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Autore Discussione: Alessandro Piperno. Ho un harem in testa  (Letto 2231 volte)
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« inserito:: Dicembre 30, 2008, 11:58:55 pm »

Ho un harem in testa

di Alessandro Piperno


Mai aver paura di essere banali. Nessun timore di offendere i lettori. E tratta i tuoi pensieri come prostitute. I buoni propositi di uno scrittore 

Che dire del senso di smarrimento che mi ha preso durante l'incontro tra scrittori italiani e israeliani tenutosi a Gerusalemme più di un mese fa? Il tutto era organizzato per farci colloquiare. E quindi prima un israeliano poi un italiano in una ben orchestrata polifonia che ben presto ha preso un tono disastrosamente stonato, per l'inadeguatezza canora di metà degli interpreti. Non credo di essere stato il solo a sentire l'incolmabile distanza tra noi e loro.
Come non sentirla?

Ascoltare gente come Meir Shalev o Aharon Appelfeld ti fa ricordare che ci vuole un bel po' di fiducia in se stessi per evitare la ridondanza. Per non dire del coraggio necessario per essere scandalosi: a un certo punto Abraham B. Yehoshua si è prodotto in un elogio dei 'confini' che suonava come difesa del controverso muro che gli israeliani hanno eretto per proteggersi dagli attentati palestinesi, infischiandosene del fatto che una simile apologia potesse alienargli le simpatie di tutti i pacifisti del mondo. La domanda è: la simpatia di tutti i pacifisti del mondo vale la rinuncia a esprimere ciò che pensi? Evidentemente il vecchio caro agguerritissimo Abraham ritiene di no.

Dall'altra parte della barricata ci siamo noi - gli scrittori italiani! - immersi nella nostra fiorita Bisanzio, fatta di ragionamenti triti, parole logore, professioni di sincerità vergognosamente insincere.
Mi ha preso una depressione dalla quale solo ora inizio a riavermi. Forse perché sono riuscito finalmente a convertirla in ammonimento.

Accade a chi è pagato per esprimersi di perdere di mordente. Di rammollirsi per noia. Di accontentarsi di quello che già pensa e che già crede. Di affezionarsi feticisticamente ai suoi ragionamenti, dimenticando quanto sia divertente e faticoso non arrendersi alla prima idea che ti viene in testa, a quanto sia divertente e faticoso cercarne una seconda, eppoi una terza, e così via... Ed è allora - quando dimentichi che la vita intellettuale è anzitutto un'avventura vertiginosa - che devi prenderti a pugni. È lì che i tuoi reni devono scattare e ricordarti che la ragione per cui hai iniziato a fare questo mestiere è intrattenere te stesso con pensieri eccentrici ed espressioni rocambolesche.

Ma noi viviamo nella patria del buonsenso. Del dato acquisito. Dell'intelligenza istituzionale (fastidioso ossimoro). Il che complica tutto. Il problema delle cose intelligenti è che se le ascolti e le ripeti troppo spesso diventano ovvie, e smettono semplicemente di essere intelligenti. L'intelligenza assomiglia a quelle squadre di calcio che fanno un grande movimento senza palla. Muoversi, spostarsi è il solo modo per aprire una falla nella difesa avversaria. Ecco perché l'intelligenza non può essere altro che tensione irriducibile verso qualcosa di alternativo al dato. Ed ecco perché anche frasi tipo 'l'intelligenza è sempre scandalosa' appaiono così banali. Perché, sebbene esprimano un concetto a cui è fin troppo facile aderire, negano se stesse per la forma usurata in cui vengono espresse. Tanto che per trovare un po' d'aria ti viene voglia di ribaltarle. E allora ben venga: 'L'intelligenza non è mai scandalosa'. Non sarà una frase propriamente corretta, ma almeno apre spazi inesplorati.

E allora capite quanto sia difficile e frustrante lottare per non essere stupidi. La ricetta è quella di Diderot. Tratta i tuoi pensieri come puttane. Le puttane sono per essenza frivole e sostituibili. E, a meno che tu non abbia intenzione di redimerle, difficilmente ti ci affezioni. E visto che sono in vena di citazioni postribolari, mi ricordo del consiglio che quel vecchio maiale di Flaubert diede una volta alla sua amante: "Bisogna farsi degli harem nella testa". Sì, insomma per scrivere devi riempirti il cervello di concubine. Dal che si evince che il più grande peccato per qualsiasi intelligenza è la monogamia intellettuale, la fedeltà coniugale alle proprie idee.

Perché, dopo tutto, l'importante è non stufarsi e non stufare. Ecco un ottimo comandamento. I libri che ti fanno sbadigliare sono quelli che non ti sorprendono. E allora sbarazzatene. Perché dovrei leggere un autore che so già quello che sta per dirmi? Mille volte meglio guardare una partita in tv. Kafka diceva che i veri libri sono sempre un pugno nello stomaco. Fa impressione che questa frase da teppista sia stata pronunciata dallo scrittore che passa per essere l'uomo più mite del Ventesimo secolo. Ma era davvero così mite? Sento puzza di cliché. Non credo che la mitezza si addica a un tipo che scrive 'La metamorfosi' e 'Il castello'. Credo che chi scrive certa roba non si faccia scrupoli di offendere il lettore.

Offendere. Un altro eccellente comandamento. Ha senso scrivere senza offendere? Intendiamoci, non è detto che tale offesa debba essere per forza maleducata. Sono alfiere dell'educazione vecchio-stampo. Il segreto allora è offendere con educazione. Talvolta mi chiedo perché ammiro con tale devozione scrittori come Proust e Nabokov. Elementare, Watson: perché ti offendono con classe. Mica nel modo sbraitante e scomposto dell'ultimo Céline!

Sì, lo so, straparlo, faccio proclami di fine anno, forse perché ho un po' di paura di questo incipiente 2009. Sarei un ipocrita se dicessi che non dormo per le Borse che crollano, per l'incerto futuro dei figli che non ho, per il pianeta che si scalda (mi sembra fin troppo gelido), ecc. Come tutte le preoccupazioni autentiche anche le mie hanno un'origine futile ed egoisticamente privata. Questo è l'anno in cui io dovrei terminare e pubblicare il mio secondo romanzo. E me la sto facendo letteralmente sotto. Ho il terrore di aver accumulato una montagna di macerie e nient'altro. Di aver ceduto - per noia, per stanchezza, per mancanza di vocazione e d'impegno - all'uomo posato e banale che sonnecchia in me.

Ed ecco perché non faccio che gridarmi nelle orecchie incitamenti grintosi, con l'enfasi di un vecchio allenatore di basket: non arrenderti alle tue cazzate. Diffida di te stesso. Non permettere agli altri di chiuderti in cantina. Di metterti nello scaffale alto di una libreria a deperire nella muffa.
E soprattutto non annoiarti. Non annoiarti. Non annoiarti. Un ottimo slogan per il 2009.

(30 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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