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Autore Discussione: PRODI  (Letto 79517 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Agosto 18, 2011, 05:25:38 pm »

INTERVISTA A RADIO 24

Prodi interviene sulla crisi: «Le agenzie di rating sono come Qui Quo e Qua»

L'ex premier: «La tassa di solidarietà è molto diversa dalla tassa per l'Europa. Il governo è diviso su tutto»


MILANO - «Si parla tanto di concorrenza e poi le tre agenzie di rating mondiale sono come Qui Quo Qua, vanno d'accordo tra loro. Sono tutte americane. Si mettono d'accordo. Non c'è niente da fare, istintivamente rispondono a stimoli politici». È il parere di Romano Prodi che è intervenuto con una lunga intervista alla trasmissione «24 Mattino Estate» in onda su radio 24. L'ex premier ha proposto una soluzione: «Ci vogliono agenzie europee, cinesi, indiane. Questa soluzione avrebbe anche un altro vantaggio. Quello di rendere relativo il giudizio di queste agenzie che, comunque, ci vuole perchè ci vogliono dei controlli ma i loro giudizi andrebbero poi presi con una certa saggezza. Qualcuno propone agenzie in mano agli stati. Io ho delle perplessità - ha chiarito - perchè evidentemente perderebbero di credibilità . Per definizione ognuno metterebbe l'asino dove vuole il padrone. Nel mercato di oggi è meglio che ci siano tanti asini e tanti padroni».

L'EURO - Romano Prodi si è inoltre soffermato sull'aumento dei prezzi dopo l'entrata in vigore dell'euro: «L`aumento c`è stato anche se non era alto come dice qualcuno. Ma la colpa non era di chi era a Bruxelles, come ero io quando è stato introdotto l'euro nella pratica quotidiana. La responsabilità è dei Governi nazionali. E in soli due paesi si è verificato questo fenomeno: la Grecia e l`Italia. C'erano due strumenti che Ciampi aveva elaborato: le commissioni provinciali di controllo che erano state istituite non sono state fatte lavorare, e il doppio prezzo in lire e in euro per sei mesi in modo che la gente si sarebbe potuta difendere da sola. Io non ho mai capito perchè questi due semplici provvedimenti che Ciampi aveva raccomandato, non siano stati usati dal Governo Berlusconi» . Sulla possibile fine dell'euro però Prodi non è pessimista: «Sono preoccupato, ma non credo ci sarà la fine dell'euro. È vero, siamo entrati nel periodo della paura : paura della Cina, degli emigranti. In un mondo grande come quello di oggi essere soli non va bene neanche per la Germania. Sanno benissimo che solo con l'euro possono avere la forza economica che hanno oggi.

EUROTASSA - L'ex presidente del consiglio rifiuta il paragone tra la tassa di solidarietà e l'eurotassa decisa proprio dal governo Prodi. «C'è una profonda differenza - ha chiarito Prodi - e allora era una gara per la promozione, per entrare nel club dell'euro e il governo lavorava insieme in modo collettivo, qui invece ognuno ha la sua tesi e ognuno ha un'opinione diversa in seno alla maggioranza, ognuno mette un pezzo di veto e quel che ci rimane è un pezzettino di decisione che non può risanare un paese. E poi noi introducemmo l'eurotassa perchè l'avremmo potuta restituire, e così è avvenuto, i tassi di interesse si abbassarono e in tre anni furono restituiti i due terzi».

Redazione online
16 agosto 2011 18:26© RIPRODUZIONE RISERVATA

DA - http://www.corriere.it/economia/11_agosto_16/prodi-agenzie-rating-crisi_d2e63812-c815-11e0-9dd1-bf930586114f.shtml
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« Risposta #61 inserito:: Ottobre 07, 2011, 04:42:53 pm »

Esclusivo

Prodi: 'Via Silvio subito'

di Orazio Carabini

Un premier senza credibilità. Che perde persino l'appoggio degli imprenditori.

E intanto il referendum dimostra che la gente ha capito che qualcosa non va.

Il prof rompe il silenzio e lancia il suo je accuse: "meglio qualsiasi altro governo di quello attuale"

(06 ottobre 2011)

«In luglio avevo detto che durante una tempesta così sarebbe stato meglio non cambiare nocchiero, ma dopo quello che è successo in agosto mi sono dovuto ricredere: meglio qualsiasi altro governo di quello attuale». In questa intervista  Romano Prodi, impegnato nella preparazione di tre lezioni sul futuro, dal titolo 'Il mondo che verrà', che andranno in onda su La7 a partire da martedì 11 ottobre, parla a tutto campo della situazione italiana e internazionale.

Non l'ha impressionata il tono perentorio della lettera inviata al governo italiano nel momento in cui sono cominciati gli acquisti di titoli di Stato? Sembra quasi che l'Italia sia stata commissariata.
"Per la verità non mi ha sorpreso molto, anzi. Nelle circostanze attuali era quasi un doveroso gioco delle parti. Il fatto che fossimo commissariati era già evidente prima della lettera. Quella lettera la dovevano mandare, per le nostre debolezze, per costruirsi un'eventuale giustificazione per il futuro: "Gliel'avevamo detto, prima di comprare i loro bond, che cosa avrebbero dovuto fare". Si sono cautelati, si sono creati la motivazione politica. Una cosa che si fa solo quando uno è molto debole. Come dicevo, si spara sulla Croce rossa".

Tra un inciampo e l'altro il governo una manovra che porta al pareggio di bilancio però l'ha fatta. Eppure lo spread non è sceso ai livelli pre-crisi.
"Il mese di agosto ha cambiato totalmente la sensibilità internazionale. A luglio avevo detto che di fronte a una tempesta non era il caso di cambiare nocchiero. Poi però ho assistito alle liti tra ministri, alle proteste delle categorie colpite dai provvedimenti, ho letto le reazioni della stampa internazionale, ho viaggiato in Cina e negli Stati Uniti e ho constatato come tutto ciò veniva interpretato. Sono così arrivato a una conclusione: meglio qualsiasi altro governo di quello attuale. Perché un cambiamento di governo sarebbe visto come un fattore di stabilità. Sia le classi dirigenti sia la gente comune sono convinti che questo governo viva all'insegna dell'instabilità e della non credibilità. Ed è inconcepibile che il nostro spread sia maggiore di quello spagnolo, cioè di un paese in cui l'economia è più debole della nostra. Lo dico da economista e senza nessuna polemica. Ci può essere solo una spiegazione politica perché il nostro debito è identico a quando siamo entrati nell'euro. Il fatto è che la Spagna ha una linea politica, l'Italia no".

Non toccherebbe al presidente Giorgio Napolitano staccare la spina?
"Su questo tema non voglio dire nulla".

Dal referendum può venire un cambiamento?
"Certamente ha affrettato il processo di presa di coscienza. Se in un mese un milione e 200 mila persone sono andate a firmare, malgrado un'organizzazione debole, vuol dire che c'è qualcosa che non va e che la gente ne è cosciente".

Non è singolare che in Italia facciano più baccano gli imprenditori che la piazza? Sono loro gli indignados made in Italy?
"L'imprenditore indignado ha dei toni diversi dalla ragazza spagnola, israeliana o americana che va per strada. Ma non li definirei nemmeno indignados. L'imprenditore è per definizione filogovernativo ed è triplamente filogovernativo con un governo di destra. Nella storia italiana non ho mai visto gli imprenditori diventare antigovernativi con un governo di destra. Vuol dire che la politica economica proprio non va, non c'è altra spiegazione. Cito Dante: "Nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello"".

Queste proteste porteranno alle elezioni?
"Non lo so. Perché l'espressione stessa indignados non ha il significato di una forza politica con un programma. Indignados è un atteggiamento, è segno di sfiducia, non è un programma. Anzi, in teoria, tante indignazioni separate possono anche allungare la vita del governo. Mentre le indignazioni che si trasformano in un programma ne accelerano la sostituzione. Non è un caso che i commenti all'esito della campagna referendaria siano stati di segno opposto uno dall'altro. E' l'interpretazione di un'indignazione, non è un disegno".

Sta segnalando la mancanza di compattezza dell'opposizione?
"Il momento politico offre questo. Quanto alla compattezza, uno come me può solo dire che è un desiderio. Non sono mai riuscito ad averla. Non posso essere certo io, dopo quello che ho passato con il mio ultimo governo, a indignarmi per la mancanza di compattezza".

L'EUROPA

Prima il ministro del Tesoro americano Tim Geithner, poi i cinesi e i governi dei Bric. Tutti sono preoccupati per il futuro dell'Europa. E lo dicono in modo esplicito. Non la sorprende tanta attenzione?
"No, l'euro è diventato importante per tutti e la crisi europea coinvolge il mondo intero. Gli americani temono che, data l'interconnessione dei sistemi bancari, un collasso in Europa si ripercuota sulle loro banche. Politicamente non hanno fatto nulla per evitare che si arrivasse a questa situazione: non hanno consentito alcun coordinamento delle politiche e dal fallimento di Lehman Brothers in poi hanno fatto come pareva a loro. In Cina la preoccupazione è anche politica: loro non vogliono essere l'unica controparte degli Usa in un G2 che domina il mondo. L'Europa gli è utile. Quando nacque l'euro, io ero presidente della Commissione. Ricordo che i cinesi erano molto favorevoli. All'epoca il presidente Jiang Zemin mi disse: «Vogliamo l'euro perché non vogliamo vivere in un mondo in cui uno solo comanda. Ed è meglio che ci sia anche l'euro, insieme al dollaro». Da allora sono stati coerenti e hanno accumulato tante riserve in euro. Adesso sanno che ancora per qualche tempo hanno bisogno di un sistema "multipolare" in cui l'euro bilanci la forza del dollaro in attesa di arrivare alla convertibilità del renmimbi. Per loro l'euro è una specie di assicurazione, una garanzia, un'ancora di salvezza. Detto tutto questo, la colpa della crisi è principalmente nostra: sparare sui paesi europei divisi o sull'Italia è come sparare sulla Croce rossa. E pensare che l'Unione europea nel suo complesso è più grande di tutte le altre potenze: come Pil, come produzione industriale, come esportazioni. Ma non avendo capacità decisionale...

La Grecia dichiarerà bancarotta?
Vorrei capire a chi conviene farla fallire mettendo a rischio la sopravvivenza dell'euro. Nemmeno la Germania ha interesse a far cadere una dopo l'altra le carte del castello. Poi credo che alla Grecia vada sì chiesto di mettere ordine nei propri conti pubblici e nell'economia ma allo stesso tempo alla popolazione va data una prospettiva, una speranza. Altrimenti questi tagli diventano una forma di sadismo.

Non le sembra che la Commissione europea e la Banca centrale europea siano un po' ondivaghe nelle loro politiche? La Commissione ha predicato il rigore di bilancio ma si è riconvertuta alle politiche espansive quando ha capito che la crescita stentava. La Bce ha addirittura aumentato i tassi d'interesse fino a poche settimane fa e ora annuncia prossimi tagli. Direi che comunque il rigore prevale. Siamo dominati dalla paura anziché dalla solidarietà. Applicando la dottrina ortodossa, conservatrice, ci si mette sempre la coscienza a posto. Da quando la Bce ha cominciato ad aumentare i tassi mi sono chiesto: che logica c'è? E' giusto che la Bce sia severa ma siamo arrivati a un punto che è troppo severa. Fa la prima della classe. E infatti la crescita sta soffrendo. Ho fatto una proposta insieme all'economista Alberto Quadrio Curzio: emettiamo 3 mila miliardi di eurobond, di cui 2 mila dedicati al sostegno dei paesi deboli. Ma mille investiamoli nelle infrastrutture. Dalla crisi si esce con la disciplina ma anche con il rilancio. Nel 1929 il mondo si salvò con questa ricetta. Allora la spesa pubblica, purtroppo, era per le armi, adesso sarebbe per gli oleodotti e le ferrovie. Attenzione: Keynes è esistito e ci ha insegnato che, pur tenendo conto della necessità di avere i bilanci in ordine, bisogna investire. Negli ultimi 30 anni molti lo hanno esecrato, ma adesso va rivalutato. Non si lasciano morire le economie. E l'America si trova in un dilemma identico a quello dell'Europa. .

Almeno la crisi ha messo in moto un rafforzamento del patto di stabilità e crescita: più controllo sui bilanci pubblici e sanzioni per chi sgarra. Come giudica la nuova governance europea? Quale governance? E' stato lanciato all'esterno un messaggio di disarmonia, non di armonia. I grandi paesi avrebbero potuto avviare una riorganizzazione del governo comune e invece è prevalso l'orientamento di togliere potere alle strutture di governance veramente europee come la Commissione. Ma la perdita di ruolo della Commissione ha segnalato un disimpegno di Francia e Germania e così all'esterno è passato un messaggio di disarmonia. E qui sono cominciate le preoccupazioni degli americani e dei cinesi per tornare alla domanda iniziale. Perché può esistere temporaneamente una moneta comune in attesa che venga costruita una politica economica comune, ma non ci può essere una moneta comune consolidata con una cacofonia di posizioni tra i diversi Paesi. La Bce è stata importante ma i suoi poteri sono limitati: supplisce, supplisce, ma fino a un certo punto. Abbiamo visto tutti quante difficoltà ha incontrato quando ha dovuto decidere di acquistare i bond dei paesi in difficoltà. .

LE RIFORME DEL SISTEMA

Intanto stiamo andando dritti verso una nuova recessione...
"Direi di no. Probabilmente stiamo andando verso un forte rallentamento della ripresa. E' cominciato tutto all'inizio di giugno. Fino ad allora l'economia si stava lentamente aggiustando. Poi c'è stato un rallentamento e tutti hanno cominciato a rivedere al ribasso le previsioni. Penso che andiamo incontro a un periodo di stagnazione. Nel 2008 quando è cominciata la crisi i miei colleghi storici dell'economia mi dicevano che ci sarebbero voluti sette anni per riaggiustare tutto. Io replicavo che Usa e Cina avevano reagito mettendo sul piatto 800 e 585 miliardi di dollari: Keynes ci ha insegnato come fare, usciremo prima da questo inferno. Ma loro insistevano: bisogna "pulire" dalle scorie il sistema economico. E non avevano nemmeno previsto quanto rapidamente il contagio si sarebbe esteso ai titoli del debito pubblico provocando quindi la politica recessiva. Oggi la ripresa è lenta mentre i governi vanno avanti adagio con piccole correzioni ma non ci sono prospettive di grandi riforme del sistema finanziario ed economico. Negli Stati Uniti il potere politico è debolissimo verso la finanza: non ha avuto la forza di imporre il ritorno al Glass-Steagall Act, cioè la separazione delle banche commerciali da quelle di investimento. Le altre grandi riforme come la Tobin tax per essere efficaci richiedono un'adesione universale.".

Perché non c'è unità d'intenti sulle grandi riforme?
"La mia interpretazione è che nei momenti di grande cambiamento dei rapporti di forza le riforme non le vuole nessuno. Non gli Stati Uniti, che temono di dover rinunciare al privilegio della centralità del dollaro nel sistema finanziario internazionale. Non la Cina che non è pronta a fare il grande salto verso la convertibilità della sua moneta ed è consapevole di avere tutto da guadagnare ad aspettare: una riforma tra 4-5 anni li vedrà molto più forti di una riforma fatta oggi. E sarà più conveniente per loro. Chi potrebbe avanzare delle proposte è l'Unione europea, avrebbe interesse a far da arbitro, ma si è talmente indebolita che è riuscita nell'obiettivo di farsi portare la guerra in casa quando le sue condizioni finanziarie erano e sono migliori di quelle americane: il nostro rapporto deficit-Pil è inferiore di quattro punti a quello Usa e la California non è certo messa meglio della Grecia. Eppure il dollaro non ne viene toccato. Quindi è difficile pensare che sia l'Europa il leader delle grandi riforme internazionali".

Intanto le diseguaglianze sono sempre più ampie.
"Non è un fatto casuale ma il frutto di una filosofia precisa. Storicamente fino alla fine degli anni 80 le diseguaglianze nei paesi industrializzati si stavano riducendo, poi sono impazzite per motivi spiegabilissimi. Il primo è che c'è una nuova dottrina. Non c'è più un senso profondo dell'ingiustizia sociale. Mi ricordo che 30 anni un mio articolo sul Corriere della Sera in cui calcolavo che il manager numero uno di un'impresa sconfitto alle regionali del 2008 abbandonò all'improvviso la politica lasciando interdetti sostenitori, alleati, ed amici, per tornare a fare l'imprenditore nelle aziende di famigliaguadagnava 40 volte la media degli operai suscitò polemiche a non finire. Adesso nessuno dice nulla se quel rapporto è 400 volte. Si è fatta strada la filosofia calvinista o protestante per cui il ricco è benedetto da Dio. Punto e basta. E poi è cambiato il sistema fiscale: con Ronald Reagan e Margaret Thatcher l'aliquota massima, che negli Usa era al 70 per cento, si è dimezzata. E lì si è imboccata la strada che ha portato Warren Buffett, per sua stessa ammissione, a pagare meno tasse della sua segretaria. In aggiunta l'imposta sulle eredità è caduta dovunque, o quasi. Infine la globalizzazione ha indubbiamente colpito i salari più bassi: il lavoro standard è volato via. Senza contare che l'aumento di valore dei beni mobili e immobili ha aumentato la distanza tra chi li possiede e chi non li possiede".

Qualche Paese ha saputo però contrastare la tendenza.
"Certo. Però devi avere una cultura radicata come in Svezia o devi essere il Brasile di Lula. Altrimenti le diseguaglianze aumentano. E l'ingiustizia è cresciuta anche nei paesi in via di sviluppo dove tutti si sono spostati verso l'alto ma i ricchi sono saliti di più: cala la miseria ma aumentano le differenze. Ed è in questo senso che io vedo la possibilità di una riflessione mondiale che può esprimersi anche attraverso l'indignazione, o anche peggio. Vedere che negli Stati Uniti, in Israele e in Spagna manifestano allo stesso modo fa molto riflettere. Se ci sono tre paesi diversi sono questi. Eppure le modalità della protesta sono simili. In Israele, dove hanno tanti problemi politici che sovrastano qualsiasi altra questione (la primavera egiziana, la Turchia, lo stato palestinese), stupisce vedere 400 mila persone che protestano contro la disoccupazione e la difficoltà di trovare un alloggio. Come in Spagna. Può anche darsi che sia un campanello d'allarme, il segnale che un periodo storico è finito".

Può nascere una rivolta violenta da questa situazione?
"Non sono un sociologo e non so dire se ci sono i presupposti. Come economista mi impressiona che queste questioni siano sollevate simultaneamente e in modo pubblico in paesi e società così diversi".

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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/prodi-via-silvio-subito/2163024//3
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« Risposta #62 inserito:: Novembre 07, 2011, 05:36:27 pm »

Prodi: Governo tecnico? Solo se sostenuto da tutti

1 novembre 2011


Il Governo tecnico dev'essere sostenuto dai partiti altrimenti è un disastro. Parola di Romano Prodi, intervistato a Radio 24. «Farebbe molto bene se fosse sostenuto da tutti e in Italia abbiamo persone di altissimo livello: Mario Monti e altri». Mentre «Draghi ci aiuterà moltissimo a Francoforte».
I mercati non hanno creduto a Berlusconi, sottolinea l'ex premier, e ora occorre riunirsi subito e mobilitare tutte le forze democratiche per «fare dei decreti legge urgenti che il Parlamento approvi» meglio se con un nuovo Governo guidato anche da un tecnico che dia fiducia all'Europa «se è sostenuto dai partiti».

«Tremonti? Latitante»
«Tremonti è latitante, in tre mesi ha rovinato la sua credibilità», ha poi sottolineato Prodi. «In una situazione così drammatica - ha detto - Tremonti deve intervenire subito e negli ultimi tre giorni è in giro per convegni. È anche brillante ma non si rende conto dell'urgenza e ha rovinato tutto. Aveva iniziato male poi si era accreditato per la sua serietà internazionale e acquisito una certa fiducia e negli ultimi tre mesi è latitante, non è mai a Roma ed è in giro per convegni».

«Merkel e Sarkozy diabolici»
«Merkel e Sarkozy sono stati diabolici rendendo l'Europa Comunitaria un'Europa intergovernativa, prendendosi il prevertice - continua Prodi -. Pazzesca abitudine, il prevertice, prevertice per modo di dire dove lei detta le regole e lui fa la conferenza stampa. Sarkozy vuole la blindatura perché le sue banche sono peggio delle nostre in quanto hanno titoli pubblici e cartacce, quelle che hanno creato la crisi. Le banche italiane - conclude l'ex premier - non hanno titoli tossici».
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©RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-11-01/prodi-governo-tecnico-solo-204018.shtml?uuid=AakV0tHE
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« Risposta #63 inserito:: Novembre 13, 2011, 10:59:10 am »

GLI INCONTRI DELLA FONDAZIONE CORRIERE DELLA SERA

Prodi: «Padoa Schioppa e io lasciammo nel 2008 con lo spread a quota 37»

Il Professore: «Non siamo da buttare, serve uno slancio»

Vegas (Consob): Ue, troppe Autorità vogliono comandare


MILANO - Il 2008 non è un secolo fa, c'era già la crisi e a primavera inoltrata, quando si concluse la breve esperienza del secondo governo Prodi, già si vociferava del crac di una grande banca americana, che poi si rivelò essere la Lehman Brothers che andò gambe all'aria nel settembre successivo. L'8 maggio il Professore e il suo ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa facevano «i pacchi», come racconta Prodi, si preparavano a uscire da Palazzo Chigi con i loro scatoloni pieni di libri e di impegni ancora da terminare. «Ricordo quello che mi diceva Tommaso quell'8 maggio del 2008, lasciando il governo: "Romano lo spread tra Btp e Bund tedeschi a 37 punti base, lasciamo una eredità solida a chi viene dopo di noi, possiamo esserne orgogliosi"». Ecco, forse potrebbero bastare questo dato, uno differenziale a 37 contro i quasi 600 punti visti in questi giorni, e queste parole da ministro «per ricordare la statura di Padoa-Schioppa». Ma c'è molto ancora da dire sull'economista morto quasi un anno fa e al quale la Fondazione Corriere della Sera ha dedica venerdì sera questo colloquio sulle regole e la finanza tra Romano Prodi e il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, moderati dal presidente della Rcs, Piergaetano Marchetti.

PRODI: LA CORSA DELLO SPREAD TUTTA DI ORIGINE POLITICA - «Non c'è ragione economica al mondo, se non la debolezza politica, che spiega la penalizzazione dell'Italia: noi non siamo un Paese da buttare, il debito è alto ma è cresciuto poco e molto meno che altrove. Ritroviamo il senso di uno slancio in avanti», esorta l'ex presidente del Consiglio e della Commissione europea che a margine dell'incontro riconosce che i mercati hanno visto subito in Mario Monti «un uomo fedele e coerenre»

FINE DELL'EURO, NON LA VUOLE NESSUNO - L'idea che nell' Eurozona si possa andare ognuno per i fatti propri, mors tua vita mea, «è dir poco folle» per Prodi, «o si vive tutti assieme o si muore tutti assieme». Ma la caduta dell' euro non la vuole nessuno, spiega il Professore, «i tedeschi stanno benissimo e la Germania nell'ultimo anno ha avuto un surplus commerciale di 200 miliardi di euro. È solo demagogia politica, perchè in Germania sanno anche benissimo che noi non abbiamo disimparato a svalutare».

VEGAS, VOGLIAMO INDIETRO L'EUROPA DELLA CASA COMUNE - E se per Prodi una «riforma internazionale del sistema della finanza oggi appare come un'impresa impossibile» Vegas vorrebbe un'Europa che rispolvera l'ideale delle «regole condivise». Gli europei si trovano in questo momento nelle «stesse condizioni degli ateniesi prima della guerra del Peloponneso» dice il presidente della Consob citando il quesito dello storico Tucidide che chiese agli ateniesi se si aspettassero di «cadere stando divisi». «Una riflessione di questo tipo - aggiunge - ci porta a parafrasare Margaret Thatcher quando disse "rivogliamo i nostri soldi" e a dire «we want our Europe back», vogliamo indietro la nostra Europa, la casa comune in cui la convivenza si basi su regole condivise da tutti».

Paola Pica

11 novembre 2011 22:31© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/economia/11_novembre_11/prodi-spread-vegas-marchetti_d6aebb9e-0c9f-11e1-bdbd-5a54de000101.shtml
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« Risposta #64 inserito:: Dicembre 02, 2011, 06:12:36 pm »

Prodi: "Politica tedesca irragionevole"

"Qui si sta giocando col fuoco. La crisi greca si doveva risolvere in fretta e in silenzio, ora è diventata una tragedia. L'ex governo ci ha danneggiato in Europa".

1 dicembre 2011

Sul tema della crisi dell'eurozona «la politica tedesca è spesso di una durezza e irragionevolezza straordinaria». Lo sostiene l'ex premier Romano Prodi che ha fortemente criticato la politica economica del Governo Merkel. «Si è rischiato di mettere in crisi l'euro - ha detto - ma farlo non è nemmeno nell'interesse tedesco visti i dati della sua bilancia commerciale. La Germania deve usare se non la propria saggezza, almeno la propria convenienza, perchè qui si sta veramente giocando col fuoco». Il problema dell'Europa, secondo Prodi, è che è «completamente divisa, non ha in sè la forza per agire, anche se rimane la più grande forza economica del mondo.

La Merkel - ha rincarato Prodi - non cambia linea di una virgola, non vuole nessuna forma di collaborazione, non vuole rimedi che potrebbero risolvere i problemi, ha aderito al Fondo salvastati all'ultimo minuto e a stento. Sul fronte della crisi greca, ad esempio, si è perso tempo, si doveva risolvere in fretta e in silenzio, si poteva risolvere in cinque minuti ed invece è diventata una tragedia. Da allora si è continuato con provvedimenti inferiori alle necessità e presi in ritardo».

La Bce deve diventare il prestatore di ultima istanza ed è necessario introdurre gli eurobond. Sono le due ricette che ipotizza Prodi per uscire dalla crisi dell'euro. «O chiudiamo bottega - ha detto il professore parlando a Bologna all'assemblea nazionale dell'Ancpl - o la Bce deve fare la Bce ovvero diventare prestatore di ultima istanza. La Francia è favorevole, ma la Germania irremovibile. Un altro tema è quello degli eurobond». Per sostenere l'emissione delle
obbligazioni europee Prodi ha portato l'esempio americano. «La situazione della California è più grave di quella della Grecia - ha detto - ma nessuno pensa ad aggredirla perchè il debito degli Stati Uniti è difeso dalla massa critica. Il dollaro è un cane molto grosso. La Germania ha come bestia nera l'inflazione ma non aiuta per nulla il riequilibrio europeo».

L'ex presidente della Commissione ha poi attaccato duramente il governo Berlusconi: "E' stato assente in tutte le decisioni europee importanti. È per questo che l'Italia è stata danneggiata fortemente e ora il sistema economico e bancario sono in difficoltà". «Il governo passato - ha detto Prodi - in Europa non c'era», eravamo «assenti in tutte le decisione importanti» dove «sono state prese decisioni che ci hanno fortemente danneggiato e sfavorito» per esempio nel campo della «regolamentazione delle banche, in quello agricolo e quello delle costruzioni». La critica principale, quindi, non è tanto sulle «decisioni prese» dai partner europei, ma dall'«assenza dell'Italia». Per questo, ora, il nuovo governo «dovrà fare un braccio di ferro» in particolare per superare l'eccessiva «restrizione di possibilità di azione delle nostre banche». «I parametri individuati - ha aggiunto - hanno sfavorito le nostre banche» che hanno chiuso i rubinetti anche con il mondo produttivo.

da - http://www.unita.it/economia/prodi-attacca-merkel-br-politica-tedesca-irragionevole-1.358271?page=2
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« Risposta #65 inserito:: Dicembre 08, 2011, 05:25:55 pm »

Economia

08/12/2011 -

Prodi: "Francesi e tedeschi devono smetterla di fare i maestrini"

"Non è nello spirito europeo dire agli altri: ubbidite"

Fabio Martini
Roma

Romano Prodi i riti europei li conosce a memoria, ma non è soltanto la proverbiale vischiosità bruxellese a renderlo poco incline all'ottimismo alla vigilia di un vertice che si è caricato di grandi attese: «Intendiamoci, nell'ultimo periodo si sono determinate diverse novità politiche, il positivo discorso della Merkel al Bundestag; ma anche l'intervento delle Banche centrali guidate dalla Federal Reserve, prova indotta che la crisi dell'euro fa paura agli americani, anche perché renderebbe più difficile la rielezione del loro Presidente. Ma purtroppo non è ancora maturato quel cambiamento di metodo comunitario che potrebbe favorire una vera svolta: siamo ancora ai colloqui a due Germania-Francia, che aumentano il malumore dei 15 partner di area euro e degli altri 25 dell'Unione. Non è nello spirito europeo, ergersi a maestri e dire agli altri: ubbidite».

Oltretutto l'esibito consolato Merkel-Sarkozy oramai è un effetto ottico, che malcela la perdita di potere della Francia: la parità tra i due è un ricordo?
«Della debolezza della Francia si parla da qualche tempo nelle analisi dei circoli ristretti, ma quasi nessuno lo dice a viso aperto. Oramai quella a due è una costruzione artificiale. Lo dico avendo una alternativa nella testa. Mi attendevo che in questa situazione la Francia facesse la Francia, si rendesse conto della grande responsabilità verso altri Paesi, come l'Italia, la Spagna...»

Per fare un fronte anti-tedesco?
«Ma no, ci mancherebbe altro. La Francia avrebbe dovuto spingere per il ritorno ad una politica europea corale, ma questo non è nello spirito dell'attuale presidente francese».

Qualcuno sussurra che a breve potrebbe realizzarsi una paradossale convergenza di interessi tra diversi, tra Germania e Italia: fantapolitica?
«E su quale scambio si baserebbe questo nuovo asse? Noi, certo, ci siamo adeguati, perché nella vita ogni tanto capisci che se non vuoi morire, devi farti un'operazione. L'Italia si sta mettendo in sicurezza grazie ad un pacchetto pesante ma necessario. Ma la Germania è pronta a cambiare politica? In questo momento la Germania non mi sembra che voglia fare asse con nessuno».

Nel vertice di Strasburgo la Merkel ha ripetuto a Monti che l'Italia deve fare i compiti a casa: la trova una metafora efficace?
«Ripetere questa storia dei compiti a casa, lo trovo psicologicamente molto offensivo. Perché presume un maestro e un discepolo. Ma l'Europa non è nata con questo spirito: il vero maestro doveva diventare un'autorità politica europea, mentre oggi il potere politico lo esercitano a turno i vari Paesi e dunque il Paese più forte, la Germania. Che in questo momento pare intenzionata a tenere in mano pagella e registro».

Nel 2003 fu proprio la maestra Germania a non rispettare le regole, che la commissione Prodi provò a far rispettare. Quel precedente ha pesato?
«Certo che ha pesato. La Germania assieme alla Francia rifiutarono la richiesta della Commissione di mettersi in regola col Patto di stabilità. Allora la Germania fu un allievo disobbediente davanti ad un "maestro" riconosciuto da tutti, la Commissione»

Ma proprio lei, un anno prima in una intervista a "Le Monde", aveva parlato di stupidità dei Trattati: non aprì la strada alle infrazioni?
«Certo, avevo parlato di stupidità dei Trattati, nel senso che era ragionevole attenersi ai parametri aritmetici, ma tenendo sempre conto del contributo politico. Ebbi tutti contro, a cominciare dai tedeschi. Ma poco più di un anno dopo furono loro, tedeschi e francesi, che rifiutarono anche i parametri aritmetici».

Di quella Commissione europea faceva parte anche Mario Monti, che fece con lei il suo "apprendistato" politico: come si sta muovendo?
«Si sta muovendo bene. Come sempre. Sta facendo quel che aveva promesso di fare, ciò per cui è stato chiamato. C'è una catena del dovere che lega tutto e del dover essere».

Ammesso che il vertice di domani non sia quello della svolta, lei crede che ci stiamo avvicinando ad una sorta di ultimo appello per l'Europa politica e per l'euro?
«In crisi come questa non c'è mai un ultimo appello, salvo che non si commettano errori gravi che potrebbero portarci verso l'abisso. Sono sicuro che il vertice ci aiuterà ad uscire dalla tempesta ma che per ritrovare la via comunitaria dovremo passare attraverso diversi stop and go».

Il suo appello, assieme a Giuliano Amato, per gli Stati Uniti d'Europa è a futura memoria?
«Il nostro appello non è a futura memoria perché non abbiamo alternative. Punto».

Punto?
«Potrei ricordare i sorrisi, quando dieci anni fa parlavo del futuro bipolarismo Usa-Cina. I singoli Paesi europei, da soli, non hanno futuro. L'Europa può restare protagonista nel mondo solo se saprà unirsi».

da - http://www3.lastampa.it/economia/sezioni/articolo/lstp/433502/
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« Risposta #66 inserito:: Dicembre 31, 2011, 07:35:58 pm »

Prodi: l'euro ci ha protetto, ora facciamo l'Europa
      
   
ROMA - Dieci anni fa, allo scadere della mezzanotte tra il 31 dicembre del 2001 e il primo gennaio del 2002, ho compiuto, insieme al cancelliere austriaco, il primo acquisto in euro. In un chiosco di una Vienna in festa abbiamo comprato un beneaugurante mazzo di fiori per le nostre rispettive consorti.

L’atmosfera gioiosa non era fuori luogo perché, con quel gesto simbolico, si celebrava un avvenimento di importanza storica: per la prima volta un folto gruppo di Paesi abbandonava la propria moneta per abbracciare una valuta comune. Con questa decisione essi rinunciavano a uno dei due fondamenti della sovranità, cioè la moneta, in attesa di condividere con i Paesi fratelli anche l’altro pilastro dello Stato moderno, e cioè l'esercito. Una decisione che voltava definitivamente le spalle al passato europeo di guerre e di sangue e che, nello stesso tempo, era in grado di inserire l’Europa tra i grandi protagonisti della politica e dell'economia mondiale. Con la moneta unica l’Unione Europea si candidava a entrare tra i costruttori della globalizzazione ormai in corso e non più arrestabile.

Il traguardo dell’euro coronava un cammino lungo e difficile, durante il quale le politiche dei diversi Paesi avevano dovuto adattarsi alle regole comuni con l’adozione di cambiamenti radicali. A partire dall’Italia, che aveva accumulato ingenti debiti e aveva vissuto gli ultimi trent'anni in una devastante inflazione e una continua svalutazione. Fu quindi un cammino molto difficile e si arrivò al traguardo solo per la comunanza di obiettivi da parte dei leader dei principali Paesi europei: Germania, Francia, Italia e Spagna decidevano di mettere definitivamente in comune il proprio destino.

Non ci nascondevamo le difficoltà di una simile decisione ed eravamo coscienti che a questa ne dovevano seguire altre, perché non è possibile avere una moneta comune senza condividere le linee di una comune politica economica. Ricordo quante volte sollevai questo problema, ammonendo che senza realizzare quest’obiettivo una crisi sarebbe stata prima o poi inevitabile. Ricordo le sagge risposte del cancelliere Kohl, che replicava dicendo che nemmeno Roma era stata edificata in un giorno e che le decisioni necessarie per fare convergere le politiche economiche sarebbero state prese in seguito, con il tempo e la ponderazione necessari. Una risposta saggia, che non poteva però tenere conto del progressivo cambiamento dello spirito pubblico e delle leadership politiche europee. Agli anni della speranza sarebbero infatti seguiti gli anni della paura: paura della globalizzazione, paura della disoccupazione, paura della Cina. Paure che si potevano vincere solo con un’Europa unita e che invece hanno finito con interrompere il suo cammino verso l’unità e favorire il dilagare del populismo.

Eppure per otto anni l’euro ha funzionato come doveva, riducendo l’inflazione, obbligando i Paesi a una maggiore disciplina di bilancio e, attraverso la diminuzione dei tassi di interesse, rendendo possibile il mantenimento dell’equilibrio finanziario anche nei Paesi pesantemente indebitati, come l’Italia. Le divergenze nelle politiche economiche hanno tuttavia reso quest’equilibrio sempre più precario, fino a che la crisi greca non ha messo a nudo le differenze di efficienza e di produttività che si erano accumulate dopo la costruzione dell’euro.

La crisi greca che, per le sue modeste dimensioni, avrebbe potuto essere l’occasione per costruire quella politica di coesione ritenuta necessaria fin dal momento della fondazione dell’euro, ha segnato invece l’inizio di una turbolenza che non ha ancora avuto termine. La zona euro, che globalmente gode di una situazione della finanza pubblica di gran lunga migliore di quella degli Stati Uniti, è ora vittima di una crisi che, per ironia della sorte, è proprio partita dagli Stati Uniti.

La politica unitaria americana ha trasformato in forza la sua debolezza, mentre le divisioni europee hanno trasformato la forza europea in debolezza. Oggi il nostro dovere è quindi quello di perseguire una politica unitaria anche se non omogenea, perché ogni governo deve fare la sua parte ma al seguito di una guida generale e concordata. All’Italia spetta il duro compito di porre un freno agli squilibri fra spese ed entrate che, negli ultimi anni, hanno eroso i vantaggi accumulati dalla provvidenziale caduta dei tassi di interesse provocata dall’introduzione dell’euro. E questo lo sta facendo il governo Monti.

Tuttavia i compiti a casa non basteranno mai se non si ritorna alle fondamenta dell’euro, per cui ogni Paese deve fare il suo dovere ma sotto un’autorità europea in grado di stabilire quali siano questi doveri e di farli rispettare sia quando la deviazione avviene in Italia sia quando, come è capitato nella prima fase della vita dell’euro, erano proprio la Germania e la Francia ad allontanarsi dalle regole comuni.

Il direttorio a uno (cioè della sola Germania) non si è dimostrato capace di costruire l’unità indispensabile per difendere tutti noi europei dalla speculazione internazionale. È inutile girare attorno al problema. O noi costruiamo gli strumenti comuni ormai noti, e cioè un reale potere della Banca centrale europea e gli eurobond per una comune difesa della moneta, o la crisi continuerà a lungo, perché contrastata da azioni sempre deboli e ritardate.

Nonostante tutto ciò, penso che l’euro non solo si salverà ma celebrerà molte altre decine di compleanni perché esso costituisce la forza della Germania e la sicurezza di tutti gli altri Paesi europei. La sua caduta non conviene a nessuno: le conseguenze di una sua dissoluzione sarebbero per tutti catastrofiche. Mentre la Germania perderebbe ogni vantaggio commerciale con una valuta in salita verso le stelle, l’Italia si ritroverebbe di nuovo nel gorgo dell’inflazione e dell’oppressione di insostenibili tassi di interesse.

L'uscita dalla crisi dell’euro sarà quindi lenta e faticosa, perché deve percorrere una strada piena di paure e pregiudizi, ma non vi è alcuna alternativa. Forse non è questo il modo più gioioso di celebrare un compleanno ma è almeno consolante pensare che i prossimi compleanni sicuramente ci saranno e soprattutto saranno migliori.

Sabato 31 Dicembre 2011 - 14:49

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http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=43538&sez=HOME_INITALIA&npl=&desc_sez=
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« Risposta #67 inserito:: Gennaio 27, 2012, 03:51:57 pm »

Prodi benedice le primarie "Oggi sono indispensabili"

L'ex premier si schiera, e propone di utilizzare le consultazioni anche per i parlamentari: "Una volta i partiti selezionavano la classe dirigente, oggi sono soltanto macchine elettorali. Quello strumento è sempre più importante"

DI ELEONORA CAPELLI


Bologna tira la volata alle primarie per i parlamentari, con la benedizione dell’ex premier Romano Prodi. "Se le primarie si potevano forse evitare quando c’era una seria struttura nei partiti - dice Prodi, che proprio dalle primarie fu incoronato candidato premier nel 2006 - oggi sono indispensabili".

Primarie fondamentali anche per la scelta dei parlamentari, quindi, secondo il professore, in considerazione non solo dell’attuale legge elettorale, ma anche della debolezza dei partiti. "Negli Stati Uniti in vista delle elezioni si organizzavano solo le primarie, quindi quello strumento era il punto più forte e importante dell’attività politica - spiega Prodi -. In Europa invece i partiti avevano strutture, dinamiche interne, modelli di carriere, curriculum da costruire. Si cominciava facendo i consiglieri comunali, poi magari si diventava consigliere provinciale, se eri bravo venivi indicato come assessore e così via".

Le cose però sono cambiate, anche nel vecchio continente e in Italia i partiti hanno perso il loro ruolo di selezione della classe dirigente. "I partiti sono diventati sempre di più solo macchine elettorali - constata amaramente l’ex premier - e quindi le primarie diventano sempre più indispensabili".

I vertici del Pd bolognese sono molto sensibili al tema, già durante la due giorni di Pippo Civati e Debora Serracchiani in piazza Maggiore, a fine ottobre, era stata avanzata la proposta. Il deputato Pd Salvatore Vassallo, docente dell’Università di Bologna, oggi e domani all’assemblea nazionale di Roma proporrà un ordine del giorno che impegni la segreteria a fare le primarie per i parlamentari se non si cambia legge elettorale.

(20 gennaio 2012) © Riproduzione riservata

da  - http://bologna.repubblica.it/cronaca/2012/01/20/news/prodi_benedice_le_primarie_oggi_sono_indispensabili-28443658/
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« Risposta #68 inserito:: Marzo 12, 2012, 04:22:26 pm »

Merola: «dimezzeremo il nostro debito»

Sarà Prodi il «grande saggio» del forum sul piano strategico

L'ex premier guiderà i tre appuntamenti pubblici che presenteranno alla città il progetto


BOLOGNA - «Io e la presidente Draghetti abbiamo chiesto a Romano Prodi la sua disponibilità a presiedere il forum del piano strategico.
Lui sua risposta positiva è una grande notizia per la città». Il sindaco Virginio Merola annuncia così l'investitura dell'ex premier a «grande saggio» del piano strategico di Bologna.

L'ex presidente della Commissione europea guiderà i tre appuntamenti pubblici che presenteranno alla città il progetto.
L'annuncio di Merola è avvenuto nel corso dell'assemblea di Confcooperative, durante la quale il primo cittadino ha anche fatto sapere che «entro fine mandato abbiamo l'obiettivo di dimezzare il nostro debito».

A quanto pare, il deficit di Palazzo d'Accursio dovrebbe attestarsi su valori intorno ai 300 milioni di euro.
Una cifra non particolarmente gravosa che comunque l'ammninistrazione è sicura di riuscire a dimezzare.

Marco Madonia

02 marzo 2012© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/economia/2012/2-marzo-2012/sara-prodi-grande-saggio-forum-piano-strategico-2003517361837.shtml
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« Risposta #69 inserito:: Marzo 12, 2012, 04:23:12 pm »

Il dibattito

Prodi: «Sfida da thriller sull'economia cinese»

Vacchi: basta delocalizzare, attiriamo qui i loro soldi


BOLOGNA - Non ha scomodato immagini che incutono timore, né metafore mitologiche. L’economia cinese per Romano Prodi è semplicemente un thriller. A questa fotografia è arrivato ieri dopo quasi due ore di cifre e citazioni storiche con l’ambasciatore cinese Ding Wei in Santa Lucia, un incontro promosso dall’Alma Mater nell’ambito di una serie di faccia a faccia con i protagonisti dei cambiamenti economico-politici di questi anni.

Finita la corsa allo sviluppo degli ultimi vent’anni, ha spiegato l’ambasciatore, la Cina ha messo al centro del suo dodicesimo piano quinquennale di sviluppo una politica interna di bilanciamento. Un traguardo ambizioso che ha affascinato l’ex premier: «L’economia cinese ha obiettivi mai posti, è un thriller, non sapremo come andrà a finire, questo equilibrio a cui punta riguarderà la differenza tra campagne e città, i salari — ha continuato Prodi — con oltre un miliardo di persone che necessiteranno di energia, materie prime e cibo, la politica della Cina sarà a 360 gradi e lo sviluppo diventerà anche un problema di politica estera, considerando le decine di migliaia di cinesi che vivono in ogni Paese».

L’attuale motore economico non è più sostenibile, ha confermato Ding Wei di fronte alle autorità cittadine e a 700 studenti assiepati nell’Aula magna. L’ex impero celeste nelle parole del suo diplomatico deve aumentare il terziario, investire ancor di più in tecnologia e ricerca e nella svolta ecologica (oltre a doversi confrontarsi sul tema dei diritti umani): «Dobbiamo essere creativi come voi italiani, la vostra economia di sostanza vi aiuterà a superare la crisi. Inoltre Bologna è uno dei luoghi più importanti per gli scambi tra l’Italia e la Cina».

Lungo questo nuovo corso sottolineato da Ding Wei si è innestato il discorso tenuto al termine dell’incontro da Alberto Vacchi, presidente di Unindustria Bologna, dal 1995 presente con le sue aziende nella Repubblica popolare cinese. «La delocalizzazione produttiva non è più un elemento condizionante, è fondamentale invece investire sullo sviluppo della Cina, è impensabile affrontare il futuro senza un confronto con essa e noi possiamo contare su eccellenze di nicchia che là hanno possibilità di crescita». Vacchi ha poi fatto un invito ai rappresentanti istituzionali per superare quello che è considerato un vulnus, ovvero le ridotte dimensione delle aziende bolognesi, le cosiddette «multinazionali di tipo tascabile»: «Promuoverle con ogni mezzo e portarle a riuscire nel confronto con il mercato cinese». E ha fatto l’esempio del Polo di Budrio: «Credo che Bologna debba creare soluzione privilegiate e che non si debba avere paura degli investimenti cinesi, le forze finanziare che possono essere attratte possono dare forza».

Andrea Rinaldi

24 febbraio 2012© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/economia/2012/24-febbraio-2012/prodi-sfida-thriller-economia-cinese-1903423382395.shtml
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« Risposta #70 inserito:: Aprile 03, 2012, 05:25:59 pm »

“Il Mondo Che Verrà”: tre incontri televisivi con Romano Prodi su La7


IL MONDO CHE VERRÀ

 Tre incontri in esclusiva con ROMANO PRODI
 
Su LA7, il  martedì alle 23:00 dall’11 al 25 ottobre 2011
 
Dall’aula dello Stabat Mater dell’Università di Bologna, tre incontri con il Professor Romano Prodi sul presente e sul futuro dell’economia mondiale. La sfida dei continenti e le armi per combattere la crisi, cosa fare contro l’aumento della disuguaglianza, la paura del futuro e come vincerla. Tre appuntamenti per capire il mondo che c’è e Il Mondo Che Verrà. Il Professor Romano Prodi torna in cattedra.
 
Lo fa per confrontarsi con una classe di studenti italiani e stranieri provenienti dalle diverse facoltà dell’Università di Bologna sulla situazione mondiale contemporanea e i possibili sviluppi futuri. A coadiuvare il dibattito, la giornalista e conduttrice Natascha Lusenti.
 
Il primo appuntamento con Il Mondo Che Verrà – andato in onda l’11 ottobre 2011 – è stato dedicato alla cosiddetta “La Sfida dei continenti”, più precisamente quello europeo, quello asiatico e quello americano, e all’evoluzione dei rapporti socio-politici ed economici tra di essi.
 
Partendo dall’ascesa dei grandi Paesi emergenti, il Professore analizza l’attuale instabilità del sistema economico occidentale, la crisi dei debiti sovrani e la strada che ha portato a questa situazione difficile.
 
L’euro sopravviverà? Romano Prodi affronta così la questione: “L’Euro resisterà perché nessuno ha interesse a buttarlo a mare, non certo la Grecia, non certo l’Italia, ma soprattutto non la Germania. Perché oggi la Germania è di gran lunga il Paese più potente e più forte dell’Europa grazie all’euro”. E ancora: “Non si può avere una moneta comune senza avere anche un bilancio, un politica finanziaria ed economica comune. (…) O noi stiamo assieme, o la battaglia soli non la vinciamo. Neanche la Germania può farcela da sola. E’ grande per l’Europa, è piccola per il mondo”.
 
Oltre alla situazione finanziaria, Prodi esamina infine la crisi alimentare, l’espansione demografica e il futuro delle risorse energetiche. Un’analisi del quadro presente e dei possibili scenari futuri.
 
Il secondo appuntamento, intitolato “La Disuguaglianza”, ha avuto come fulcro la questione della sempre più grande divergenza tra classi ricche e classi povere ed è andato in onda il 18 ottobre 2011.
 
Commentando la divergenza sempre più marcata tra la popolazione povera e quella più ricca del mondo, Romano Prodi analizza le cause che hanno portato a questa situazione: gli squilibri crescenti nella distribuzione dei redditi e nella pressione fiscale, la mancanza di crescita, il declino del welfare. Ed è proprio da tasse, welfare e istruzione che, secondo il Professore, bisogna partire per costruire una società più equa e più giusta.
 
E ancora si percorre la storia del welfare state, per capire perché nel mondo occidentale stia oggi regredendo. Il Professor Prodi affronta così il tema e le sue conseguenze: “Un problema del welfare è la riduzione delle risorse, ed è frutto della crisi. É un problema molto serio che obbliga ad alcuni provvedimenti non piacevoli. Aumenta l’età media delle persone in Italia, il cambiamento dell’età pensionabile si esige, altrimenti non ci sono le risorse per tutti. Il problema esiste.”
 
Infine il focus si sposta sulla situazione italiana: dal ruolo attuale dell’istruzione fino al livello di ricchezza e di equità presenti nel Paese. Romano Prodi lo commenta così: ‘C’è un problema di distribuzione, noi abbiamo un numero di famiglie poverissime. Una famiglia su cinque non arriva alla fine del mese. Abbiamo sì ricchezza, ma mal distribuita.”
 
Il terzo appuntamento di questo ciclo di incontri è andato in onda il 25 ottobre 2011 con “La Paura”. Questo e’ il titolo scelto per descrivere tre grandi tematiche del mondo contemporaneo: l’immigrazione, la concorrenza internazionale e il futuro dei nostri figli. Partendo dalla situazione dei trentenni di oggi, che vivono in un Paese che mostra segni di sofferenza, il Professore approfondisce lo stato della crescita economica italiana, una crescita che non c’è.
 
Prodi descrive lo stato di disoccupazione e di lavoro precario in Italia, analizzando così il fenomeno della “fuga dei cervelli” e dei giovani italiani che non studiano, non lavorano e non sono in un programma di formazione: “Quasi la metà dei giovani tra i 15 e i 24 anni sono precari. Questa è veramente una tragedia nella tragedia: la grande disoccupazione giovanile e il precariato che domina anche nella parte occupata. Allora qui bisogna veramente cambiare registro.”
 
Da qui, partendo dal confronto con Cina e Stati Uniti e domandandosi se esistono le medesime paure, si arriva al problema del ricambio generazionale, che investe sia il mondo del lavoro sia quello della politica.
 
Infine, il Romano Prodi si sofferma sul tema dell’immigrazione, esaminando i dati reali di questo fenomeno e la percezione di esso deformata dalla crisi e dalla politica dell’ultimo decennio. Il Professore la commenta così: “La percezione è che gli immigrati siano molti di più di quelli che sono. Innanzitutto per la velocità con cui sono arrivati. E’ vero che gli stranieri in Italia sono meno che in Francia e Germania, ma sono arrivati velocissimi negli ultimi anni perché la nostra società si è trasformata più recentemente ma più in fretta. Uno dei nostri problemi che dobbiamo curare è l’integrazione, è capire che riceviamo delle risorse potenzialmente straordinarie e, adagio adagio, devono essere integrate. La generazione successiva deve diventare una generazione di italiani. Questa è la grande sfida dell’immigrazione.”
 
In chiusura di puntata, un question time con gli studenti: dal coordinamento delle politiche economiche dei paesi europei in risposta alla crisi a come e quando affrontare le riforme strutturali, dalla posizione attuale dei laureati in Italia al rapporto storico tra USA e Italia e alla sua evoluzione futura nel campo economico.
 
(Ogni puntata è  disponibile su www.la7.tv, la catch up tv di LA7).


da - http://www.romanoprodi.it/documenti/%e2%80%9cil-mondo-che-verra%e2%80%9d-tre-incontri-televisivi-con-romano-prodi-su-la7_3981.html
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« Risposta #71 inserito:: Dicembre 04, 2012, 12:16:02 pm »

L'intervista AL PADRE DEL PD

Prodi: «Ora il partito deve aprirsi Via al ricambio generazionale»

L'ex premier: «Bello il discorso della sconfitta di Renzi, ha un futuro. Ho contribuito alla riuscita delle primarie»

«Mi è piaciuto il modo in cui Matteo Renzi ha riconosciuto la sconfitta: la politica è fatta anche di questi momenti e bisogna saperli gestire».


Presidente Romano Prodi, di questo passo qualcuno potrà pensare che lei ha votato per il sindaco di Firenze...
«Non penso che nessuno sia autorizzato a pensare alcunché, dato che la mia scelta è e resta riservata. Ho ritenuto fosse mio dovere contribuire alla riuscita di queste primarie, di cui modestamente credo di essere uno dei principali sostenitori. L'ho fatto, andando a votare e dicendolo pubblicamente, ma mantenendo sempre un profilo da esterno. Credo che la politica sia una cosa seria, non da dilettanti o da irresponsabili. E che il mio ruolo passato, unito a quello attuale, imponga una certa sobrietà in questo senso».

Ammetterà che Renzi non se l'è giocata male...
«Ha fatto la sua partita nel modo e con gli argomenti che riteneva giusti. Il risultato dice che una parte significativa dell'elettorato l'ha ascoltato e ha capito le sue argomentazioni, anche se ho l'impressione che le polemiche dell'ultima settimana non siano state apprezzate dalla maggioranza degli elettori del centrosinistra».

Il quasi 40 per cento ottenuto dal sindaco rischia di diventare un problema per il Partito democratico?
«E perché mai? Quando dall'elettorato arriva una legittimazione diretta, com'è avvenuto in questo caso, non è mai un problema. Considerando l'età e l'impostazione che ha dato alla sua campagna, Renzi ha un futuro davanti a sé. Ha creato una squadra nel territorio, un serbatoio di energie che, se bene utilizzato, non potrà che dare vitalità al partito».

Ha vinto Bersani, il suo pupillo ai tempi del governo del 2006...
«Pier Luigi si è mosso molto bene e si è meritatamente ritagliato una posizione di grande forza. È stato capace di interpretare i tormenti e i nodi che assillano il Paese, dando alle primarie un profilo ricco di contenuti».

Ma adesso, proprio in virtù di una vittoria così ampia, molti si aspettano da Bersani un rinnovamento ampio, a cominciare dalla classe dirigente: ne sarà capace?
«Ora ha gli strumenti per farlo. Ha in mano il partito dopo una battaglia personale molto coraggiosa. Non dimentichiamo che non erano pochi nel Pd quelli che non volevano le primarie. E sono loro, a questo punto, i veri sconfitti».

Riuscirà Bersani ad essere, almeno un po', rottamatore?
«Preferisco il termine riformatore. Il ricambio generazionale è necessario. Ma deve partire dal basso. Non è il segretario che deve circondarsi di chissà quale schiera di eletti, ma vanno create le condizioni perché possa emergere una nuova classe dirigente».

E quali sono gli strumenti necessari? «Penso alle primarie di collegio, a una riforma elettorale che restituisca voce ai cittadini, a un Pd inclusivo e aperto ai fermenti dal basso. È triste pensare che ci sono parlamentari di cui nessuno ha mai visto la faccia sul territorio».

Quanto le sente sue queste primarie?
«Ne sono orgoglioso soprattutto per il Pd, che ha dimostrato di sapere anticipare una voglia di cambiamento sempre più incalzante. Nel momento in cui i partiti hanno perso la capacità di fare selezione interna, tenendo agganciati settori della società civile, le primarie rappresentano un'importante evoluzione della democrazia. In questo senso, lasciando da parte gli Stati Uniti, che hanno una storia loro, l'Italia è all'avanguardia. La Francia ci sta seguendo e penso che anche la Germania, dove ancora la struttura-partito ha una sua efficacia, imboccherà presto questa strada».

Le primarie alle quali partecipò lei nel 2005 superarono i 4 milioni di votanti: qualcuno, rispetto alle attuali, le ha però definite «celebrative»: è d'accordo?
«La consultazione di allora non presentava un panorama concorrenziale, ma proprio per questo il dato dell'affluenza è stato ancora più spettacolare: fu la conferma che incrociavamo una fortissima esigenza che veniva dal basso. Ed è importante che quella lezione sia stata compresa negli anni successivi dal Pd».

C'è chi dice che la vittoria di Bersani farà rispuntare in Berlusconi la voglia di riprovarci: lei crede?
«Berlusconi non si è mai ritirato. Si è messo in un angolo e aspetta di vedere cosa più gli conviene fare. Non se n'è andato».

Francesco Alberti

4 dicembre 2012 | 8:22© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_dicembre_04/intervista-prodi-ex-premier_fcc586a0-3ddb-11e2-ab02-9e37f2f89044.shtml
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« Risposta #72 inserito:: Febbraio 18, 2013, 12:07:44 pm »

Intervista a Romano Prodi: «Perché spero che vinca il centro-sinistra»

di Riccardo Barlaam

17 febbraio 2013


«Spero che dal voto venga fuori una netta affermazione del Pd e della coalizione di centro-sinistra così da assicurargli la responsabilità di governo». Romano Prodi, 73 anni, è appena tornato nella sua Bologna dopo un tour de force di una settimana che lo ha portato in Senegal, Burkina Faso, Mauritania e Niger. Ogni giorno incontri con capi di stato, primi ministri, politici e società civile.

Da quando, l'11 ottobre scorso, è stato nominato inviato speciale dell'Onu per il Mali e il Sahel, continua a girare come una trottola. Anche per superare l'emergenza in Mali, Prodi vuole lanciare un Fondo internazionale di aiuti per lo sviluppo del Sahel, la lunga fascia di sabbia che attraversa l'Africa, dalla Mauritania alla Somalia, area tra le più povere e instabili al mondo. «È una umanità dolente. Per questo bisogna girare il mondo a chiedere la carità».

In queste settimane non è mai voluto entrare in quello che ha definito il "chiacchiericcio" della politica italiana. Ma stanco - come molti italiani - di ascoltare promesse che hanno preso a volare come gli asini ha deciso di rompere il suo silenzio con questa intervista al Sole 24 Ore.

Professore, come giudica questa campagna elettorale?
In conseguenza dei fuochi d'artificio di Berlusconi, la campagna elettorale è precipitata in una fase di promesse incredibili alle quali non potrà essere dato alcun seguito concreto.

Rispetto alle ultime elezioni c'è qualcosa di diverso?
La dose di aggressività e di vaghezza delle proposte attuali è superiore a quella delle elezioni precedenti.

Tuttavia la campagna di Berlusconi sembra stia dando i suoi frutti stando agli ultimi sondaggi...
Berlusconi ha posto sul tavolo mirabolanti e irrealistiche promesse di vantaggi a breve. Pure questa volta le sue promesse, pur esercitando una forte presa sugli elettori, si trasformerebbero in tragedie dopo qualche mese.

Anche nelle elezioni politiche del 2006 aveva usato la molla del taglio dell'Ici per attirare gli indecisi.
Il gioco è sempre lo stesso. Ripropone una misura fiscale - l'abolizione dell'imposta sugli immobili - che anche se nel 2006 non fu sufficiente a dargli la vittoria, gli fece guadagnare oltre cinque punti nell'ultima settimana. Questa volta, dato che il divario da recuperare è ancora maggiore, ha rincarato la dose promettendo non solo l'abolizione dell'Imu ma anche la restituzione di quanto pagato in precedenza.

È possibile realisticamente adottare simili misure?
Come sette anni fa, Berlusconi sa benissimo che l'Imu (Imposta municipale unica) è necessaria. I Comuni con questi soldi pagano la mensa dei bambini, lo scuola-bus, la pulizia delle strade. Insomma, finanziano le attività ordinarie dei servizi pubblici più vicini al cittadino. L'Imu - anche se doverosamente rimodulata, com'era nel mio governo - dovrebbe entrare totalmente nelle casse dei Comuni.

 Lei pensa che gli italiani crederanno a Berlusconi?
I vantaggi a breve, ancorché necessariamente seguiti da conseguenze disastrose, sono molto attraenti per gli elettori, tentati dal preferire l'uovo di oggi alla gallina di domani. E questa volta è ancora più grave perché gli italiani sanno benissimo che il pollaio oggi è vuoto. Il Paese è esausto, con una progressiva, paurosa, caduta di reddito, di investimenti, consumi e occupazione. In questo momento l'Italia ha bisogno di altro. Di fatti, programmi, cose concrete. Non si può infatti negare che la sofferenza sia altissima e che sia ulteriormente aumentata nell'ultimo anno. Il declino degli anni precedenti è continuato, portando i numeri della nostra economia indietro di venti anni.

Vuole dire che anche la cura di rigore del professor Monti non ha dato gli effetti sperati?
Riflettendo su quanto è avvenuto lo scorso anno dobbiamo distinguere due fasi. La prima, in cui la necessità di riprendere velocemente la credibilità perduta con il governo Berlusconi era prioritaria rispetto a ogni altro obiettivo. Il giorno in cui cadde il mio governo entrò nella mia stanza Tommaso Padoa-Schioppa. Ricordo ancora che disse: «Sai quanto è oggi lo spread? È a 34, un sogno per l'Italia». Con Berlusconi al governo lo spread tra BTp e Bund è arrivato fino a 575 e, conseguentemente, gli interessi sul debito schizzati sopra al 7%. Come si fa a sostenere che lo spread non conta nulla? In quella situazione, era assolutamente prioritario imporre una politica di drastico aggiustamento dei conti. Monti ha fatto un lavoro eccellente per salvare l'Italia dal fallimento. Non è bastato.

È mancata la fase due, pare di capire.
A partire dall'estate la politica del governo tecnico avrebbe dovuto essere accompagnata da una politica di rilancio, dato che diveniva chiaramente inutile bloccare la crescita del deficit se continuava a calare fortemente il Prodotto interno lordo. Ne scrissi in luglio anche perché proprio in quel periodo cominciavano a uscire i risultati di accurate ricerche internazionali che dimostravano che un prolungato avvitamento verso il basso del Pil rendeva impossibile il risanamento del debito pubblico, qualsiasi fosse stato il livello di austerità applicato.

In questo scenario ci si sarebbe aspettati una campagna elettorale incentrata sui temi dell'economia reale. Nessuno parla della competitività.
È da sempre la mia grande preoccupazione. Partendo da questa situazione si doveva aprire una campagna elettorale attenta ai temi dello sviluppo e del lavoro in un quadro controllato delle spese che, almeno in buona parte, aveva già tranquillizzato i partner europei. Ricordiamo che quando si parla di lavoro non si può parlare solo di leggi sul lavoro ma di sviluppo per creare occupazione.

 E invece è partita la gara a chi la spara più grossa?
È triste ammetterlo ma è partita una campagna che, ignorando strategie e impegni precedenti, si è interamente concentrata su impossibili riduzioni di imposte. La gara fra un rigorista a oltranza e un consumato scialacquatore non può non vedere quest'ultimo fortemente avvantaggiato. Nessuno dei due vincerà il campionato. Intanto però i mercati internazionali sono di nuovo entrati in fibrillazione. E i mercati hanno purtroppo una memoria più lunga di quella degli elettori. L'Italia non può permettersi un nuovo periodo di instabilità. Credo tuttavia che il centro-sinistra sia in grado di impostare una strategia di sviluppo di lungo periodo pur tenendo i conti in ordine.

Insomma ci vorrebbe un Prodi-tris?
Non scherziamo. Bersani sarà un ottimo primo ministro, nel solco tracciato dai precedenti governi di centro-sinistra. In passato avevo battezzato questa politica come la "politica della formica", che deve lavorare con pazienza, riorganizzando la pubblica amministrazione per contenerne le spese e aumentarne l'efficienza, ma investendo nello stesso tempo nelle risorse umane, dalla scuola alla ricerca, in una politica industriale vera, assente ora nel Paese.

Ripartiamo dalla politica industriale. Mi spieghi meglio la sua visione…
Non è solo mia. Ne parla Squinzi un giorno sì e un giorno sì. Ne parlano le forze sociali. Il presidente Napolitano in più occasioni, negli ultimi anni, ha insistito con forza sulla necessità di investire in ricerca e sviluppo. Parole inascoltate. Solo con un'innovazione applicata in tutti i campi in cui abbiamo ancora possibili vantaggi possiamo salvarci. Vi è ancora spazio per le "specialità italiane" nel mondo globalizzato ma queste specialità debbono essere mantenute e valorizzate da una incessante tensione a innovare.

Ha in mente qualche modello in particolare a cui ispirarsi: la Silicon Valley californiana, la Germania, la Cina...
Da tutte le storie di successo c'è qualcosa da imparare. Noi abbiamo ottime mani, ottimi cervelli. Dobbiamo ritrovare solo un po' di orgoglio. Il sistema deve sostenere chi cerca di fare e di fare bene. Non ostacolarlo. Tanti sono gli esempi a cui far riferimento. La Corea del Sud si avvicina molto all'Italia per dimensione e, come noi, non possiede materie prime. Ebbene, investendo ogni anno più del 3% del Pil in ricerca e sviluppo, è ora prima al mondo in 7 tra i grandi settori produttivi. Pensate che i tre colossi Samsung, Lg e Hyundai ogni anno investono dall'8 al 10% del fatturato in R&D. Il problema principale, anche per far ripartire il lavoro, è la produzione. È lì la chiave di tutto. In Italia manca da tempo una politica industriale credibile. Di questo ha bisogno il Paese. Di questo hanno bisogno le imprese e i lavoratori. È una strategia faticosa e a lungo termine, proprio l'opposto di quanto emerge dalla maggior parte delle tuonanti dichiarazioni di questa campagna elettorale.

 Lei è l'unico che è riuscito a battere Berlusconi due volte. Gli italiani le hanno dato credito ma i suoi governi non hanno tenuto. Non è riuscito a portare a termine il suo lavoro. Chi assicura che non succederà ancora?
Mi auguro per l'Italia che le forze riformiste riescano dopo le elezioni a stringere attorno al Pd un patto di ferro che duri una legislatura. L'unità della coalizione è la priorità delle priorità. Come per un marinaio che naviga in mare aperto, in un mare in tempesta come è quello attuale, l'unità è la stella polare che deve guidare il cammino del governo. L'interesse del Paese deve prevalere. Io sono ottimista. Vendola non è Bertinotti: ha un forte senso delle istituzioni e in Puglia ha ben governato. Posso però dirle ancora una cosa?

Dica...
Volevo ricordare a proposito di chi afferma che il centro-sinistra non è una forza di governo ma il partito della spesa, che non è affatto così. Questo è dimostrato dai numeri dei due esecutivi dei quali ho avuto la responsabilità. In entrambi i governi la quota del debito pubblico è diminuita di oltre dieci punti senza rallentare il trend di crescita.

Quali sono questi numeri?
Alla conclusione del mio ultimo governo, a maggio 2008, il rapporto deficit/Pil era al 2,6%, il debito pubblico era di 1.654 miliardi di euro, il rapporto debito/Pil a 106,1. Il 16 novembre 2011 - quando Berlusconi ha lasciato il governo - il rapporto deficit/Pil era salito al 3,8%, il debito pubblico a 1.912 miliardi - ben 258 miliardi di euro in più in soli tre anni. Ora esso ruota attorno ai 2mila miliardi, con il rapporto debito/Pil salito al 120,7%. Gli italiani avranno anche la memoria corta ma i dati restano questi.

Nel merito, che cosa ha fatto il suo governo per le famiglie e le imprese?
Le nostre parole-guida erano tre: equità, sviluppo, risanamento. Dopo pochi mesi di governo abbiamo introdotto gli sgravi Ici sulla prima casa per le classi medie, lasciando la tassa intera solo alle case di lusso. Abbiamo aumentato le pensioni basse. Rilanciato i programmi di edilizia sovvenzionata. Introdotto la completa portabilità dei mutui, la liberalizzazione in diversi settori dell'economia, abbiamo introdotto la class action, le azioni collettive risarcitorie a favore dei cittadini. Introdotto i bonus per gli incapienti, le misure fiscali per le donne lavoratrici, il piano-nidi e i bonus per le famiglie numerose.

E per le imprese?
La Finanziaria 2008 prevedeva che l'extragettito della lotta all'evasione, 10 miliardi di euro, venisse utilizzato per ridurre le imposte alle imprese e la pressione fiscale sul lavoro dipendente. Il tutto cercando di costruire un delicato equilibrio fra le imposte e le spese. Una politica faticosa, poco "sexy" a livello mediatico ma che, se fosse proseguita, avrebbe visto l'Italia oggi con un rapporto debito-Pil al di sotto della media europea e con un livello di reddito pro-capite di certo superiore a quello attuale.

Il contesto internazionale è molto cambiato dopo la crisi dei mutui Usa e quella dei debiti sovrani. Comunque vada, chi oggi è chiamato ad assumere una responsabilità di governo si trova a operare in un quadro molto complesso.
Non siamo solo noi italiani i responsabili del triste stato delle cose. Non dobbiamo mai dimenticare il ruolo funesto giocato dalla finanza internazionale (soprattutto americana) e dalla dottrina economica che ha dominato dal 1980 in poi, producendo in tutto il mondo un progressivo aumento delle disuguaglianze.

Gli americani continuano a sostenere la loro economia con il debito, con politiche espansive. Noi europei siamo obbligati dalle regole del pareggio di bilancio.
Cosa vuole che le dica...Ci troviamo di fronte a un'Europa guidata dalla Germania che impone una politica recessiva anche in presenza di crescita zero, di un enorme attivo della sua bilancia commerciale e di una totale assenza di un qualsiasi pericolo di inflazione.

Ci vorrebbe più Europa e meno Germania. L'accordo al ribasso appena raggiunto a Bruxelles sul bilancio europeo 2014-2020 sembra andare in un'altra direzione.
Ha vinto Cameron. Vincono gli euro-egoismi. Non è una cosa buona. La riduzione del bilancio europeo messa in atto nei giorni scorsi contiene un messaggio preciso: ogni Paese dell'Ue deve solo curare i propri interessi. Ogni euro speso per lo sviluppo o la solidarietà europea è semplicemente buttato via.

Verrebbe da dire che manca un autentico spirito europeista. I padri fondatori, che avevano vissuto il dramma della Guerra, avevano il coraggio di guardare lontano senza badare al consenso o agli interessi di bottega.
Mi duole ammetterlo ma dall'adozione dell'euro l'Europa non è andata molto avanti. Sappiamo che il futuro del nostro Paese è strettamente legato all'Europa. Sappiamo che l'Unione europea non si dissolverà ma, anzi, proseguirà nel cammino della propria costruzione. Ma fino a quando non emergerà una vera leadership europea, nessun Paese, Italia compresa, potrà trovare un sostegno sostanziale da parte dei suoi partner.

Che ruolo può avere l'Italia in questo scenario di euro-egoismi, come lei lo definisce?
Per rilanciare l'Europa e avere un ruolo decisivo in questo processo, l'Italia deve riprendere per i prossimi anni un lungo cammino da "formichina", una "formichina" capace però di preparare il futuro. La strada è chiara. Non è facile spiegare tutto ciò in campagna elettorale ma è necessario fare capire agli italiani che questa è l'unica via d'uscita.


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da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-02-17/intervista-romano-prodi-perche-161448.shtml?uuid=AbM0yHVH&p=4
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« Risposta #73 inserito:: Aprile 12, 2013, 11:32:46 pm »

Bersani vede D'Alema, Veltroni, Bindi. Sul Quirinale preme l'unità del Pd.

E torna in pista Prodi, sostenuto pure dai renziani

Pubblicato: 12/04/2013 20:50 CEST  |  Aggiornato: 12/04/2013 20:50 CEST


Dal quinto piano di Montecitorio, dove è avvenuto lo storico incontro tra Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi, la trattativa sul Quirinale si è spostata in casa Pd. Il segretario ha ormai più incontri con interlocutori interni che con gli esterni al partito. Prima Massimo D’Alema, visto al Nazareno in mattinata. Poi Walter Veltroni e Rosi Bindi. Si è capito che per il Colle è centrale trovare la quadra tra i Democratici per evitare il rischio che implodano sotto il tiro dei franchi tiratori. Sarà per questo che da qualche giorno si è riattivato un certo fermento intorno al nome di Romano Prodi come candidato al Quirinale. Il professore viene ‘portato’ anche da un consistente vento renziano, oltre che dai bersaniani e mezza Sinistra e libertà (per il prof anche il sindaco di Genova Marco Doria, vendoliano).

E’ tutto aperto, tanto che il segretario non sa nemmeno se annuncerà una proposta o una rosa di proposte alla vigilia del voto in Parlamento, al via giovedì prossimo. La trattativa con Silvio Berlusconi, che si dice disponibile a votare “un Pd al Quirinale”, a patto però di ottenere il “governissimo”, è bloccata, perché i bersaniani e il resto del Pd restano contrari a questa idea di esecutivo. Né il lavoro dei saggi nominati da Giorgio Napolitano ha cambiato questa impostazione di fondo. Anzi, al Nazareno ironizzano su alcuni risultati “stravaganti” consegnati dai facilitatori al capo dello Stato. Per esempio, la proposta di riduzione dei parlamentari: “Che bisogno c’è di suggerire delle cifre certe, come quella di 480 deputati e 120 senatori? Perché 480 e non 360?”. Insomma, i facilitatori non facilitano le cose in casa Dem, malgrado il vice segretario Enrico Letta spezzi una lancia in loro favore: “Tante idee condivise da concretizzare presto”.

Bersani incontrerà di nuovo Berlusconi martedì o mercoledì, così come ci saranno incontri con i capigruppo grillini non appena terminano le loro 'Quirinarie' online. Ma sul governissimo non c'è partita. Potrebbe esserci su un governo di scopo che assista la riforma elettorale e riporti il paese alle urne. Potrebbe essere questo il compromesso che terrebbe unito il partito, dai renziani ai bersaniani, passando per le altre aree. In fondo, è l’idea cara a Massimo D’Alema, il più attivo in questi giorni per scongiurare pericoli di scissione. Dopo il colloquio di un’ora con Renzi a Palazzo Vecchio è stata sua premura vedere di buon mattino il segretario del Pd, proprio per sgomberare il campo dai dubbi di trame alle spalle. Bersani non ha abbandonato l’idea di un governo di minoranza, ma sa che potrebbe risultare sacrificata dalla realtà o dalle esigenze di unità interna. D’Alema, si sa, non l’ha mai ritenuta possibile, per via delle scadenze economiche (cassa integrazione, l’approvazione del Def a giugno) che cominciano ad addensarsi sul calendario italiano. E quindi: governo del presidente o di scopo, a tempo insomma, per tornare alle urne al massimo in autunno. Legato com'è alle dinamiche europee, D’Alema tiene in alta considerazione che a luglio del 2014 inizierà il semestre italiano di presidenza europea: sarebbe bene prepararsi per tempo, invece di programmare le politiche qualche settimana prima.

Si vedrà. Ma mentre restano in sospeso i vari desiderata delle varie aree del Pd sul governo, una candidatura unitaria per il Colle potrebbe far bene al partito, soprattutto se l'idea prevalente è quella di fare le primarie e tornare al voto con Renzi candidato premier. L'unità innanzitutto, nonostante i mugugni degli ex Popolari che vedono svanire l’ipotesi Franco Marini (o Pierluigi Castagnetti). Non è un caso che da qualche giorno i renziani accarezzino l’idea di eleggere Romano Prodi, uno dei nomi più divisivi in circolazione, fumo negli occhi per Berlusconi che infatti ora teme la trappola. “Non capisco i veti sul professor Prodi, è una persona di garanzia…”, dice il presidente dell’Anci Graziano Delrio, uno dei più vicini a Matteo. Altri renziani ammettono la loro disponibilità a votare il professore: “Siamo figli dell’Ulivo, se sarà in campo, come potremmo non votarlo?”. Dall’Emilia Romagna parte un tam tam bersaniano per il prof: “E’ un candidato di altissimo profilo, che va molto al di là del perimetro del Pd…", dice Marco Monari, il capogruppo del Pd alla regione Emilia Romagna, arrabbiato con i Giovani Turchi contrari a Prodi.

Naturalmente per Bersani, Prodi significherebbe lanciare un amo nel mare grillino, nella speranza di abboccamenti sul governo. Per i renziani potrebbe voler dire mandare all’aria le larghe intese, se non per un governo di scopo limitato nel tempo, e quindi tornare al voto. Del resto, i movimenti del neoiscritto ma ‘vecchio’ militante Fabrizio Barca fanno pensare che i tempi del congresso (previsto in autunno) stanno subendo un’accelerazione, indipendentemente da Bersani, tant’è vero che i bersaniani più convinti non apprezzano questa strana convergenza tra i fans di Matteo e quelli di Fabrizio (Giovani Turchi). Barca ha intanto dato la sua prima intervista alla tv del partito, Youdem, un modo per parlare direttamente ai circoli e per sfidare Renzi. E al sindaco di Firenze dice: “Si apra la discussione sul mio documento, vediamo se ci si ritrova”. Il riferimento è al suo lungo studio sul ‘partito nuovo per un buon governo’ che per ora ha aperto le disquisizioni su internet sulla opportunità di usare termini ostici come “catoblepismo”. “Il paese è cresciuto – risponde Barca – non dobbiamo insultare la casalinga di Voghera che molte volte è più intelligente di noi”. Dibattito aperto. Quanto al Pd, Barca, che nel 2008 ha votato la Sinistra Arcobaleno di Bertinotti, dice di aver “cambiato idea sul partito: vedo posizioni di sinistra. E mi auguro che Pd e Sel si siano avviati verso un processo di convergenza”. Proprio sabato 13 aprile il movimento di Nichi Vendola terrà una complessa assemblea nazionale sull’ipotesi di rimescolamento caldeggiata dal leader.

DA - http://www.huffingtonpost.it/2013/04/12/bersani-dalema-veltroni-bindi-quirinale-preme-unita-pd-prodi-sostenuto-renziani_n_3071305.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #74 inserito:: Maggio 10, 2013, 10:58:29 pm »

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Prodi a Parma: “E’ un fatto che io per questa Repubblica non esista”

Arrivato all’Università per assistere alla cerimonia di consegna della laurea magistrale honoris causa al cardinale Maradiaga, l'ex presidente del Consiglio ha detto questa frase lasciando poi l’aula Magna subito dopo i saluti di rito e rimanendo in silenzio di fronte alle domande della stampa

di Silvia Bia

Parma | 10 maggio 2013


“Io non esisto. E’ un fatto che per questa Repubblica io non esisto”. Con questa frase, pronunciata con l’immancabile sorriso sulle labbra, Romano Prodi volta le spalle ai giornalisti, rifiutandosi di rispondere a qualsiasi domanda. Arrivato in mattinata all’Università di Parma per assistere alla cerimonia di consegna della laurea magistrale honoris causa in International Business and developement al cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, il professore ha lasciato l’aula Magna dell’Ateneo subito dopo i saluti di rito, rimanendo in silenzio di fronte alle domande della stampa e limitandosi a stringere la mano ai presenti.

A Parma l’ex presidente del consiglio è arrivato in sordina, la sua presenza non era prevista fino all’ultimo. Poi la decisione di prendere parte come ospite insieme a una delegazione dell’Università di Bologna alla consegna del riconoscimento all’arcivescovo, che è uno dei maggiori esponenti dell’episcopato latino-americano ed è tra i cardinali più vicini a Papa Francesco.

“Non voglio parlare di politica” ha detto Prodi ad alcuni cronisti appena varcata la soglia dell’Ateneo ducale, prima di rilasciare qualche dichiarazione sul cardinale Maradiaga e mettersi in prima fila al suo posto: “E’ una personalità per cui valeva la pena essere presente” ha commentato sul motivo della sua partecipazione alla cerimonia. Poi le foto con l’arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras) e presidente della Caritas Internationalis dopo la consegna della laurea, i saluti con i docenti dell’Ateneo parmigiano e con le autorità.

Al momento di scambiare qualche parola con i cronisti però, Prodi ha girato le spalle in una garbata fuga, alzando un muro di silenzio di fronte alle domande. Nessun commento sul Governo di Roma, nessuna parola sul Pd e sul futuro del partito, nemmeno sui Cinque Stelle o soltanto sulla città di Parma amministrata da Federico Pizzarotti. “Io non esisto” è stata l’unica risposta dell’ex presidente, ribadita subito dopo, di fronte a una nuova domanda: “Io non esisto. E’ un fatto che per questa Repubblica io non esisto”.

Una battuta pronunciata con il sorriso, che però pesa come un macigno. Non è passato neanche un mese dalla sfumata elezione alla presidenza della Repubblica del professore, il Pd spaccato è alla vigilia dell’assemblea nazionale che dovrà stabilire una nuova guida per ricompattare il partito. E Prodi, che fino a un mese fa avrebbe dovuto essere la figura in grado di unire, il nome eccellente intorno a cui trovare un accordo, gira le spalle come se fosse estraneo a tutto, come se non fosse neanche un politico, spiegando il proprio silenzio con una semplice frase: “Io non esisto”.

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/10/prodi-a-parma-e-fatto-che-io-per-questa-repubblica-non-esista/589748/
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