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Autore Discussione: Milionari 2009  (Letto 2245 volte)
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« inserito:: Dicembre 22, 2009, 09:49:42 pm »

Milionari 2009

di Maurizio Maggi e Stefano Vergine


Su Berlusconi, giù Moratti. Su Benetton giù Boroli. Ecco come sono usciti i grandi tycoon italiani dall'anno più duro della crisi

Il Cavaliere e il Colonnello vanno a braccetto anche in Borsa. I due, quest'anno, si sono visti più volte, per parlare di immigrazione, petrolio, grandi opere. Chissà se, sotto la tenda o a Palazzo Chigi, Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi hanno avuto tempo anche per scambiarsi qualche positiva impressione sull'andamento in Borsa dei loro titoli? Sia il presidente del Consiglio sia il leader libico, infatti, possono archiviare il 2009 con performance complessive di tutto rispetto: occupano, rispettivamente, il quarto e sesto posto nella classifica assoluta dei Paperoni della Borsa.

Sono in buona compagnia. Mentre l'anno si chiude in Italia con una caduta del Prodotto interno lordo di quasi il cinque per cento e mezzo milione di disoccupati in più, per la maggioranza dei signori di Piazza degli Affari le cose sono andate tutt'altro che male. Le piazze finanziarie di tutto il mondo o quasi, del resto, sono scese in picchiata fino all'inizio di marzo e poi hanno cominciato a volare e il controvalore delle partecipazioni nelle società quotate è cresciuto in modo sensibile. Anche se lontane dai massimi raggiunti prima che esplodesse il crac globale, dalla primavera a oggi molte azioni si sono messe a correre alla velocità di Usain Bolt, primatista mondiale dei 100 e dei 200 metri di atletica. Tra i primi 10 della classifica calcolata nel periodo 15 dicembre 2008-15 dicembre 2009, nove dei dieci che guidano la graduatoria hanno visto crescere i propri pacchetti con percentuali tra il 19 per cento e il 104 per cento. Il balzo più strepitoso lo hanno compiuto quelli che già guidavano il plotone un anno fa, i fratelli Paolo e Gianfelice Rocca.

I due, che nel dicembre 2008 facevano a gomitate per la leadership con Leonardo Del Vecchio, il patron della Luxottica, adesso dominano: il loro portafoglio vale quasi il doppio di quello dell'imprenditore milanese che ha fatto fortuna nel Bellunese e possiede oggi decine di marchi di occhiali, Ray-Ban compresi. A mettere il vento nelle vele del gruppo siderurgico bergamasco ha contribuito in grande misura la Ternium. La società, quotata a New York, che sta investendo massicciamente in Sudamerica, specie in Messico e in Argentina, in un anno ha più che triplicato il suo valore a Wall Street, gonfiando il pacchetto di controllo in mano ai Rocca da circa 900 milioni di euro a 2,8 miliardi. Ma neppure la Tenaris, la società che ha la sede legale in Lussemburgo ma è quotata a Milano (oltre che a New York, Buenos Aires e Città del Messico) ha scherzato, mettendo a segno una performance annuale superiore al 90 per cento: una ripresona da quattro miliardi di euro a vantaggio della San Faustin NV, la holding dei Rocca basata nelle Antille Olandesi, a sua volta controllata dalla Rocca & Partners SA che di casa sta a Road Town, località delle Isole Vergini Britanniche. A fare da contrasto stridente con l'immagine vincente dei Rocca sui listini si ergono le difficoltà dello storico impianto del gruppo di Dalmine, a pochi chilometri da Bergamo, per il quale è previsto il taglio di un posto di lavoro su tre.


Crescono, ma a un ritmo meno incalzante, anche gli altri due occupanti del podio: sia Del Vecchio sia la galassia che fa capo alla famiglia Benetton si rimettono in carreggiata. Il leader mondiale degli occhiali di qualità ringrazia la sua Luxottica (lo stock di azioni che fanno capo alla sua holding lussemburghese Delfin si è rivalutato da 4,3 a 5,5 miliardi di euro) ma un aiutino giunge anche dalla vicina Francia. Dove la sua quota nella società immobiliare Foncière des Regions, azionista dell'italiana Beni Stabili, in 12 mesi è ingrassata di circa 300 milioni di euro. Avanza più o meno compatta anche la galassia di partecipazioni della famiglia Benetton. La più eclatante delle rivalutazioni riguarda Atlantia, la società che detiene Autostrade per l'Italia. La fettona degli imprenditori trevigiani, che valeva 2 miliardi circa un anno fa, adesso ne vale 3.

È tutta una festa, l'autostrada, per i creatori del brand Benetton: alle performance al casello, si aggiungono quelle alle aree di ristoro, visto che il pacchetto di azioni Autogrill in mano loro è passata da 800 milioni a quasi 1,3 miliardi di euro. Anche per Silvio Berlusconi è stata una buona annata, quella che si sta concludendo: il suo cospicuo patrimonio quotato è risalito sopra la soglia dei quattro miliardi, anche se non tutte le società del listino berlusconiano viaggiano alla stessa andatura. In termini percentuali, la soddisfazione maggiore al premier la regala l'antico sodale Ennio Doris: la compagnia di assicurazioni Mediolanum, di cui il capo del governo è storico partner, è risalita infatti del 41 per cento, incrementando il pacchetto controllato da Berlusconi per circa 300 milioni. Ha fatto dunque meglio della corazzata Mediaset, la cui performance del 36 per cento ha fatto guadagnare quasi 700 milioni di euro al padrone del Milan. La pecora nera è la Mondadori, una delle poche azioni dell'indice Ftse Mib (che raggruppa i titoli principali della Borsa italiana) a perdere significativamente nel corso degli ultimi dodici mesi, svalutandosi del 16,2 per cento.

Alle spalle di Berlusconi, nettamente distanziate, arrancano, si fa per dire, le famiglie Drago e Boroli, azioniste del gruppo De Agostini: il loro 'conto corrente borsistico' è l'unico in rosso tra i top ten (anche se solo del 2 per cento). Nonostante il boom dei giochi, infatti, la Lottomatica, la società del Gratta e Vinci, è un'altra delle blue chip meno in forma sul listino, dove ha perso un quarto del valore dall'inizio dell'anno. La società presieduta da Lorenzo Pellicioli si è presenta in solitudine alla gara per ri-aggiudicarsi la concessione del Gratta e Vinci per altri nove anni ma il Tribunale amministrativo del Lazio ha accolto il ricorso della Sisal e la partita è dunque da rigiocare. Ottima, invece, la prestazione della 'squadra' patrocinata dalla Libia del colonnello Gheddafi. A rimpolpare il patrimonio riconducibile alle finanziarie del dittatore nordafricano è stata in particolare la prestazione del titolo Unicredit: l'azione del gruppo bancario guidato da Alessandro Profumo, che l'anno scorso era stato bersagliato dai ribassi allo scoppio dello choc finanziario mondiale, rispetto alla metà del dicembre 2008 ha più che raddoppiato il proprio valore. Pur rimanendo ben lontana dalle punte toccate nella prima parte dell'anno scorso, quando superò addirittura i cinque euro: attualmente veleggia intorno a quota 2,3 euro. In totale, il leader arabo ha potenzialmente guadagnato quasi 800 milioni di euro in 12 mesi.

Appena sotto il colonnello si colloca un altro portafoglio assai diversificato, quello di Francesco Gaetano Caltagirone, che si è ingrossato non solo perché i titoli sono saliti in Borsa, ma anche perché l'imprenditore romano ha comprato ulteriori pacchetti di Generali e Acea. Ora, la compagnia di assicurazioni triestina è diventata, e di gran lunga, la partecipazione più importante per Caltagirone in quanto a controvalore (oltre 530 milioni di euro). Tra i big, la debolezza del petrolio ha procurato qualche dispiacere: la performance peggiore vede protagonista la quota della famiglia Moratti nella Saras, che ha fatto rinculare il portafoglio complessivo dei proprietari dell'Inter di quasi 300 milioni. Ha innestato la retromarcia, ma con meno veemenza, l'altro gruppo italiano all'opera nel calcio e negli idrocarburi, quello della famiglia Garrone (padrona della Sampdoria), che a causa dell'arretramento dell'azione Erg ha perso poco più di 25 milioni di euro. Se si esclude il particolare caso degli Agnelli, impossibile da confrontare su base annua per la fusione delle vecchie holding nella Exor (quotata soltanto dal marzo scorso), è nella fascia compresa tra il ventesimo e il trentesimo posto del rank dei ricconi che si trovano gli autori delle impennate più vistose. La miglior performance assoluta è appannaggio di Anna Formiggini: grazie alla sua Amplifon, leader negli apparecchi per l'udito, ha visto lievitare il portafoglio di oltre il 300 per cento. Ma non vanno sottovalutate le impetuose risalite di Gianpietro Benedetti con la Danieli e di Giuseppe De' Longhi con l'omonima azienda.

La società friulana che costruisce e installa impianti per la produzione d'acciaio e la marca veneta famosa per i piccoli elettrodomestici hanno abbondantemente raddoppiato il controvalore delle quote detenute dai proprietari. Nella classifica dei Paperoni non appare la famiglia Ferrero, che la rivista americana 'Forbes' considera la più ricca d'Italia e quarantesima a livello mondiale. Il motivo è banale: il gruppo piemontese capitanato da Michele Ferrero, conosciuto ovunque grazie all'immortale Nutella, non è quotato in Borsa. E dunque, non è possibile valutarne puntualmente il 'peso' basandosi sulle quotazioni, visto che l'unica società di Piazza Affari in cui i Ferrero sono presenti è Mediobanca.

La partecipazione nella blasonata banca d'affari porta in pancia per quest'anno un guadagno ipotetico di tre milioni di euro. Noccioline, al cospetto dei 9,5 miliardi di dollari di patrimonio che 'Forbes' attribuisce agli industriali di Alba. Per lo stesso motivo, fuori dai big della Borsa restano altri pezzi da novanta come i Barilla, mentre nomi celebri dell'economia e della finanza, come Luca Cordero di Montezemolo e Marco Tronchetti Provera, sono lontani anni luce dalle prime cinquanta posizioni per l'esiguità dei loro pacchetti o per la bassa consistenza sul listino delle società di cui detengono quote importanti. La Poltrona Frau di Montezemolo e la Camfin di Tronchetti, per esempio, il 15 dicembre scorso capitalizzavano rispettivamente 118 e 110 milioni di euro. Troppo poco per farsi largo nella ressa dei 'very rich' italiani.

(22 dicembre 2009)
da espresso.repubblica.it
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