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3826  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FEDERICO GEREMICCA - Il sentiero stretto di Matteo inserito:: Febbraio 12, 2018, 06:45:54 pm
Il sentiero stretto di Matteo

Pubblicato il 12/02/2018

FEDERICO GEREMICCA

Matteo Renzi non è contento. Giunti ormai a tre sole settimane dal voto, infatti, la campagna elettorale non cambia verso, ogni nuovo avvenimento (si pensi ai fatti di Macerata) pare moltiplicare le difficoltà del Pd e soprattutto - lamenta il segretario - «tutto è usato contro di me». Annotazione, quest’ultima, senz’altro vera: e che pare il contrappasso di quel che accadeva appena tre anni e mezzo fa, quando il 40% ottenuto alle elezioni europee certificò un consenso ed un pubblico sentire secondo il quale qualunque cosa Renzi dicesse o facesse era quella più innovativa, sensata e giusta da fare.

Quanta acqua sia passata sotto i ponti da quel maggio 2014 a oggi, è cosa nota. Meno pubbliche e conosciute, forse, sono invece le ultimissime preoccupazioni del leader dei democratici, che arrivano soprattutto dal continuo monitoraggio di sondaggi e orientamenti dell’opinione pubblica. Le rilevazioni commissionate dal Pd confermano - e in alcuni casi amplificano - le forti difficoltà segnalate da tutti gli istituti di ricerca: con un paio di soglie di sicurezza già infrante o vicine all’esser abbattute. 

La prima è quella che riguarda il possibile risultato proprio dei democratici, oggi stimati al di sotto di quanto ottenuto dal Pd di Bersani nel 2013; la seconda è quell’uno per cento che le liste alleate devono assolutamente superare affinché i voti ottenuti non finiscano letteralmente al macero, non determinando l’elezione di alcun parlamentare: e quell’uno per cento, al momento, verrebbe superato solo da «+Europa» di Emma Bonino.

Un quadro tutt’altro che rassicurante, dunque. E una tendenza, per di più, che pare difficilissima da invertire anche in ragione di quel «tutto è usato contro di me». A colpire Matteo Renzi, in particolare, è stata l’evoluzione dei fatti di Macerata, cominciati con colpi di pistola contro dei giovani di colore e contro la sede del Partito democratico e finiti con un corteo organizzato da movimenti di sinistra e trasformatosi in una dura manifestazione contro il governo ed il Pd: «Sparano contro le nostre sedi e contro gli immigrati - ha annotato Renzi - e invece di prendersela con Salvini accusano me».

Il fatto è che, nonostante il tentativo del segretario Pd di abbassare i toni e denunciare speculazioni politiche, l’ex rottamatore si è ritrovato nuovamente stretto (ma stavolta alla vigilia del voto) nella solita e micidiale tenaglia che minaccia, da sempre, la sinistra di governo: da una parte i settori più moderati e spaventati del Paese che chiedono «regole dure» contro l’immigrazione clandestina; dall’altra il variegatissimo mondo della sinistra che contesta, appunto, le «regole dure» varate quest’estate dal ministro Minniti (che oggi, con evidenti rischi di contestazione, sarà a Firenze per un’iniziativa elettorale proprio con Matteo Renzi).

La tendenza, insomma, è quella che è: e al di là dell’annotazione che dall’avvio della Seconda Repubblica a oggi mai una maggioranza di governo è stata poi riconfermata alle elezioni, invertirne il segno appare quanto mai complicato. Non a caso, sono settimane che Matteo Renzi riflette e pensa alle possibili mosse in un dopo-voto che dovesse vedere il Pd seccamente battuto. Le liste elettorali - che tante tensioni hanno determinato nel Pd - sono state per esempio costruite guardando appunto al 5 marzo e alla necessità di avere gruppi parlamentari di «fedelissimi». E non è l’unica mossa che pare esser stata compiuta guardando ad un futuro che si annuncia burrascoso.

Non si è forse ragionato a sufficienza, per esempio, su una scelta assai sorprendente effettuata da Matteo Renzi: quella di candidarsi al Senato, dopo una lunghissima campagna referendaria impegnata a dimostrare - tra l’altro - quanto quella Camera fosse inutile, costosa e perfino dannosa per il buon funzionamento del sistema democratico. Cambiare idea non è, ovviamente, un delitto: ma in questo caso la conversione del segretario Pd è stata tanto convinta e fulminante da spingerlo a candidare al Senato quasi tutti i suoi cosiddetti «fedelissimi» (Boschi e Lotti esclusi, crediamo, solo per motivi di età). Singolare.

E a qualcuno, infatti - soprattutto nel Pd - questa scelta è apparsa né neutra né casuale. Così, i sospetti si sprecano. Il gruppo di «fedelissimi» voluto al Senato - si ipotizza - potrebbe trasformarsi nel «nucleo fondativo» di un nuovo soggetto politico, nel caso Renzi dovesse perdere la sua battaglia nel partito, se sconfitto alle elezioni. E qualcun altro aggiunge: quel drappello di senatori è destinato a costituire una sorta di «opposizione di blocco» capace di condizionare nascita e morte di qualunque governo.

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Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2018/02/12/cultura/opinioni/editoriali/il-sentiero-stretto-di-matteo-vROvDUG5yjFkCqCPyjxBUL/pagina.html
3827  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / MONICA RUBINO. Franceschini: "Salvini cavalca la paura, i moderati riflettano" inserito:: Febbraio 12, 2018, 06:44:41 pm
Elezioni, Franceschini: "Salvini cavalca la paura, i moderati riflettano"
Il ministro dei Beni culturali a Circo Massimo su Radio Capital difende il direttore del Museo Egizio di Torino dagli attacchi di Giorgia Meloni

Di MONICA RUBINO
12 febbraio 2018

ROMA - "Salvini cavalca le paure per prendere qualche voto in più". Il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini a Circo Massimo su Radio Capital va all'attacco del leader della Lega e fa un appello ai moderati di centrodestra: "Salvini fa come tutti i populisti europei: prende le paure reali dei cittadini e invece di affrontarle le cavalca per prendere qualche voto in più. Non abbiamo niente a che spartire con lui. Un certo elettorato moderato di centrodestra dovrebbe pensarci prima di mettersi in mano a lui".

• L'APPELLO AI MODERATI: LA DESTRA E' POPULISTA
Il ministro si dice preoccupato, infatti, da una vittoria del centrodestra perché "questa coalizione è profondamente cambiata: non è più a trazione berlusconiana, quindi moderata, ma si è trasformata a larga maggioranza in una destra estrema e populista".

Quanto all'effetto Macerata sui sondaggi, che vedono il Pd scivolato al 20% a causa dell'atteggiamento "troppo tiepido", Franceschini aggiunge: "Ci vuole sempre prudenza nel valutare i sondaggi, la mobilità dell'elettorato è cresciuta, si decide negli ultimi giorni, addirittura nelle ultime ore. In ogni caso trovo terribile che i fatti di Macerata siano diventati un argomento di campagna elettorale".

• NO ALLA GRANDE COALIZIONE
Franceschini esclude poi una ipotesi di grande coalizione dopo il voto, se nessuno dovesse vincere le elezioni: "Lo schema non è mai stato in piedi in Italia. In Germania è fatta da partiti che l'hanno già vissuta e dopo aver discusso per tanto sul programma lo attuano. Qui, quando è stata fatta all'inizio di questa legislatura, abbiamo assistito in maggioranza alla stessa conflittualità tra maggioranza e opposizione. Non credo possa funzionare". "Le scelte dopo il voto dipendono da chi vince e dal capo dello Stato  - continua -  tornare a votare con la stessa legge produrrebbe lo stesso risultato". E aggiunge: "Se andasse avanti il governo Gentiloni, di cui anche io faccio parte, sarebbe la conseguenza di un risultato di stallo. E non sarebbe un buon risultato".

• LA DIFESA DEL DIRETTORE DEL MUSEO EGIZIO
Sul caso di Christian Greco, il direttore del Museo Egizio di Torino attaccato da Giorgia Meloni per i biglietti scontati alle coppie arabe, Franceschini ribadisce la sua solidarietà, espressa anche da Matteo Renzi in un tweet in cui loda la presa di posizione del ministro: "Il direttore Greco è bravissimo - ribadisce ancora Franceschini -  Noi a fare i direttori dei musei abbiamo mandato persone competenti; la destra dice invece: 'quando arrivano se non ubbidiscono li cacciamo via'".

In merito alla proposta avanzata dalla sindaca di Roma Virginia Raggi di rendere gratuiti i Fori imperiali, il ministro risponde: "Sull'area archeologica centrale a Roma c'è una mia lettera al Campidoglio ancora senza risposta in cui avevo offerto un tavolo. Hanno detto che ne parleranno con il prossimo ministro: aspetteremo". E aggiunge in risposta al manifesto di 70 intellettuali italiani che lo accuso di aver puntato solo alla fruizione dei beni culturali e non alla tutela: "Con gli incassi si paga l'attività scientifica. Al Pantheon si pagheranno due euro: ci saranno milioni di euro che manterranno in Pantheon e gli altri monumenti. Che c'è di male?".

© Riproduzione riservata 12 febbraio 2018

Da - http://www.repubblica.it/politica/2018/02/12/news/elezioni_franceschini_circo_massimo-188657871/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T1
3828  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Se si sono espressi in modo che tu possa pensarlo (il loro perdonare)... inserito:: Febbraio 12, 2018, 06:41:56 pm
Eleonora R. Se si sono espressi in modo che tu possa pensarlo (il loro perdonare) e tu sei consapevole del tuo io, di chi sei e cosa vali (o potresti valere), sono poca cosa e poche persone. E' sulla considerazione di te che devi riflettere con te stessa (si chiama autostima) dopo averlo fatto nel profondo potresti trovarti "insufficiente" ... allora sì che devi chiedere perdono, ma soltanto a te stessa e solo per non avere ancora cominciato ad irrobustire (e migliorare) il bagaglio dei tuoi valori. Per quanto concerne l'amore: donare amore è il modo migliore per trarne serenità ... per quello carnale, bisogna saper aspettare chi lo merita è un grande dono, per una donna, da non concedere facilmente.
ciaooo   
3829  Forum Pubblico / I GIUSTI MAESTRI / Addio a Giuseppe Galasso, lo storico napoletano inserito:: Febbraio 12, 2018, 06:12:31 pm
Addio a Giuseppe Galasso, lo storico napoletano
E' morto nella notte nella sua casa di Pozzuoli, aveva 88 anni. Mattarella: "Grande figura del mondo intellettuale italiano"

12 febbraio 2018

E' morto nella notte nella sua casa di Pozzuoli, aveva 88 anni. E' scomparso lo storico napoletano Giuseppe Galasso.  Era attualmente docente di storia moderna all'università Suor Orsola Benincasa di Napoli.

Decine le sue pubblicazioni molte delle quali incentrate sulla storia del Mezzogiorno. E' stato deputato della Repubblica e sottosegretario, dall'83 all'87 durante il governo Craxi, del ministero dei Beni culturali.

Galasso, classe '29, è stato uno storico, giornalista (ha scritto per Il Mattino di Napoli, il Corriere della Sera, La Stampa e L'Espresso) politico e professore universitario italiano, era presidente della Società napoletana di storia patria dal 1980; membro del consiglio scientifico della Scuola Superiore di Studi Storici di San Marino. È stato presidente della Biennale di Venezia dal dicembre 1978 al marzo 1983 e della Società Europea di Cultura dal 1982 al 1988. Dal 1977 è stato socio dell'Accademia dei Lincei.

In una delle ultime interviste a Antonio Gnoli di Repubblica, Galasso avvertiva: "Lo studio della storia marcia insieme alla passione civile ma oggi stanno tornando forze oscure e minacciose".

"Scompare con Giuseppe Galasso una grande figura del mondo intellettuale italiano. Alla sua cultura di storico e di studioso del pensiero politico ha saputo unire una ricca umanità e una incrollabile passione civile, che ha animato nel tempo il suo impegno e ha contribuito a rafforzarne l'autorevolezza". Lo dice il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

"Giuseppe Galasso ha posto la sua intelligenza a servizio dello sviluppo del Paese, coniugando con sapienza l'elaborazione di un meridionalismo moderno con l'ideale europeo -prosegue il capo dello Stato-. Uomo di governo, ha aperto una strada - anche sul piano legislativo - per la necessaria tutela del paesaggio, componente essenziale della nostra stessa identità nazionale".

"Desidero esprimere l'apprezzamento della Repubblica per il suo insegnamento e la vicinanza e la solidarietà ai familiari, agli amici che si nutrivano del confronto con lui, a tutti coloro che l'hanno conosciuto e apprezzato nel suo ruolo di professore, di esponente del pensiero laico e liberale, nel suo impegno politico e di governo, nei suoi studi che sono continuati fino a quando le forze lo hanno consentito", conclude Mattarella.

Questa era la coda che, 3 mesi fa, si era creata al @TeatroBellini per la prima lezione di storia Laterza di Giuseppe Galasso, sulla rivoluzione napoletana del 1799. Dietro il sipario, Galasso studiava emozionato il teatro stracolmo chiedendomi "Ma tutta questa gente qui per me?"
E su Twitter Piero Sorrentino, conduttore e autore di Zazà su Radio3 Rai,  posta la foto delle code a Napoli per le lezioni di storia di Galasso tre mesi fa.

© Riproduzione riservata 12 febbraio 2018

Da -  http://napoli.repubblica.it/cronaca/2018/02/12/news/morto_guiuseppe_galasso-188668071/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P3-S1.6-T1
3830  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Massimo GRAMELLINI. Baglionismo al potere inserito:: Febbraio 12, 2018, 06:10:19 pm
Baglionismo al potere

Sabato 10 febbraio 2018

  Di Massimo Gramellini

Cantanti che cantano, attori che recitano, presentatrici che presentano, fiorelli che fiorellano e ballerine che ballano, anche a 83 anni. Secondo Baglioni, il successo del festival di Baglioni rappresenta il ritorno al potere dei professionisti e la smentita che in tv funzioni soltanto la mediocrità. Se l’autore di «passerotto non andare via» avesse ragione, si tratterebbe del primo segnale di una controrivoluzione culturale, e mica solo in tv. Veniamo da anni di predominio ideologico dei dilettanti allo sbaraglio, in cui l’idea stessa di competenza ha coinciso con quella di casta. Come all’epoca del comunismo asiatico trionfante, quando gli sgherri di Mao e Pol Pot umiliavano chiunque inforcasse gli occhiali, sintomo di cultura e dunque di privilegio. Per troppo tempo la frase più letta sul web è stata: «Che ci vorrà mai a…» guidare un partito, fare funzionare un’azienda, segnare un gol, organizzare un festival?

Alla rabbia sacrosanta di chi si sente escluso non per mancanza di conoscenza, ma di conoscenze (intese come raccomandazioni) si è aggiunta quella assai meno onesta degli invidiosi, che attribuiscono il proprio fallimento a una congiura e, non sapendo innalzare se stessi, sminuiscono i talenti di chi c’è riuscito. Il Sanremo dei professionisti inaugura un’inversione di tendenza. Ma è inutile illudersi che in politica abbia già fatto proseliti. Dando un’occhiata alle liste, di favini e fiorelli se ne incontrano pochi.

10 febbraio 2018 (modifica il 10 febbraio 2018 | 07:06)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/caffe-gramellini/18_febbraio_09/baglionismo-potere-caffe-gramellini-89a8d770-0dd4-11e8-a5e0-1af35ea26b79.shtml
3831  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / EUGENIO SCALFARI. Perché Berlusconi somiglia a Mussolini ... inserito:: Febbraio 12, 2018, 06:07:36 pm
Eugenio Scalfari
Vetro soffiato

Perché Berlusconi somiglia a Mussolini
L'ex Cavaliere non è mai stato fascista.

Ma come il Duce si è sempre rivelato abilissimo a cambiare posizioni politiche

Silvio Berlusconi non è mai stato fascista, e non ha mai pensato ad ispirare la vita del popolo a ideologie come quella della antica Roma, della capitale imperiale, del Fascio Littorio e a conquistare un impero. Il fascismo è venuto da questa mitologia, era gestito da un Duce e attribuì al Re e quindi a se stesso il titolo di Imperatore.

Quindi niente fascismo per Berlusconi il quale tuttavia somiglia molto a Benito Mussolini, al punto d’essere una sorta di controfigura. Potrà sembrare assurdo sostenere una somiglianza che è quasi un’identificazione, ma questa è la realtà: un secolo dopo Mussolini è di nuovo con noi.

In che cosa consiste questa così forte somiglianza? Direi nell’estrema flessibilità politica del loro comportamento, con una sola anche se importante differenza: Mussolini cambiò musica una volta diventato Duce e distrusse la democrazia. Berlusconi a questo non ha mai aspirato e forse perché sono passati cent’anni da allora, il mondo ha ormai una società globale, la tecnologia è profondamente cambiata. Vale comunque raccontare gli aspetti di fondo di quelle due vite, entrambe ancorate dal desiderio di conquista del potere avendo come strumenti la flessibilità e il fascino che ne deriva in un popolo come il nostro, che è assai poco interessato alla politica.

Mussolini iniziò la sua vita politica sotto l’insegna del socialista rivoluzionario e direttore del giornale del partito, l’Avanti!. All’epoca della guerra di Libia che faceva parte dell’impero turco, l’Avanti! si schierò contro quella guerra incitando con articoli di Mussolini la classe operaia a bloccare i binari ferroviari e le stazioni dove transitavano i treni militari diretti a Napoli per imbarcarsi verso Tripoli. I socialisti non volevano la guerra e cercavano di impedirla in tutti i modi. Se c’era da combattere bisognava lottare in casa contro il capitalismo dominante.

Passarono appena tre anni da allora e scoppiò la prima guerra mondiale. Mussolini cambiò profondamente: divenne favorevole all’intervento italiano, fu espulso dal Psi e fondò un proprio giornale con il titolo Il Popolo d’Italia.

A guerra scoppiata, l’Italia era rimasta neutrale. L’interventismo di Mussolini aveva come ispiratore Gabriele D’Annunzio che godeva di ben altro seguito e autorevolezza culturale e politica. Fu lui in quel periodo ad essere chiamato il “vate” dell’intervento a fianco della Francia e dell’Inghilterra e con la Russia, contro l’Austria e la Germania.

Nel 1915 l’intervento avvenne, era scoppiata anche per noi la guerra mondiale. Finì nel 1918. L’anno successivo Mussolini fondò un movimento politico i “Fasci di combattimento”. Non aveva un seguito di massa, ma il suo era un piccolo movimento con qualche presenza soprattutto a Milano e in Lombardia e alcuni nuclei anche in Veneto, in Toscana e in Puglia. Il movimento mussoliniano diventò rapidamente un partito in gran parte sostenuto dagli ex combattenti, molti dei quali tornarono alle loro modeste occupazioni e orientati a favore del partito fascista che era in buona parte mobilitato a loro favore affinché lo Stato e la classe sociale ricca li sostenesse migliorando il più possibile la loro condizione.

Il partito fascista si batteva dunque per un proletariato ex combattente nella guerra appena finita ma anche con una pronunciata venatura di nazionalismo. Il programma del fascismo inizialmente era stato quello di abolire la monarchia in favore della repubblica, ma il partito nazionalista, che pure esisteva, si orientò verso una fusione con i fascisti ponendo tuttavia come condizione che essi rinunciassero all’ideale repubblicano e aderissero invece alla monarchia cosa che avvenne e culminò nel primo congresso del Partito fascista che si svolse a Napoli nel 1921.

Un anno dopo quel congresso, esattamente il 28 ottobre del 1922, ci fu la marcia su Roma dei fascisti provenienti da tutta Italia. Il re, Vittorio Emanuele III, si rese conto della loro forza e assegnò a Mussolini il compito di fare il governo. Naturalmente un governo democratico poiché i deputati fascisti rappresentavano soltanto il 30 per cento del Parlamento ma l’opinione pubblica era largamente con loro.

Fu un governo democratico con forti tinte autoritarie. C’era comunque una rappresentanza consistente del Partito popolare mentre il Senato di nomina regia era in larga misura antifascista. Così quel governo andò avanti a direzione mussoliniana fino al 1924, quando il leader socialista Matteotti fu ucciso da un gruppo di fascisti. A quel punto Mussolini aveva due strade: o dimettersi o rilanciare il governo trasformandolo da semidemocratico in dittatoriale. Scelse questa seconda strada e con le “leggi fascistissime” nel 1925 creò il regime. Da allora nasce il Duce e l’ideologia della Roma antica che sarà l’ancora culturale del fascismo.

Berlusconi non ha nessuna velleità di imitare il fascismo imperiale. La sua somiglianza con Mussolini riguarda il primo periodo del fascista, quello durante il quale Mussolini cambiò veste, linea, alleanze, cultura politica in continuazione e cioè dal 1911 fino al 1921. Da questo punto di vista tra quei due personaggi esiste, come abbiamo già detto, una pronunciata somiglianza.

Berlusconi fin da ragazzo si interessò di affari. Maestri e professori con modesti stipendi facevano un certo commercio attraverso ragazzi svegli tra i quali il più sveglio di tutti era per l’appunto Silvio. Quando c’era un compito in classe di matematica o anche di storia quegli insegnanti davano diverse versioni ma tutte degne di buoni voti a qualche ragazzo abbastanza intelligente e interessato, il quale vendeva quei compiti in classe trattenendo per sé una piccola ma interessante percentuale.

Man mano che il tempo passava l’affarismo di Berlusconi diventava per lui più conveniente. Fece traffici con banche private di dubbia moralità e ne ricavò risultati notevoli. Poi dopo la nascita delle televisioni locali (esisteva ancora il monopolio nazionale della Rai) si interessò alla pubblicità televisiva e decise di acquistare alcune televisioni locali. A Milano ne comprò due e poi una terza dalla Mondadori. A quel punto collegò tra loro le locali coprendo attraverso di esse una buona parte dell’Italia settentrionale e centrale. Aveva nel frattempo sviluppato i suoi interessi nell’edilizia e costruì la cosiddetta Milano 2 dove alloggiavano una parte dei tecnici televisivi alle sue dipendenze ottenendo le necessarie concessioni edilizie dal comune interessato.

Il possesso di un network non più locale ma seminazionale attirò naturalmente l’attenzione degli uomini politici alla guida dei partiti. Berlusconi aveva molti interessi a esserne amico usando a tal fine i poteri televisivi con i quali appoggiò soprattutto la Democrazia cristiana e il socialismo più moderato. Questa sua politica gli consentì di ottenere lavori rilevanti e gli ispirò infine il desiderio di essere anche lui direttamente il capo d’un partito. Poi arrivò la tempesta di Tangentopoli che distrusse totalmente la Democrazia cristiana. Berlusconi fondò Forza Italia mettendo alla guida della sua costruzione alcuni dei dirigenti d’una sua agenzia pubblicitaria, i quali tuttavia non avevano alcuna competenza politica ma soltanto organizzativa. La politica la faceva lui.

Per Berlusconi Tangentopoli fu una manna perché parte dei dirigenti della Dc e gran parte degli elettori democristiani affluirono al partito berlusconiano di Forza Italia. A questo punto incombevano le elezioni, era il 1994 quando Berlusconi si presentò per il battesimo elettorale. Le sue televisioni avevano appoggiato senza alcuna remora i giudici di Tangentopoli, e le elezioni andarono molto bene anche perché aveva contratto delle strane alleanze: da un lato la Lega Nord di Bossi e dall’altro il neofascismo di Fini. Bossi e Fini tra loro non si parlavano né si salutavano ma tutti e due venivano consultati da Berlusconi. Naturalmente le consultazioni erano puramente teoriche perché era solo Silvio che decideva il da farsi. Nel frattempo, ad elezioni avvenute, Berlusconi fu incaricato di formare il governo.

Questa situazione durò poco. La Lega decise di uscire dall’alleanza e Berlusconi dovette dimettersi da presidente del Consiglio. Il presidente della Repubblica, che lui sperava avrebbe respinto le dimissioni, viceversa le accettò e chiese però a lui di indicare un successore di suo gradimento per rendere meno traumatica quella crisi. Berlusconi indicò il nome di Lamberto Dini, che era stato il direttore generale della Banca d’Italia e nel suo governo il ministro del Tesoro. Dini governò per un anno e mezzo, poi nacque il primo governo Prodi che è stato probabilmente uno dei governi migliori dell’Italia degli anni Novanta.

Forza Italia è rimasto comunque un partito importante nei vent’anni che cominciano nel ’93 ed ora siamo nel 2018 Berlusconi ha governato più volte, altre volte ha perso, restando sempre un’alternativa e concentrando sul suo nome ostilità e simpatia. Adesso ha un’alleanza con Salvini e insieme all’alleanza esiste tra i due una rivalità sempre più forte e due politiche sempre più diverse tra loro ma utili ad entrambi per ottenere una forza elettorale che attualmente nei sondaggi è la più favorita delle altre: una destra unita e divisa al tempo stesso. In passato Berlusconi ha anche appoggiato la legge elettorale proposta da Renzi e sarebbe probabilmente pronto a un’alleanza o quantomeno a una favorevole amicizia politica col medesimo Renzi, il quale finora ha negato in modo totale questa eventualità.

Da questo racconto avrete ben capito che ho sostenuto che Berlusconi somiglia molto al Mussolini quale fu dal 1911 al 1925. È una curiosità storica credo di notevole importanza per il futuro.

12 febbraio 2018© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://espresso.repubblica.it/opinioni/vetro-soffiato/2018/02/08/news/perche-berlusconi-somiglia-a-mussolini-1.318124?ref=RHRR-BE
3832  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / VERGAROLLA deve esistere nella memoria, se vogliamo la pace. inserito:: Febbraio 11, 2018, 11:19:22 am

Storia.

La strage di VERGAROLLA: 70 anni dopo, la rivelazione

Lucia Bellaspiga domenica 14 agosto 2016

Il 18 agosto, settant’anni fa, era una domenica di sole. Per questo, e perché quel giorno si svolgevano importanti gare di nuoto, sulla spiaggia di Vergarolla, a Pola (Istria, allora Italia) erano accalcati almeno duemila polesani, intere famiglie, molti bambini. È in mezzo a loro che alle 14 e 15 esplosero 28 ordigni. I resti di un centinaio di persone arrossarono il mare e ricaddero a brandelli sulla pineta per centinaia di metri. Erano bombe antisommergibile e testate di siluro disinnescate da tempo, al punto che i bambini ci giocavano ogni giorno a cavalcioni e le madri vi stendevano i costumi ad asciugare, ma ore prima una mano assassina le aveva riattivate. Si era in tempo di pace, la guerra era finita un anno e mezzo prima, la Repubblica Italiana era nata da due mesi e mezzo: quella di Vergarolla è dunque la prima e la più sanguinosa strage terroristica nella storia della Repubblica, più di Piazza Fontana, più della Stazione di Bologna... Ma fu subito insabbiata e per quasi settant’anni coperta da una congiura del silenzio, in attesa che il tempo eliminasse via via i testimoni e cancellasse ogni ricordo.  Se per le grandi stragi successive decenni di indagini non sono bastati a fare chiarezza su mandanti ed esecutori, ancor più Vergarolla è rimasta avvolta in un sudario di omertà e oblio, e solo due anni fa, quando testimoni e indizi erano quasi scomparsi, sono usciti i primi studi di giovani storici. Ci sono ancora voci di chi può ricordare, per lo più bambini di allora, oggi ultra ottantenni, che conservano negli occhi il flash incancellabile di madre e padre ridotti in poltiglia («Di mia mamma fu trovato un dito, fu riconosciuto dalla fede»), un fratello o una sorella mai più ritrovati, «l’urlo dei gabbiani che si avventavano sul mare contendendosi i resti umani» ...

Antonio Riboni sulla spiaggia di Pola Ma fino a oggi nessuno che potesse raccontare il retroscena, che fornisse cioè l’indizio prezioso per confermare di persona quanto le carte degli archivi di Londra, Washington, Zagabria, Roma e Belgrado hanno da sempre avvalorato: che dietro l’eccidio di italiani ci fossero il maresciallo Tito e la polizia segreta jugoslava. Retroscena e indizio che oggi, per la prima volta, arrivano dall’altra parte del mondo: «Chi furono i mandanti a Vergarolla? La gerarchia titina, presente a Pola in quel primo dopoguerra! E tra di loro, purtroppo, anche nomi di vecchi polesani, per ideologia comunista alleatisi con Tito», afferma dall’Australia Claudio Perucich, partito da Pola a sette anni nel 1949, due anni dopo il massiccio esodo di italiani che nel 1947 svuotò la città lasciandola agli jugoslavi. «Ho molte memorie vive di quei tre anni passati sotto l’oppressivo regime jugoslavo, ma il più dei ricordi è basato su ciò che mia madre non ha mai smesso di confidarmi per tutta la vita. In particolare la storia di suo fratello, mio zio Antonio Riboni, morto a 33 anni perché non sopportava più il peso della coscienza. Una morte da cui mia madre non si è mai ripresa, come non si riprese mai dall’odiosa permanenza di mio padre in un lager titino nel ’48 e ’49, che poi ne causò la prematura scomparsa a soli 54 anni...».  Antonio Riboni era di ideali socialisti, «era anche lui membro di quella gerarchia», ma non per questo disposto a tradire l’Italia e caldeggiare l’annessione di Pola, dell’Istria e della Dalmazia alla Jugoslavia, come invece altri italiani obbedienti a Togliatti. «Quel 18 agosto 1946 anche zio Antonio era a Vergarolla con amici per una nuotata, aveva 31 anni e per due anni era stato con i partigiani. Sorpreso di vedere tanta folla seduta attorno a quelle mine, suggerì agli amici di allontanarsi da lì, salvando loro la vita. Mio zio conosceva gran parte delle persone rimaste uccise quel giorno, era tutta gente nostra e questo lo devastò dentro. Voleva sapere, voleva capire chi era stato e iniziò a indagare nei suoi ambienti, essendo lui connesso al comando filo titino di Pola».

Il farmacista Antonio Rodinis fotografò il tragico "fungo" dell'attentato Proprio per questi suoi legami, e per aver suggerito agli amici di allontanarsi dagli ordigni, nonostante tutti sapessero che erano stati disinnescati e più volte controllati dagli artificieri anglo-americani, lui stesso entrò nella lista dei sospetti del governo militare alleato, che subito aveva aperto un’inchiesta. Ma Antonio Riboni non si diede per vinto e di nascosto dai compagni di partito continuò a indagare, finché ottenne la verità che cercava «e quello che seppe lo lasciò distrutto», riferisce il nipote. «Si sentiva in parte responsabile per la miserabile   sorte della sua Pola e per quegli orrendi eventi. Aveva perso la voglia di vivere...». Un anno dopo non resse più. «Prima di morire, però, rivelò tutto a mia madre, ammonendola di non riferire a nessuno ciò che aveva scoperto, pena minacce di morte per tutta la famiglia, anche se quei suoi compagni di ideologia erano stati suoi amici fin dai tempi della scuola». Come non bastasse, proprio lui che aveva sempre avuto un cuore socialista veniva ora marchiato come “fascista” «dal nuovo comando di Pola, che loro chiamavano Pula, in quanto italiano».  Laggiù a Melbourne Perucich non dimentica nulla, la sua casa è un forziere di foto, libri, cimeli. «Mia madre era l’enciclopedia di storia della famiglia, la voce di tanti racconti tra i polesani che qui, esuli e lontani da casa, si riunivano. Non voleva che la verità andasse perduta... Ora io, dopo settant’anni di schiaffi e tre parenti morti perseguitati o di disperazione, sciolgo il peso portato tutta la vita sulle spalle. Anche se fa amarezza che l’Italia in questi settant’anni non abbia mai mostrato interesse per questa tragedia nazionale né abbia voluto sapere». Che non si trattò di incidente, ma di attentato terroristico fu chiaro da subito a Scotland Yard che indagava (Pola nel ’46 era sotto un governo militare anglo-americano che la proteggeva dai titini in attesa che a Parigi le grandi potenze decidessero se lasciarla all’Italia o cederla alla Jugoslavia), ed era evidente a tutti, pur senza rivendicazioni, che il mandante era Tito, ma oggi per la prima volta il racconto di Perucich consente di andare oltre le ipotesi e offre la testimonianza concreta che mancava.  Con un eccidio tanto efferato, che colpiva la popolazione civile in un giorno di festa e uccideva decine di bambini, Tito spezzava il sogno di una cittadinanza ancora convinta che Pola sarebbe rimasta italiana. Non scordiamo infatti che solo tre giorni prima, il 15 agosto 1946, migliaia di giovani erano accorsi nell’Arena romana per una manifestazione patriottica cantando Va, pensiero e sventolando i tricolori... E che il 17 agosto, giorno precedente la strage, a Parigi si chiudeva la sessione plenaria della Conferenza di pace e ci si accingeva a decidere sui confini adriatici d’Italia, dunque i giochi non erano chiusi e i polesani speravano ancora. Vergarolla segnò la fine di Pola e l’inizio dell’esodo, ma fu anche la prova generale della guerra fredda a livello internazionale e dello stragismo d’Italia nei decenni a venire. Tito, dittatore comunista, ma avversario di Stalin, andava blandito e così l’Occidente (Italia compresa) archiviò la mattanza. Mai un presidente della Repubblica su quella spiaggia, mai una pagina sui libri di scuola, Vergarolla non esiste. E non esisterà, nemmeno in questo anniversario, sui giornali e nei notiziari.

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3833  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Strage di VERGAROLLA: inediti segnali di attenzione (e i gabbiani innocenti) inserito:: Febbraio 11, 2018, 11:10:50 am
STRAGE DI VERGAROLLA: INEDITI SEGNALI DI ATTENZIONE

Strage di Vergarolla: inediti segnali di attenzione

A Pola è stata lunga e densa lo scorso 18 agosto la mattinata di cerimonie in memoria delle Vittime della strage di Vergarolla.
Era una domenica come 67 anni fa.

Alle 9 nel duomo cittadino mons. Desiderio Staver ha celebrato una messa solenne magnificamente allietata dal coro misto “Lino Mariani”. Nella prima fase abbiamo contato 187 partecipanti più 36 coristi: 223 in tutto. Oltre ai vertici del Libero Comune di Pola in Esilio e a diversi “rimasti”, c’erano l’on. Furio Radin, presidente dell’Unione Italiana, Giuseppina Rajko, vice-presidente della Regione Istriana, e Silvana Wruss, presidente della sezione polese della Società “Dante Alighieri”. Il sacerdote ha pregato per «i fratelli e le sorelle vittime della strage di Vergarolla», esortato l’umanità a non ripetere «il tragico rifiuto della verità e della grazia» ed invitato alla radicalità cristiana, alla chiarezza nelle scelte e alla coerenza, evitando però di scivolare sia nel fanatismo che nell’estremismo. «La nostra missione – ha osservato – è vivere secondo Cristo, senza conformarci alla mentalità di questo secolo. La ricompensa sarà la vita eterna».

Al termine della funzione religiosa il connazionale Roberto Hapacher Barissa, neo-socio del Libero Comune di Pola in Esilio, ha letto la sua toccante poesia intitolata 18 agosto 1946: Piangeva il bimbo senza la madre,/ il fratello e l’eroico padre/ che perse i figli (!), ma continuò a salvarne altri,/ pianse forse anche il Giuda traditore/ se aveva un po’ di cuore,/ impazziva il bianco gabbiano spuntando dal fumo nero,/ e qualcuno ebbe il coraggio di dire che non era vero./ Pola cadde in ginocchio sotto il sole!/ Oh Vergarolla, spiaggia di sangue e di crude urla/ che echeggiano nell’aria spinta dal vento/ Là dove erano in cento o più!/ Vergarolla, sei la tomba eterna dell’anima nostra,/ Vergarolla il mare ti bagna,/ ma nemmeno lui può farlo più delle nostre lacrime. Il coro “Mariani” ha infine eseguito il Va, pensiero accompagnato dal pubblico.
In contemporanea una delegazione della Comunità degli Italiani di Pola deponeva nel cimitero di Monte Ghiro una corona presso la tomba della famiglia Saccon, dove sono sepolte 26 persone che persero la vita in quel fatale 18 agosto 1946. Poco dopo ha fatto altrettanto una delegazione dell’LCPE insieme a Furio Radin e a Livio Dorigo, presidente del Circolo “Istria”. Il gruppo ha quindi celermente raggiunto la riva antistante la Capitaneria di Porto, dove ad attenderlo c’era il battello Ulika, sul quale già si erano imbarcati altri partecipanti alle cerimonie e che è subito partito. Davanti alla spiaggia di Vergarolla, in un simbolico scambio di ruoli, Fabrizio Radin, vice-sindaco e presidente della CI di Pola, ha lanciato in mare la corona dell’LCPE, mentre Tullio Canevari, sindaco dell’LCPE, quella congiunta della Città e della CI di Pola. Ha presenziato anche Ardemio Zimolo, vice-presidente del Consiglio comunale. Tornata rapidamente a riva e scesa dal battello, la rappresentanza si è diretta alla volta del parco Vittime di Vergarolla per le allocuzioni ufficiali presso il cippo. «Questa – ha spiegato Fabrizio Radin – è l’ultima stazione del percorso commemorativo per rendere omaggio alle Vittime dell’esplosione, che rimangono nei nostri cuori, ed è anche un luogo simbolo che accomuna esuli e rimasti. La tragedia di Vergarolla ha infatti avuto ripercussioni determinanti sia per coloro che hanno intrapreso la strada dell’esilio sia per coloro che sono rimasti sapendo di diventare una realtà minoritaria. Ora guardiamo con ottimismo al futuro».

Francesco Peroni, assessore della Regione Friuli Venezia Giulia, si è detto commosso di poter partecipare alla cerimonia in rappresentanza della presidente Debora Serracchiani. «La strage di Vergarolla – ha dichiarato – fu l’antesignana di quella che oggi consideriamo la peggiore manifestazione del terrorismo internazionale. Sia la memoria occasione e nuovo fondamento di fratellanza e comunanza nella riconciliazione e sia occasione di risurrezione collettiva e morale nello spirito di pace degli ideatori della Comunità Europea». «Sono stato testimone – ha detto Livio Dorigo – di quei tragici giorni insieme a Lino Vivoda, che perse il fratellino. Pola era allora qualcosa di indescrivibile. All’interno delle stesse famiglie vi erano dissapori e anche di più. Ma ora invoco il sentimento della pace. Che il dolore si sublimi nella pace. E’ questo il messaggio che dobbiamo trarre dal cippo. Che questo messaggio accompagni voi, i vostri figli e i vostri nipoti». «E’ la commozione – ha osservato Tullio Canevari – il sentimento che ci prende ogni qual volta siamo davanti a questo cippo, poiché sappiamo cosa significa. Alla commozione però si unisce il rammarico per la sua incompletezza. E’ stato importante averlo collocato, ma gli altri non sanno cosa significa e non è giusto che sia così. La Comunità degli Italiani ha già fatto un passo ufficiale affinché venga completato con i nomi e le età delle vittime riconosciute. Molte di queste erano bambini, che non manifestavano pro o contro qualcuno. Nel cammino di amicizia tra polesani rimasti e non più residenti, sarebbe questo un segno sia di esecrazione verso quanti hanno compiuto tale gesto sia di pietà verso le vittime».

Marco Salaris, incaricato d’affari dell’Ambasciata d’Italia a Zagabria, ha espresso a nome dell’ambasciatore Emanuela D’Alessandro «viva soddisfazione per questo clima positivo e costruttivo tra chi è rimasto e chi è partito». «Siamo – ha aggiunto – tutti italiani ed ora anche europei. Insieme facciamo in modo che queste vittime non vengano dimenticate».
E’ dispiaciuto vedere la foto del dott. Micheletti scheggiata in giugno da alcuni ragazzi che giocavano nel giardino e ai primi di agosto da un ubriaco passato di lì con la bici.
Alle allocuzioni è seguita la posa delle corone, disturbata da pochi smaniosi di protagonismo che hanno declamato slogan, aperto uno striscione rivendicante «Giustizia per i 20.000 italiani infoibati e uccisi in Istria, Fiume e Dalmazia» e fatto sventolare una bandiera italiana. Tra loro c’era Romano Cramer, segretario del Movimento Nazionale Istria Fiume Dalmazia. A calmare le acque ha contribuito un giovane trombettista connazionale dell’orchestra di fiati cittadina suonando il Silenzio. In seguito diversi partecipanti si sono recati nella sede della CI di Pola per un rinfresco.
Hanno comunicato la loro vicinanza a organizzatori e parenti delle vittime gli on. Sofia Amoddio, Tamara Bla�ina, Laura Garavini, Rosa Villecco Calipari e Giorgio Brandolin (PD) e il sen. Claudio Zin (Autonomie-PSI-MAIE).

L’on. Garavini ha inoltre inviato un saluto giudicando «deprecabile il fatto che in Italia praticamente ancor oggi non si conosca, o si sappia molto poco, di un dramma tanto grande che ha colpito duramente la comunità nazionale italiana a Pola poco dopo la fine della seconda guerra mondiale». «Sembra ormai molto verosimile – ha scritto – che la morte di così tanti innocenti, radunatisi a centinaia in occasione di un evento sportivo e conviviale, non sia stata una drammatica casualità, ma l’effetto di un atto di terrorismo criminale freddamente pianificato. Ciò ne fa la più grave strage di connazionali dal secondo dopoguerra. Anche se è troppo tardi per chiedere e rendere giustizia, come deputata eletta dai connazionali residenti nella circoscrizione Estero-Europa ritengo mio dovere fare il possibile affinché le circostanze della strage vengano ulteriormente approfondite e studiate, perché l’opinione pubblica italiana prenda finalmente coscienza dell’importanza di questa tragedia e per la tutela della memoria del tragico fatto nella propria storia nazionale. Propongo di discutere insieme la possibilità di promuovere nei prossimi mesi l’istituzione ufficiale di una commissione di storici indipendenti, incaricata di fare il punto sulle cause della strage, anche alla luce delle testimonianze dei superstiti e degli importanti documenti ritrovati negli archivi inglesi solo pochi anni fa. Mi preme, infine, ribadire e confermare il mio pieno appoggio alla Vostra preziosa attività, anche in vista di prossime Vostre future iniziative». Rilevante anche il messaggio della presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani (PD). «La strage di Vergarolla, per le modalità subdole e indiscriminate con cui fu perpetrata, ma anche per la cortina di silenzio e di travisamenti che a lungo l’avvolse, è senz’altro – ha rilevato – uno degli episodi più cupi del secondo dopoguerra, paragonabile a pochi altri in Italia. Verso quei morti innocenti abbiamo ancora un debito morale, che possiamo tentare di estinguere soltanto con la pratica attiva della pietà e della condivisione del dolore. E’ tuttavia confortante verificare come il tempo, le generazioni, e soprattutto l’impegno delle donne e degli uomini raccolti nelle varie associazioni e comunità degli italiani rimasti e degli esuli abbiano saputo pervenire, giungendo da strade diverse, a questo fondamentale punto di umana comunione, che si riconosce nei morti e nell’onore che si rende loro. Pure non solo di dolore è fatta la storia di questa terra d’Istria, cui finalmente guardiamo come a una sorella ritrovata e ricongiunta nel grande abbraccio dell’Europa. Questo è un luogo di bellezza, d’ingegno e di tenacia, e per questo incitiamo e sosteniamo l’opera di coloro che qui vivono e lavorano, mantenendo vive le radici della lingua e delle tradizioni. Con lo stesso rispettoso impegno ci adoperiamo affinché abbiano giuste garanzie anche coloro che le radici ebbero strappate e videro troncata la possibilità di tramandare altro che non fosse la memoria». «La Regione Friuli Venezia Giulia ed io personalmente – ha concluso – rinnoviamo il cordoglio ai parenti delle vittime della strage di Vergarolla e auguriamo che sempre più forte si manifesti la volontà di concordia e di rinascita nel giusto ricordo».

Un apprezzabile messaggio è giunto pure dal sen. Lucio Toth, presidente onorario dell’ANVGD. «Noi tutti – ha scritto – ricordiamo e onoriamo, con affetto e dolore, le stragi delle Fosse Ardeatine, di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema, di Portella della Ginestra, di Marcinelle, di Piazza Fontana, di Piazza della Loggia, di Ustica e della Stazione di Bologna. Ma di questi morti di Pola – città ancora italiana in quell’agosto 1946, città appartenente alla Repubblica Italiana nata da due mesi, quantunque occupata dal governo provvisorio alleato, come all’epoca l’Italia intera liberata l’anno prima – non si parla, perché furono vittime dei servizi segreti di Tito (OZNA) che fecero brillare le mine navali lasciate tra spiaggia e pineta, disinnescate dagli alleati e quindi inoffensive. Ma qualcuno il mattino del 18 agosto innescò un congegno esplosivo a distanza e le trasformò in micidiali strumenti di morte. Era un’operazione terroristica per intimidire la popolazione, che nella primavera successiva abbandonò la città con un esodo del 90%. L’Italia di oggi di questi italiani non ricorda niente, né con affetto né con dolore o indignazione. Meno italiani di altri! Meno morti di altri!». La Comunità Croata di Trieste ci aveva annunciato, riferendosi alle «povere vittime della strage di Vergarolla», che sarebbe stata presente «con il pensiero e la preghiera». «Sarò con voi con il mio cuore» ci aveva comunicato la sera prima l’empatico cantautore e attore romano Simone Cristicchi.

Anche a Trieste si sono svolte il 18 agosto cerimonie analoghe promosse dalla Federazione Grigioverde (che riunisce le associazioni combattentistiche e d’arma della provincia) e dalla Famiglia Polesana (aderente all’Unione degli Istriani). La mattina si è reso omaggio in piazzale Rosmini al monumento al dottor Geppino Micheletti e alle 19 al grande cippo onorario sul colle di San Giusto, dove era presente il sindaco di Trieste e una delegazione dell’LCPE con il proprio labaro. Romano Manzutto ha scandito i nomi e le età delle 64 Vittime identificate. Don Roberto Gherbaz, esule da Lussinpiccolo, ha recitato una preghiera, dopodiché il gen. Riccardo Basile, presidente sia della Federazione Grigioverde sia della Famiglia Polesana, ha tenuto un’intensa allocuzione. «Tutti – ha affermato – sapevano in quali ambienti dovesse essere cercato l’assassino! Le Autorità convennero subito sull’ipotesi dell’attentato ma... resero presto noto di non aver trovato colpevoli, insabbiarono le ricerche e archiviarono il caso. Mentirono! Il novello Erode, spietato uccisore di bambini, e con lui i suoi complici, era stato identificato fin dai primi giorni, come pure i mandanti della strage! Ma l’ordine di scuderia, ai più alti livelli, era di tacere! Per anni, dell’eccidio di Vergarolla era meglio non parlare. Era un argomento “scomodo”, al di là, ma anche al di qua, del confine!». «Sono ormai di dominio pubblico – ha aggiunto – le generalità degli assassini, gli scopi dell’attentato e le responsabilità dei mandanti, ma la cosa pare che riguardi solo gli Esuli! In troppi ancora, specie in alto loco, fanno finta di non sapere! Vorremmo, all’ombra del Tricolore – perché, non dimentichiamolo, è per colpa della loro Italianità che sono stati trucidati quei Polesani – udire non solo lodevoli parole di auspicio ad un comune futuro di Pace e di Progresso, ma anche schiette espressioni di condanna per gli assassini e la perversa ideologia animatrice. Ancora una volta siamo qui a invocare Verità e Giustizia». E’ seguito l’ammainabandiera al canto dell’Inno di Mameli.

Paolo Radivo

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3834  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Milena Gabanelli e Simona Ravizza. Sanità: il «buco» dei rimborsi inserito:: Febbraio 09, 2018, 11:07:04 am
Sanità: il «buco» dei rimborsi

Di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

La spesa sanitaria incide per oltre il 70% sul bilancio delle Regioni, ma siccome la domanda aumenta la politica del risparmio taglia le prestazioni e aumenta il costo ticket a carico dei pazienti. Ma è possibile che una clinica privata, per una risonanza magnetica, applichi una tariffa tre volte inferiore a quella che rimborsa la Regione a una clinica convenzionata con il servizio sanitario nazionale, e ci guadagni pure? È possibile. A conti fatti, mentre gli ospedali pubblici si stanno via via impoverendo, per una struttura sanitaria incassare una convenzione equivale a garantirsi una gallina dalle uova d’oro.

Partiamo dall’inizio: gli italiani fanno oltre 55 milioni di esami l’anno, e la metà delle prestazioni vengono eseguite fuori dagli ospedali e dagli ambulatori pubblici. Il motivo è che il nostro sistema sanitario pubblico, pur essendo uno dei migliori al mondo, da solo non ce la fa e, per abbattere le liste d’attesa e colmare le inefficienze, si appoggia agli imprenditori privati convenzionati — ossia rimborsati con soldi pubblici. Ma in base a quale criterio gli esami vengono rimborsati fino a tre volte il loro costo?

I costi a confronto
Vediamo quanto esborsa lo Stato, tramite le Regioni, per gli esami più diffusi (risonanze magnetiche muscoloscheletriche, tac del torace ed ecografie all’addome completo) e quanto si fanno pagare invece dai cittadini che pagano di tasca propria i migliori centri privati “non convenzionati”. Paragonando questi prezzi si scopre che il risparmio potrebbe arrivare a 100 milioni di euro. Il confronto è a parità di qualità delle attrezzature diagnostiche, di professionalità di personale medico e di inquadramento contrattuale.

I risparmi possibili per le risonanze magnetiche muscoloscheletriche
Al Sant’Agostino di Milano, che non lavora con il servizio sanitario, una risonanza magnetica muscoloscheletrica (ginocchio, spalla, mano, anca, piede) costa al cittadino che ha fretta 90 euro. Qual è il rimborso che la Lombardia garantisce ai suoi centri privati convenzionati? 169,97 euro. L’89% in più. Il numero delle prestazioni eseguite in un anno sono 168.514, quindi si potrebbero risparmiare quasi 13,5 milioni. Alla CasaSalute di Genova il costo è di 45 euro, contro i 133,28 pagati dalla Regione Liguria (196,18% in più). La Regione potrebbe quindi spendere 716.850 euro contro 2,1 milioni. Alla MediClinic di Padova si paga 59 euro contro 188,45 (219,40% in più). Il Veneto potrebbe quindi spendere 6,6 milioni invece di 21,3. Lo stesso discorso vale per le ecografie all’addome completo. Potrebbero essere spesi 38,4 milioni, invece ne vengono sborsati 46,7. Idem per Tac al torace senza contrasto: solo in Liguria e Veneto il risparmio potrebbe essere di 596.532 euro.

I COSTI NEGLI ALTRI 2 ESAMI
Il conto finale
Il totale di risparmio possibile, solo per i tre esami, e solo nelle tre Regioni, è di 38,4 milioni. Una cifra che, proiettata su scala nazionale, in base alla popolazione e all’incidenza dei centri privati convenzionati con il servizio sanitario, supera i 100 milioni. Se poi calcoliamo che gli esami ambulatoriali sono di duemila tipi, che per gli esami di laboratorio il costo di produzione oggi è il 50% inferiore a quello che viene rimborsato (perché la tecnologia ha fatto passi avanti, ma le tariffe sono ancora quelle di 15 anni fa), quanto si potrebbe risparmiare dei 4,6 miliardi di euro l’anno che lo Stato rimborsa ai privati convenzionati? Il conto non è semplice, ma forse si può stimare una cifra attorno ai 2 miliardi.

Lo spreco di soldi pubblici
Insomma: ci sono imprenditori privati puri — e non sono certo dei benefattori — che riescono a garantire ai cittadini esami di qualità a un certo prezzo e a guadagnarci. Ma allora perché lo Stato, tramite le Regioni, per quelle stesse prestazioni dà molti più soldi agli altri imprenditori privati convenzionati? Il risultato è una valanga di risorse che potrebbe essere utilizzata per assumere più medici negli ospedali pubblici e per accorciare le liste d’attesa. Un problema legato all’inefficienza, alla mancanza di personale e al fatto che i medici bravi esercitano la libera professione nei loro ambulatori privati. Allora pagateli meglio e fate lavorare le macchine 12 ore al giorno, come fanno nelle strutture private. Ce ne sarebbe anche per fare più prevenzione: un’attività poco remunerativa che di fatto il privato in convenzione non fa; mentre il pubblico, sempre più spolpato, la sta pian piano dismettendo. Ma come funziona il meccanismo dei rimborsi?

Un meccanismo di pagamento non aggiornato da anni
Le ultime tariffe sono state fissate dal decreto ministeriale del 18 ottobre 2012 del governo Monti. Le cifre riportate, però, sono solo indicative: ciascuna Regione le può ritoccare (di solito al rialzo) a suo piacimento in base al titolo V della Costituzione che sancisce l’autonomia regionale in materia sanitaria. Il principio è che gli imprenditori privati convenzionati ricevano lo stesso rimborso di un ospedale pubblico. Il che ci può stare per gli ospedali privati convenzionati che hanno il servizio di Pronto soccorso o curano i tumori. Parliamo di strutture che devono erogare un mix di prestazioni non sempre economicamente vantaggiose e possedere requisiti organizzativi equiparati al pubblico. Il problema è che lo stesso principio vale anche per le piccole cliniche e una miriade di centri ambulatoriali convenzionati che fanno risonanze, tac ed ecografie, esami del sangue dalla mattina alla sera, senza offrire nessun altro servizio.

La posta in gioco è alta. Chi decide?
Un meccanismo che non consente di acquistare sul mercato le prestazioni a un prezzo equo e conveniente, ma garantisce enormi profitti a imprenditori privati accreditati, senza gara, con il servizio sanitario. Profitti che poi vengono investiti in attività finanziarie, immobiliari, SPA e Resort. Ma chi ha deciso che la clinica o l’ambulatorio privato accreditato debba incassare quanto un ospedale pubblico? Dentro quali pareti si riuniscono i tavoli tecnici per stabilire “quanto” deve essere rimborsata una prestazione, e in base a quali calcoli? Da chi sono formate queste commissioni, quanti ne capiscono di sanità e chi dà le carte? Gli interessi in gioco sono alti e rivedere le tariffe, non aggiornate da anni, può soltanto essere una decisione politica. E la politica dovrebbe anche sapere che il grosso, quello che sta determinando una lievitazione della spesa complessiva e che si può definire “furto legalizzato alle casse pubbliche” senza portare alcun vantaggio ai cittadini, è il doppio binario dei ricoveri. Quali sono gli interventi chirurgici che negli ospedali pubblici si fanno solo nel 15% dei casi, perché valutati inutili se non dannosi, e in quelli privati convenzionati si arriva fino al 99%? A quanto ammontano questi rimborsi? Ampia documentazione nella prossima inchiesta.

2 febbraio 2018 | 16:33
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Da - http://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/sanita-fiume-denaro-privati-convenzionati/f89a4870-0768-11e8-8886-af603f13b52a-va.shtml
3835  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Frasi di Alessandro Bruno. “La scala che sale all'Equilibrio ha sacrifici come.. inserito:: Febbraio 09, 2018, 11:04:24 am
Venerdì 09 febbraio 2018

 Frasi di Alessandro Bruno
   
“La scala che sale all'Equilibrio ha sacrifici come gradini, pazienza come cemento e la riflessione come balaustra.”

ALESSANDRO BRUNO

Da frasicelebri.it

3836  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / PD palla al piede del C.S.? inserito:: Febbraio 09, 2018, 11:00:20 am
Amici del C.S. e compagni socialisti,

abbiamo sempre pensato che il PD fosse la base del CentroSinistra, a pochi giorni dalle elezioni non vorremmo fosse diventato la palla al piede del CentroSinistra.

Poco Renzi e pochissimo CentroSinistra le elezioni non si vincono.

ciaooo
3837  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / A. CARUGATI. Una rilevazione Ixè: tra i giovani solo il 35% è per l’integrazione inserito:: Febbraio 09, 2018, 10:45:10 am
I sondaggisti e l’effetto sulle urne: “Ora ha paura degli immigrati anche chi vota centrosinistra”

Una rilevazione Ixè: tra i giovani solo il 35% è per l’integrazione

Pubblicato il 06/02/2018

ANDREA CARUGATI
ROMA

Uno studio realizzato da Ixè spiega molto bene perché Silvio Berlusconi, dopo i tragici fatti di Macerata, abbia deciso di mettersi a traino di Matteo Salvini nel fronte anti-immigrazione. Si tratta di una ricerca che non sonda le intenzioni di voto, ma solo gli atteggiamenti verso l’immigrazione. Da questo studio emerge come tra i giovani italiani 18 e 34 anni solo il 35% sia favorevole ad una piena integrazione, mentre il 40% chiede limiti severi ai flussi migratori e il 25% dice un secco «basta». 

In totale, oltre il 60% degli under 35 esprime un sentimento poco o per nulla favorevole verso i nuovi arrivi. «Tra le fasce di età più anziane questi numeri aumentano, le persone tendono ad avere ancora più diffidenza verso gli stranieri», spiega il presidente di Ixè Roberto Weber. «Fino a qualche anno fa gli elettori di centrosinistra erano piuttosto estranei a questo sentimento di paura. Ora è tutto cambiato: la paura dell’immigrato è entrata nella carne viva anche dell’elettorato del Pd», dice il sondaggista. «I numeri attuali della Lega di Salvini si spiegano in larga parte con la lunga campagna che è stata condotta sul tema dell’immigrazione. E l’inseguimento di Berlusconi non è casuale, ma si basa su numeri certi». Il Pd, da questo punto di vista, paga pegno: «Certo, i dem pagano un prezzo e questo nonostante la fermezza mostrata dal ministro Minniti. Se non ci fosse stata, il prezzo pagato in termini di voti sarebbe stato ancora più alto».

Weber ricorda come questo sentimento di paura mista a ostilità non sia sempre collegato alla realtà che le persone vivono nella vita quotidiana, ma alla fruizione dei media, in particolare della tv: «Un nostro studio di alcuni anni fa mostrava già una forte correlazione tra gli atteggiamenti, il numero di ore passate davanti alla tv e il tipo di programmi scelti». Insomma, «l’ostilità verso lo straniero è un sentimento facilmente “attivabile”, condizionabile dalle campagne di comunicazione».

Antonio Noto, della società di sondaggi Ipr, non crede che i fatti di Macerata possano incidere in modo sensibile sulla campagna elettorale. «L’immigrazione è un tema chiave ma non da oggi: la vera novità di questa campagna è che ormai il problema riguarda in modo omogeneo tutto il territorio nazionale, compreso il Sud. E che è diventata una priorità anche per gli elettori di centrosinistra, che in passato erano meno catturati da questo tema», spiega. «Dai sondaggi si capisce che l’equazione tra immigrazione e insicurezza è passata nell’opinione pubblica». 

E tuttavia la sfida sui voti anti-immigrati sembra appannaggio delle forze di centrodestra, una sorta di derby tra Berlusconi, Salvini e Meloni, con un possibile ruolo anche del M5S. «Negli anni scorsi, dopo il voto del 2013 - spiega Noto - Forza Italia ha ceduto voti alla Lega e al M5S. Non a caso oggi Berlusconi sta facendo una campagna contro il M5S sui temi della Lega: l’obiettivo è recuperare almeno quel 6% che separa gli attuali numeri attribuiti a Fi, (16%) dal risultato delle politiche 2013 del Pdl che era il 22%».
Ad Arcore nelle ultime 48 ore Berlusconi ha letto e riletto i dati forniti con grande rapidità dopo gli eventi di Macerata dalla sondaggista di fiducia Alessandra Ghisleri. Da cui emerge come il tema della sicurezza sia ormai al primo posto tra le preoccupazioni degli italiani, superando anche le tasse e il lavoro. L’ex Cavaliere è rimasto colpito dal numero di persone che hanno dato ragione a Salvini, ma anche da un altro dato: solo una piccola parte di chi si dice d’accordo con il segretario leghista lo giudica credibile come leader. Di qui la svolta, la decisione di porsi come paladino della sicurezza, utilizzando toni duri che Berlusconi dal 1994 non aveva mai usato contro gli immigrati. Dalla ricerca di Ghisleri è emerso un altro dato che ha colpito il leader di Forza Italia: l’alto tasso di «insoddisfazione» per come il governo ha gestito il tema sicurezza, non solo nel caso di Macerata. E la domanda di uno Stato più interventista.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/02/06/italia/politica/i-sondaggisti-e-leffetto-sulle-urne-ora-ha-paura-degli-immigrati-anche-chi-vota-centrosinistra-UKPZVN400C4oHh3WqCanXK/pagina.html
3838  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FABIO MARTINI. La strategia attendista di Renzi che oscura il ruolo di Minniti inserito:: Febbraio 09, 2018, 10:42:59 am
La strategia attendista di Renzi che oscura il ruolo di Minniti
Il leader Pd sembra in stand by. In attesa che passi la bufera di Macerata
Nei giorni scorsi il segretario del Pd ha escluso dalle liste elettorali alcuni uomini vicini al ministro Minniti
Pubblicato il 06/02/2018 - Ultima modifica il 06/02/2018 alle ore 07:14

FABIO MARTINI
ROMA

Al primo tornante impegnativo della campagna elettorale - l’offensiva del centrodestra sui migranti - Matteo Renzi si è messo in modalità «pausa»: né al contrattacco, né in difesa. È come se il leader del Pd aspettasse che la bufera passi, nella speranza che un tema tradizionalmente così scomodo per i progressisti si allontani dall’orizzonte elettorale. E infatti nelle ripetute e articolate esternazioni Renzi nella giornata di ieri, ha usato espressioni inusuali, che illustrano bene la posizione attendista del Pd. La prima: «Non si può pensare di buttare addosso alla Lega e a Salvini questa tematica perché è molto più grande e intensa». Una posizione garantista e anche un escamotage difensivo, per non essere sferzato più di tanto dalla Lega? La seconda espressione è altrettanto sfumata: «Davanti agli imprenditori della paura, quelli che scommettono e sobillano un’intera fetta di comunità, l’unica strada è l’estremismo del buon senso». La terza battuta riguarda il responsabile della sicurezza. Ha detto Renzi: «Certo mi fido di più di Minniti ministro dell’Interno che non di Salvini».

La sola idea di immaginare come plausibile un raffronto tra i due non sembra particolarmente gratificante per il ministro dell’Interno, ma c’è qualcosa in più: in queste ore Renzi è come se avesse rimosso l’azione svolta nell’ultimo anno da Marco Minniti. È come se avesse steso una sorta di omissis sui numerosi risultati incassati dal Viminale e da Palazzo Chigi su questa frontiera: diminuzione drastica degli arrivi, diminuzione dei morti in mare, coinvolgimento pieno dell’Ue sulla «dottrina Minniti», riflettori accessi del sistema-Onu sui lager libici.

Nella narrazione di Renzi l’occultamento di Minniti dura da giorni e si è indirettamente manifestato anche durante la formazione delle liste elettorali del Pd, con l’accantonamento di alcuni amici del ministro. Da parte sua Minniti, per ora, si è limitato a una dichiarazione a caldo, subito dopo aver riunito le autorità della sicurezza a Macerata. Definendo l’iniziativa di «stampo fascista e nazista» ma «di carattere individuale». Da quel momento Minniti si è ritirato nel suo riserbo istituzionale. E c’è un dettaglio in più che rende paradossali i rapporti lungo il triangolo Chigi-Viminale-Nazareno. Prima dei fatti di Macerata, nella compilazione delle liste, al Pd avevano deciso di spedire Paolo Gentiloni in una circoscrizione periferica: Ascoli-Macerata. Già prima dei fatti più recenti, si trattava di una circoscrizione in salita per il Pd, visto che comprende l’area colpita dal terremoto. Una collocazione che Gentiloni aveva accolto col proverbiale fatalismo, senza invocare «posti al sole».

Ma nell’attendismo di Matteo Renzi non c’è soltanto il rapporto sempre faticoso con le personalità di successo del suo schieramento. E non c’è soltanto un atavico complesso di inferiorità delle forze progressiste su questi temi. In queste ore sta accadendo qualcosa nelle rilevazioni dei sismografi dei sondaggi: dopo i due episodi di Macerata il tema migranti-sicurezza è letteralmente schizzato in testa alle preoccupazioni degli italiani. Ecco il motivo per il quale Silvio Berlusconi dopo una dichiarazione a caldo estremamente responsabile e misurata, due sere fa si è buttato nella mischia con un rilancio molto forte, quella richiesta di cacciare seicentomila irregolari dall’Italia.

Un’affermazione stentorea, non accompagnata da una illustrazione dettagliata delle misure che potrebbero rendere plausibile una «cacciata» di massa, visto che sinora un piano organico di rimpatri non è stato possibile per l’indisponibilità dei Paesi interessati. A Berlusconi, il leader del Pd ha preferito rispondere con altri argomenti: «I migranti sono una bomba sociale? Ma l’immigrazione dipende da due fattori: coi trattati di Dublino ogni Paese gestisce l’immigrazione da solo, ma quegli accordi che ora Berlusconi contesta li ha firmati lui nel 2003. E se in Italia arrivano i migranti è perché qualcuno ha fatto la guerra in Libia e il presidente del Consiglio era Berlusconi».

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Da - http://www.lastampa.it/2018/02/06/italia/politica/la-strategia-attendista-di-renzi-che-oscura-il-ruolo-di-minniti-mRIyb5hu5m8jp5xSohud4K/pagina.html
3839  Forum Pubblico / I.C.R. Immaginare Conoscere Realizzare. "Le TERRE DI RANGO" e "Le TERRE DI FANGO". / I Robot non tolgono il lavoro, promuovono la civiltà dell'Umanità Libera ... inserito:: Febbraio 09, 2018, 10:41:38 am
Finché mondo sarà mondo, esisteranno sempre i furbi e i minchioni.

ciaooo
3840  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Il mio impegno di sempre, contribuire a far risolvere le problematiche che il... inserito:: Febbraio 09, 2018, 10:39:36 am
Il mio impegno di sempre, contribuire a far risolvere le problematiche che il Sistema Sanitario Regionale scarica sui Cittadini malati di oggi e sui malati di domani.

Servizi negati attraverso le attese assurde, strumentali e di recente i farmaci negati ai malati cronici.

La realtà vissuta e percepita è molto diversa (in peggio per i malati) da ciò che indicano le tabelle ufficiali.

L'impegno delle Regioni (non tutte) che appare ai Cittadini è togliere servizi perchè non si è tolta la corruzione.

ggiannig

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