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Autore Discussione: ELENA DUSI In crisi il sistema di controllo giapponese.  (Letto 1685 volte)
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« inserito:: Marzo 14, 2011, 12:18:42 pm »

GIAPPONE

L'allarme è scattato 8 secondi prima "La sfida: più tempo per salvare vite"

In crisi il sistema di controllo giapponese.

Nel luglio 2010 era stato previsto un rischio elevato nella regione Tohoku, ma a gennaio il segnale è stato cancellato.

Ecco come si lavora alla prevenzione

di ELENA DUSI


ROMA - Pochi secondi di anticipo. Questa volta il terremoto ha bussato alla porta prima di arrivare, ma con un margine talmente breve da instillare dei dubbi sull'utilità del sistema di "early warning" per il quale il Giappone è all'avanguardia dal 2007. Grazie alla tecnologia di "allarme rapido" molti giapponesi hanno ricevuto sul cellulare un messaggio di allerta tra gli 8 e i 60 secondi prima della scossa. Tv e radio hanno interrotto i programmi per trasmettere l'allarme. I treni ad alta velocità, obbedienti agli ordini trasmessi per via informatica, hanno rallentato e si sono fermati per evitare il deragliamento. Eppure, incredibilmente, alla rete dell'"early warning" non erano collegate le centrali nucleari. Gli impianti sono considerati talmente importanti da meritare una rete speciale, che di fatto era ancora in fase di test quando il terremoto ha colpito venerdì.

Non molto più efficace è stato l'allarme tsunami. Sulle spiagge più vicine all'epicentro il segnale di pericolo è arrivato con 5-10 secondi di anticipo. Procedendo verso ovest e nord-ovest i margini sono leggermente migliorati: 25, 30, fino a 40 secondi prima dell'arrivo dell'onda devastante. Impossibile fare meglio, con un terremoto così violento (9 di magnitudo) e così vicino alla costa (130 chilometri, laddove gli tsunami raggiungono velocità di mille chilometri l'ora): la tecnologia paradossalmente ha funzionato a dovere e i suoi margini di miglioramento sono scarsi. Ma è evidente che con un preavviso così insignificante le chance mettersi in salvo sono nulle.

Braccia allargate dunque per le previsioni a breve termine. Ma non è andata meglio in Giappone neanche per quelle a lungo termine, o probabilistiche. Questi studi si basano sull'osservazione dettagliata dei movimenti delle faglie e sull'uso della statistica. Il "Gruppo di studio sulle probabilità di un terremoto in California" (Wgcep) che fa capo all'università della California del sud ha calcolato per esempio che la regione sarà colpita da un sisma di magnitudo 6,7 o superiore nei prossimi trent'anni con una probabilità del 99%. Ma questa informazione ha un'utilità relativa, nel momento in cui è impossibile determinare dove e quando il terremoto esattamente colpirà.

Questa volta però anche il calcolo probabilistico ha deluso i sismologi. Alla regione di Tohoku, quella colpita dal Big One dell'11 marzo, era stato applicato un algoritmo per la valutazione del rischio di terremoti con magnitudo superiore a otto. Si tratta di un'elaborazione fatta dal computer in base a dati geologici presi sul terreno, e nel luglio del 2010 aveva previsto un allarme elevato nella zona a nord-est dell'arcipelago. Ma pochi mesi dopo, uno dei parametri utilizzati era sceso di poco sotto la soglia. Risultato: l'allarme per la regione di Tohoku era stato cancellato a gennaio del 2011, esattamente due mesi prima del sisma.

Questi modelli informatici in Giappone (a differenza della California) sono usati ancora a livello sperimentale e la cancellazione dell'allarme non ha avuto alcun riflesso pratico sulla risposta all'emergenza. Ma fa capire quanto ancora siamo lontani dall'avere a disposizione sistemi di previsione efficaci per i terremoti. "Gli ultimi terremoti - conferma Alessandro Martelli, ingegnere sismico dell'università di Ferrara e direttore del centro Enea di Bologna - ci hanno dimostrato che le analisi probabilistiche sono ancora inadeguate. Hanno fallito in Nuova Zelanda e in Cina, solo per citare gli ultimi terremoti. Gli algoritmi che usiamo tendono a escludere gli eventi rari, eppure casi del genere prima o poi accadono. Dobbiamo migliorare i nostri metodi, e per questo ci serve tempo".

Ben pochi miglioramenti invece sono attesi per l'"early warning": il sistema ha funzionato come doveva e sarebbe difficile domandargli di più. "L'allarme sfrutta la differenza di velocità fra due tipi di onde sismiche" spiega Carlo Lai, responsabile della sezione di sismologia applicata all'Eucentre dell'università di Pavia. "Le onde P, o onde longitudinali, viaggiano nel terreno a una velocità elevatissima: 2,5-3 chilometri al secondo. Ma sono quelle meno dannose. Le onde S o trasversali sono invece quelle davvero distruttive, ma si propagano a una velocità circa 1,7 volte più bassa. Quando i nostri strumenti registrano le onde veloci, abbiamo dunque un piccolo margine di tempo prima che arrivino quelle lente e devastanti. In questi pochi secondi possiamo prendere alcune misure di emergenza molto rapide. Ma fare di più è impossibile. E in Giappone, in questi giorni, il sistema ha mostrato anche delle défaillances nel determinare con precisione l'epicentro di alcune delle scosse di assestamento". Eppure nessuno degli altri paesi che dispongono dell'"early warning (California, Messico, Taiwan) dispone di apparecchiature all'altezza di quelle di Tokyo.

(14 marzo 2011) © Riproduzione riservata
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