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Autore Discussione: LORENZO MONDO  (Letto 65929 volte)
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« Risposta #75 inserito:: Marzo 27, 2011, 10:51:19 am »

27/3/2011 - PANE AL PANE

Troppi immigrati, troppe domande

LORENZO MONDO

Domande, domande, domande... Sarà lecito porsi qualche interrogativo, sine ira ac studio, sul problema dell’immigrazione che infiamma l’opinione pubblica e trova il suo più degradante emblema negli sbarchi di Lampedusa? E non si dovrà, per sviluppare un qualsiasi ragionamento, partire da precise e oneste definizioni lessicali? Come possiamo parlare di profughi o di sfollati per le migliaia di migranti che non sono esposti a persecuzioni e bombardamenti, non appaiono travolti da una guerra civile come in Libia? Non si tratta forse, per il momento e in massima parte, di tunisini, di quelli che hanno scatenato la «rivoluzione dei gelsomini» e messo in agitazione Nord Africa e mondo arabo? Non dovrebbero, a rigore, starsene nel loro Paese a godersi l’aria di una presunta, appena conquistata libertà, coltivando l’orgoglio dei battistrada? Invece di assumere quella che, a termini di legge, è la condizione avventurosa dei clandestini? Protestando tra l’altro, magari con arroganza, per l’inevitabile impreparazione e i disagi dell’accoglienza da parte italiana, come se fossero vittime di chissà quali promesse tradite? Tanto da suscitare acuti moti di insofferenza nei più esposti, sventurati lampedusani?

Non dobbiamo allora prendere atto che, con il pretesto del sanguinoso conflitto di Libia, si è innescata nel Maghreb un’altra guerra, a mani nude, dettata dalla povertà e dal sogno di una vita più degna? Ma l’atteggiamento più comprensivo e solidale, e le amenità dei minimizzatori professionali, possono annullare l’inquietudine per una fiumana inarrestabile di fuggiaschi? E’ irragionevole pensare che il passaparola potrebbe coinvolgere nell’esodo popolazioni ben più numerose e travagliate della minuscola Tunisia? Non c’è il rischio che si scontrino infine diritti contro diritti, quelli astratti di chi arriva e quelli consolidati di chi risiede nelle proprie terre? Non trascurando il pedaggio da pagare alla criminalità (quelle carceri svuotate) e agli infiltrati del terrorismo? Non è dunque indispensabile stabilire regole certe, per quanto flessibili, che in accordo con i governi d’oltre sponda controllino l’impressionante fenomeno? Con l’opportuno respingimento dei clandestini che, a dispetto dei denigratori nostrani, viene adottato con ben altra severità da nazioni di destra e sinistra come la Francia e la Spagna? Non occorrerebbe una union sacrée, che prescinda da appartenenze politiche e di bottega, che eluda lo stolido buonismo e le furibonde chiusure? Domande, domande e ancora domande, in attesa di sensate risposte.

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« Risposta #76 inserito:: Aprile 03, 2011, 10:51:18 am »

3/4/2011 - PANE AL PANE

I danni del fanatismo che corre sul web

LORENZO MONDO

In una chiesa evangelica della Florida, il pastore Wayne Sapp ha creduto bene di incendiare pubblicamente una copia del Corano. A suo giudizio, il libro sacro dei musulmani rappresenta con i suoi precetti una fonte di violenza, una sorta di incitamento a delinquere.

Come se la Bibbia, presa alla lettera, fornisse soltanto esempi edificanti. Quel personaggio sembrerebbe uscito da un romanzo di Sinclair Lewis, da un’America biecamente puritana, decisamente fuori tempo. Mettiamoci pure l’ombra lunga dell’11 settembre, ma il gesto denota, oltre a rozzezza culturale, una mancanza di senso comune e potrebbe appena suscitare un’ombra di compatimento e di sorriso. Ma il fanatismo, anche se sprigionato da una irrilevante comunità, corre sul web e genera spaventose reazioni a catena.

A Mazar-e-Sharif, nel Nord dell’Afghanistan, una folla inferocita ha assalito una sede dell’Onu, uccidendo 14 tra funzionari e guardie.
Il giorno dopo, a Kandahar, avamposto della guerra ai Talebani, altri morti e feriti. Ora, bruciare libri rappresenta sempre qualcosa di sinistro, ma essi non devono mai essere anteposti all’indiscutibile preminenza della vita umana. Eravamo distratti dall’incendio del Maghreb, nel quale molti analisti intravedono, forse con ottimismo, il segno di un risorgimento arabo, non compromesso da una ispirazione islamica che appare finora spogliata di rivendicazioni cieche e sanguinarie.

Il grido «Allah è grande» si è levato contro regimi autoritari e corrotti, ha onorato la morte di Mohamed Bouaziri, il ragazzo che si è dato fuoco scatenando la rivoluzione tunisina. Gli eccidi dell’Afghanistan hanno destato un brusco soprassalto, ricordando che esiste una realtà ben diversa, che permangono nell’ecumene islamica innumerevoli possibilità di contagio. Contro le quali occorre premunirsi, evitando anche le provocazioni. Certo, un rogo che in America si limita per fortuna ad essere solamente cartaceo non pareggia lo sgozzamento di persone innocenti.

Ma dobbiamo recriminare con forza il gesto inconsulto del, si fa per dire, reverendo Sapp. Tanto più quando il suo capo, che lo ha ispirato, sostiene di avere previsto le violente conseguenze ma di non provarne alcun rimorso. È un peccato che il concetto di libertà vigente negli States non preveda per certi individui quantomeno l’esclusione dal consorzio civile. Per vincere la guerra al fondamentalismo è bene contrastarne i germi che l’Occidente ha lasciato sopravvivere dentro di sé.

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« Risposta #77 inserito:: Aprile 10, 2011, 04:51:07 pm »

10/4/2011 - PANE AL PANE

Dna per i cani? No, per i padroni

LORENZO MONDO

Grazie alle nuove tecniche investigative e in particolare all’utilizzo del Dna, è possibile affrontare in campo criminologico, con eccellenti risultati, quelli che vengono definiti cold cases o casi freddi: che riguardano cioè i delitti rimasti inspiegati e chiariti a distanza di anni, attraverso i reperti biologici, con l’individuazione dei colpevoli.

La riapertura delle indagini sui gialli di via Poma e dell’Olgiata sembra archiviare in buona parte la concezione del delitto perfetto. L’affidamento alla prova del Dna, che ad onta dei postulati scientifici assume per i profani misteriose suggestioni, ha trovato un’inedita estensione. Apprendiamo infatti da un servizio di Antonio Salvati, comparso sul nostro giornale, che a Capri si provvederà ad analizzare il codice genetico dei cani.

Questi animali compongono una ragguardevole popolazione dell’isola fortunata che viene purtroppo disseminata di escrementi maleodoranti e scivolosi. Il Comune ha pensato pertanto di impegnare operatori ecologici e vigili urbani a raccogliere campioni dei sedimenti, perché siano sottoposti ad analisi e confrontati con i prelievi ematici esercitati sui cani iscritti all’anagrafe regolamentare. Con questo si può risalire ai proprietari che non si sono muniti di sacchetto e paletta, e sottoporli a salatissime multe. Resta il problema che meno della metà dei cani appaiono registrati, muniti ufficialmente di collari e padroni. E allora, per gli evasori, responsabili di quelli che possono essere definiti «casi freddi», si dovrà ricorrere alle indagini preliminari svolte sul terreno, rivalutare il pedinamento e il «fiuto», massì, degli investigatori d’antan.

L’iniziativa delle autorità capresi sembrerebbe bizzarra e tale da umiliare i portentosi ritrovati scientifici che vengono esercitati per l’occasione in corpore vili. Ma deve presumibilmente confrontarsi con un fenomeno esorbitante, che potrebbe sfregiare le seduzioni della famosa «Piazzetta», dei Faraglioni, della Grotta Azzurra. Appare piuttosto incredibile, e imperdonabile, che tanti abitanti, non riconducibili allo status di inverecondi barboni, non si prendano debita cura dei loro cani, mancando di rispetto ai loro concittadini.

Mi piacerebbe che fosse consentito, a ultimare l’opera, raccogliere in una banca dati, con il corredo di foto segnaletiche, anche il Dna dei proprietari insensibili alla civile decenza. Testimonianze da esporre, con scorno, all’insulto di legalizzati zampilli canini

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« Risposta #78 inserito:: Aprile 25, 2011, 12:22:05 pm »

24/4/2011 - PANE AL PANE

Nozze reali senza Savoia

LORENZO MONDO

Notizie circostanziate e zuccherose si inseguono su giornali e tv, raccontando la storia del matrimonio imminente tra il principe William, erede del trono d’Inghilterra, e l’avvenente Kate Middleton, uscita da una famiglia borghese: una circostanza, questa, che rende più appetibile la vicenda per chi ama un certo genere di intrattenimento.

La solita storia di Cenerentola. Ma qualcuno è andato a spulciare nell’elenco degli invitati ed ha fatto una maliziosa scoperta. Tra i 1900 personaggi irrorati dal sangue blu o da qualche speciale benemerenza, non figura nessun membro di Casa Savoia che, per quanto spodestata, è pur sempre la dinastia più antica d’Europa. Forse la Corte inglese non ha voluto intromettersi nell’annosa disputa tra Vittorio Emanuele e Amedeo d’Aosta, che si contendono il diritto di rappresentare la continuità familiare. Un imbarazzo acuito dal ricordo che nel 2004 i due cugini, presenti alle nozze del principe Felipe di Spagna, vennero alle mani e Vittorio Emanuele stese Amedeo con un cazzotto. Troppo insensibili al bon ton i discendenti di quell’altro Vittorio, il padre della Patria. Quando nel 1855 andò a Londra in visita di Stato, l’aspetto selvatico di re montanaro - i grandi mustacchi, la fama di cacciatore impenitente di stambecchi e sottane - non compromise la simpatia che gli tributò la regina Vittoria, rendendo omaggio al suo piglio franco e leale. Vittorio Emanuele II, d’altronde, alla Corte di San Giacomo non fece a pugni.

A rendere più impertinente l’esclusione dei Savoia dai festeggiamenti londinesi, è l’invito rivolto a Carlo di Borbone, l’erede del regno delle Due Sicilie cancellato da Garibaldi e dalle armate piemontesi. L’incidente prende sapore mentre da noi si celebrano i 150 anni
dell’Unità d’Italia. Sembrerebbe un piccolo sberleffo, una innocua rivalsa dei monarchi sconfitti, un riconoscimento concesso alla loro superstite dignità.

Qualcuno, tra i neoborbonici che sopravvivono al Sud, sarà indotto a rallegrarsene, a trarre nuovi spunti per una antistorica e risibile polemica sulle sopraffazioni del Nord nei confronti di regioni evolute e civili. Mentre questa disfida virtuale tra le due casate dovrebbe avere un effetto lontanante e pacificatore, essendo gli uni e gli altri dinasti accomunati, a diverse riprese, dall’inclemenza della storia. Spettano alle sole cronache mondane e pettegole l’eventuale dispetto dei Savoia, il compiacimento dei Borbone.

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« Risposta #79 inserito:: Maggio 01, 2011, 05:36:10 pm »

1/5/2011 - PANE AL PANE

Due folle, due speranze

LORENZO MONDO

Per una singolare congiuntura, si sono avvicendati in breve tempo due eventi capaci di suscitare l’emozione di milioni e milioni di persone, di mobilitare capi di Stato e celebrità, diplomazie e servizi di sicurezza di mezzo mondo. A Londra sono state celebrate nella cattedrale di Westminster le nozze del principe William, erede al trono, con Kate, una ragazza di origini borghesi. Due giorni dopo, a Roma, si sta procedendo alla beatificazione di Giovanni Paolo II, bruciando i consueti tempi di attesa, adempiendo al voto della vox populi che, subito dopo la morte, lo proclamò «santo subito».

E’ difficile trovare una significativa connessione tra i due episodi, che anzi sembrerebbero mostrare una vistosa contrapposizione tra sacro e profano. E’ vero che in Inghilterra il monarca si fregia istituzionalmente del titolo di capo della Chiesa anglicana, ma sul cappellino della regina Elisabetta, absit iniuria, non si ravvisa ombra di sacralità. D’altra parte, i riflettori puntati sugli aspetti mondani della cerimonia, sulla rinnovellata favola bella di Cenerentola e del Principe Azzurro, finiscono per soverchiare altre possibili considerazioni.

Eppure, nella folla che si è accalcata intorno a Buckingham Palace, e in quella che ha partecipato alla festa attraverso le vie dell’etere, si può cogliere, al di là degli entusiasmi sproporzionati, una voglia inespressa di stare insieme, di sottrarsi all’ordinaria complessità del vivere, alle sue frequenti incursioni nel tragico. Si è osservato giustamente che a Westminster ha avuto luogo una doppia unione, tra un uomo e una donna, tra una nazione e la sua Corona: nel momento in cui questa manifesta una certa usura e, anche per l’ombra persistente dell’infelice Lady Diana, vede diminuita la sua autorevolezza.

A Roma la folla dei pellegrini, e soprattutto l’impressionante afflusso di giovani, ubbidisce al richiamo di un pontefice in un contesto di assoluta semplicità e senza sfarzo. Giovanni Paolo II, con la sua prepotente fisicità messa al servizio di un intenso misticismo, continua a esortare la Chiesa a serrare i ranghi, a incarnare, contro ogni errore e debolezza, le ragioni dell’unità, il sentimento di una grande speranza. E’ questo l’esiguo collante tra due festeggiamenti così diversi, e non inibisce il confronto il fatto che al loro centro stiano da una parte due sposi nel colmo della giovinezza, dall’altra le spoglie di un vecchio pontefice proclamato santo.

Infatti quel morto, per chi crede, è ben vivo, tanto da farsi garante per il suo popolo di una sicura resurrezione.

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« Risposta #80 inserito:: Maggio 08, 2011, 11:34:55 am »

8/5/2011 - PANE AL PANE

Perché piacciono questi alpini

LORENZO MONDO

Una fiumana di alpini ha invaso Torino per l’annuale raduno, che questa volta concorre a celebrare i 150 anni dell’unità nazionale. Si sono viste le scene consuete, le sfilate vivaci ma composte, il montaggio di tende da campo nelle aiuole, le soste nei bar già di primo mattino.

In un’aria di festa paesana, nella quale i torinesi non hanno lesinato la loro simpatia alle penne nere. Gli alpini godono di uno speciale reputazione da parte della gente, per il loro proverbiale spirito di corpo, per il sentimento di solidarietà tra soldati che, fino a ieri, avevano in comune l’estrazione geografica e la «cultura» montana. Inoltre appaiono nell’immaginario i più accreditati protagonisti della prima e della seconda guerra mondiale, tra i dirupi del Trentino e le nevi di Russia. Poeti e scrittori, da Piero Jahier a Mario Rigoni Stern e Nuto Revelli, hanno testimoniato il loro spirito di sacrificio, l’attaccamento al dovere anche nei momenti di maggiore disincanto, l’amore per l’Italia non disgiunto da quello della «piccola patria»: quel «tornare a baita» di cui parla Il sergente nella neve, alludendo al residuo di umanità e di speranza coltivato in situazioni terribili.

Ecco, piacciono questi alpini che sanno restare se stessi, conciliando tradizione e innovazione, in un mutato contesto storico e morale. Sono strumenti di pace armata nei deserti di Herat, ma si dedicano con particolare trasporto al soccorso di popolazioni investite da catastrofi naturali. È un aspetto apparentemente marginale ma significativo del loro operare il fatto che ricompensino le città da cui sono ospitati con lavori di pubblica utilità. Come a Torino, dove hanno provveduto a riattare il Parco della Rimembranza che onora i 4000 torinesi morti nella prima guerra mondiale.

Ma, diciamola tutta, piacciono anche perché, a contrasto con altri raduni, sia pure meno consistenti o di numeri irrilevanti, non complicano la vita delle città, deturpando muri, insozzando le strade e, al limite, sfasciando auto e vetrine. Si distinguono, in altre parole, dall’Italia sporcacciona e facinorosa che ci fa vergogna. Arrivano e partono - molti con i baffi imbiancati e il cappello stinto - lasciando, insieme alla più accurata pulizia, il ricordo di una amicizia condivisa, di un vivere civile. E non biasimatelo, se qualcuno si attarda per concedersi il bicchiere della staffa, intonando una vecchia canzone. Gli alpini, si sa, non amano drogarsi, preferiscono ricrearsi con il vino, e magari con un sorso di grappa. Salutiamoli a modo loro, con una pacca sulla spalla.

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« Risposta #81 inserito:: Maggio 15, 2011, 10:49:02 am »

15/5/2011 - PANE AL PANE

La verità nella scrittura

LORENZO MONDO

Trovo bella, e un poco sottovalutata, la prolusione della scrittrice Ljudmila Ulitskaja che ha inaugurato a Torino il Salone del Libro.
Per declinare il tema della «memoria cuore del futuro» si è intrattenuta sul fenomeno del samizdat, che ha caratterizzato gli anni del potere sovietico: quando scrivere, leggere o detenere certi libri poteva comportare fino a sette anni di carcere. Tra i «dannati» figuravano nomi di gran stazza come Anna Achmatova e Mandelstam, Pasternak e Brodskij... Le repressioni furono crudeli e grottesche.
Basti per tutti l’episodio del doganiere che sequestrava all’aeroporto Bibbie e Vangeli, salvo rivenderli, per somme consistenti, a un pubblico che ambiva possederli.

La storia del martirologio a cui furono sottoposti in Urss scrittori e lettori è ampiamente nota. Ma c’è un motivo che spiega perché questa ambasciatrice della cultura russa non abbia preso le mosse da Tolstoj o Dostoevskij, ma dai loro eredi novecenteschi. Non è soltanto il fatto che esiste una ferita ancora aperta, generazionale (lei stessa perse il posto di lavoro per il possesso di un romanzo).
Mi sembra che abbia voluto additare, anche ai suoi compatrioti immemori, l’esempio di un eroismo praticato in modo mai così diffuso a difesa e ad onore del libro. Ed è qui che il suo discorso acquista, senza parere, una centralità nelle assise torinesi.

Quando denuncia esplicitamente nello scrittore la tentazione del successo, radicata, più che nell’attesa di vantaggi materiali, nel desiderio di compiacere i suoi lettori: «La letteratura di massa di bassissimo livello spesso è prodotta non da persone incapaci, ma da professionisti e scrittori di talento che si abbassano al livello di un pubblico che si accontenta di poco». E’ una spirale perversa che inquina anche estese fasce della nostra produzione libraria. Chiama in causa la responsabilità degli scrittori, la loro disposizione ad affrontare, con adeguato controllo stilistico, temi alti che riguardino la dignità e il destino dell’uomo.

La scrittura come impegno di verità, non limitata al divertimento o al narcisistico rispecchiamento; una dedizione al libro che può comportare sacrifici, il disconoscimento e, al limite, l’ostracismo. I grandi autori del samizdat, insieme ai loro oscuri e ostinati lettori, non appartengono a una pagina voltata della storia, ma si appellano a noi, contestano il nostro futile uso e abuso della parola scritta.

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« Risposta #82 inserito:: Maggio 29, 2011, 05:41:22 pm »

29/5/2011 - PANE AL PANE

L'attenzione e i sentimenti

LORENZO MONDO

Rimuovendo lo sgomento per i bambini morti nell’auto dove erano stati dimenticati dai rispettivi padri, torno a interrogarmi sulla singolarità dei due eventi verificatisi in successione. Sembra di primo acchito una tragica beffa il fatto che il genitore di Passignano sul Trasimeno ignorasse ciò che era avvenuto in precedenza a Teramo e che - sappiamo col senno di poi - avrebbe prefigurato il suo destino. In realtà, siamo soliti attribuire a giornali e televisione una invasività che riguarda una parte cospicua ma non totalitaria della popolazione. Un uomo così «distratto» sul figlio poteva esserlo anche nei riguardi dell’informazione.

Procedo, annaspando, con qualche altra osservazione. Sarà capitato al padre di Teramo, che è un veterinario, di commuoversi per un cagnolino abbandonato al sole nell’abitacolo di un’auto, ma questo non lo ha aiutato a stabilire una connessione con la sorte del figlio. Ancora, entrambi i genitori erano soliti accompagnare i bambini all’asilo, e resta inspiegabile che non sia scattato in loro l’automatismo salvifico che si registra in casi meno importanti.

Sono questioni di dettaglio, mentre suscitano perplessità i commenti rilasciati da alcuni analisti della psiche. Dicono che non c’è da scandalizzarsi per simili dimenticanze, che il nostro cervello attraversa fasi di amnesia e che, insomma, potrebbe toccare a tutti di soggiacere a situazioni così abnormi. Mi sembra, con tutto il rispetto, che stiano esagerando, che siano condizionati da un sottaciuto e assolutorio sentimento di pietà: quello espresso d’altronde da una delle madri sventurate.

Lungi dall’incrudelire, mi sforzo di dare il giusto peso alle piccole vite cancellate, tentando di capire. Mi appiglio semplicemente alle parole riequilibratrici di un luminare: tutto diventa possibile «quando siamo assorbiti da pensieri, emozioni e preoccupazioni assillanti che distolgono la nostra attenzione e scalzano altri eventi».

Possiamo cioè ipotizzare, con beneficio d’inventario, che i due genitori siano vittima di una frenesia che insidia le nostre esistenze: la preoccupazione per il lavoro, il mutuo da pagare, le vacanze da programmare, il confronto con una aggressività che si esprime perfino nelle convulsioni del traffico. Tutto ciò che porta a obliterare i sentimenti e gli affetti, a non concedergli il primo posto nella nostra vita. Se colpa c’è, è in una disattenzione che si produce per gradi e viene da lontano, prima di manifestarsi nelle vampate omicide del solleone.

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« Risposta #83 inserito:: Giugno 20, 2011, 08:32:10 am »

19/6/2011 - PANE AL PANE

Tav, l'ora della chiarezza

LORENZO MONDO

Sulla Tav è arrivata l’ora della verità. Entro questo mese dovrà partire il cantiere esplorativo di Chiomonte per l’avvio della linea ad alta velocità Torino-Lione. In caso contrario, salterà la firma d’intesa con la Francia e cadranno i 671 milioni di euro stanziati dall’Unione Europea per i lavori sul versante italiano. Danno il senso di una accelerazione anche gli avvisi di garanzia emessi dal procuratore Caselli contro cinque militanti no-Tav per resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento e istigazione a delinquere. Il provvedimento sanziona i fatti del maggio scorso, quando gli occupanti del cantiere presero a sassate forze di polizia e operai. Ma prefigura lo scenario che potrebbe ripresentarsi nei prossimi giorni. Gli irriducibili infatti non intendono demordere. E il loro capo evoca addirittura la resistenza condotta in Valle contro i nazifascisti: un riferimento insensato che non gioca a favore della credibilità del movimento.

Sia come sia, verrà messo un punto fermo, sperabilmente senza conseguenze violente, a una disputa annosa e penosa. Da una parte stanno la lentezza e le contraddizioni dei pubblici poteri nelle trattative con le comunità avverse, nel fornire le necessarie garanzie sulla sicurezza dei cittadini, sugli indennizzi e, alla fine, l’indecisione nell’affrontare le minoranze riottose: senza prendere esempio dalla Francia che ha risolto con tranquilla fermezza i suoi problemi. Dall’altra l’ostinazione di pochi (contro la maggioranza degli stessi sindaci valligiani, contro l’accordo sostanziale dei maggiori partiti politici) a contestare gli interessi generali e la volontà dello Stato in merito a una impresa che viene ritenuta strategica e foriera di benefici per l’intera nazione.

Soltanto quando vengono lesi interessi vitali è lecito ribellarsi ai poteri costituiti e opporsi alla maggioranza dei cittadini, a mettere cioè in forse l’essenza della democrazia. Al di là delle stesse questioni di merito, va preso atto della confusione in cui si dibattono nel nostro Paese diritti e doveri, dell’ennesimo paralizzante scontro che caratterizza la nostra vita civile. Amo intensamente la Valle di Susa, l’arte, la storia, i profili montuosi, e assisto con amarezza al fatto che sia diventata un luogo infiammato da aspre contese, in cui si manifestano i caratteri meno encomiabili degli italiani. Ben venga, allo spartiacque di giugno, una parola chiarificatrice, con l’augurio che non rappresenti il seme di deprecabili trascinamenti, di ulteriori discordie.

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« Risposta #84 inserito:: Giugno 26, 2011, 11:11:40 am »

26/6/2011

Napoli, scempio incomprensibile

LORENZO MONDO

Alzi la mano chi ci capisce qualcosa sul maledetto imbroglio di Napoli e dei suoi rifiuti, che stanno diventando, nell’assuefazione, elemento costitutivo del panorama cittadino. E’ una situazione dolorosa e insieme grottesca contro la quale si spuntano i più elementari e banali interrogativi. Come è possibile che Napoli non riesca a smaltire i suoi rifiuti come fanno tutte le altre città italiane? Come mai nessuna delle amministrazioni che si sono succedute negli ultimi vent’anni ha saputo prevedere e predisporre rimedi a questo cataclisma? Perché, nella continua emergenza, si è scelta la via più facile dell’esportazione costosa, non di scorie nucleari, ma del quotidiano pattume?

Esiste certo, non solo per Napoli, il problema più vasto di una cultura dello spreco - sacchetti, involucri, imballaggi di ogni genere - che si propone come illusorio benessere. Ma allo stato dei fatti sembrano praticabili due soluzioni: a parte i materiali riciclabili, occorre seppellire o incenerire, ricorrere alle discariche o ai termovalorizzatori. Perché a Napoli e nel suo hinterland sono visti come il fumo negli occhi e generano sommosse? E’ ancora e sempre questione di pervasiva criminalità, della solita camorra? De Magistris, il nuovo sindaco, ha diritto a una sospensione di giudizio e a un ragionevole tempo di attesa, senza essere inchiodato alla spacconata, proferita al suo esordio, di liberare Napoli dall’immondizia in cinque giorni. Ma i provvedimenti assunti o annunciati non bastano a riportare il sereno. Ha fatto la faccia feroce ma la minaccia di dure sanzioni a chi dissemina di roghi la città suona come una barzelletta, conoscendo le franchigie di cui Napoli gode nell’osservanza di leggi e regolamenti. Ha cercato di sveltire il trasporto dei rifiuti nei siti di «trasferenza», ovverossia i depositi temporanei, respinti, con episodi di violenza, da Acerra e Caivano perché temono che diventino occulte discariche. E rimane dunque appeso alla speranza che un decreto legge del governo, Lega permettendo, consenta il trasporto in altre regioni.

Il problema afferma - sarà risolto con la raccolta differenziata e «l’impiantistica che abbiamo in mente». Sarebbe bene che questa impiantistica venisse svelata al più presto (c’è stato tutto il tempo di pensarci su contestando gli anni di malgoverno) per tacitare diffidenze ed ottenere più convinte solidarietà. In corsa con bacilli (ed esalazioni) che insidiano la salute dei napoletani e hanno indotto la Procura ad aprire un’inchiesta per epidemia colposa. La Napoli civile e per bene, le sue legittime ragioni di orgoglio, non meritano questo scempio.

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« Risposta #85 inserito:: Luglio 03, 2011, 10:32:59 am »

3/7/2011 - PANE AL PANE

Ecco come ti creo il mostro

LORENZO MONDO

Sia pure a malincuore, molti hanno provato qualche indulgenza per Dominique Strauss-Khan quando prese avvio il feuilleton di cui diventò protagonista a New York. Le accuse che gli venivano mosse erano gravi e il suo volto roccioso sembrava conservare, nonostante la botta ricevuta, l’arroganza dell’uomo di potere, collocato ai vertici dell’economia mondiale.

Giocava anche a suo sfavore la fretta, quasi una fuga, con cui aveva lasciato l’albergo per recarsi all’aeroporto. Ma non piaceva la gogna mediatica cui fu sottoposto; lo stesso rigore della giustizia, nella sua esibita imparzialità, sembrava risolversi in accanimento, ubbidire a un sussulto della vecchia America puritana. Nathaniel Hawthorne, l’autore della Lettera scarlatta, avrebbe trovato forse, anche lui a malincuore, qualcosa da ridire.

Adesso assistiamo a un colpo di scena, Strauss-Khan non è stato scagionato del tutto, non può ancora lasciare gli Stati Uniti ma gli sono stati revocati gli arresti domiciliari e gli è stata restituita la cauzione di sei milioni di dollari. Un segnale, quest’ultimo, piuttosto significativo, in un Paese e in una società che sanno dare il giusto peso al denaro. Gli è che Ophelia, la cameriera che sarebbe stata stuprata dal libidinoso economista francese, ha mostrato durante l’inchiesta di essere per molti versi menzognera, di avere losche frequentazioni e di avere complottato con un amico carcerato per trarre profitto dalla sua «disavventura».

La sua figura ne esce, come che sia, compromessa. Era diventata la corifea di una battaglia civile, fornita dei giusti ingredienti: pensate, una povera immigrata dalla Guinea, che si guadagna la vita facendo la cameriera e diventa vittima di un uomo straricco e strapotente nel corso del suo ingrato lavoro. C’era di che mobilitare, come è accaduto, le lavoratrici della categoria, di attizzare le pulsioni egualitarie e femministe così vive negli States.

Se la situazione venisse ribaltata, se lo stupro si rivelasse un rapporto consenziente che Ophelia intendeva mettere a frutto, assisteremmo in modo plateale al meccanismo che porta alla creazione di un «mostro». In questo caso, a parte la frode di Ophelia, sarebbe avvenuto con le migliori intenzioni e, va detto, con la collaborazione dell’incauta vittima, quella vera. Il che non attenua un senso di scettico, generalizzato disincanto. La storia beninteso non è inedita, ma diventa tale nelle sue conseguenze, nel terremoto suscitato nel mondo politico e finanziario dall’intemperante signor Dsk.

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« Risposta #86 inserito:: Luglio 10, 2011, 03:59:13 pm »

10/7/2011 - PANE AL PANE

No Tav, lontando da Juve e Tour

LORENZO MONDO

I diversivi messi in atto contro la Tav in Valle di Susa mostrano la corda. Da parte francese si è respinta seccamente la proposta avanzata dal governatore della Liguria Claudio Burlando di aggirare Torino, e la Valle, facendo passare la ferrovia a Ventimiglia. Il capo della delegazione transalpina che tratta con quella italiana ha dichiarato inaccettabile il trasferimento delle merci lungo la Costa Azzurra. Mostrandosi più sollecito di quanto non accada da noi in fatto di soldi, ha inoltre rammentato che la Francia ha già aperto tre «discenderie», tre gallerie preliminari al percorso vero e proprio. Insomma, nessun cambio di programma.

Ma è stato anche significativo l’incontro tra Martine Aubry, leader dei socialisti francesi, e Pierluigi Bersani. Martine ha manifestato stupore per le proteste italiane, dichiarando che in Francia non esiste contrasto tra destra e sinistra sulla realizzazione dell’opera e che, in ogni caso, la democrazia ha le sue leggi. Ha cioè sottratto la questione alle incrostazioni ideologiche e offerto una sponda a Bersani nel suo confronto con la sinistra radicale. Tanto che il leader del Pd si è lasciato andare a una espressione che suona liberatoria, anche nei riguardi delle sue stesse cautele: «Evvia, stiamo parlando di una ferrovia e non di un bombardiere». Oltre confine non si era d’altronde lesinata ironia sulla qualità di un certo ribellismo nostrano.

Il sindaco di Chambéry, una donna dai tratti maliziosamente soavi, aveva ammesso che sì, c’era stata oltre confine una contestazione della scelta pro-Tav, ma promossa da un drappello di soli italiani.

Sembra rischiosa e controproducente anche l’idea espressa da Alberto Perino, l’irriducibile e fantasioso capo dei no-Tav, di partecipare con striscioni e bandiere a due eventi di grande importanza per la Valle: il «ritiro» della Juve a Bardonecchia e il passaggio del Tour de France in Val Chisone. Le intenzioni sono beninteso pacifiche. Ma pensiamo a ciò che accadrebbe se infiltrati e violenti fiancheggiatori trovassero il modo di compromettere il tranquillo svolgimento delle due manifestazioni.

Non si tratta soltanto di soldi investiti per fini promozionali e buttati all’aria, il che farebbe imbestialire le istituzioni e i sindaci direttamente interessati. Sono feste popolari e molto sentite, tali da alienare ogni simpatia nei confronti di chi intervenisse a inquinarle. Ma forse il Movimento ci ripenserà, rinuncerà a gesti che sembrerebbero dettati dallo smarrimento, più che dalla speranza di una più diffusa condivisione.

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« Risposta #87 inserito:: Luglio 17, 2011, 07:02:11 pm »

17/7/2011 - PANE AL PANE



LORENZO MONDO

«Abbattiamo i lupi». E’ l’appello di Claudio Sacchetto, assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte. Leggo sulla Repubblica che ha chiesto al ministero il permesso di sfoltire i branchi insediati nelle montagne del Cuneese e, in misura minore, del Torinese. Questo, dopo che in pochi giorni un’ottantina di pecore e capre sarebbero state uccise dai predatori: un fenomeno che «peggiora di anno in anno mettendo in ginocchio l’intero ecosistema».

Lasciamo stare che anche i lupi fanno parte dell’ecosistema, contribuendo al contenimento di altre specie come caprioli e cinghiali, ma resta il fatto che sono tutelati da normative internazionali. Lo rammenta Giuseppe Canavese, vicedirettore del Parco Alpi Marittime, che esprime inoltre scetticismo sulla totale responsabilità dei lupi negli ultimi episodi (attribuibili anche a cause diverse come cani randagi e cadute in precipizi). In ogni caso la loro uccisione sarebbe ammissibile soltanto quando la popolazione avesse raggiunto un minimo vitale, ancora lontano sulle montagne piemontesi. Si parla infatti di una settantina di esemplari, insidiati tra l’altro dalle esche avvelenate e dagli investimenti stradali, funesti per i più avventurosi che scendono a valle.

Non si capisce dunque quale sia per il nostro assessore il numero ottimale da preservare e se l’abbattimento selettivo debba esercitarsi, previa identificazione, sui lupi più cattivi e ingordi. Ritengo che soltanto un pericolo per l’uomo, ritenuto improbabile dagli esperti, potrebbe giustificare l’eliminazione del fiero, irriducibile animale, sopravvissuto in Europa all’invasivo cemento e alle nere leggende (le Cappuccetto Rosso dei nostri tempi sono vittime di uomini che non hanno bisogno di travestimenti lupeschi). In un mondo così addomesticato e adulterato è bene che sopravvivano, a monito e conforto, le testimonianze di una natura primigenia, non necessariamente nemica. Viene opposto dagli avversari il problema dei costi (che d’altronde vale anche per i parchi naturali), dei danni ai pastori e ai coltivatori.

Essi hanno comportato nel caso, per l’anno passato, un indennizzo di 65.000 euro da parte della Regione. Ma possono essere contenuti incrementando i dissuasori di varia natura, dall’utilizzo di cani addestrati alle recinzioni elettrificate. Apparirebbero comunque sopportabili e ininfluenti rispetto ai valori in gioco: basterebbe abolire qualche auto blu, qualche privilegio insolente della «casta» per pareggiare i conti, per assolvere una pur spiacevole strage di pecore. Se a questo si limita lo scotto da pagare, sto con i lupi.

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« Risposta #88 inserito:: Luglio 25, 2011, 12:00:19 pm »

24/7/2011 - PANE AL PANE

Il Partenone dei finlandesi

LORENZO MONDO

Sono anni che dalla Grecia si richiede alla Gran Bretagna la restituzione delle metope del Partenone conservate al British Museum. I preziosi bassorilievi, attribuiti a Fidia, furono depredati da Lord Elgin, con il beneplacito del sultano di Costantinopoli, infliggendo una grave ferita al gran monumento e alla sensibilità della Grecia, resa più acuta in tempi recenti. Ma le rivendicazioni sarebbero state vanificate, rese obsolete, se avesse trovato corso la richiesta di sequestrare addirittura il tempio dedicato alla vergine Atena.

Nell’esplosione della crisi finanziaria che attanaglia la Grecia e mentre si trattava convulsamente in sede europea per il suo salvataggio, dalla Finlandia è arrivata la proposta di chiedere come garanzia, in cambio degli aiuti, i beni dello Stato greco, dalle isole all’Acropoli e, appunto, al Partenone. Sembra che l’iniziativa sia dovuta al partito dei «veri finlandesi», un raggruppamento della destra populista premiato dalle recenti elezioni.

Si ignora cosa avrebbe comportato la rivalsa nel caso di un fallimento da parte di Atene. I creditori si sarebbero limitati a incassare indefinitamente i proventi turistici o avrebbero smantellato il tempio per ricostruirlo magari in una landa dell’estremo Nord? E’ inevitabile che, quando si parla di Grecia, si faccia riferimento al suo superbo passato. E’ il suo privilegio e la sua condanna. Anche ora i vignettisti ne hanno tratto alimento, come l’eccellente Giannelli che ha segnalato l’impotenza della Venere di Cnido, assimilata alla Grecia e chiamata a «rimboccarsi le maniche» pur essendo priva di braccia. Ma si tratta appunto di scherzosi commenti, sopravanzati dalla barzelletta arrivata per vie diplomatiche da Helsinki.

Non ci si aspetterebbe che severi consessi si comportassero come il famoso Totò che vende a un americano la Fontana di Trevi. A parte la traballante solidarietà europeistica, dovrebbe essere ormai radicata, come acquisto civile, la consapevolezza che i beni artistici e culturali sono inalienabili, appartengono al loro contesto, tanto più quando esprimono l’anima di un popolo e di una nazione. Di più, hanno un valore che prescinde dalla loro mercificazione, da un impiego utilitario. Ovviamente, il Partenone passerà indenne tra le tempeste finanziarie, l’Acropoli non subirà l’assalto di nuovi Persiani in veste di burocrati e contabili. La proposta avanzata dalla Finlandia resterà a testimoniare le amene bizzarrie che amano celarsi negli interstizi della Storia, delle sue drammatiche vicende.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9015
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« Risposta #89 inserito:: Luglio 31, 2011, 11:27:37 am »

31/7/2011 - PANE AL PANE

Uno strano Paese

LORENZO MONDO

Dai resoconti dei viaggiatori, siamo informati che esiste uno strano Paese, mimetizzato tra quelli normali, in cui non vorremmo vivere, anche se ci lusinga con le avvincenti testimonianze di una perduta civiltà e le impareggiabili bellezze naturali. A essere di troppo sono gli abitatori, tra i quali si conta un numero inaudito di lestofanti. Imperversano i ladri, in tutta l’estensione del termine e in tutti i ceti sociali. Non suscitano stupore ma un tetro umorismo gli incalzanti bollettini delle forze dell’ordine che segnalano casi estremi di illegalità: qui è l’arresto di trenta affiliati alle sette criminali, là la denuncia di mille, opulenti evasori fiscali (trenta e mille sono i numeri che ricorrono con maggiore frequenza).

Cambiando scenario, scendendo cioè a livelli più popolari, impressiona la quantità spropositata dei falsi invalidi e quella dei morti che continuano, per anni, a fruttare pensioni ai fraudolenti eredi. Quanto alle carceri, rigurgitano di detenuti, i tribunali sono intasati e il solo rimedio proposto per sfoltire i ranghi è l’amnistia: invece di processi più celeri ed equi o di nuove prigioni.

Il Paese risente di una grave crisi economica, anche se la povertà è occultata da una frenesia di consumi, i ristoranti sono sempre pieni e le vacanze appaiono irrinunciabili: forse al mal’acquisto della ricchezza, a una superstite fascia di agiatezza, va aggiunta la spensieratezza dei giovani che danno fondo ai faticati risparmi dei genitori.

Le istituzioni, i rappresentanti politici, esortano alla sobrietà e impongono sacrifici, con una insolenza che dovrebbe apparire intollerabile, poiché si astengono in blocco dall’intaccare i propri privilegi, dal contrastare a tutto campo i fenomeni di corruzione. Perduti in fumose astrazioni ideologiche, in risse senza costrutto che non risparmiano alleati e affini, danno l’impressione di avere smarrito il senso della realtà, di condurre una danza insensata su una nave senza nocchiero.

Ad agitarsi sono soltanto i ribelli di professione che, rivestendo il teppismo con l’orpello di rivoluzioni defunte, scelgono a caso i loro bersagli. Assistiamo alla schizofrenia per cui, al Nord del Paese, si scende in campo contro la costruzione di una ferrovia ad alta velocità, che ha le sue ragioni, mentre al Sud avanza il progetto di un ponte faraonico, di dubbia utilità, tra sponda e sponda. Sono brandelli appena della realtà inamena che si presenta agli occhi dei viaggiatori. E non possiamo impedirci di consentire al loro perplesso, amaro disincanto.

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