Dario FO. -

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Intervista a Dario Fo - Che cos'e' la Satira?

Daniele Luttazzi: Vorrei cominciare da un ricordo che ci riguarda entrambi. Io avevo 13 anni. Santarcangelo 1974, Festival del Teatro. Tu facevi "Mistero Buffo". La ricordo come una serata indimenticabile. E' stata una specie di imprinting. Non capivo la maggior parte delle battute perche' erano oltre la mia comprensione, ovviamente, ma mi divertii moltissimo perche' tu facevi il grammelot e tante altre cose e fu uno spettacolo meraviglioso. All'epoca "Mistero Buffo" fece scandalo. Dopo 30 anni, il premio Nobel.

Dario Fo: te lo auguro.

Daniele Luttazzi: Grazie. Ma veniamo al motivo dell'incontro. In queste ultime settimane un sacco di politici e giornalisti hanno voluto spiegare agli italiani che cos'e' la satira. "La satira deve deformare, non informare" e altre amenita' del genere. Io voglio usare il classico argomento d'autorita'. Chiamo te e ti chiedo: "Dario, cos'e' la satira?".

Dario Fo: Posso dire che e'un aspetto libero, assoluto, del teatro. Cioe' quando si sente dire, per esempio, "e' meglio mettere delle regole, delle forme limitative a certe battute, a certe situazioni", allora mi ricordo una battuta di un grandissimo uomo di teatro il quale diceva: "Prima regola: nella satira non ci sono regole". E questo penso sia fondamentale. Per di più ti diro' che la satira e'un'espressione che e' nata proprio in conseguenza di pressioni, di dolore, di prevaricazione, cioe' e' un momento di rifiuto di certe regole, di certi atteggiamenti: liberatorio in quanto distrugge la possibilità di certi canoni che intruppano la gente.

Daniele Luttazzi: Quindi questo e' un po' il suo obiettivo, diciamo. L'obiettivo della satira.

Dario Fo: Ci sono dei limiti che realizza l'attore. Ma non per frenare, o per pudori e via dicendo. Lo fa per una conseguenza di ritmi, di tempi, di andamenti. Tu puoi dire la cosa piu' triviale, cosi ad acchito, e puo' diventare fine, addirittura poetica. C'e' una sequenza, per esempio, che io mi ricordo. E' la storia di un sesso femminile che ad un certo punto diventa indipendente. "La parpaia topola", si chiama. Una ragazza racconta di aver dimenticato il suo sesso su un chiodo con l'acquasantino perche' andava in chiesa e temeva di perderla li nella chiesa e magari qualcuno ci scivolasse sopra, le rompesse la grazie, l'armonia. Ebbene: e' tutto al limite della trivialita', dello scurrile. E alla fine diventa uno dei momenti piu' alti di poesia di tutto quello che abbiamo.

Daniele Luttazzi: Quindi, in realta', il buon gusto non e' un criterio per giudicare la satira?

Dario Fo: Anzi. Che cosa significa "buon gusto" in questo caso? Il buon gusto a mio avviso, se esiste, esiste proprio nella dimensione del banale. Ci sono delle persone che raccontano storie che in apparenza si limitano al banale e che sono espressioni di un cattivo gusto orrendo. Ad esempio, certe barzellette raccontate da certi politici. Berlusconi, fai conto. Gliene ho sentita raccontare una che era di un cattivo gusto, di un osceno incredibile. Era ributtante.

Daniele Luttazzi: C'e' un tema che m'intriga: "La cacca e il suo uso nella satira di tutti i tempi". Parliamone.

Dario Fo: Devo dire che si potrebbe parlare per una giornata intiera proprio recitando pezzi del teatro satirico antico a partire dai greci, quindi dai romani, eccetera. Tutto "Mistero Buffo" e' realizzato su queste chiavi. Per esempio, la nascita di Ruzante, oppure un pezzo famosissimo che e' la fame dello Zanni. Questo Zanni affamato oltremisura si torce finche' decide di mangiare se stesso. Nell'assurdo, nel paradosso, immagina di infilarsi un braccio dentro la gola, di tirarsi fuori le budella e poi le pulisce pian piano dello sterco e ogni tanto guarda la cacca e pensa che forse alla fine mangera' anche quella per la fame che ha. E poi c'e' la prima volta che noi vediamo un testo scritto, un canovaccio svolto per intero, alla nascita di Arlecchino. Arlecchino si presentava in scena, calava le brache, faceva la cacca e poi la gettava al pubblico. Naturalmente c'era gente che sveniva.

Daniele Luttazzi: Questa può essere un'idea. Se la mangiava anche?

Dario Fo: Se la mangiava, alla fine. La cosa piu' incredibile e' che il re applaudiva per primo perche' il re sapeva che era cioccolata, naturalmente. Ma questo non era fine a se stesso. Serviva a provocare un pubblico che era a dir poco snob, distaccato, che rideva mal volentieri, che partecipava soltanto perche' voleva essere vicino al re, ma non aveva nessuna gioia, nessun afflato. E allora il re era ben contento che questa provocazione realizzasse un capovolgimento della situazione.

Daniele Luttazzi: Qualcuno ha suggerito che la satira, confermando lo status quo, potrebbe al fin fine essere reazionaria.

Dario Fo: No. La parte reazionaria del discorso del comico e' lo sfotto'. C'è una grande differenza fra il teatro sfotto' e il teatro di satira. Il teatro di satira e' sempre morale. Infatti si chiamavano "Moralie". Non a caso un giullare, S. Francesco, usava molte volte la provocazione in senso religioso. Per esempio, quando papa Innocenzo, per la prima volta, accoglie Francesco e lo sente parlare. Naturalmente Francesco fa delle proposte per quanto riguarda l'idea che ha della religione e del modo di esprimerla che lo irritano. Perche' subito dice il denaro, toglierlo di mezzo; la Chiesa non deve avere denaro, non deve avere interessi, non deve raccogliere la carita', perché chi gestisce la carità ha il piu' grande potere, piu' grande di quello dell'Imperatore. Cose che irritano il papa. E allora il papa dice: "Senti, sono bellissime le tue idee. Ma un consiglio: noi non siamo all'altezza di ascoltare questo mistico straordinario. Tu dovresti andare in mezzo ai porci. Vai in mezzo ai porci. E mischiati fra di loro, abbracciali, il loro smerdazzo, prenditi dentro e vedrai che loro ti capiscono. L'unica gente che ti possa ascoltare, capire, sono loro."E lui cosa fa? Va davvero dai porci. Esce nelle campagne, qui a Roma, vede una porcellaia, entra nella porcellaia, ci sono delle bestie straordinarie e si mischiano, e poi parla loro. Dice: "Il papa mi ha detto di venire qua e voi mi ascoltate e vi abbraccio" e si rotola e, come dice nel testo originario, si smerdazza tutto. E poi va,corre nel palazzo del papa, approfitta del fatto che ci sono le guardie poco attente e addirittura entra nel salone nel momento in cui il papa sta mangiando con dei signori, con delle signore, anche. E il papa lo vede, quasi trema. Sentono la puzza, dice: "Ma cos'e' questa puzza?" E Francesco si inchina e poi dice: "Pontefice, caro, ci sono stato: e' vero, mi hanno ascoltato." E fa una giravolta, così smerdazzando, lanciando sterco dappertutto addosso a questi signori che svengono quasi. Il papa alza la mano per dare l'ordine alle sue guardie di prenderlo. E c'è un cardinale, un arcivescovo, Colonna, che e' un amico di Francesco, che dice: "Ferma. Cosa vuoi fare? Vuoi prendere questo e gettarlo dentro un carcere, picchiarlo e magari ammazzarlo? Fallo. Attento che questo non e' uno qualunque che viene cosi, solo, isolato, senza padre ne' madre che gli sono intorno. Se vuoi una guerra peggio di quella che c'e' stata in Francia, con le distruzioni e i massacri, se la vuoi qua ebbene tu, tu fai un'azione violenta contro di lui". "E cosa devo fare, allora? Mica posso lasciarlo andare via cosi." "No, non puoi. Abbraccialo." "Ma e' smerdato." "Proprio per questo devi farlo." E il papa, e questa e' una bella lezione, si avvicina, lo abbraccia e a un certo punto capisce l'errore che ha fatto. "Io, io sono causa di quello, mi hai dato una lezione stupenda e da questo momento puoi andare intorno a dire il vangelo come ti pare, a realizzare quello che hai in mente". La cacca usata come termine morale straordinario.

Daniele Luttazzi: Quindi la satira puo' agire anche sulla Storia, in qualche modo?

Dario Fo: Spesso. Basti pensare al timore, al panico che hanno avuto sempre i potenti davanti ai problemi della satira. Perche' la satira in molti casi ha determinato la presa di coscienza della gente, soprattutto delle classi inferiori. Ha fatto capire di avere il potere di ribaltare le situazioni, di avere il coraggio. Quindi, temuta. Tanto e' vero che Federico II di Svevia addirittura aveva emesso una legge durissima, "De contra jugulatores obloquentes", significa "Contro i giullari sparlatori infami". Chi sentiva un giullare trattare male, prendersela con il potere, poteva tranquillamente bastonare il clown, insultarlo, anche ucciderlo, perche' tanto non c'era nessuna legge che difendesse i clown. Eppure questi buffoni erano cosi sostenuti, cosi amati dal pubblico - erano la coscienza, la connessione - che difficilmente il potere riusciva a farli fuori tanto per farli fuori. Molte volte doveva perdonarli, perche' temeva che ci fossero delle reazioni grandi. E guarda che Francesco, avere il coraggio di auto nominarsi "giullare", anche se giullare di Dio, questo significa che giocava su un impatto e un sostegno straordinario da parte delle gente minuta.

Daniele Luttazzi: Quale consigli dare ai nuovi talenti della satira?

Dario Fo: Stavo dicendo prima della differenza che esiste fra fare satira e fare sfotto'. Allora posso dire a un giovane: attento. Che giocare esclusivamente sulla pura caricatura legata a un personaggio, anche a un uomo politico, che e' grasso, piccolo, magro, magari ha la gobba, magari si intartaglia, non realizza niente. Questo fa fare soltanto una risata fine a se stessa. Ma se non c'e' la dimensione morale. Se tu attraverso la satira non riesci a far capire il significato opposto delle banalita', dell'ovvio, dell'ipocrisia, soprattutto e della violenza che ogni potere esprime e porta addosso ai minori, ebbene il tuo ridere e' vuoto, e' proprio lo sghignazzo ventrale e non quello dello stomaco e dei polmoni.

Daniele Luttazzi: Una notizia della settimana scorsa che volevo commentare con te. A Bologna Leo De Berardinis, a Palermo Carlo Cecchi e Moni Ovadia hanno visto tagliati dalle giunte di centro-destra i fondi destinati ai loro teatri. Cosa sta capitando?

Dario Fo: Direi che e' proprio un fisso. E' difficile che un potere conservatore realizzi e capisca l'importanza di accrescere la cultura e di svilupparla e soprattutto di darla non come passatempo, non come momento ludico puro, ma proprio per far crescere l'intelligenza e la cultura della gente.

Daniele Luttazzi: Sono esperienze pluriennali che hanno dato lustro alla cultura italiana. Quindi non capisco questa cosa.

Dario Fo: Certo. Ma questa e' una costante. Non e' che noi abbiamo avuto premi quando si faceva per la prima volta un certo discorso culturale legato al teatro. Tu hai visto "Mistero Buffo" a Santarcangelo di Romagna. Ricorderai che c'era un pezzo fondamentale della nostra cultura, "Rosa fresca aulentissima".

Daniele Luttazzi: Cielo d'Alcamo.

Dario Fo: Ebbene, la cosa incredibile e' che questo e' un pezzo di alta cultura in chiave di grosso teatro, di passione, di ironia. C'e' questo giovane che finge di essere nobile e parla con una giovane, una servetta che e' affacciata a un balcone, e le fa dichiarazioni d'amore. E a un certo punto, siccome lui ci va giu' pesante, la ragazza dice: "Senti, parliamoci chiaro: io, piuttosto che venire a fare l'amore con te, piuttosto mi tondo il cranio, cioe' mi rapo il cranio e vado suora. Cosi non ti vedo piu', per la miseria, con tutte le tue proposte pesanti eccetera". "Ah, si?" dice il giovane. "Tu vai suora? Ebbene, io vado frate. Vado in convento, mi preparo bene, poi vengo nel tuo convento, ti confesso e al momento buono gnac!" E' un fissato cronico, proprio, ce l'ha qui l'idea. E lei allora dice: "Piuttosto che accettare una violenza tua, io mi butto nel mare e mi annego." E lui dice: "Ti anneghi? E allora io vengo giu' in fondo al mare, ti raccolgo, ti porto sulla riva, ti distendo, guardo intorno e ri-gnac!" Proprio fissato. E la ragazza terrorizzata, sgomenta, con molto candore, dice: "Ma non c'è nessun piacere a far l'amore con le annegate." Lei sa tutto perche' una sua cugina era annegata, uno era passato di li, ha guardato intorno, "Io ci provo", e poi ha detto: "Meglio il pesce spada!", una famosa battuta classica. Ebbene: questo e' all'inizio della nostra cultura. Si sa anche l'anno: 1225. Cielo d'Alcamo, ovvero Ciullo d'Alcamo, che e' il classico nome dei giullari, Ciullo significa fare l'amore, fottere, quindi sarebbe Fottitore d'Alcamo: ecco questo personaggio e' fondamentale ed e' riconosciuto anche dagli stranieri come quello che ha dato impianto, gioco alla lingua italiana. Ne parla anche Dante Alighieri. Ebbene, e' sempre censurato. Questa scena che io ho descritto non la sentirete mai raccontare, ed e' alla base della nostra cultura. La ragazza mette in guardia il giovane: "Se mi metti le mani addosso mi metto a gridare. I miei parenti arriveranno e ti riempiranno di botte". Ma il giovane sa il fatto suo: se verra' colto sul fatto, ci mettera' una difesa. 2000 augustari, circa mezzo milione di oggi. Federico II aveva promulgato una legge che consentiva ai violentatori di salvarsi, purche' ricchi, cioe' in grado di pagare questa tassa all'imperatore. "Intendi bella quel che ti dico io" dice il giovane. E qui e' il giullare che si rivolge al pubblico. Coglioncini, avete capito come siete incastrati? Questa legge salva noi ricchi e a voi vi frega. Censurata. A proposito di cambiare i libri di testo: vediamo di fare un libro di testo nel quale finalmente si racconta la verita' e si eviti che i ragazzi si annoino. Perche' se venisse raccontata in questo modo la letteratura sarebbe piu' interessante. I ragazzi direbbero: "Oh, finalmente ci siamo. Finalmente capisco qualcosa della vita e dei rapporti sociali ed economici e politici.

Dal Satyricon
 

ripreso da forum di ulivo.it

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Dario Fo: andare a votare E comprare «l’Unità»

Toni Jop


«Primo, andare a votare. Secondo, votare sul serio. Terzo, non commettere atti impuri», e cioè? «fare la sola cosa che ci può mettere al riparo dalla prossima disastrosa puntata del serial-horror Berlusconi, poi tutto il resto». Bel tono, Dario, ti ho mai sentito così apodittico...«Bene, è venuto quel tempo. Il paradosso noir vuole oscurare il cielo di questa realtà, bisogna impedirlo, avviso a tutti i sinceri democratici: se vince, chi o cosa ci salverà?». Lui sa con chi sta parlando, conosce bene i suoi polli, cioè noi che gli gironzoliamo attorno da una piccola, deferente eternità. Sarà un caso che si arrivi al giorno del voto accompagnati esattamente dalla bella voce di Dario Fo? Sì che è un caso. Confesso: figli di una arruffata concezione della organizzazione che molto concede alla forma più mite di una estroversione, come si diceva malignamente un tempo, spontaneista, siamo arrivati a Dario come si arriva a un appuntamento col destino, quasi per caso. E lui, quasi per caso, era lì che ci aspettava, con una valigia carica di premonizioni già imbustate e indirizzi a posto. Ne ha per tutti, a cominciare da quella sinistra che ora pensa di poter continuare a darsi un senso forte stracciando il voto o riducendolo a un ciclamino odoroso di disappunto e di dispetto. Ecco, quindi, il nostro Nobel più amato, il nostro giullare più sfrontato, lì, in piedi nel mezzo di un incrocio della storia che riguarda tutti noi più di quanto non si pensi, con la sua bella valigia in mano e un’aria da Chaplin mentre si sostituisce, davanti al microfono, a quel massacratore sanguinario di Hitler e vomita parole di pace, di fratellanza, di lucidità, di responsabilità.

Bene, Dario. Cominciamo a imbustare i messaggi, forza col primo...
«Eccoci: bisogna votare e non star fuori, non pensare che si possa star fuori. Il discorso del mio amico Grillo è spaventosamente pericoloso. Quello che si affronta oggi non è un voto, è un finale di partita, di una partita disperatamente conclusiva. Un referendum: o sì o no. Il bello è che ha deciso così proprio Berlusconi quando ha costretto gli italiani ad andare a votare con questa orrenda legge, lui ha deciso l’ammasso. Non si può che andare a vedere le carte e se si vuole farlo non c’è che da votare, almeno alla Camera, per Veltroni, per il Partito Democratico. Così farò io. Per il Senato vedrò, ma qualunque cosa faccia devo essere certo che nemmeno un voto si disperda...A Milano vorrei votare Borsellino... ».

Vuol dire che Veltroni ha giocato di rimessa con la scelta di correre da solo?
«Credo di sì: non si poteva che accettare il diktat ed entrare in campo a piedi giunti. Così Veltroni ha compiuto il solo gesto che poteva procurare la vittoria. Ha mostrato coraggio, si è dimostrato persona decisa e perentoria, non uno che va allo sbaraglio, capace di muoversi con impeto e grinta, di farsi sentire in campo... ».

Che ti pare? Sono quasi sparite le falci e anche i martelli in quel che ti chiami corsa all’ammasso...
«Mah, dei simboli mi interessa relativamente. Mi interessano i principi di una cultura libera, di una produzione umanamente corretta, del diritto a una vita ricca di dignità, di un pieno diritto alla salute... ».

E sull’altro fronte, che bandiere vedi?
«Una sola bandiera, quella di una buffonata triste che non fa ridere. A volte guardo in tv Berlusconi e mi chiedo: ma ci fa o è davvero pazzo e grottesco? Alcune, ne sono sicuro, deve pensarle la notte. Quando sostiene che, per vie traverse, il suo ex stalliere Mangano è un eroe... uno che è stato condannato a tre ergastoli per delitti di mafia... un eroe, dice, che non ha parlato. E cos’è che non ha detto e invece poteva dire? Lui corregge: non ha sparlato, e cioè che è stato reticente di fronte ai giudici e sta sempre argomentando di eroismi compiuti da un assassino mafioso. Come si fa a votare per uno così? Chi può votare per uno così? Che Italia può dire di sì a questa cultura?»

Facciamo un gioco: noi, l’Italia che non vuole accettare questa cultura, siamo convinti di vincere. E se invece perdiamo? Che paese ci troviamo tra le braccia?
«Ma ti pare un gioco da fare? Vuoi farmi stare male? L’immagine è disastrosa, mi viene l’angoscia, mi vengono i brividi. Penso, chessò, alle leggi che verranno... Ne ha già fatte quattro o cinque a suo uso personale, chi gli impedirà di andare avanti? Avrà campo libero e ce lo troveremo presidente della Repubblica, la nostra vita appiattita... bisogna ritrovare la grinta che avevamo quando lottavamo contro la Dc, riconquistare il cuore della gente... ».

Se una buffonata triste è in grado di vincere le elezioni, converrà riflettere su quel che siamo come paese e come sinistra...
«Era meglio farlo prima. Qui non se ne fa più parola, ma si sta per votare il più gran conflitto di interessi dell’Occidente. Com’è che siamo ancora a questo punto che un signore padrone di tv, radio, giornali, libri e tanto altro può diventare presidente del consiglio? Ogni tanto, i compagni mi suggeriscono: che vuoi fare, alla gente non interessa questo argomento... Ma siamo matti? Vuol dire che non l’abbiamo ben spiegato, che non abbiamo parlato a sufficienza, che forse ci credevamo poco anche noi alla eresia istituzionale interpretata da Berlusconi; ma se è così, il problema siamo noi... ».

Ho idea che Veltroni sia partito anche da questa considerazione quando ha deciso di correre da solo. Qualcuno non voleva attaccare il conflitto di interessi nella vecchia coalizione. Ma tu strattoni la politica con la forza di un profeta e stai anche sulle balle per questo, ma dove la vuoi portare la politica?
«Ho un problema abbastanza mio, intanto. Devo mettermi d’accordo con una politica che non risponde, non mi sembra almeno, a questioni come quella del percorso dell’Alta velocità, della base Usa a Vicenza. Di cento altre basi militari pagate dai contribuenti italiani, di cento aerei da bombardamento e distruzione, pacifisti?, che costano un miliardo l’uno, del nostro essere supporter dell’esercito Usa mentre quest’ultimo si rifiuta di ammettere che i nostri soldati stanno male per colpa dell’uranio impoverito, tanto per non pagare, loro, i danni, i risarcimenti».

Cambierà, se vincerà il Pd e se, come pare, vinceranno i democratici in Usa...
«A una condizione: che si tolga di mezzo quella che Gramsci definiva “l’umile imbecillità delle idee spente”. Che, cioè, la politica, la sinistra, il governo prenda per buona l’emergenza globale sulla vivibilità del pianeta, sulla crisi delle fonti energetiche che sta travolgendo tutto. Sarà ora di smetterla di fingere di non accorgersi di quanto sta accadendo, sarà ora di smettere di fare i beoti che accettano sempre la situazione come discretamente normale, così ci si tocca i coglioni e si tira avanti. Questa è la stessa logica della merda della Campania, una logica, come si è visto, suicida. Tutta l’azione di governo va impostata su questo allarme, ma nella sostanza, non formalmente... ».

È dura passare dall’Apocalisse, purtroppo vera, alla vecchia Unità: sai della nostra campagna?
«So e ci sto. È un bel giornale, qualche volta meno ma è bello e degno. Allora compro due copie, anzi no, compro tutte le copie che trovo, smantello l’edicola, cuntent?».


Pubblicato il: 13.04.08
Modificato il: 13.04.08 alle ore 11.58   
© l'Unità.

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E Fiorello: «Non ho seguito la cosa, non è divertente e non ce ne occuperemo»

Caso Travaglio, Schifani: «No comment»

Il presidente del Senato: «Lo dico col sorriso».

Ma Dario Fo: destra e sinistra insieme per imporre il silenzio

 
 
ROMA - La sua parola, ormai, l'ha affidata alle carte bollate. E decidendo di querelare Marco Travaglio, il presidente del Senato, Renato Schifani, ha deciso di non tornare più sulla vicenda delle sue frequentazioni del passato con esponenti poi risultati negli anni seguenti collusi con la mafia. Vicenda che era stata rilanciata dallo stesso Travaglio durante la sua partecipazione alla trasmissione «Che tempo che fa». Non a caso quando all'indomani della querela i cronisti cercano di strappargli qualche altra dichiarazione in proposito, Schifani si trincera dietro il più classico dei «No comment». Nessuna risposta ma, come è lui stesso a fare notare, «lo dico con il sorriso».

L'AFFONDO DI DARIO FO - Schifani non ne vuole parlare, ma la vicenda continua a tenere banco. E sono altri a commentarla. Dario Fo, ad esempio: «Questo schizzare di indignati prelude a un'azione questa volta sì preconfezionata e terribile. Bipartisan. Finalmente destra e sinistra si ritrovano coinvolte dentro a una medesima cultura: quella dell'insofferenza verso la satira e la denuncia di ogni illecito» ha detto il premio Nobel prendendo le difese di Travaglio. «Per la prima volta - evidenzia Fo -, dentro tutto o quasi l'arco politico del nostro Paese si è deciso di imporre il silenzio, la pace dello spirito e soprattutto delle idee». L'intervento di Fo è pubblicato sul suo blog. Fo cita Gianni Rodari che scrisse: «Le parole sono come pietre. Lanciate nello stagno producono cerchi concentrici che s'allontanano dai tonfi allargandosi fino alla riva.». «Ma attenti: lo Schifani - rileva ancora Dario Fo - non s'è gettato furente insieme ai suoi numerosi sostenitori contro il libro di prevedibile enorme tiratura, ma contro le parole dette attraverso un mezzo - la televisione - che normalmente si occupa di giochi per famiglie, concorsi fra giovani disposti a esibire cosce e glutei, telegiornali disinformanti, vacui e noiosi.... Sta qui lo scandalo! In quella stessa acqua incolore, le pietre scagliate hanno prodotto un'eco insopportabile».

UN NUOVO EDITTO BULGARO - «Improvvisamente sono tornata a sei anni fa con la paura che si ripetesse ciò che è successo allora con l'editto bulgaro», dice Bice Biagi intervenendo sul sito di Articolo 21 che ha lanciato un sondaggio «Caso Travaglio: chi ha ragione?». «Mi sembra che il tempo non sia passato - sottolinea la figlia di Enzo Biagi - e non è un'impressione piacevole. Travaglio è un giornalista, le cose a cui ha accennato erano state scritte e rese pubbliche da lui, Gomez e Abbate in un libro. E non è che una cosa scritta è più o meno vera di una cosa detta in tv. Come mai - si chiede - oggi tutto questo polverone quando il pubblico leggendo il libro aveva già avuto modo di conoscere quelle tesi? Lui non ha espresso un'opinione. Ha raccontato un fatto. Se non è vero ciò che ha scritto ne risponderà in Tribunale». «Chi si è sentito offeso - dice ancora Bice Biagi - è la seconda carica dello Stato ma i cittadini hanno il diritto di sapere tutto di una carica istituzionale. Non è un pettegolezzo. Schifani dovrebbe presentarsi ai cittadini italiani e raccontare come le cose sono andate».

BIAGI BALUARDO - «Mi fa piacere la solidarietà nei miei confronti espressa da Bice Biagi. Peccato che adesso suo padre Enzo non c’è più: c’è un baluardo in meno». Così Marco Travaglio commenta le dichiarazioni fatte oggi dalla figlia del grande giornalista recentemente scomparso, che ha affermato di temere un nuovo editto bulgaro.

FIORELLO: «NON E' DIVERTENTE» - Chi invece della vicenda sembra interessato a disinteressarsi è Fiorello: «Il caso Travaglio-Schifani? Non lo ho seguito - ha detto il conduttore alla presentazione, in via Asiago a Roma, del doppio cd di "Viva Radiodue 2008" -. Comunque, non è divertente. Non ce ne occuperemo».



13 maggio 2008

da corriere.it

Admin:
DARIO FO


A proposito della bufera esplosa in conseguenza delle parole di Travaglio da Fazio, mi viene in mente un commento di Gianni Rodari, col quale il poeta apre un suo testo:

"Le parole sono come pietre. - dice - Lanciate nello stagno producono cerchi concentrici che s'allontanano dai tonfi allargandosi fino alla riva. Quelle pietre hanno spaventato gli uccelli e i pesci che schizzano via... nessuno si cura delle rane e delle carpe colpite dai sassi. La parola muove l'acqua, creando scompiglio e sgomento. Se ne approfittano alcuni passanti che raccolgono veloci rane e pesci che galleggiano storditi."

Assomiglia un po' al cataclisma innescato da Travaglio l'altro giorno a 'Che tempo che fa'.

I commenti tratti da un libro scritto da Marco insieme a Peter Gomez ed edito un mese fa, hanno sdegnato ed anche sconvolto gli inquilini dello stagno. Perfino alcuni pesci rossi, in verità un po' sbiaditi, sono letteralmente guizzati fuori dall'acqua in una danza d'indignazione!

Ma che suono avevano quelle parole lanciate nella calma gora? E' semplice....ricordavano amicizie e frequentazioni ambigue fra l'appena eletto Presidente del Senato, Renato Schifani, e alcuni figuri di capi cosca mafiosi. Ma attenti: lo Schifani (strana onomatopeica di un nome) non s'è gettato furente insieme ai suoi numerosi sostenitori contro il libro di prevedibile enorme tiratura, ma contro le parole dette attraverso un mezzo - la televisione - che normalmente si occupa di giochi per famiglie, concorsi fra giovani disposti a esibire cosce e glutei, telegiornali disinformanti, vacui e noiosi.... Sta qui lo scandalo! In quella stessa acqua incolore, le pietre scagliate hanno prodotto un'eco insopportabile.

Tant'è che Renzo Lusetti della Margherita, partito Democratico, ha urlato: "....il direttore generale Rai, Cappon, deve prendere provvedimenti concreti, cioè a dire sanzioni, interdizioni dal video...." E poi aggiunge disperato "Purtroppo la Rai non si decide mai".

S'indigna Luigi Bobba del Pd: "La televisione che fa Santoro con Travaglio è come un format (cioè a dire roba tipo Grande Fratello): essa estremizza solo un punto di vista (cioè 'Chi è quel mafioso? Che ci fa Schifani con lui?') Si vuole dimostrare una tesi, poi si monta il materiale. Risultato: danni anche politici."

Bella questa del format! Cioè chi preconfeziona un discorso e lo avalla con delle prove è un indegno mestatore!
Da cui si evince che tutti i grandi scrittori, poeti, registi di questo mondo sono manipolatori infami, furbacchioni abietti.... a partire da Dante, che scriveva pure in rima!

E' un esercito di protestatori offesi da sinistra al centrosinistra, a destra un po' a sinistra, a destra senza sinistra fino ai fasci littorio ante litteram.

Infatti alle parole di Travaglio s'è indignato perfino Ciarrapico: cinque processi, cinque condanne, oggi senatore del Popolo delle Libertà.
Ma attenti, non c'è di che farci troppo sollazzo satirico. Questo schizzare di indignati prelude a un'azione questa volta sì preconfezionata e terribile.

Bipartisan.

Finalmente destra e sinistra si ritrovano coinvolte dentro a una medesima cultura: quella dell'insofferenza verso la satira e la denuncia di ogni illecito.

Qui fate attenzione, non si tratta di occasionali esternazioni prodotte da un fastidioso ronzare contestatorio.... Qui, per la prima volta, dentro tutto o quasi l'arco politico del nostro Paese si è deciso di imporre il silenzio, la pace dello spirito e soprattutto delle idee.

"Basta con l'antipolitica" come ripetono gli eletti dello stagno e le rane sopravvissute all'ultimo conflitto "eliminiamo i mestatori".

Come dice la canzone: "Silenzio. Zitti e basta di gracchiare!" Si chiude. Piantatela con le denunce non controllate, le inchieste sopra le costruzioni abusive, le accuse di appalti truccati, con concorsi dove i vincenti sono già stabiliti. Smettiamola di eccitare gli animi, soprattutto le menti dei giovani e dei pensionati, a costo di annullare qualche garanzia di libertà e persino di democrazia.

In poche parole, interriamo lo stagno.
Sabbia, per favore!
Via le rane, pesci e uccelli.

Guai a chi gracchia e rompe il silenzio di chi governa unito.

DARIO FO

da www.dariofo.it

Admin:
Presidio anti-Tremonti alla Cattolica

Dario Fo tra gli studenti: il governo scricchiola
 

 MILANO (19 novembre) - Presidio anti-Tremonti oggi all'università Cattolica di Milano, organizzato dagli studenti in occasione della visita del ministro dell'Economia all'ateneo, per l'inaugurazione dell'anno accademico.

Un centinaio di manifestanti si è disposto dietro le transenne allestite dalla forze dell'ordine, all'angolo tra via Santa Valeria e via Necchi, al lato dell'ingresso principale dell'università. Dietro, uno striscione che recitava: «Tremonti, più che Robin Hood, principe Giovanni». I ragazzi hanno allestito poi un gazebo per la raccolta di firme contro la legge 133.

Tra loro anche Dario Fo, che ha parlato dei movimenti di protesta: «La possibilità che il governo ritorni sui suoi passi a proposito dei tagli alle Università dipende dalla quantità e dal peso della protesta», ha detto.
 
Il governo ha scricchiolato. «Già nelle ultime manifestazioni il governo ha un pò scricchiolato. Ha cercato di minimizzare e ha smesso di usare termini duri. Si sa però che useranno mezzi pesanti e qui si vedrà la tenuta del movimento».

I ragazzi non sono caduti nella trappola. «Questi ragazzi hanno dimostrato un'intelligenza straordinaria perché non sono caduti nella trappola.
A Roma, ad esempio, dove i fascisti con l'appoggio della polizia hanno addirittura organizzato delle provocazioni senza però riuscire a farle esplodere - ha detto Fo riferendosi agli scontri di Piazza Navona lo scorso 30 ottobre - tanto che i picchiatori sono finiti in un servizio di Chi l'ha visto e hanno fatto irruzione nella televisione perché presi in contropiede».

Università privata non mette al sicuro. Il Premio Nobel, accompagnato da Franca Rame, ha ricordato che «siamo presenti nel movimento già da un mese e più» e, a proposito del presidio organizzato dagli studenti della Cattolica, ha concluso: «La Cattolica si è sempre mossa con i piedi di piombo. Anche nel '68 arrivò con un mese di ritardo. Ma hanno capito che la loro condizione di studenti di una Università privata non li mette al sicuro».

Cossiga folle, ma lucido. Fo è intervenuto anche sulle dichiarazioni di Cossiga a proposito di come combattere le mobilitazioni studentesche: «Quel personaggio folle che è il presidente della Repubblica in pensione Francesco Cossiga ha detto una cosa come un deficiente ma con una lucidità spaventosa».

Corteo dopo il presidio. Gli studenti hanno presidiato le uscite dell'ateneo privato milanese in attesa del passaggio del ministro dell'Economia (avvenuto da un'uscita laterale che dà su via Necchi) salutato con cori ("Tremonti non ti vogliamo") e striscioni (tra gli altri uno che recitava "tagliatevi lo stipendio non il nostro futuro" e "benvenuto mister tagli"). Al termine del presidio un piccolo corteo formato da una quarantina di persone, tra studenti dell'università Statale e ragazzi del scuole superiori, è partito dall'università e, dopo aver percorso le vie del centro, è arrivato in piazza Duomo. 


da ilmessaggero.it

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