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Autore Discussione: Capitalisti da rapina, la lezione dimenticata del caso Parmalat  (Letto 2874 volte)
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« inserito:: Dicembre 28, 2013, 11:49:07 pm »

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Capitalisti da rapina, la lezione dimenticata del caso Parmalat
Dieci anni fa l'azienda di Calisto Tanzi non riesce a rimborsare un debito in scadenza, si scoprono così i buchi nei bilanci truccati.
Irregolarità che tanti preferivano non vedere


di Giorgio Meletti | 27 dicembre 2013

I protagonisti del crac ammetteranno che la Parmalat aveva incominciato ad andare male nell’86, dopo l’incidente nucleare di Chernobyl che aveva messo in ginocchio il settore lattiero-caseario. E che fino all’8 dicembre 2003, Calisto Tanzi e il suo contabile Fausto Tonna, avevano truccato i bilanci, per farsi dare credito dalle banche e poi vendere sul mercato obbligazioni per tappare i buchi. Il giorno dell’Immacolata, cadde il castello di carte. Parmalat non aveva i soldi neppure per rimborsare un’obbligazione in scadenza da 150 milioni. Ma di titoli di debito dell’azienda di Tanzi ce n’erano in giro per una dozzina di miliardi di euro, sette dei quali in mano a 30 mila risparmiatori che alla fine hanno recuperato, in azioni della nuova Parmalat, poco meno del 50 per cento dei loro soldi.

Il 19 dicembre un fax della Bank of America di New York spiega che il deposito di denaro liquido pari 3,95 miliardi di euro, vantato da Parmalat nei suoi bilanci, non esiste. L’estratto conto nelle carte contabili del gruppo di Collecchio, pochi chilometri da Parma, è un falso fatto con i trasferelli dalla banda di ragionieri che, apparentemente, ha preso per il naso per 15 anni banche, autorità di controllo e politici. È la prima lezione del caso Parmalat: maghi della finanza si rivelano mediocri imbroglioni, e un attento sistema di potere li ha lasciati fare. Il giorno di Santo Stefano Tanzi viene arrestato, e con lui Tonna, gli altri manager Parmalat Luciano Del Soldato, Gianfranco Bocchi e Claudio Pessina , e il presidente della società di revisione Grant Thornton, Lorenzo Penca. Il crac da oltre 14 miliardi di euro supera quello americano della Enron (11 miliardi nel 2001). Ieri Tanzi e la Parmalat, oggi Ligresti e la Fonsai. Sembra che nulla sia cambiato. Eppure il crac di Collecchio aveva offerto preziose lezioni sul capitalismo di rapina.

L’imprenditore d’area

I politici italiani non hanno mai smesso di esibire gli imprenditori di riferimento. Tanzi a metà anni 80 viene spinto dallo strapotente Ciriaco De Mita a svenarsi per Odeon Tv: Bettino Craxi ha Silvio Berlusconi, il segretario Dc vuole il suo network. Tanzi viene dissuaso dal vendere la già zoppicante Parmalat ai francesi della Danone che gli offrono 700 miliardi di lire: de- ve continuare a mungere le vacche per continuare a farsi mungere dalla Dc, che in cambio lo raccomanda ai banchieri amici. La Parmalat, che è sem- pre in perdita ma non lo dice, riesce a quotarsi in Borsa nel 1990, per mungere i piccoli risparmiatori.

L’arte di non vedere

Parmalat dieci anni fa, come Monte dei Paschi nel 2007, come Fonsai da sempre. Le guardie del mercato (Consob per le società quotate, Banca d’Italia per le banche, Isvap per le assicurazioni) sembrano non accorgersi di nulla. Spiega Tonna ai magistrati: “I bilanci da noi presentati alle banche, pur contenendo dati non veritieri, non erano sufficientemente idonei a ingannare una persona esperta”. Già nel 1997 il ragioniere Mario Vella, incaricato di una perizia per conto della procura di Parma, scrive: “Si può certamente affermare che senza l’appoggio del sistema (bancario) e la sua disponibilità a rinnovare il credito concesso, l’impresa non riuscirebbe a sussistere”. Vella sollecita i magistrati a controllare i bilanci di tutte le società del gruppo. Il gip Adriano Padula archivia. Nel libro “Mani sporche”, Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio racconteranno poi che “Padula ha viaggiato due volte con Parmatour (la società turistica di Tanzi) senza pagare il conto: il Csm nel 2006 lo punirà` trasferendolo in un altro ufficio e levandogli sei mesi di anzianità”.

Le banche, alle volte, sono generose

Tanzi e Tonna ci hanno insegnato che se chiedi alla banca 10 mila euro per la tua aziendina difficilmente li avrai, se invece sei pronto a indebitarti per 10 miliardi che sicuramente non potrai restituire ecco il tappeto rosso. Detta Tonna a verbale: “Le banche proponevano molto spesso alla Parmalat le emissioni di bond sulle quali percepivano laute commissioni, con conseguenti bonus a fine anno ai funzionari che partecipavano all’operazione”. Si mettono in coda: JP Morgan Chase Manhattan, Bnp Paribas, Deutsche Bank, Citigroup, Morgan Stanley, Merrill Lynch… Quando il commissario della Parmalat, Enrico Bondi, ha minacciato le banche di azioni legali, quasi tutte hanno firmato una transazione, restituendo un po’ dei loro guadagni e finanziando per questa via (con oltre 2 miliardi di euro) il salvataggi dell’azienda e dei suoi 17 mila posti di lavoro.

Il banchiere di sistema

Cesare Geronzi sostiene che Tanzi dice solo falsità. Però l’ex presidente di Capitalia si è beccato cinque anni per bancarotta in appello lo scorso 7 giugno con l’accusa di aver costretto Parmalat a comprare dall’imprenditore Giuseppe Ciarrapico (in difficoltà) le acque minerali Ciappazzi. Povero Tanzi, all’inizio era lui che comandava il gioco: “Il rapporto con Geronzi si è consolidato quando mi ha chiesto di intercedere presso la Dc per far nominare Pellegrino Capaldo presidente della Cassa di Risparmio di Roma, cosa che io riuscii a fare convincendo De Mita, Goria e Andreotti. Analoga operazione fu da me condotta prima della creazione della Banca di Roma quando Geronzi mi chiese di chiedere alla Dc di non interferire nell’operazione di fusione. Io, in questa circostanza, parlai solo con De Mita e Goria chiedendo di non ostacolare l’operazione… In cambio, in tutti questi anni, Banca di Roma (Capitalia) ha sempre aiutato il nostro gruppo”. Una volta che il cappio dei debiti è stretto, Tanzi deve obbedire. Oltre alla Ciappazzi compra la Eurolat dalla Cirio di Sergio Cragnotti. Tonna ricorda: “Ci dissero che, se non avessimo fatto l’operazione, i rapporti tra Parmalat e Banca di Roma si sarebbero compromessi”.

I soldi ai politici

Tra i pochi imprenditori che hanno attraversato indenni il ciclone Mani Pulite, Tanzi sembra diventare il nuovo bancomat dei politici negli anni 90. I magistrati che lo hanno condannato a 18 anni per bancarotta (in appello) e a 10 anni a Milano per aggiotaggio e altri reati borsistici hanno accertato che a partire dal 1993 Parmalat ha speso almeno 12 milioni di euro per finanziare illecitamente “membri del Parlamento nazionale, consiglieri regionali, provinciali e comunali, presidenti, segretari e direttori politici e amministrativi dei partiti”. Tanzi al momento dell’arresto snocciola decine di nomi, poi fa marcia indietro. Il pm di Parma Vito Zincani interroga tutti e così conclude: “A un primo gruppo appartengono coloro che hanno negato di aver ricevuto contributi (Stefani, Speroni, D’Alema, Dini, Fini, De Mita, Tabacci, Sanza, Scalfaro, Bersani, Lusetti, Gargani). A un secondo gruppo coloro che hanno ammesso di aver ricevuto finanziamenti nei limiti previsti dalla legge (Casini, Libe, Prodi, Buttiglione, Ubaldi, Castagnetti, Duce, Segni, Sanese). A un terzo gruppo coloro che hanno intrattenuto rapporti con Tanzi in epoche passate ben oltre il limite di prescrizione dei reati eventualmente commessi (Forlani, Colombo, Pomicino, Fabbri, Signorile, Mannino, Fracanzani). Nessuno, ovviamente, ha ammesso di aver ricevuto illeciti finanziamenti”.

Latte e circenses

Il gioiellino di casa era il Parma calcio. Arrivano a giocare per Tanzi alcuni tra i migliori campioni dell’epoca. Ma il gioiellino costa, e allora si trova il modo di farlo pagare alla Parmalat. Da pochi giorni sono indagati dalla Procura di Parma, per bancarotta fraudolenta, 11 ex campioni gialloblu: da Hernan Crespo a Sebastian Veron a Dino Baggio. Con loro sono accusati 15 ex dirigenti. Per non far pesare i loro stipendi sui conti della squadra, la Parmalat se ne faceva carico sotto forma di fittizi contratti pubblicitari e di sponsorizzazione. Un giochino da 8 milioni di euro. Il conto dei circenses prima o poi torna indietro.

da Il Fatto Quotidiano dell’8 dicembre 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/27/capitalisti-da-rapina-la-lezione-dimenticata-del-caso-parmalat/825141/
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 28, 2013, 11:51:51 pm »

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Parmalat dieci anni dopo lo scandalo, ecco cosa rimane del buco più grande d’Europa
Ognuno dei protagonisti del crac ha trovato la propria dimensione. Fausto Tonna ha da 8 anni un contratto a progetto in una società della provincia. Stefano Tanzi è impiegato in una ditta di ceramiche del distretto di Sassuolo. il capocontabile che fece sparire tutti i documenti lavora in un'azienda della "food valley" parmense. Calisto Tanzi ha già accumulato 37 anni di condanne: ma del suo tesoretto ben poco è venuto a galla. E c'è un filo rosso che lega Tanzi e Ligresti


di C. Iotti e G. Scacciavillani | 26 dicembre 2013

“No ma questo all’opinione pubblica non gliene frega un cazzo! Fossi un uomo pubblico, allora sì. Ma questa è una diatriba privata, ma che cazzo gliene frega alla gente! … Tu prendi come sempre come mira Parmalat. Parmalat, c’è gente che è rimasta in mutande, tu credi che a qualcuno gliene freghi qualcosa?”. E’ un giudizio piuttosto crudo, quello che emerge dalle conversazioni captate dalle fiamme gialle a quasi dieci anni dal crac di Collecchio tra due dei personaggi di un’altra pagina nera della finanza italiana, ma in buona parte ancora da scrivere: il tracollo della galassia Ligresti. A parlare, infatti, è Alberto Alderisio, uomo di fiducia di Salvatore Ligresti, che il 15 aprile 2013 incalza l’ex amministratore delegato di Fondiaria Sai, Fausto Marchionni, vistosamente preoccupato di ciò che la gente dirà di lui:  “E per me verrà fuori: ‘l’azienda ha fatto crac, lui si è messo in tesca questi soldi’, magari il figlio della ministra (Annamaria Cancellieri, ndr) se n’è messi in tasca di più ma ce lo dimentichiamo e … verrà fuori una cosa di sto genere!”, si era lamentato con il suo interlocutore.

CALISTO ATTENDE L’ULTIMA SENTENZA. E mentre per qualcuno i danni del passato di Collecchio sono ormai un ricordo lontano che non interessa a nessuno, in casa Tanzi la famiglia dell’ex re del latte e i suoi più stretti collaboratori sono riusciti nella non facile impresa di ritagliarsi una vita tranquilla e agiata. Lontani dalle telecamere e dai giornali, ognuno dei protagonisti del crac Parmalat ha trovato infatti la propria dimensione. Tranne Calisto Tanzi che, ormai 75enne, ha sul capo 37 anni di condanne accumulate nei vari processi a suo carico tra primo e secondo grado di giudizio e sta già scontando 8 anni per aggiotaggio agli arresti domiciliari presso l’ospedale di Parma, mentre attende per la prossima primavera il verdetto della Cassazione sulla condanna a 17 anni e 10 mesi per bancarotta che potrebbe riportarlo in carcere.

IL TESORETTO? MAI TROVATO. Del suo mitico tesoretto ben poco è venuto a galla e tra questo poco ci sono i quadri per un centinaio di milioni di euro rinvenuti nel 2009, anche se le leggende metropolitane raccontano di imbarcazioni di lusso ormeggiate in riviera che, in quelle calde ore di fine 2003, nel giro di una notte hanno cambiato nome con una semplice mano di vernice. Gli altri, intanto, sono tornati ad essere liberi cittadini. Che però si tengono a distanza di sicurezza dal mondo della finanza creativa che dieci anni fa ha generato un crac da 14,3 miliardi di euro, tuttora un record europeo, danneggiando almeno 145mila piccoli risparmiatori.

IL CREATIVO FINANZIARIO TONNA: “TUTTE BALLE”. Il 62enne direttore finanziario di quella che fu la multinazionale del latte di Collecchio, Fausto Tonna, condannato in secondo grado a nove anni e dieci mesi di reclusione, lavora oggi con un contratto a progetto alla Prisma, società di Casale Mezzani, nell’immediata periferia di Parma, specializzata nella produzione di porte automatiche. Sarà anche precario, ma fatto sta che l’ex direttore creativo dell’area finanza di Collecchio è alla Prisma da ormai otto anni. Nell’azienda che fa capo a Luciano Sorio si occupa di amministrazione, non di conti come spiegava in un’intervista rilasciata a Repubblica il 17 luglio del 2005. “Il mio è stato uno sputtanamento planetario – raccontava Tonna – Se anche volessi cercare lavoro all’estero, non potrei. Ormai sono marchiato. Tonna, quello del crac, quello dei conti truccati, quello che ha affossato la Parmalat. Quasi tutte balle. La metà delle cose delle quali mi hanno accusato sono false”.

LA FAMIGLIA E I MANGER SI RICOLLOCANO. T&T, come vennero ribattezzati Tanzi e Tonna, non sono più insomma i vertici della multinazionale che dava lavoro a 36mila persone in tutto il mondo e poteva contare su un giro d’affari da oltre 6 miliardi di euro depurati dal dato falso dichiarato all’epoca, ma la coppia al centro del più grosso fallimento della storia economica italiana e del Vecchio Continente non è dietro le sbarre. “Qui mi vengono a trovare moglie e figli”, dichiarava Tanzi in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera lo scorso 17 ottobre. Stefano, il figlio di Calisto con la passione per il calcio, non lavora poi così lontano: dopo aver patteggiato almeno 7 anni tra un filone e l’altro del processo a Collecchio, ha trovato impiego alla Ceramiche Ricchetti degli eredi di Oscar Zannoni, imprenditore del distretto di Sassuolo scomparso nel 2009 e noto alle cronache finanziarie per aver fatto parte fin dalle origini del salotto buono di Mediobanca ed essere stato consigliere della FonSai dei Ligresti.

La sorella maggiore di Stefano, Francesca, ex numero uno dei villaggi Parmatour per il cui crac nel 2007 ha patteggiato 6 anni e cinque mesi (almeno 120 i giorni trascorsi in carcere), ha lasciato Parma ma è rimasta nel settore: qualche anno fa si è trasferita in provincia di Padova dove è ripartita gestendo un albergo, il Blue Dream Hotel di Monselice, mentre sua sorella Laura vive una vita defilata fra l’Italia e la Svizzera. A far parlare di lei solo il marito Stefano Strini che, dopo essere stato coinvolto nel ritrovamento dei quadri da un centinaio di milioni nella cantina di famiglia, si è reinventato kebabbaro nel quartiere storico della movida di Parma. Scomparsa dalla scena finanziaria, poi, Paola Visconti, la figlia di Anna Maria, sorella di Calisto. Tra i protagonisti del film Il gioiellino sulla grande truffa di Collecchio, è stata l’unica donna ad aver fatto parte del consiglio della Parmalat ma sostiene di essere entrata subito in contrasto in contrasto con la gestione di T&T perché, raccontò ai pm voleva “un’amministrazione più moderna”. A lei fanno ancora capo il 2,9% della holding Coloniale in amministrazione straordinaria. Così come a Stefano fa riferimento una quota dello 0,97% oltre al 50% di Tourpart srl e al 2% di Utilitas srl (Gruppo Acqua holding sa).

Oltre agli eredi e a Tonna, si è ricollocata sul mercato anche la prima linea manageriale della Parmalat dei Tanzi. Come per esempio Gianfranco Bocchi, l’ex capocontabile che nelle ore del disastro su ordine di Tonna fece sparire la documentazione contabile del gruppo spargendola tra i cassonetti del territorio e il tritacarne di casa, dopo aver patteggiato tre anni e cinque mesi nel 2007, si è riciclato nella Rodolfi Mansueto, società della food valley parmigiana che deve le sue fortune al pomodoro. Insomma, processo e pene a parte, tutto sembra essere tornato alla normalità della tranquilla vita di provincia.

E LE BANCHE? STANNO BENE GRAZIE. E le banche che Tanzi ha chiamato tante volte in causa nelle aule dei tribunali? Stanno bene, grazie. Anche perché la liquidità raccolta dal commissario straordinario Enrico Bondi grazie alla cause legali contro istituti di credito, revisori e manager seguite alla bancarotta di Collecchio ha sfiorato quota 2 miliardi di euro, cioè soltanto il 14,3% circa del buco. Senza contare che le banche che avevano finanziato Parmalat per anni ne avevano ricavato lauti profitti tra commissioni e interessi salati. Il filone giudiziario che si è occupato delle responsabilità degli istituti stranieri, però, nel 2011 ha registrato una sonora sconfitta con l’assoluzione degli imputati per aggiotaggio informativo, mentre tra le poche condanne si registra quella “eccellente”, ma non ancora definitiva, dell’ex presidente di Capitalia (oggi Unicredit), Cesare Geronzi e del suo allora amministratore delegato, Matteo Arpe. Entrambi nel giugno scorso si sono visti confermare in Appello a Bologna la condanna di primo grado nel filone Ciappazzi: 5 anni per bancarotta fraudolenta e usura il primo e tre anni e sette mesi per bancarotta il secondo. Ma sul verdetto incombe ancora il verdetto della Cassazione.

FRANCESCA TANZI COME GIULIA LIGRESTI. Complessivamente, però, ben poco è cambiato, come dimostra anche solo la storia recente della Ligresti’s Dinasty che in questo anniversario ha preso il posto della  famiglia Tanzi ormai sbiadita nei ricordi degli italiani. Le similitudini tra i due casi non mancano, a partire dalle accuse delle figlie dei patriarchi. “Suo padre dice che a inguaiare la Parmalat sono state le banche. E’ d’accordo?”, chiedeva a Francesca Tanzi un giornalista di Repubblica nel 2011. “Non lo so, ma quelli che ci hanno rovinato comandano ancora l’Italia”, era stata la risposta dell’ex zarina del turismo di Collecchio che a differenza di Giulia Ligresti, non ha voluto andare troppo a fondo e alla domanda: Chi sono?, ha risposto: “Niente nomi”. C’è qualcuno tra politici, banchieri, personaggi illustri che ha girato le spalle ai Tanzi? “Il 90 per cento della corte”.

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/26/parmalat-dieci-anni-dopo-lo-scandalo-ecco-cosa-ne-e-rimasto-del-buco-piu-grande-deuropa/820648/
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