questo non discuteva. La mia è una tesi non condivisa: la causa del non governare non è un deficit d’autorità, ma di conoscenza. E la strada è ancora lunga.

Renzi: per tanti una grande risorsa; per altri, un pericolo per gli assetti di potere costituiti all’interno del Pd.

Una cosa è certa: assistiamo a una ritrosia impressionante al cambiamento. Si percepisce la resistenza dei gruppi dirigenti del Pd. Che guardando indietro, dovrebbero a volte dire chiaramente: abbiamo sbagliato!

Dal congresso, insiste a ripetere, dovrà uscire una piattaforma e un profilo più nitidi del partito. Alcuni, invece, vorrebbero già definita una piattaforma per il prossimo governo: un errore di prospettiva?

E’ prematuro pensare che da un partito che ha una non chiarezza identitaria e una non chiarezza su cosa serve per governare emerga già una piattaforma per un governo. Piuttosto, deve emergere uno spazio per la ricostruzione del partito.

Il Congresso potrebbe sancire la fine del governo Letta. Crede eventualmente possibile quell’alleanza con Grillo che agli elettori di sinistra nei mesi scorsi non sarebbe spiaciuta?

Il compito del partito nei confronti di Letta è dire con forza cosa il partito chiede a Letta. Visto che è un governo di compromesso. Un governo imbarazzante perché il Pdl è imbarazzante. E’ difficile spiegare ai cittadini del mondo che ci guardano dall’esterno e per molti aspetti ci stimano come sia possibile che il Pdl governi ancora. E’ un paradosso troppo grande. E attualmente manca un Pd che dica a Letta cosa deve fare con la stessa forza con cui invece lo sa dire Berlusconi. Il grande successo del Movimento 5 Stelle è il segnale che la massa vuole cambiare. Se questa forza venisse canalizzata nel Pd le cose potrebbero cambiare davvero. Ma non è facile. C’è un’isteresi. Una coazione a ripetere.

Il Pd fatica molto ad affermarsi nella cosiddetta Padania. Negli anni scorsi qualcuno aveva pensato ad un Pd del nord più autonomo e territoriale.

Sia sul piano statuale, sia sul piano del partito sono stati commessi a questo riguardo molti passi frettolosi.

Sta battendo palmo a palmo l’Italia dei circoli e delle Sezioni: che impressioni ne ha tratto sulla vitalità di questo partito che ha definito più volte “una enorme risorsa inutilizzata”?

Il Partito Democratico è l’unico partito ad avere carattere di democrazia. Dispone di incredibili risorse umane, e soprattutto di radici identificative molto forti: cristiano-sociale, socialista e liberale. Ora è un partito che divide queste anime, perché eletto da funzionari.

Nel suo tour ha detto di aver incontrato nei circoli anche “giovani cadaveri ed elementi di quarta cooptazione”, mettendo sotto accusa i meccanismi di selezione. Quale sinistra esprimono e da dove vengono?

Ho visto questi giovani cadaveri, ma ho visto anche giovani che spingono per il cambiamento. Questa situazione è il frutto degli errori organizzativi degli ultimi anni. Non sono state selezionate persone attraverso un vero confronto, ma soltanto per scelte esterne.

Lei immagina una rete di “comunità territoriali” attive e propositive, parla di “strutture cognitive” e di “fonti del sapere” al servizio del partito, auspicando una democrazia deliberativa che parta dal basso per convergere dialetticamente al centro. Si prepara a combattere contro i mulini a vento?

Solo l’utilizzo della rete in maniera intelligente (ossia per raccontare le proprie azioni, di certo non per votare!) può gettare le basi per avere un partito in rete. Deve nascere una piattaforma di luoghi collegati tra loro, cha faccia parlare la società attraverso il partito. Non sarà certo facile far passare questo messaggio.

Cosa dovrebbe indurre una classe dirigente di partito arroccata nel potere a portare un vero cambiamento?

L’attuale classe dirigente ha paura del tracollo. Sente l’assedio interno ed esterno. E ha paura perché c’è incertezza.

I rapporti con SEL?

Sel  è una risorsa e un pezzo dell’esterno molto importante. E’ un pezzo dell’assedio culturale al Pd e credo si stia muovendo bene in questo momento.

Suo padre Luciano è stato un dirigente prestigioso del vecchio PCI. Che cosa è passato al figlio di quella esperienza e di quella cultura e cosa se ne può ancora salvare?

Difficile sintetizzare quanto è passato. Molto difficile. Direi una radicalità e una autonomia delle posizioni. Sui principi non vale la pena fare nessun compromesso.

 


Dopo averlo ascoltato, si fa fatica ad accettare che un leader come questo non abbia intenzione di candidarsi al Congresso. Certo è che il suo obiettivo lo raggiunge ogni volta che parla direttamente con gli elettori: fa sperare in una rinascita del Partito Democratico, ma soprattutto sa trasmettere autentica passione e lealtà. E chissà che non cambi idea, nei prossimi mesi…
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