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Autore Discussione: I 90 anni di Scalfaro, il presidente della Costituzione sempre in conflitto ...  (Letto 2161 volte)
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« inserito:: Settembre 10, 2008, 07:53:57 am »

I 90 anni di Scalfaro, il presidente della Costituzione sempre in conflitto col centrodestra


di Massimo Donaddio
 

 
Negli ultimi anni lo abbiamo visto girare l’Italia soprattutto per parlare della Costituzione repubblicana o per discutere di temi religiosi, invitato principalmente da giovani, da associazioni, da esponenti della società civile. L’eloquio sempre sciolto, efficace, brillante, in grado di passare dal registro dell’ironia a quello, più grave, proprio di un Costituente, di un Padre repubblicano che spiega ai giovani concittadini principi e valori di quella che per lui è sempre stata la Carta fondamentale, la rivendicata guida di tutta una carriera a servizio dello Stato, non immune da passaggi delicati e anche da critiche spietate. Oscar Luigi Scalfaro ha impersonato la continuità nella storia repubblicana, non solo per la sua lunga vita ed esperienza politica, ma perché si è trovato a gestire, da Capo dello Stato, la difficilissima transizione seguita a Tangentopoli e al tracollo delle principali forze politiche della cosiddetta Prima Repubblica (in particolare Democrazia Cristiana e Partito Socialista), oltre che la reazione delle istituzioni di fronte alla pesante minaccia alla legalità sferrata dalle organizzazioni mafiose dopo l’uccisione dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Concluso il mandato quirinalizio, e divenuto senatore a vita, sono emerse in maniera ancora più marcata le due linee guida che hanno caratterizzato la vita di Scalfaro, nel pubblico e nel privato: la passione civile ancorata alla Carta Costituzionale e la profonda fede religiosa, maturata nei circoli di Azione Cattolica di Novara, la sua città natale. Anche per questo, negli ultimi anni amava ripetere che «dal Quirinale si va in pensione, da cittadino e da cristiano no». Uomo politico stimato sia all’interno del suo partito – la Democrazia Cristiana – sia presso gli avversari politici, pur avendo ricoperto numerose cariche istituzionali (sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ministro dei Trasporti, della Pubblica Istruzione, dell’Interno e presidente della Camera) non figura tra i “cavalli di razza” della Dc e per buona parte degli anni Settanta viene tenuto fuori da incarichi governativi – sono gli anni del “compromesso storico” – così come era già successo nei primi anni Sessanta, quando Aldo Moro si faceva promotore dei primi governi di centro-sinistra.

Un degasperiano icona del centrosinistra
I rivolgimenti seguiti alla stagione dell’inchiesta Mani Pulite, il collasso della Balena Bianca e l’avvento di una nuova coalizione di centro-destra capitanata da Silvio Berlusconi hanno contribuito ad evidenziare in Scalfaro orientamenti e opzioni politiche inaspettate ai più: un uomo considerato per tutta la vita esponente dell’ala destra della Dc (a partire dalla sua Novara) diventava una delle icone dell’attuale centrosinistra, per la sua accanita difesa della Costituzione, per la sua insistenza sulla legalità e il suo sostegno all’operato della magistratura e per avere detto di no al dimissionario presidente del Consiglio Berlusconi che chiedeva, nel 1994, il reincarico in un Governo di minoranza o lo scioglimento anticipato del Parlamento. A chi gli domandava il perché di questo, almeno apparente, cambiamento politico, Scalfaro rispondeva sempre di non avere mutato in nulla i propri convincimenti, ma di essere sempre rimasto fedele ad una linea “centrista” di ispirazione degasperiana. I suoi accorati appelli in favore della pace (soprattutto prima e durante il secondo conflitto iracheno) e le continue citazioni dell’articolo 11 della Costituzione – “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” - ne hanno fatto, però, anche un’icona del popolo dei movimenti, tanto che lo stesso Scalfaro aveva dichiarato in un’intervista di tenere anch’egli in casa una bandiera arcobaleno. Questa immagine ci riporta, inevitabilmente, agli ultimi, pur intensi anni di un vegliardo novantenne la cui vita è stata interamente spesa in politica. Anni recenti, vicini a noi.
Durante la primavera del 2006 è presidente del comitato per il No al Referendum sulla Riforma Costituzionale (patrocinato dai partiti del centrosinistra, dalle principali organizzazioni sindacali e da alcune associazioni), promuovendo la bocciatura per via referendaria - poi avventua col 61,3% dei voti - la legge di riforma voluta dal centrodestra, che lo subisserà nuovamente di critiche.
In apertura della XV legislatura presiede l'aula del Senato - per la rinuncia della senatrice decana Rita Levi Montalcini - venendo brutalmente contestato dagli esponenti del centrodestra. Il 19 maggio 2006, come già aveva anticipato, vota la fiducia al governo Prodi II, che sosterrà più volte anche in occasioni determinanti. Nel 2007 aderisce al Partito Democratico. Nel corso della sua ultima apparizione pubblica - alla festa del Pd - l'ex presidente ha invocato meno divisioni nel partito, riforme con l'opposizione, rivendicando la centralità del parlamento rispetto ai poteri del capo del Governo. Posizioni che lo hanno allontanato sempre più dall'attuale maggioranza e dal suo leader, che considera Scalfaro - accanto a Di Pietro - forse il suo più acerrimo nemico politico.
 
Gli inizi della carriera politica
Ma la carriera politica di Scalfaro inizia in un tempo, per molti, ormai lontano, benché decisivo per la storia italiana: quello della nascita della Repubblica dalle ceneri del regime fascista. Non ancora trentenne, infatti, nel 1946 viene eletto a far parte dell’Assemblea Costituente tra le fila della Democrazia Cristiana. Sarà l’inizio di una lunghissima esperienza politica che lo porterà ad essere sempre rieletto alla Camera dei Deputati fino al 1992, anno in cui inizia il suo settennato presidenziale. La formazione di Scalfaro, però, è eminentemente giuridica e ancorata ai principi del cattolicesimo. Nato da una famiglia di origini calabresi il 9 settembre 1918, fin da piccolo inserito nei ranghi dell’Azione Cattolica (anche durante gli anni dell’aspra battaglia tra la Chiesa e il regime fascista per l’educazione della gioventù italiana), assiduo frequentatore e presidente del circolo studenti “Giuseppe Regaldi”, molto attivo a Novara nell'ambito formativo, culturale ed ecclesiale, dopo il diploma al liceo classico “Carlo Alberto” e la laurea in giurisprudenza presso l’Università Cattolica di Milano (1941) entra subito in magistratura. È noto un episodio che riguarda il giovanissimo magistrato, costretto, alla fine della guerra, a prestare servizio come pubblico ministero ad un processo che riguardava un assassinio compiuto dalla polizia della Repubblica di Salò: un crimine che, secondo il codice penale di guerra allora in vigore, prevedeva la pena di morte. Scalfaro, turbato per un’azione manifestamente contraria ai suoi principi, al dibattimento espone i fatti e indica i colpevoli, fa presente che la pena stabilita per i reati commessi è la morte, aggiungendo però che si oppone personalmente a questa soluzione, appellandosi alla Corte perché quella pena non venga applicata. La sua domanda di grazia non servirà, però, a salvare la vita di tutti gli imputati.

Parlamentare Dc vicino a Scelba
Entrato in politica ed eletto a Montecitorio, è da subito vicino alle posizioni della destra Dcrappresentate dalla corrente di “Centrismo Popolare”, facente capo al potente ministro degli Interni Mario Scelba. Nel 1954 prende il via anche la carriera ministeriale, con la nomina a sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con Scelba capo del governo. Ottiene incarichi nel primo governo Segni (1955), nel governo Zoli (1957), nel secondo Segni (1959), nell’esecutivo Tambroni e nel terzo governo Fanfani (1960). Avversario, come Scelba, del nascente centro-sinistra, Scalfaro rimane escluso da cariche ministeriale per sei anni, anche se è proprio Aldo Moro a promuoverlo ministro dei Trasporti nel suo terzo governo, carica che il politico novarese mantiene anche nel successivo esecutivo Leone (1968). Nel 1972 sale al governo Giulio Andreotti, e Scalfaro passa dal ministero dei Trasporti a quello della Pubblica Istruzione. Dopo la crisi di questo esecutivo diviene vicepresidente della Camera, ruolo che divide con Sandro Pertini, Pietro Ingrao e Nilde Iotti. Coerente oppositore del “compromesso storico”, non vota Pertini alla presidenza della Repubblica (1978), ma sarà proprio l’anziano presidente a favorire l’ascesa di Scalfaro ad un ministero di grande prestigio, come quello degli Interni. Nel 1983, infatti, la Democrazia Cristiana perde numerosi consensi e aumenta, in proporzione, il peso politico del Partito Socialista guidato da Bettino Craxi: si costituisce il pentapartito (Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli) e il leader socialista diventa presidente del Consiglio. Molti ministeri sono ricoperti da politici di peso: Forlani vicepresidente, Andreotti agli Esteri e Spadolini alla Difesa. Giovanni Goria e Giuliano Amato sono ministro del Tesoro e sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Il presidente del Consiglio uscente, Amintore Fanfani rivendica per sé il dicastero degli Interni, ma Pertini suggerisce a Craxi di puntare su Scalfaro, che si insedia quindi al Viminale, dal quale uscirà solo nel 1987. Tornato sui banchi di Montecitorio si oppone alle “picconate” del nuovo inquilino del Quirinale, il collega di partito Francesco Cossiga, e si fa promotore di una legge per contrastare le crisi di governo extraparlamentari, che applicherà scrupolosamente durante il suo settennato.

Il settennato al Quirinale
Il 24 aprile 1992 succede a Nilde Iotti alla presidenza della Camera, dove rimane solo un mese. Il 24 maggio 1992 è infatti eletto, con 672 voti, presidente della Repubblica. Un settennato delicato, quello di Scalfaro, stretto tra la crisi morale e di fiducia nella classe politica e di governo, travolta dagli scandali di Tangentopoli, e le spinte secessioniste patrocinate dal movimento leghista di Umberto Bossi. L’assassinio mafioso del giudice Giovanni Falcone, di sua moglie e di tre agenti della scorta imponeva una rapida scelta da parte dei partiti, che avevano già bocciato una folta schiera di autorevoli candidati. Dietro proposta del leader radicale Marco Pannella – che definisce Scalfaro “il Pertini cattolico” – il pentapartito (più i Verdi, la Rete e i radicali) decide di riversare i suoi voti sull’esponente democristiano novarese, da sempre strenuo difensore della Costituzione repubblicana. L’essersi rifiutato di sciogliere le Camere dopo le crisi degli esecutivi presieduti da Silvio Berlusconi (1994) e Romano Prodi (1998) e l’aver permesso la nascita dei governi guidati da Lamberto Dini e Massimo D’Alema sono decisioni che si collocano in un’ottica di attenzione al dettato costituzionale, malgrado alcune contestazioni ricevute da parte soprattutto del centrodestra berlusconiano, che lo bersaglierà sempre con infuocate critiche. L’intervento diretto e il pieno sostegno di Scalfaro ai governi “tecnici” di Giuliano Amato (1992-93), Carlo Azeglio Ciampi (1993-94) e Lamberto Dini (1995-96) hanno consentito a questi stessi esecutivi e a chi li guidava di operare in un delicato momento nella recente storia del Paese, oppresso dalle difficoltà finanziarie e privo di maggioranze politiche coerenti.

«Io non ci sto...»
Scalfaro, nel suo settennato presidenziale, affronta anche alcuni passaggi delicati, come le accuse di aver utilizzato a titolo personale fondi riservati dei servizi segreti per centinaia di milioni di lire, alle quali risponderà in diretta tv, respingendo gli addebiti, con il famoso “Non ci sto…”. Qualcuno accreditò l'ipotesi che quelle accuse fossero una ritorsione nei suoi confronti dei partiti travolti da Tangentopoli. Qualunque sia la valutazione che si possa averne come uomo politico e capo dello Stato, a 90 anni l'ex presidente rimane un testimone e uno degli artefici della prima, esaltante fase della storia repubblicana. Il suo "ricollocamento" politico, se così si può dire, sottolinea ancora una volta di più, nel bene e nel male, il cambiamento della vita politica avvenuto dopo la caduta del muro di Berlino, dopo Tangentopoli e l’avvento del berlusconismo: una politica ormai molto diversa rispetto ai valori e ai canoni di Scalfaro, il quale, però, non ha mai smesso di far sentire la sua voce, anzi, di gridarla forte, quando le necessità e le circostanze glielo hanno suggerito.


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