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Autore Discussione: Inchiesta Sismi: il personaggio I misteri (privati) di Pio Pompa  (Letto 3175 volte)
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« inserito:: Luglio 28, 2007, 04:32:07 pm »

Inchiesta Sismi: il personaggio I misteri (privati) di Pio Pompa

Diventato il signor Mantovani

L'uomo più invisibile d'Italia lavora per l'Esercito e ha un nuovo amore: Tontodimamma


ROMA — Arriva al mattino a bordo di un’Alfa 159 scura e s’infila nel suo nuovo ufficio alla Cecchignola, la cittadella militare che lo ospita dall’inizio dell’anno. Silenzioso e riservato. Lì è il dottor Pio Pompa, ma da qualche altra parte lo chiamano invece ancora Mantovani. Risulta sempre possessore di un passaporto di servizio, di quelli che richiedono collaborazione a vista da parte delle autorità italiane ed estere in rapporto con l’Italia. Giorni fa il sottosegretario alla presidenza del consiglio Enrico Micheli ha allargato le braccia di fronte al Copaco, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti: «Sì, Pio Pompa lavora alle dipendenze dello Stato, al ministero della Difesa. Non è possibile licenziarlo senza che un giudice ne indichi precise responsabilità...». Vive così, proprio come uno 007 (ma in Abruzzo c’è chi lo prende in giro come «zero zero séttete»), il protagonista chiave dell’inchiesta sui dossier deviati del Sismi. Va in ufficio, ma qualcuno sostiene che è in ferie dalle parti di Baia Domizia, naturalmente in uno stabilimento militare, così si evitano sguardi indiscreti. E invece è alla Cecchignola. «Com’è? Elegante, scrupoloso, coscienzioso...», lo descrive il generale di corpo d’armata Rocco Panunzi, il suo superiore nella cittadella militare della capitale. Aggiungendo: «Sopra di sé ha tre generali. Uno di brigata, uno di divisione e uno di corpo d’armata, cioè io... Basterà, no? Comunque qui è come un direttore generale, un caporeparto...».

Il dottor Pio Pompa, destinato all’ufficio «Reclutamento volontari a ferma prefissata», passa le giornate a vagliare le richieste dei volontari, in attesa che si concluda la bollente inchiesta giudiziaria che lo vede indagato per reati come il peculato. Di lui i superiori, come Panunzi, preferiscono al momento non sapere altro. È l’uomo misterioso di un’inchiesta piena di misteri, un volto finora quasi senza fotografie: un’unica immagine, scattata di notte, era stata pubblicata dal Corriere della Sera. Un uomo abituato a cambiare fisionomia: con i baffi e senza baffi, con gli occhiali e senza. Un sospiro di sollievo l’hanno tirato intanto i suoi ex condomini del palazzo seicentesco di via dei Banchi Vecchi 25, a due passi da Campo de’ Fiori, in pieno centro storico, lo stesso edificio in cui ha abitato trenta anni fa anche Paul Getty junior. Lì Pio Pompa è stato perso di vista sei mesi fa. «Abitava a pianterreno con la sua compagna Genny — spiega un avvocato —. E non faceva mistero delle sue attività. Così, qui, tutti noi lo chiamavamo lo spione...».

Uomo di soprannomi, Pio Pompa detto Mantovani: Franco Ranghelli, della Margherita, sindaco di Spoltore, suo paese d’origine vicino a Pescara, rivela: «Giocava con me nella squadra del paese, come mediano, ma più che al pallone dava calci negli stinchi. Lo chiamavano scarparo...». Dal centro storico di Roma Pompa se n’è andato dunque all’improvviso, più o meno quando ha dovuto chiudere l’ufficio al sesto piano di via Nazionale 230, di proprietà di Andrea Bixio, lasciando il garage di via Napoli in cui parcheggiava l’auto e il bar Barocco dove acquistava le sigarette Rothmans. La Digos è andata a cercarlo anche a Cesano, in via La Fata, nella casupola «autocostruita» dal padre Luigi, ex operaio Anas, dove vivono ancora l’anziana madre Maria e una sorella ginecologa. Ma non è neanche quello il posto giusto: per dieci anni, infatti, fino al 2000, Pompa ha abitato in una villa isolata e spaziosa (130 metri quadri) di viale Alabama, a Ladispoli, venduta poi a un elettricista per trasferirsi in un casolare di Montebello di Bertona, nel pescarese, paese in cui ha incontrato la sua nuova fiamma, una promotrice finanziaria che di cognome fa Tontodimamma. Gabriele, il padre di questa Genny, dice: «La vedo pochissimo, lui l’ho incontrato una sola volta, non so neanche dove abitano a Roma...».

Nel casolare di Montebello, in contrada Mirabello, attorniata da molti cani pastori abruzzesi bianchi, vive l’ex moglie di Pompa, Rosanna Martinez. C’è anche una jeep Cherokee parcheggiata lì vicino. Valentino Bobbio, dirigente di una società di consulenza aziendale e nipote del filosofo, ha conosciuto Pompa in quegli anni di ritorno in Abruzzo, prima che scattasse il nuovo impiego per il Sismi e l’apertura dell’ufficio romano di via Nazionale. Dice: «Mi fece conoscere allora il Wwf di Penne, con cui ho poi avviato iniziative importanti. Era esperto di formazione, aveva lavorato per un anno in una multinazionale americana del gruppo General Motors. Con lui ho anche elaborato progetti che non sono andati in porto». È proprio in Abruzzo che si trovano tracce delle varie vite del dottor Pio Pompa, operaio e sindacalista della Cgil prima in Sip e poi in Telecom, militante del Pci («me lo ricordo, eccome», dice Mario Piscione oggi dei Comunisti italiani), quadro delle telecomunicazioni e infine consulente. Le vite precedenti, ante Sismi. E soprattutto sono in tanti a ricordarlo come alpinista.

«Uno piuttosto temerario», taglia corto la guida Pasquale Iannetti. Nino Di Felice fu il soccorritore, nel luglio 1987, di Jazmin Palozzo, una giovane alpinista alle prime armi precipitata durante un «traverso» in compagnia di Pompa e andata a sbattere contro la roccia del Corno Piccolo, sul Gran Sasso. La ragazza, architetto di 26 anni, era arrivata da poco dal Venezuela dove era emigrato il padre, un abruzzese di Nocciano. «Pompa l’aveva portata in cordata senza casco — spiega Di Felice —. Un’imprudenza incredibile...».

«Quell’uomo? Non ho mai voluto saperne niente», dice ora, a vent’anni di distanza, Aura, la mamma della vittima. Il fratello Fernando: «Se almeno ci avesse avvertito, messo in guardia...». L’inchiesta scagionò Pio Pompa. «Lui poi è caduto varie volte, si è fratturato una spalla, un braccio, un polso — spiega l’avvocato Roberto Rosica, compagno di scalate —. La mano gli è rimasta un po’ storta...».

Paolo Brogi
28 luglio 2007
 
da corriere.it
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