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7906  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / ELEZIONI inserito:: Maggio 29, 2007, 10:02:33 pm
Chiamparino: «Lontani dalle domande del Nord»
Andrea Carugati


Sindaco Chiamparino, qual è il significato di questo voto?
«A me pare ci sia la conferma di un trend che da tempo vede queste realtà del Nord a maggioranza di centrodestra. Certamente un governo con troppe voci e con la prevalenza, almeno in apparenza, di quelle voci che dicono sempre dei no ha influito ma c’è una questione di fondo: queste realtà sentono poco vicine le persone di centrosinistra».

Cosa significa, in concreto, non sottovalutare?
«Nei panni del centrosinistra, del governo e anche di chi deve costruire il Pd farei uno sforzo che va persino oltre quello che ci dicono questi dati. Questa provincia padana esprime una realtà produttiva e sociale che dobbiamo rappresentare di più».

Al governo cosa dicono questi risultati?
«Deve recuperare una univocità di intenti e di messaggio. Dopo la crisi hanno approvato un dodecalogo, mi pare sia già finito in un cassetto. Al mattino sui giornali su ogni cosa si trovano dieci opinioni diverse: questo è letale. Soprattutto se avviene su questioni particolarmente rilevanti».

Le prime cose da fare per recuperare al Nord?
«Penso alle infrastrutture e al fisco: nelle aree più densamente abitate muoversi è il lavoro più duro. E sulla Tav la percezione che arriva è quella di una maggioranza incerta che non sa cosa fare. Sul fisco, nonostante il cuneo fiscale, è passata l’idea che non si sia fatto a sufficienza. Poi bisogna lavorare affinché queste aree, che non trovano sufficienti spazi di rappresentanza nel centrosinistra come è strutturato oggi, li possano trovare in un cambiamento del sistema politico, ad esempio in un Pd che nasca con una esplicita base federalista».

Finora i partiti dell’Unione sono stati federalisti?
«Assolutamente no. Questi partiti sono figli del centralismo e restano tali: ci si può girare intorno ma nella loro struttura antropologica c’è il centralismo».

Anche se a volte ci sono leader del Nord...
«Non è un problema di leadership, ma una questione strutturale».

Lei lo ha detto nei giorni scorsi che il Pd stava trascurando il Nord: ad esempio nella composizione del comitato promotore.
«Per carità, non perdiamo certo perché in quel comitato ci sono poche persone del Nord. È vero il contrario: è la composizione di quel comitato che riflette una distanza da certe realtà del nord. Questo è il problema e su questo terreno dobbiamo recuperare nelle prossime fasi di costruzione del Pd».

Pensa che un partito fortemente federale, come lo ipotizza Cacciari, possa essere una soluzione?
«È la strada per aprire spazi, il modo per offrire a queste aree che hanno un rapporto critico con il centrosinistra degli spazi in cui si possano rappresentare, individuare dei leader. Non è la sola strada da percorrere, ma è importante».

La lista del Nord per la costituente del Pd, da lei proposta, trae forza da questo voto?
«Se fare o no una lista dipenderà da molte cose, anche da quali saranno le altre liste in campo. Non c’è nessuna conseguenza meccanica, ma è importante che questa possibilità ci sia. Io credo che alla fine la lista si farà: sarebbe un modo per scombinare un po’gli schieramenti codificati tra Ds e Margherita».

Gli altri interlocutori che lei ha citato nei giorni scorsi, da Illy a Mercedes Bresso, si sono detti favorevoli alla sua proposta di una lista del Nord?
«Trovo un grande consenso sull’idea che si possa fare, poi bisognerà discutere di contenuti. Il punto su cui il consenso è unanime è l’ipotesi di una base federale dell’assemblea costituente: e cioè liste che possono presentarsi solo in un certo numero di regioni e collegi. Liste locali: nè localistiche nè centralistiche. Sto ricevendo molte telefonate di persone che mi dicono “è ora di fare qualcosa”. E se si apre una speranza poi bisogna stare attenti a non disilludere».

Come valuta la ripresa della Lega Nord?
«Vedo quello che è successo a Verona. Ma in Piemonte questo fenomeno non c’è, il contributo della Lega è marginale. A Cuneo, dove la Lega ha sempre avuto uno spazio, il sindaco uscente del centrosinistra vince bene. Insomma, bisogna stare attenti a non mescolare realtà diverse. A non fare di tutta l’erba un fascio».

Pubblicato il: 29.05.07
Modificato il: 29.05.07 alle ore 9.05   
© l'Unità.
7907  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Napolitano: moralità e rigore per superare la crisi della politica inserito:: Maggio 29, 2007, 09:58:12 pm
POLITICA

Il capo dello Stato interviene sul dibattito in corso esortando la classe dirigente

"Pensare in grande, contro le manovre opportunistiche"

Napolitano: moralità e rigore per superare la crisi della politica

 
AVELLINO - Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in visita ad Avellino, ha aspettato che si chiudessero le elezioni amministrative per entrare in merito alla crisi che ha colpito il mondo politico italiano. Con parole semplici e chiare, il capo dello Stato rifiuta la "denuncia della crisi fine a se stessa" e ha chiesto impegno, da parte di tutti: forze politiche e forze sociali.

Intervenendo ad Avellino in occasione delle celebrazioni per i 60 anni dalla scomparsa del meridionalista Guido Dorso, Napolitano ha sottolineato l'opportunità di "trasmettere la lezione di moralità e di rigore di Dorso", lezione che definisce "ancora sferzante e stimolante, da cui possono trarre ispirazioni le giovani generazioni, nell'avvicinarsi alla politica per rinnovarla".

Per Napolitano si tratta di "un tema scottante, su cui avrò modo di tornare in questi giorni. Un tema che dovrebbe sollecitare una riflessione costruttiva non solo di tutte le componenti dello schieramento politico ma di tutte le componenti della società italiana".

Per il presidente della Repubblica, infatti, "la soluzione ai problemi, sia delle riforme istituzionali sia del rinnovamento della politica, può venire soltanto attraverso un impegno conseguente delle forze sociali, culturali e politiche" anche se significativamente aggiunge subito dopo: "In particolare, di quelle rappresentante in Parlamento, siano esse di maggioranza o di opposizione".

Avverte a tal proposito Napolitano: "Al di fuori di tutto ciò, c'è solo la denuncia che, perdendo il senso della misura, può anche diventare controproducente e pericolosa". Il capo dello Stato fa suo quello che definisce "l'insegnamento che resta di Dorso, al di là delle speranze e della realizzazioni" ovvero "pensare idealmente e in grande la politica, contro la piccola politica delle manovre opportunistiche".

(29 maggio 2007)

da repubblica.it
7908  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: POLITICA inserito:: Maggio 29, 2007, 09:56:45 pm
Pd, Pezzotta: «Non entro, non c'è posto per i cattolici»


Nel Pd non c'è posto per i cattolici. Lo dice Savino Pezzotta, ex segretario generale della Cisl e ora portavoce del Family day, in una intervista al Corriere della Sera. In Italia, osserva, «l'esigenza che ci sia una presenza organizzata dei cattolici in politica esiste, eccome» e «mi pare proprio che il Partito democratico, per come si sta costituendo, non dia una risposta». Pezzotta guarda con preoccupazione alla fine del cattolicesimo democratico di marca sturziana e degasperiana. Teme, lo dice «senza volersi contrapporre a nessuno» che le tradizioni dei popolari finiscano nello stesso "baule" con Antonio Gramsci. E invita i suoi amici "teodem" alla «prudenza», avendo trovato «sorprendenti» gli interventi di Barbara Pollastrini e Giuliano Amato alla conferenza sulla famiglia a Firenze. Lui con quest'anima laica non ha intenzione di "convivere" e si siede «sulla riva del fiume». Non entrerà nel Pd, un partito che a Pezzotta sarebbe piaciuto più come contenitore di tradizioni culturali diverse, ma che invece vede ora troppo venato di «intransigenza» laicista.

Quasi all'unisono sullo stesso argomento interviene anche Giuseppe Fioroni, membro del comitatone che promuoverà la costituente del Pd oltre che cattolico vicino all'area "teodem" e al Forum Famiglie di Pezzotta. Fioroni in una intervista al La Stampa sostiene che «nel Partito democratico i cattolici dovranno sentirsi a casa loro e non essere trattati come ospiti indesiderati». Insomma, anche lui la mette al futuro. E non è l'unica, indiretta ma chiara critica. Sulla leadership del nuovo partito Fioroni usa una metafora enogastronomica: «È l'ora di scoprire la qualità dei vini novelli e non soltando quella dei vini stagionati». O invecchiati, per dir meglio.

Per Fioroni «occorre meno tattica e più strategia, meno formule, regolamenti, meccanismi elettorali che non appassionano nessuno». Quanto al leader «sono d'accordo con Franceschini, occorre un leader e presto», che sia «espressione di una classe dirigente plurale». Fioroni vorrebbe dunque un leader "novello", «primus inter pares». E sul come arrivare all'assemblea costituente -che lui stesso insieme agli altri 44 del comitato promotore dovrà organizzare a cominciare dalle regole - annuncia: «Dovranno essere presentate liste legate a un leader e a un programma». Insomma, vere primarie. L'assemblea costituente del Pd è fissata per il 14 ottobre ma entro il 30 giugno il comitatone dovrà definire le regole. La proposta di agenda dettata da Dario Franceschini, vorrebbe che il 14 ottobre- appunto -ci fosse un vero "election day", che riguardasse anche la leadership, insomma. E su questa linea si sono trovati anche la dalemiana Anna Finocchiaro e Walter Veltroni. Ma non altrettanto il prodiano Giulio Santagata, che a Veltroni manda una risposta di sette righe, domenica, in cui scrive: «Sono certo che Walter Veltroni concorda sul fatto che spetta all'Assemblea Costituente decidere le modalità migliori per assicurare al partito gli organi capaci di garantire ad esso il più efficace coordinamento operativo sino al primo congresso». Come dire, il leader c'è e non c'è nessuna fretta di cambiarlo.

Nel frattempo il Pd acquista anche dei punti. Mauro Zani ex cofirmatario insieme a Gavino Angius della terza mozione al congresso Ds, non lascia per il momento la Quercia. L'europarlamentare bolognese ha infatti scelto di entrare nell'ufficio di presidenza dei Ds dell'Emilia. Farà parte dunque di in un organismo politico, non esecutivo. Ma la sua disponibilità a seguire il percorso di nascita del Pd, viene salutata dal segretario regionale Roberto Montanari come un «ritorno a casa», una «disponibilità ad accettare, pur con accenni critici, un percorso comune».

A tre giorni dal varo del «comitatone», Montanari raccoglie poi l'invito del sindaco di Bologna, Sergio Cofferati, e proclama: «costruiamo subito i comitati per il Pd al livello comunale, provinciale, regionale». organismi che il segretario delinea con il 50% di volti «rosa».

Pubblicato il: 28.05.07
Modificato il: 29.05.07 alle ore 8.46   
© l'Unità.
7909  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: POLITICA inserito:: Maggio 29, 2007, 09:56:06 pm
POLITICA

L'INTERVISTA. Il leader della Quercia: non sottovalutiamo i segnali che arrivano dalla parte dinamica del Paese, il risultato non ci soddisfa

Fassino: "Il paese chiede una politica che decida"

di GOFFREDO DE MARCHIS

 ROMA - Lui dice centrosinistra. Mai governo.

Eppure il "campanello d'allarme" che viene dal Nord suona anche per Romano Prodi e la sua squadra.

Segretario Fassino, nella maggioranza non si canta vittoria, ma ci si accontenta del pareggio. È contento anche lei?
"No. È vero che la spallata non c'è stata, ma il voto non ci può soddisfare. Per carità, la nostra coalizione segna parecchi punti a favore. Penso al risultato di Agrigento e di tanti comuni siciliani importanti come Alcamo, Niscemi ed Erice strappati alla destra. C'è il risultato positivo de L'Aquila da anni città moderata, e di molte città abruzzesi. Guardo all'esito davvero sorprendente di Parma dove si va a un ballottaggio del tutto aperto, a Taranto, alla conferma di Frosinone. Sfioriamo la vittoria al primo turno a Piacenza e a Cuneo ci confermiamo in una piazza non semplice. E sottolineo i successi di Ancona, Carrara e delle città toscane. Dati significativi: dicono che l'Unione è in grado di intercettare esigenze e domande dell'opinione pubblica".

Allora da dove nasce la sua insoddisfazione?
"Il voto manifesta, senza dubbio, una criticità nel Nord del paese. Sono positivi i risultati della Vincenzi a Genova e di La Spezia, ma quando si perde ad Alessandria, Asti, Verona, Monza e Crema non si può vederlo soltanto come un campanello d'allarme di natura locale".

Quello che diceva il Cavaliere alla vigilia, subito smentito da Prodi.
"Diciamo che la politicizzazione del voto voluta da Berlusconi ha fatto presa soprattutto al Nord".

Perché?
"Perché nel Nord è più forte la crisi di fiducia dei cittadini nei confronti della politica. Il Nord è la parte più dinamica del Paese, è abituata a competere sui mercati esteri, a paragonare la propria vita con quella delle società con cui si confronta quotidianamente. È anche la parte più sensibile alle esigenze di modernizzazione e proprio per questo misura con maggior senso critico una politica che appare lenta, distante e sorda. E che soprattutto non sa decidere. Quegli elettori hanno visto che in Francia in tre settimane si è votato due volte, chi ha vinto ha fatto il governo in 48 ore con soli 15 ministri, metà dei quali donne. E confronta tutto questo con una politica italiana che dai Dico al tesoretto si divide su tutto. Lei non ha idea di che impatto negativo abbiano avuto nelle città settentrionali le immagini dei cumuli di immondizia di Napoli. Paradossalmente, più che a Napoli stessa. Quella massa di spazzatura è, agli occhi dei cittadini del Nord, incomprensibile. Ed è, soprattutto, la dimostrazione di uno stato incapace ed imbelle".

È il caso di ricordare che la Campania è governata da voi, dal centrosinistra. Come il Paese.
"Il punto è questo: le aree in cui si è manifestato lo spostamento a destra sono quelle dove è più diffuso quel tessuto di piccole e medie imprese, di lavoro autonomo, di professioni nuove e vecchie che in questi anni non si sono sentite riconosciute e rappresentate dalla politica. E continuano a sentirsi così perché neanche l'Unione è riuscita a dare segnali che dimostrassero la sua capacità di raccogliere le domande di quei mondi e di dare risposte".

E i risultati sbandierati dal governo Prodi in questi dodici mesi?
"Ci sono. C'è una politica economica che nei suoi indirizzi fondamentali è giusta. Tanto è vero che il deficit scende, il debito pubblico si riduce e la crescita è sostenuta. Alcuni ceti questa politica giusta l'hanno condivisa. Ma pensano di averla pagata in prima persona senza che a un risanamento oneroso seguisse immediatamente una politica d'investimenti, di innovazione, di riforme capace di giustificare quegli sforzi. I terreni su cui matura la questione settentrionale sono sempre gli stessi: fiscalità, autogoverno locale e federalismo, modernità delle infrastrutture e qualità di una pubblica amministrazione che viene spesso percepita come opprimente e parassitaria. E il grande tema della sicurezza. Nodi su cui la politica, anche la nostra, non ha fin qui dimostrato di avere il coraggio e la determinazione necessari".

Lei vuole risposte per i settori della società che secondo la sinistra radicale hanno già avuto troppo.
"Io dico che il voto pone l'esigenza di ascoltare queste domande. Intendiamoci, c'è anche un altro aspetto da valutare, di segno diverso. Riguarda il lavoro dipendente, soprattutto operaio, che in questi anni ha vissuto sulla propria pelle la precarizzazione, anche dei redditi, e che vive con angoscia la discussione sulle pensioni. È un nodo leggibile nel voto della provincia di Genova dove il centrosinistra va al ballottaggio dopo tanti anni di successi al primo turno. Insomma, le amministrative sono un campanello d'allarme per l'Unione. Che va ascoltato e analizzato con grande lucidità".

Berlusconi vi propone la via più semplice: le dimissioni del governo.
"Questo voto non chiede al governo di andare a casa. Piuttosto gli elettori vogliono che chi guida il Paese si rimbocchi le maniche. Se l'esito delle amministrative fosse l'apertura di una crisi la gente si allontanerebbe ancora di più dalla politica".

Con questi risultati quindi il centrosinistra non smorza la denuncia di Montezemolo?
"No. Anzi. Credo che abbia pesato ciò che Montezemolo ha detto all'assemblea di Confindustria. Non a caso lo smottamento è avvenuto in quelle aree dove la presenza imprenditoriale è forte. A maggior ragione confermo il mio commento alle sue parole: guai a fare spallucce, a girare la testa dall'altra parte. Esprimevano lo stato d'animo di una parte del Paese che ieri ha scelto a destra, ma in altri momenti ha votato per noi".

Il Partito democratico è una risposta?
"Il voto è un'ulteriore sollecitazione a fare il Pd. A patto che sia all'altezza della domanda di cambiamento, di innovazione e di modernità".

E non serve subito un leader per dare un profilo al Partito democratico, come chiedono in molti?
"Se pensiamo di risolvere le questioni aperte dai risultati di ieri con un dibattito sulla guida del Pd, siamo fritti. Perché i cittadini di Varese vogliono sapere quando facciamo la Pedemontana e gli imprenditori del Nord Est quando gli riduciamo le tasse. Non rispondiamo al Nord in modo "romano" pensando che tutto si risolve nel politicismo di un confronto sulla leadership. Parliamo delle domande vere e dei problemi veri che la società settentrionale ci pone. E diamo delle risposte. In fretta, per favore".

(29 maggio 2007) 
da repubblica.it
7910  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Re: Gianfranco Pasquino Un anno e tre errori inserito:: Maggio 28, 2007, 10:14:55 pm
POLITICA

Colloquio con Carlo Azeglio Ciampi: "stop al qualunquismo, può travolgere tutto"

Per l'ex capo dello Stato l'Italia di oggi è "infinitamente migliore" di quella di Tangentopoli

"Sì, la politica deve riformarsi ma è sbagliato evocare il '92"

di MASSIMO GIANNINI

 

"Ma sì, non c'è dubbio che la politica sia in difficoltà, così come non c'è dubbio che nel Paese ci sia un clima di scontento. Ma per favore, evitiamo di farci travolgere tutti da un'ondata di qualunquismo". Come lo Scalfaro del decennio passato, Carlo Azeglio Ciampi pronuncia il suo sommesso "non ci sto". E nel pieno di una tornata di elezioni amministrative che misura l'indice di prossimità tra gli elettori e gli eletti, e quindi il grado di fiducia del Paese nei confronti di chi lo governa, l'ex presidente della Repubblica entra a modo suo nel campo minato dei "costi della politica", per parlare di quella che ormai si definisce la "crisi della politica". Non la nega, ma la circoscrive: "Cerchiamo di non esagerare - dice - non è vero che l'Italia del 2007 è come quella del '92. Pur con tutti i suoi problemi e i suoi limiti, il Paese di oggi è infinitamente migliore di quello di allora...".

Da una parte caste chiuse che si riproducono per partenogenesi e oligarchie autoreferenziali che confliggono tra loro. Dall'altra corpi sociali in deficit di rappresentanza e cittadini semplici spremuti dalle tasse. Di là privilegi, di qua sacrifici. In mezzo, la marea montante dell'anti-politica, la voglia malsana di far collassare un sistema che non si sa riformare. Lo spettro della gogna mediatica, il fantasma delle monetine dell'Hotel Raphael. La liquidazione di un'intera classe dirigente, la tentazione di uno sbocco tecnocratico. Ma è davvero questa, l'orrenda rappresentazione dell'Italia di oggi, secondo la declinazione un po' forzata costruita sulle parole di Massimo D'Alema?

Ciampi, che non è un politico ma ha vissuto suo malgrado nel Palazzo negli ultimi quindici anni, non accede a questa visione, che parte dal pessimismo sulla mala-politica ma rischia di sconfinare nel nichilismo dell'anti-politica: "Sta succedendo qualcosa di strano. In pochissimo tempo, siamo passati da un panorama sociale caratterizzato da cielo nuvoloso, a un clima da tempesta imminente. Io, onestamente, questo clima non lo respiro. Vedo che c'è in giro un'insoddisfazione diffusa. Dico con assoluta convinzione che non si può non condividere un certo allarme, per i ritardi sulle riforme, per le inefficienze del sistema e per i costi dell'apparato politico. Ma insisto: non si può fare di tutta un'erba un fascio. E non si possono fare paragoni azzardati con un passato che, per fortuna, è davvero alle nostre spalle".

L'ex Capo dello Stato se lo ricorda bene, quel passato. Nel '93 fu proprio lui a camminare tra le macerie di quel terribile '92, quando i giudici di Milano rasero al suolo Tangentopoli, il Paese sfiorò la bancarotta finanziaria. Oggi Ciampi invita tutti a non fare accostamenti troppo azzardati, che finirebbero solo per alimentare i focolai di qualunquismo. Quelli non furono solo gli anni del simbolico linciaggio di piazza contro Bettino Craxi. Ma anche quelli dell'avviso di garanzia quotidiano per i ministri in carica. Anche quelli del contrattacco mafioso, con le stragi di Falcone e Borsellino e poi gli attentati di Roma, Milano e Via dei Georgofili a Firenze. Ciampi visse quella drammatica stagione prima da governatore della Banca d'Italia, poi da premier. Per questo, oggi può dire: "Di problemi ne abbiamo tanti, ancora. Ma quanta strada abbiamo fatto, da allora...".

Questo invito alla prudenza nei giudizi, tuttavia, non vuole nascondere le convulsioni che la nomenklatura sta vivendo. E meno che mai vuole occultare le persistenti aberrazioni della partitocrazia. "Anch'io ho letto "La Casta", il libro che oggi sta avendo giustamente questo grande successo. Anch'io resto colpito di fronte a certe storie di sperpero del pubblico denaro. Del resto, la lotta agli sprechi e il risanamento delle finanze dello Stato sono stati la missione della mia vita. L'obiettivo di tagliare drasticamente certe spese inutili è giusto. Così come è sacrosanta la necessità di dare risposte serie e immediate alla sana indignazione dell'opinione pubblica. Tutti dobbiamo impegnarci di più, per tentare di risolvere questo problema. Ma in questa fase dobbiamo evitare di essere travolti in una campagna di discredito che investe tutto il sistema politico. Questa non aiuta, anzi peggiora solo le cose".

Ciampi cita un esempio che lo riguarda da vicino, e che in queste settimane ha finito per porre anche lui al centro di qualche velenosa polemica: le spese del Quirinale. "Vede - osserva il presidente emerito - quello è un tipico esempio di come un problema generale, se affrontato in modo semplicistico, finisce per stravolgere il giudizio su un problema particolare. Io non discuto la fondatezza dei dati sulle spese del Quirinale, riportati dal libro di Stella e Rizzo e amplificati in questi giorni dai giornali. Ma io dico che, per potere dare un giudizio obiettivo, bisogna distinguere tra dati effettivi e dati contabili. E allora, se davvero negli ultimi anni i costi del Colle sono aumentati dell'80%, questo è proprio il frutto di una dinamica non effettiva, ma solo contabile. Tra il 2001 e il 2002 infatti decidemmo che per ragioni di trasparenza i cosiddetti "comandati" presso la Presidenza della Repubblica, che avevano lo stipendio base pagato dalle Amministrazioni di competenza più un'integrazione finanziata dal Quirinale, fosse interamente pagati dallo stesso Quirinale. Dal punto di vista dei costi generali dello Stato, fu solo una partita di giro. Ma ecco che se si scorpora questo importo dai costi del solo Quirinale, si scopre che quel clamoroso aumento delle spese non c'è stato affatto".

Il ragionamento dell'ex capo dello Stato non serve a dimostrare che tutto va bene così. Al contrario, Ciampi ripete: "Dobbiamo fare di più". Ma proprio per questo aggiunge: "Io, nel mio settennato, la mia parte l'ho fatta. Primo: il compenso del presidente della Repubblica, sempre uguale dal '96, anno di inizio del grande risanamento, non è mai aumentato ed anzi, d'accordo con il mio predecessore Scalfaro, decidemmo di sottoporlo a tassazione piena, mentre prima era esentasse. Secondo: proprio allo scopo di monitorare al meglio le spese, istituì un Comitato dei revisori, composto da tre funzionari della Corte dei conti e della Ragioneria. Insomma, su questo terreno non accetto lezioni proprio da nessuno. La mia storia parla per me...". Ciampi ci tiene a ribadirlo, proprio nei giorni in cui, soprattutto da una destra becera e populista, partono certe campagne avvelenate, per esempio sui trattamenti pensionistici di politici, amministratori e grand commis dello Stato. Anche su questo versante, il presidente emerito ha qualcosa da dire: "La mia denuncia dei redditi è pubblica. Agli atti della Presidenza del Consiglio. Basta consultarla, per vedere che il mio reddito principale è una generosa pensione della Banca d'Italia, dove ho lavorato per 47 anni. Credo di averla meritata, in tutta onestà". Premesso questo, lui stesso conviene sulla necessità di intervenire su certi privilegi, su certi trattamenti "speciali", che riguardano sia i parlamentari, sia soprattutto gli amministratori locali. Ma anche qui, "bisogna intervenire dove è necessario, senza mettere tutti nello stesso calderone". Come se tutti fossero ladri, grassatori, disonesti.

A questa deriva Ciampi non vuole arrendersi. Teme che, per questa via, si arrivi a soluzioni imprevedibili e nefaste per i destini della Repubblica. Registra anche lui gli effetti del manifesto politico di Montezemolo. Riflette anche lui sulle prese di posizione di Mario Monti, a proprosito delle differenze tra "tecnici" e "politici". E da tecnico a sua volta prestato alla politica commenta: "Vede, in Italia la discesa in campo dei "tecnici" deriva indubbiamente da una certa debolezza della politica. Io non colpevolizzo i tecnici, in assoluto. Ma c'è tecnico e tecnico. Per me, come dimostra la mia vicenda, quando un tecnico è chiamato dalla politica si deve mettere al servizio del Paese. E non deve farsi prendere dal desiderio di potere. Deve limitarsi a compiere al meglio il suo incarico, e poi ritirarsi in buon ordine. Io l'ho sempre fatto. Lo feci nel '93 da presidente del Consiglio, quando in molti volevano che il mio governo diventasse 'sine die', e invece andai dal presidente della Repubblica a rimettere il mio mandato. Lo feci nel '96 da ministro del Tesoro, prima col governo Prodi e poi col governo D'Alema, a cui scrissi una lettera per dirgli che restavo ancora al mio posto ma solo perché "l'euro è un matrimonio celebrato, ma non ancora consumato", e per questo rimasi fino all'avvenuta consumazione del rito. Lo feci nel 2006 da presidente della Repubblica, quando resistetti alle sirene di chi mi chiedeva di restare al mio posto, e invece risposi di no, perché avrei introdotto un precedente inedito nella nostra storia, introducendo una forma di "monarchia repubblicana" che mal si confà alla nostra democrazia e alla nostra Costituzione". Anche oggi, quindi, per Ciampi dovrebbe valere la stessa regola. Se la "crisi della politica" dovesse riprodurre l'emergenza di una "supplenza" tecnica al governo, l'unico principio che dovrebbe valere sarebbe questo: rendere il proprio servizio al Paese, e poi fare un passo indietro.

Ma questa, nella valutazione di Ciampi, è un'emergenza che la politica non dovrebbe consentire. L'anomalia della "surroga" è e deve restare un'eccezionalità. Nonostante le contraddizioni in cui si dibatte, la politica di oggi ha i mezzi e gli strumenti per dare le risposte che i cittadini si aspettano. E per riaffermare il proprio "primato". A Ciampi è piaciuta molto, la vecchia battuta che gli disse l'Avvocato Agnelli, ricordata su queste colonne quattro giorni fa da Ezio Mauro: "Se fallisce lei, dopo c'è solo un cardinale, o un generale...". Secondo il presidente emerito, quel tempo è finito. E non deve mai più tornare.

(28 maggio 2007) 

da repubblica.it
7911  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: SOCIETA' - FAMIGLIA inserito:: Maggio 28, 2007, 10:14:03 pm
Confiscato alla mafia, inaugurato due anni fa, mai usato

Raffaele Sardo


Fu inaugurata poco meno di due anni fa e per la sua ristrutturazione sono stati spesi 200mila euro  di un finanziamento concesso dalla Regione Campania. Ma ora è ancora chiusa. È la "Casa don Diana", ovvero un "Centro di pronta e temporanea accoglienza per i minori in affido" nato in un bene confiscato sottratto al boss del clan dei casalesi, Egidio Coppola. Il Centro non apre perché manca il certificato di agibilità. La causa di tutto questo sarebbe un  pozzo artesiano, sorto abusivamente, da cui viene prelevata l'acqua  per la struttura, e che risulta inquinato sia dal punto di vista  chimico che microbiologico.

A denunciare questo ulteriore caso scandaloso nella gestione dei beni confiscati della provincia di Caserta, è stato Valerio Taglione, referente provinciale di Libera e portavoce del Comitato don Peppe Diana. La struttura venne inaugurata ufficialmente il 23 novembre 2005.  A tagliare il nastro della "Casa don Diana", c'era il  vescovo di Aversa, Mario Milano, il sindaco di Casal di Principe, Francesco Goglia, il prefetto di Caserta dell'epoca, Carlo Schilardi, il procuratore antimafia, Franco Roberti e  il vice procuratore nazionale Lucio Di Pietro. Passò anche don Luigi Ciotti, presidente Nazionale di Libera, perché quel giorno coincideva con l'arrivo della carovana antimafia al santuario della Madonna di Briano. Le responsabilità, come accade in casi del genere, si rimpallano da una parte all'altra.
 
Il 26 febbraio del 2004 il Comune di Casal di Principe, concedeva in comodato d'uso gratuito ad Agrorinasce (un Consorzio di sei comuni: Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa, Casapesenna, Villa Literno, Santa Maria La Fossa e San Marcellino), per la durata di dieci anni, l'immobile confiscato al boss  Egidio Coppola. La regione Campania, il 10 gennaio 2005, finanziava per 200mila euro la ristrutturazione dell'immobile e Agrorinasce lo girava in comodato d'uso all'ASL di Aversa per destinarlo a Centro di accoglienza per i minori dove sarebbero passati, in un anno, almeno 350 bambini nella sola area aversana, che vivono un disagio familiare e sono in attesa di una famiglia per un affido temporaneo. Il comune di Casal di Principe bandisce i lavori, che vengono affidati e ultimati il 22 novembre 2005. Il giorno dopo c'è l'inaugurazione della struttura in pompa magna.  Ma appena dopo il taglio dei nastri, si scopre che il certificato di agibilità dell'abitazione non può essere redatto, perché l'acqua che esce dai rubinetti è inquinata. Infatti essa viene prelevata da un pozzo artesiano abusivo, costruito dal suo originario proprietario e con l'acqua inquinata i bambini in quella casa non ci potranno mai entrare.
 
Il 14 maggio scorso, in una nota inviata al Comune di Casal di Principe, Giovanni Allucci, amministratore delegato di Agrorinasce ha sollecitato il Comune, per la quarta volta, a risolvere il problema dell'acqua inquinata con il semplice acquisto di un depuratore. Il paradosso è che il Comune è commissariato e a dirigerlo, in questo momento, c'è un altro funzionario prefettizio, la dottoressa Savina Macchiarella.  E dunque la Prefettura potrebbe risolvere al proprio interno il problema senza bisogno di rimpallare le responsabilità tra enti e consorzi gestiti da funzionari prefettizi. La provincia di Caserta è la quarta a livello nazionale per  possesso di beni confiscati. E anche per questo motivo l'associazione Libera e il Comitato "don Peppe Diana", hanno dato vita ad un osservatorio sui beni confiscati, che sta dando i primi frutti.

Ma la "Casa don Diana", non è un caso isolato. Il caso più clamoroso riguarda proprio il capo del clan dei casalesi, Francesco Schiavone, Sandokan. Dal 2004, infatti, nella casa confiscata al boss, viveva ancora la sua famiglia. Nessuno mai si era preoccupato, fino alla denuncia fatta dal presidente della Commissione Antimafia, Francesco Forgione, solo il 19 marzo del 2007, di  emettere un decreto di sfratto nei confronti degli occupanti abusivi. Anche in questo caso, inadempienze, negligenze  e sicuramente connivenze, avevano impedito l'assegnazione del bene ad un uso sociale. Proprio pochi giorni fa, invece, è stata firmata una convenzione dal vice ministro dell'Interno, Marco Minniti, in rappresentanza del Viminale, e il commissario prefettizio di Casal di Principe per dare vita ad un centro di aggregazione giovanile la villa del boss Francesco Schiavone.
 

Pubblicato il: 27.05.07
Modificato il: 28.05.07 alle ore 14.42   
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7912  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: SOCIETA' - FAMIGLIA inserito:: Maggio 28, 2007, 10:13:12 pm
28 maggio 2007

 Eni querela Report per inchiesta sul gas.

Sequestri della Gdf, manager indagati

Nel giorno in cui l'Eni ha deciso di querelare la trasmissione Report in onda domenica sera su Rai 3 perché «avrebbe riportato fatti in modo distorto e scorretto», la compagnia petrolifera è stata visitata dalla Guardia di Finanza, per esplicita ammissione del gruppo di S. Donato Milanese, «nell'ambito di un'indagine avviata lo scorso anno dalla Procura della Repubblica di Milano, sugli strumenti di misura del trasporto e della distribuzione del gas naturale utilizzati in Italia dalle imprese del settore».

Le Fiamme Gialle, inviate dalla Procura di Milano, hanno operato lunedì mattina un sequestro di documenti presso gli uffici di varie società, tra cui Snam Rete Gas e Italgas (ma sia parla anche di Arcalgas e dell'Aem Milano, ndr) «con particolare riguardo a documentazione a partire dal 2003». I sequestri sono avvenuti a Milano, Roma, Torino e Piacenza. Le accuse comprendono la truffa, la violazione della legge sulle accise, ostacolo all'attività di vigilanza e l'uso o detenzione di misure o pesi con falsa impronta. Tutte le società coinvolte nelle indagini sono anche state iscritte nel registro degli indagati per la legge 231 del 2001 relativa alla responsabilità amministrativa delle società.

L'inchiesta sulle misurazioni del gas è stata avviata dai pm Sandro Raimondi e Letizia Mannella. La nota Eni parla anche di diversi manager sotto inchiesta, compreso l'amministratore delegato Paolo Scaroni, in qualità di legale rappresentante della capogruppo insieme ad altre dieci persone e otto società fra cui Eni, Snam Rete Gas e Italgas. Secondo l'ipotesi di accusa l'Eni avrebbe usato dei contatori chiamati venturimetrici, che avrebbero conteggiato consumi maggiori rispetto alla realtà, gonfiando di fatto le bollette. I misuratori venturimetrici, sostiene l'Eni, sono «da sempre utilizzati in Italia e all'estero, e non incidono sulle misurazioni relative alla bolletta dei consumatori».

«Siamo sereni - ha dichiarato Scaroni all'Ansa - le misurazioni oggetto dell'inchiesta sono al centro dell'attenzione di tutte le società operanti nel mercato del gas in Italia e all'estero. Io stesso, appena giunto in Eni, ho attivato una procedura di verifica sulle misurazioni del gas, avvalendomi di consulenti internazionali specializzati. Peraltro - ha aggiunto il top manager dell'Eni - si fa riferimento a misurazioni su gas non contabilizzato, che è la differenza tra il gas che Eni compra dai propri fornitori e quello che poi rivende ai distributori. Questa differenza, a oggi, rappresenta per la nostra azienda una perdita secca di alcune centinaia di milioni di metri cubi di gas ogni anno. Mi preme ricordare - ha concluso Scaroni - che le misurazioni del gas per quanto riguarda la distribuzione cittadina vengono realizzate seguendo rigidamente le indicazioni emanate dall'Authority per l'Energia e il Gas e dai competenti uffici del ministero dello Sviluppo economico».

Quanto alla puntata di Report «Eni ha dato mandato ai propri legali, suo malgrado, di predisporre una querela che ricostruisca la verità dei fatti, e che tuteli l'immagine dell'azienda e l'onorabilità dei propri dipendenti».

Sul listino dei titoli principali Eni perdeva - poco dopo le ore 13 - l'1,4% a 25,95 euro con lo 0,36% di scambi. Il titolo si è in parte ripreso dopo aver toccato una perdita del 2 per cento. In rosso anche Snam Rete Gas (-0,4%) e Saipem (-1%, come Aem). A proposito di un suo presunto coinvolgimento nell'inchiesta sul gas, l'ad delle ex municipalizzata milanese, Giuliano Zuccoli, ha dichiarato a fine mattinata di non sapere nulla. «Sto rientrando in azienda per vedere di cosa si tratta».

da ilsole24ore.com

7913  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: SOCIETA' - FAMIGLIA inserito:: Maggio 27, 2007, 05:43:12 pm
Questi i beni personali del mitico banchiere

L'eredità di Cuccia: 150 mila euro

Il lascito del fondatore di Mediobanca ai figli Aurea, Silvia e Pietro Beniamino.

E non ritirava il compenso da presidente onorario


MILANO — Il «banchiere dei banchieri», «il silenzioso burattinaio del capitalismo italiano», «lo spietato sacerdote del grande capitale». Quando Enrico Cuccia morì, poco meno di sette anni fa, furono solo alcuni dei titoli riservati dai quotidiani al fondatore di Mediobanca, protagonista di mezzo secolo di economia e finanza italiana. Un uomo minuto, magro e incurvato, che si poteva incontrare la mattina, in centro a Milano, intento ad attraversare a piedi Piazza della Scala nel tragitto verso via Filodrammatici. Ma se la riservatezza, l'enorme potere, e lo stile di vita quasi monacale sono attributi che fanno ormai parte integrante del ritratto un po' stereotipato di Cuccia, non è meno sorprendente scoprire come alla sua morte, il 23 giugno 2000, i beni personali del banchiere novantaduenne — del “signore della finanza” — si esaurissero in un conto corrente bancario. Quello aperto proprio alla sede centrale dell'allora Comit, la Banca Commerciale Italiana del suo vecchio maestro Raffaele Mattioli e dei primi passi della sua lunga carriera.

IL CONTO IN PIAZZA SCALA - Un conto corrente con un deposito di poco più di 150 mila euro. Anzi, per la precisione, con denaro liquido pari a 303 milioni e 305 mila vecchie lire. Nient'altro, secondo il documento rintracciato dal «Corriere» all'Agenzia delle entrate, lo stesso consegnato dagli eredi qualche settimana dopo all'Ufficio registro successioni di via Ugo Bassi a Milano, corredato di imposta di bollo per trentamila lire. «Il miglior banchiere d'Europa» – come disse Andrè Meyer, suo amico e patron della Lazard, a Cesare Merzagora - non ha lasciato neanche un testamento. Non ce ne sarebbe stato bisogno, visto che ufficialmente, al di là del conto corrente alla Comit, non esisteva un'eredità da dividere, composta magari di immobili, azioni, titoli e beni vari. I dettagli della situazione patrimoniale di Cuccia, per la verità, non sono del tutto accessibili e come si evince dai documenti all'Agenzia delle entrate risultano gelosamente custoditi nello studio dei commercialisti di fiducia della famiglia, quello milanese dei Dattilo. Creato da Giuseppe, siciliano di Siracusa, e gestito dal figlio Maurizio, lo studio è uno storico consulente fiscale di Mediobanca. E di recente ha avuto un ruolo anche nella vicenda che ha portato alla costituzione della Telco, la nuova holding di Telecom Italia. Ma al di là del muro che ha sempre circondato le vicende dei creatori e degli epigoni della banca milanese, a parlare sono le carte disponibili. Per il 1999, l'anno prima della morte, Cuccia dichiarava al fisco di percepire circa 350 milioni netti di vecchie lire. Entrate derivanti per più della metà soprattutto dal fondo di previdenza privato, e per il resto dalla pensione Inps e da quanto riconosciuto da Mediobanca in virtù della carica di presidente onorario: ovvero 163 milioni di lire, al lordo delle ritenute. A proposito di questa compenso, i funzionari della Mediobanca di allora ricordano che l'anziano banchiere non volle mai incassarlo. Tanto che dalla sua segreteria, non potendo disporre diversamente, un bel giorno si decise, con qualche imbarazzo, di accreditarglielo automaticamente, quasi di nascosto.

LA VILLA SUL LAGO - L'ennesimo aneddoto destinato ad alimentare la panegiristica sull'indiscutibile rigore di un banchiere unico e irripetibile? E tuttavia, malgrado fosse un navigato conoscitore degli strumenti della finanza italiana e internazionale, Enrico Cuccia non ha lasciato ai suoi eredi nulla che vada al di là delle possibilità di una agiata famiglia borghese. Dalle stesse carte risulta che anche la famosa villa «da venti stanze e cinquemila metri di giardino» di Meina, sul lago Maggiore, la località dove il banchiere è sepolto (e dove la salma fu trafugata nel 2001 per poi esservi di nuovo sepolta) non rientrava nella sua disponibilità. L'abitazione è proprietà dei tre figli da più di dieci anni, per un terzo ciascuno, ed è in realtà l'eredità lasciata dalla moglie, la signora Idea Nuova Socialista, una delle figlie del fondatore dell'Iri Alberto Beneduce (le altre due si chiamavano Vittoria Proletaria e Italia Libera). Scomparsa nell'ottobre del 1996, anche lei riservatissima, per un puro caso fu ritratta poco tempo prima della morte in un servizio fotografico a passeggio per Roma e in compagnia del marito. I tre figli di Enrico Cuccia - Aurea (la più anziana), Silvia e Pietro Beniamino (il più giovane) – viaggiano inoltre sopra la sessantina e vivono tutti e tre a Milano, dove risultano proprietari di appartamenti in zone residenziali, nei pressi della Fiera e di Brera. La figlia Silvia ha lavorato come professoressa di matematica, mentre Beniamino da gennaio dello scorso anno ha fatto il suo ingresso nel consiglio di amministrazione di una piccola società farmaceutica in provincia di Como. Insomma, come ha scritto nel 2003 Antonio Maccanico (al vertice di Mediobanca al momento della privatizzazione dell'87-88 e nipote di un altro presidente, come Adolfo Tino) è forse proprio vero che «il danaro per Cuccia era solo un mezzo», e che «la società dello scandalo Enron non lo avrebbe capito, lo avrebbe forse emarginato». Non solo la società dello scandalo Enron, ma forse anche quella delle laute stock-option, dei superbonus e delle buonuscite plurimilionarie.

Stefano Agnoli
27 maggio 2007
 
da corriere.it
7914  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: SOCIETA' - FAMIGLIA inserito:: Maggio 26, 2007, 10:30:56 pm
L'ANTITALIANO

Chi ha paura del cardinal Bagnasco
di Giorgio Bocca


Nella mia vita non ho mai temuto un divieto o un rimprovero ecclesiastico. Gli infiniti delitti permessi e perdonati in nome dei soldi sono i veri privilegi autoritari del nostro tempo  Il cardinale Angelo Bagnasco
presidente della CeiChe ne pensa del Family day? Un certo fastidio per il nome in inglese, da provinciali dell'impero anglosassone, da mercato globale per vendere di più che con 'il giorno della famiglia'. Poi lo strumentalismo politico cui non poteva mancare Silvio Berlusconi con il suo teorema imbecille: "Il Family day è di destra, solo i dementi sono di sinistra".

E poi il trionfalismo, la retorica sulla famiglia bene supremo della società. Non sempre per fortuna. La famiglia per la continuazione della specie, per la formazione e l'esistenza della nazione, d'accordo, ma anche la famiglia come freno della perenne rivoluzione sociale, come ostacolo alla conoscenza.

Chi ha raccolto le sfide della vita sa che nei momenti decisivi ha dovuto disattendere o disobbedire ai legami della famiglia. La sera che me ne andai da casa per raggiungere la guerra partigiana dissi ai miei: "Sappiate che se vi arrestano o vi perseguitano io non scenderò dalla montagna per costituirmi".

Le famiglie hanno giocato un ruolo ambiguo durante il terrorismo più vicino ai legami del sangue che alla legalità. Le lodi alla famiglia cattolica, in parte condivisibili, sono parse fastidiose e acritiche nella loro ignoranza delle famiglie non cattoliche e nel silenzio sui freni e sui limiti che le famiglie hanno posto agli individui ardimentosi e generosi, anche se cattolici o santi che allargavano le umane conoscenze.

Di fronte alla manifestazione di piazza, e alle cervellotiche definizioni politiche su chi è un familista di destra o di sinistra, ci è parso di cogliere nella società italiana una diffusa diffidenza verso la democrazia intesa come convivenza e tolleranza fra i diversi. Per i cattolici ogni affermazione di laicismo è vista come una ostilità al mondo cattolico. Ogni riconoscimento di un diritto civile agli omosessuali come l'avvento del regno di Satana e, all'opposto, ogni difesa dei cattolici in materia religiosa come un ritorno alla caccia alle streghe o come una crociata sanfedista.
 

Chi vedeva nel cardinale Camillo Ruini un asfissiante difensore di privilegi clericali aveva le sue buone ragioni, ma quelli che promettono morte al cardinal Bagnasco perché fa le sue prediche sono afflitti da mania di persecuzione.

Che l'Italia sia un paese cattolico nei suoi meriti e nei suoi difetti è un fatto accertato, che la televisione pubblica sia al servizio del Vaticano dei papi e delle loro pubbliche cerimonie è altrettanto evidente, ma non è una ragione per dire che la Repubblica italiana è una teocrazia in cui i laici sono schiavi dei preti. In tutta la mia avventurosa vita non ho mai avuto ragione di temere un divieto o un rimprovero ecclesiastico. Le ferree regole del capitale, gli infiniti delitti che vengono permessi e perdonati in nome dei soldi, sono i veri privilegi autoritari del nostro tempo.

I preti di adesso si fan vedere nelle nostre case solo per la benedizione pasquale e quando ci servono per confessioni e olio santo. Si ha l'impressione che queste paure esagerate, queste contrapposizioni spesso fantastiche nascano dal sentimento generale che non si può andare avanti così, senza principi e senza regole, affidati soltanto alla moltiplicazione dei consumi e al dilagare della corruzione.

Non si può andare avanti con il rovesciamento dei valori che il capitalismo selvaggio sta operando. Da capo del governo Berlusconi dichiarava che l'evasione fiscale era un diritto dei cittadini, un modo di resistere allo Stato esoso. Finanziere di livello mondiale, il signor Briatore padrone del Billionaire ricorda con rimpianto i giorni in cui fu arrestato per gioco d'azzardo come inizio della sua fortuna.

E allora i casi sono due: o un ritorno a un minimo di ordine o un nuovo cataclisma sociale.
(25 maggio 2007)
 
da epresso.repubblica.it
7915  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: POLITICA inserito:: Maggio 26, 2007, 10:29:46 pm
«Premier e capo dell'opposizione devono sapere anche lavorare insieme»

Veltroni: «Il Paese è in crisi democratica»

Il sindaco di Roma: non ci sono rischi autoritari ma non funziona il meccanismo decisionale.

«Vorrei un sistema di voto alla francese» 

 

LA BAGNAIA (Siena) - «Il Paese è in una crisi democratica, non per un rischio autoritario, ma perchè è in crisi il meccanismo decisionale e il rapporto tra decisioni e partecipazione». Lo ha detto il sindaco di Roma Walter Veltroni durante il convegno sull'editoria «Crescere fra le righe» in corso a La Bagnaia. Per Veltroni da questa crisi si può uscire con un sistema che sia davvero bipolare, e non un «bipolarismo tribale come quello italiano».

SISTEMA ALLA FRANCESE - Veltroni, rispondendo alle domande di Enrico Mentana e dei giovani presenti alla convention, non nasconde di guardare con attenzione ad un sistema alla francese: «Ma mi accontenterei di un'indicazione sulla scheda». L'ex segretario dei Ds sembra convinto che molti problemi attuali «siano legati proprio al sistema elettorale e alla legge fatta nella passata legislatura, con i partiti che nascono e muoiono in pochissimo tempo proprio in funzione di questa legge» ed è sempre più convinto che serva una politica diversa, «lieve» dove il leader dell'opposizione possa telefonare al vincitore delle elezioni, come è successo in Francia per fargli i complimenti.

DIALOGO TRA I POLI - È quasi un manifesto di ciò che lui vorrebbe dalla politica dei prossimi anni: «Com'è possibile - si domanda Veltroni - che i leader dell'opposizione non possano telefonarsi e confrontarsi su alcune delle gravi crisi che attraversano il Paese?». Ricorda, e chiede conferma al senatore a vita Giulio Andreotti, seduto in prima fila, che ciò avveniva «quando governava la Dc e il Pci era all'opposizione» (e dallo stesso Andreotti riceverà poi un complimento indiretto: «E' un bravo politico che può fare il leader» ha detto di lui il senatore a vita parlando con i giornalisti).

PIU' INTERNET, MENO TV - Il sindaco di Roma, quindi, torna a criticare coloro che si «illudono» di fare politica in televisione, un mezzo che invece «mangia, logora, consuma e divora tutto». «Non è la Tv il luogo in cui si formano le opinioni degli italiani», osserva sostenendo che occorre tornare ad un «rapporto diretto dei leader con i cittadini», magari usando anche più Internet per sentire le loro opinioni. Veltroni non esclude del tutto che in Italia si possa arrivare anche ad una terza Repubblica, perchè «quando c'è un vuoto può sempre arrivare qualcuno a colmarlo con soluzioni tecnocratiche-populiste», un rischio che va evitato attraverso «una presenza culturale democratica».

26 maggio 2007
 
da corriere.it
7916  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: POLITICA inserito:: Maggio 26, 2007, 10:27:48 pm
La politica dell’antipolitica
Antonio Padellaro


L’antipolitica è antica come la politica. Così come parlare male dei partiti è il nostro sport nazionale. Salvo che ad ogni elezione regolarmente le piazze si riempiono e ai seggi si registra la più alta affluenza. Niente però è immutabile, e vedremo se all’importante test amministrativo di domani le urne cominceranno ad essere disertate dai cittadini inferociti oppure no. Dei costi della politica i più anziani giornalisti parlamentari sentono parlare dai tempi di Sandro Pertini presidente della Camera che molto s’indignò per le spese ingiustificate del palazzo. Sono passati trent’anni, altri hanno protestato, altri hanno promesso ma non risulta che la massa di emolumenti e privilegi percepiti dagli eletti del popolo sia mai calata. Anzi.

Ciò non significa affatto sottovalutare i segnali di protesta che salgono dal Paese nei confronti della politica quando essa, oltre a essere costosa oltre ogni limite non risolve i problemi. O per inettitudine o perché paralizzata dai veti incrociati. Onestamente però, non riuscivamo lo stesso a capire le ragioni profonde della improvvisa e rumorosa esplosione di accuse contro la politica e i politici, al cui apogeo si è posto con il suo j’accuse il presidente di Confindustria Luca di Montezemolo. Ma quando abbiamo letto la bella intervista rilasciata dal direttore del Corriere della Sera al direttore di Liberazione (ogni tanto gli opposti si toccano), qualcosa in più cominciamo ad afferrare.

Innanzitutto, davanti al direttore del più grande quotidiano italiano che dice «siamo vicini all’implosione del sistema politico», c’è seriamente da preoccuparsi. Poiché conosciamo Paolo Mieli come giornalista equilibrato e assai cauto nell’uso delle parole dobbiamo pensare che abbia i suoi buoni motivi per manifestare tanto pessimismo. Per la verità, a Piero Sansonetti egli ha spiegato che non ci sono analogie con la crisi politica del ’92-’93, originata dalla meritoria (questo lo diciamo noi) azione dei giudici di Mani Pulite. La differenza è che anche oggi siamo afflitti da una vasta e vorace tangentopoli; solo che nessuno l’ha ancora scoperchiata. Sostiene però Mieli che rispetto ad allora un punto di contatto c’è: il referendum. Quello che nel 1991 ridusse il numero delle preferenze nelle schede elettorali, colpendo il potere di alcuni partiti, e quello che dal ’93 cambiò completamente il sistema elettorale introducendo in Italia il maggioritario. E siccome, spiega il direttore del Corriere, so che bastano due punti per definire una retta, non posso non vedere questi due punti: lo sfaldamento della credibilità politica e l’appuntamento referendario che inesorabilmente si avvicina.

Però, restando nel campo della geometria euclidea mentre uno dei punti è ben visibile a occhio nudo (il referendum), sull’altro (il discredito della classe politica) ci sarebbe comunque da discutere. Soprattutto perché prendere la politica e liquidarla in blocco come categoria di brutti, sporchi e cattivi si chiama qualunquismo, tentazione da cui tutti quanti dovremmo guardarci. E allora, può venire il sospetto che da una parte ci sia un problema reale e anche grave nelle sue dimensioni (i 200 milioni di euro, per esempio, che si spendono ogni anno per mantenere il sistema dei partiti, contro i 73 della Francia) e sul quale la politica deve saper accettare tutte le critiche utili. E che da un’altra parte ci sia chi voglia cavalcare il problema ma per ragioni strumentali e di potere.

Prendiamo, appunto, il referendum sulla legge elettorale. In sé un’iniziativa lodevole per scuotere l’immobilismo di maggioranza e opposizione che tra veti e controveti rischia di lasciarci, chissà ancora per quanto, alla mercé del «Porcellum» di Calderoli e soci, il peggior sistema di voto che si ricordi. I primi due quesiti prevedono che il premio di maggioranza,anziché alla coalizione venga attribuito al partito che ha preso più voti. Con la conseguenza di semplificare il sistema politico, fino a una sorta di bipolarismo imperfetto. Il terzo referendum elimina invece la possibilità delle candidature multiple e il conseguente giochetto delle rinunce che attribuisce ai partiti un successivo potere di scelta sugli eletti. È chiaro che se manovrato dalle più potenti lobbies industriali, finanziarie ed editoriali quello che è un legittimo strumento di democrazia diretta può trasformarsi in un grimaldello per destrutturare l’attuale sistema politico. Infatti, una vittoria dei referendari l’anno prossimo (nel primo dei tre mesi utili alla raccolta delle firme raggiunta quota 153mila, ne servono ancora 347mila) aprirebbe una crisi immediata tra i partiti minori dell’Unione. Un minuto dopo mi dimetto, ha già annunciato Mastella.

Da quel momento potrebbe succedere di tutto: dalle elezioni anticipate, alla formazione di nuovi schieramenti con il taglio delle ali a sinistra come a destra. Fino alla discesa in campo di quegli stessi personaggi che oggi criticano giocatori e partita standosene comodamente seduti in tribuna d’onore.

Uno sconquasso, insomma, che potrebbe trovare impreparato e in una situazione di oggettiva debolezza il Partito Democratico appena costituito. Con una posta del genere potremmo presto assistere a nuove, vigorose campagne contro la brutta politica. All’aumento di pugnali e veleni; e di intercettazioni da destinare in busta chiusa ai giornali amici. Ad altri drammatici annunci sull’imminente implosione del sistema. È la politica dell’antipolitica, bellezza.

apadellaro@unita.it

Pubblicato il: 26.05.07
Modificato il: 26.05.07 alle ore 9.43   
© l'Unità.
7917  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: POLITICA inserito:: Maggio 26, 2007, 10:27:05 pm
Io, la casta e il Pd
Gianni Cuperlo


Faccio il deputato da poco meno di un anno. Godo i privilegi della carica, stipendio, viaggi, rimborsi. Non è che tutto si riduce a quello. Per dire, passo le giornate tra persone perbene e che vivono la politica con passione sincera. Ciò non toglie che nel mio piccolo appartenga anch'io a quella «casta» che dovrebbe rapidamente metter mano a se stessa. E non solo per il clima montante nel paese. Quello sdegno che proietta il saggio di Stella in cima alle classifiche e suggerisce a D'Alema paragoni storici allarmanti. Ma per una scelta di merito. O se preferite di principio. Non puoi chiedere agli altri di remare mentre stai a prendere il sole. Se va bene smettono di remare tutti, ma è più probabile che ti rovescino dalla barca.

E non senza ragione. Ora, la campagna sui costi della politica, su privilegi e vantaggi troppe volte ingiustificati, non è nuova. Diciamo che si presenta con frequenza periodica anche se l'intensità è variabile. Pure i ruoli tendono a riproporsi. Ci sono quelli che denunciano insipienza e corrutela del ceto politico. E poi gli analisti che di quell'insofferenza cercano la causa scatenante. Non sono tipi da sorprendersi se l'Italia, e il suo sistema politico e la sua classe dirigente, sono la roba che sono. Lo sanno da sempre. A loro preme spiegare perché proprio adesso la gente reagisce. Cos'è che fa traboccare il vaso e che espone la democrazia a rischi seri. La politica, da parte sua, gioca di rimessa. Attende che la burrasca si plachi. O si dissocia (la politica che protesta contro se stessa sfiora vette di surrealismo).

Quel che non si coglie, almeno a parer mio, è il groviglio di effetti e cause coi quali siamo chiamati a misurarci. Li riassumo così. Siamo un paese che declina la politica «a tema». Ora è il turno della nuova questione morale e del pericolo di un collasso democratico. Ieri era la volta del ricambio generazionale e di una società bloccata. Domani potrebbe tornare in auge il rinnovamento dei partiti e la voglia di partecipare. In parallelo, ma separata, avanza la riflessione sui nuovi modelli di governo (da Zapatero e Sarkozy passando per l'epilogo di Blair). Mentre sullo sfondo c'è sempre qualcuno a ricordare le incertezze della politica quando vi sia da maneggiare patate bollentissime (si tratti di pensioni, sicurezza o diritti di cittadinanza). La difficoltà è farsi carico dell'insieme. Cioè capire che ciascuno di questi nodi, preso a sé, non ha soluzione né sbocco. Perché c'è qualcosa (più che qualcuno) che li tiene saldamente ancorati l'uno all'altro. Insomma c'è una ragione, e un filo unificante, se in questo benedetto paese abbiamo la politica meno attraente e più privilegiata, il mercato più corporativo e meno liberale, le élite più vecchie e meno dinamiche, i partiti più spenti e arroccati, l'innovazione più incerta e contraddittoria. In una parola sola c'è una ragione, e un filo, se la nostra è una società illiberale, iniqua e pigra. Dove, dal vertice alla base, la retorica dei principi (merito, talento, giovani e donne…) lascia il passo a una prassi consolidata (di cordata, potere e consenso).

Con intelligenza, Alfredo Reichlin su questo giornale e Ezio Mauro su Repubblica, hanno avanzato una lettura del problema. Hanno scritto, con accenti diversi, che il Partito Democratico in questo panorama può essere (e c'è da sperare che sia) la risorsa provvidenziale, o estrema, per una politica e una sinistra che vogliano opporsi a una possibile nuova crisi di sistema. Hanno entrambi ragione da vendere. Se il più ambizioso disegno politico dell'ultimo decennio non dovesse fondarsi su questo - su una riforma civile e morale del paese, oltre che sul rinnovamento delle culture democratiche e riformatrici - molti non ne coglierebbero il senso e l'approdo. Ma allora? Dov'è, se c'è, il limite di questo passaggio? La difficoltà, nonostante i passi avanti compiuti, a far decollare il Partito Democratico con più slancio e certezza dei propri mezzi? La mia impressione è che questo limite coincida con quel filo unificante della crisi italiana a cui ho fatto cenno. E lo riassumerei in questo. Noi - intendo la sinistra e il centrosinistra - soffriamo da tempo, da parecchio tempo, di un deficit profondo di elaborazione politica e di guida.

È un deficit di idee, coraggio, coerenze. Ma non è solo un problema del «ceto politico». Anzi declinato così rischia di apparire un tormentone fasullo e ingeneroso verso i meriti, che sono tanti, di una classe dirigente impegnata a governare oggi il paese e tanta parte del suo territorio. No, quel problema allude a uno scenario più complesso.

Ne accenno con un esempio. Come tanti scorro volentieri gli inserti letterari dei giornali. Ci trovi novità, recensioni, classifiche. Di queste ultime in particolare sono curioso. C'è la narrativa italiana, quella straniera e poi la saggistica. Ora, in Italia - si sa - non siamo gran divoratori di libri. Ma l'elenco dei saggi più venduti è indicativo. Se uno guarda all'andamento di quella classifica negli ultimi anni misurerà il successo, rinnovato nel tempo, di autori amati e dal seguito diffuso. Li annoto un po' a caso. Terzani, Travaglio, Vespa, Pansa o Augias. E più di recente il pluricitato Stella. Tradotto, l'umanità intima di un grande giornalista, il radicalismo intransigente, la politica declinata in cronaca, un revisionismo storico puntuto. E poi il saggio d'inchiesta o lo j'accuse verso una politica maramalda.

Naturalmente estremizzo. Perché ci sono anche i volumi di Sofri, Magris e Canfora. Ma se ci fermiamo ai grandi numeri cosa colpisce? Colpisce, tra le altre cose, il fatto che in quella graduatoria da tempo è quasi assente una visione alta, forte, moderna, di una politica riformatrice. Manca una lettura di parte (la nostra parte) del mondo e dell'Italia. E un movimento intellettuale, e delle coscienze, che di fronte alle rivoluzioni del mondo, della società, e della vita privata degli individui (fosse solo per il capitolo della vita, della morte e dei diritti) si misura col tempo presente. Anzi, tenta di interpretare lo spirito del tempo. E lo rovescia nella politica. Nelle culture politiche.

Chiedo: come si fa a fondare il primo partito del nuovo secolo - una forza a vocazione maggioritaria che dovrebbe condurre a sintesi le migliori tradizioni culturali dell'Italia repubblicana - se alla fonte di questo progetto non si alimenta, per mille rivoli, un pensiero originale? Ho sentito dire che il dramma della sinistra italiana negli ultimi anni sarebbe stato non avere a disposizione un Tony Blair. Mi permetto di dissentire. E comincio a pensare che il vero problema, se vogliamo restare in tono, è stato piuttosto non avere Giddens o altri come lui e migliori di lui. Perché ciò che ha distinto la sinistra di governo a Londra come a Madrid è stato anche - non dico solo, ma anche - la scelta di prendere il toro per le corna. Di metter mano alla carta d'identità di quelle forze e ricollocarle nella società contemporanea. Pagando dei prezzi per questo, ma accettando la sfida. E spesso vincendola. Non è solo questione di programmi elettorali. I programmi li scrivono le coalizioni e li realizzano i governi. Il problema è quale «pensiero» i partiti mettono in campo e come quella visione ispira e condiziona i programmi. Li plasma. Il tema - questo provo a dire - è come la sinistra rinnova se stessa nelle gerarchie dei valori, nelle priorità, nei soggetti che vuole rappresentare, nelle politiche pubbliche che persegue.

Tutto questo, insieme, fa una visione e un progetto. Se questa dimensione latita, o appare carente, prevale chi ha il timbro di voce più tonante o chi pesta sul tasto sacrosanto della riduzione dei costi della politica. Ben venga quella riduzione, sia chiaro. Ma temo che non basterà a rigenerare un organismo fiaccato. Sarebbe come dire a un malato grave che deve mettersi a dieta. Magari lo aiuta, ma senza la terapia giusta quello mica guarisce. Ecco perché spero che il comitato nazionale del Pd, e le regole che lì verranno messe a punto, ci spingano tutti nella direzione giusta. Perché ne va delle sorti dell'impresa, certo. Ma ne va pure del destino della sinistra per ciò che essa è stata. Per ciò che oggi è divenuta in questo paese e per quel che potrebbe tornare a essere in forme, contenuti e contenitori diversi. Per quel che conta, nel mio caso è stata questa la molla che mi ha convinto a credere nella fondazione di un partito nuovo. Adesso vorrei che provassimo a farlo.

Pubblicato il: 26.05.07
Modificato il: 26.05.07 alle ore 9.43   
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7918  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: POLITICA inserito:: Maggio 26, 2007, 10:26:24 pm
Ferrara e Trombadori, omaggio alla Roma del Pci
Bruno Gravagnuolo


Stavolta guerre toponomastiche non ce ne dovrebbero essere. E per ora non si registrano reazioni o proteste della destra capitolina. Almeno si spera. Ma la decisione del Comune di Roma di intitolare due luoghi con targhe a due famiglie politiche chiave della storia recente di Roma, non è banale o impolitica. La prima targa verrà scoperta martedì 29 maggio nel giardino di Piazza Brin a Garbatella, nel cuore di quella che fu un dì «zona rossa» del Pci romano. In onore di Maurizio e Marcella Ferrara, scomparsi nel 2000 e 2002 e alla presenza del figlio Giuliano.

La seconda e la terza, lunedì 4 giugno, anniversario della Liberazione di Roma, lungo il viale del Museo Borghese, in ricordo del grande pittore «scuola romana» Francesco Trombadori, e del figlio Antonello, critico d’arte, partigiano, deputato, poeta e tante altre cose. Intanto Maurizio e Antonello, che i più giovani non conoscono. Due amici fraterni, due comunisti romani e figure decisive dell’egemonia togliattiana, tra gli ultimi anni del fascismo e il dopoguerra. Entrambi anime della resistenza romana, cospiratori e antifascisti. Si conobbero nel 1940 al Palazzaccio, quando Mario Ferrara grande avvocato liberale e padre di Maurizio, difendeva un altro cospiratore: Pietro Amendola. Fu allora che Antonello diviene «fratello» di Maurizio ed entrambi radicalizzano la loro opposizione al regime.

Intellettuali borghesi, sanguigni e passionali però, coinvolti in quel gruppo di antifascisti romani da cui venne fuori anche Pietro Ingrao. Con Bufalini, Barca, Alicata, Natoli e più a distanza Giame Pintor. E con alle spalle Bruno Sanguineti e Antonio Amendola.

Maurizio sarà giornalista cardine de l’Unità di Ingrao, poi corrispondente da Mosca al tempo di Krusciov, e infine direttore del giornale, tra metà anni 60 e i primi anni 70. Aveva sposato Marcella Di Francesco, anch’essa resistente, segretaria di Togliatti e poi segretaria di Redazione di Rinascita. Maurizio sarà anche presidente della regione Lazio, ma troverà anche il modo di essere poeta dialettale e raffinato pamphlettista nel 1956, contro Italo Calvino (il «little Bald» dissidente sull’Ungheria, da lui satireggiato). Un’impronta indelebile la sua su l’Unità. Di giornalismo, polemica, passione, visceralità, apertura, simpatia. Antonello invece, scomparso nel 1993, era più «eccentrico», più «mondano» ma non meno passionale e togliattiano. Fu un ponte straordinario tra il partito e gli intellettuali, non solo italiani. E tra il partito e gli artisti, i cineasti, gli sceneggiatori. Non è vero intanto che fosse un ideologo «ortodosso» in arte. Infatti rivendicava l’autonomia del fatto artistico, da crociano di sinistra e figlio di pittore raffinato qual era. E poi era audace, travolgente. Un vero tormento da gappista armato contro i tedeschi, che ebbe il coraggio di affrontare armi in pugno più volte nella «Roma città aperta» occupata, in cui iscrisse il suo nome con onore. Visconti e Fellini lo ebbero come collaboratore alle sceneggiature, e Togliatti lo teneva in gran conto, pur moderandolo a volte. E però, malgrado la passione, Maurizio e Antonello erano aperti, curiosi, coinvolgenti. Uno spettacolo sentirli parlare romanesco. E imparare da loro l’antisettarismo, lo sbriciolamento dei luoghi comuni estremisti.

Ma Ferrara e Trombadori sono anche due «dinasty». Con Giorgio Ferrara, il fratello repubblicano, Marcella, e Giorgio jr, Giuliano Ferrara, Duccio Trombadori, Fulvia moglie di Antonello. Due case storiche, ospitali, crocevia di amicizie, affetti, politica e cultura, arte. Ci andavamo anche noi e ci hanno aperto un mondo. Che non c’è più ma ci ha fatti. E che ha fatto l’Italia più civile.

Pubblicato il: 26.05.07
Modificato il: 26.05.07 alle ore 9.45   
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7919  Forum Pubblico / ARCHIVIO degli articoli poco letti o a RISCHIO DI RITORSIONI / Cannes: All’orizzonte una palma di cartoon? inserito:: Maggio 26, 2007, 10:24:10 pm
All’orizzonte una palma di cartoon?
Alberto Crespi


Sarà bene ripeterlo: domani (stamattina per chi legge) passa in concorso il film di Kusturica e questo nostro pronostico potrebbe rivelarsi scritto sull'acqua. Sarà bene anche precisare che il palmarès pubblicato in questa pagina è inventato e rispecchia esclusivamente i nostri desideri: sono i premi che darebbe il vostro voyeur di professione, che alla sua 24esima edizione di Cannes sarebbe felice di essere sorpreso da una Palma a cartoni animati. Una cosa sono i desideri, un'altra i pronostici. Che però, in parte, sono costretti a coincidere: i 25 minuti di applausi ottenuti alla proiezione di gala da Persepolis, il cartoon autobiografico della franco-iraniana Marjane Satrapi, sono qualcosa di più di un'indicazione di voto. Sono un documento ufficiale di adozione - la Francia ha deciso una volta per tutte che Marjane è un'artista «di casa», e questa è una parola di speranza per gli artisti perseguitati di tutto il mondo - e una consacrazione nell'Olimpo dei grandi. Se qualche giurato (come solitamente accade) ha visto il film in quell'occasione, Persepolis è un possibile vincitore. Non dimenticheremo mai che, qualche anno fa, decidemmo che Il pianista aveva vinto vedendo la giurata Sharon Stone uscire in lacrime da una proiezione-stampa alla fine della quale gli applausi non raggiunsero forse i 25 minuti, ma almeno il quarto d'ora. L'onda emotiva che a volte sostiene un film può influenzare benevolmente i giurati; che sono donne e uomini di spettacolo, quindi conoscono il valore di applausi e fischi. Per lo stesso motivo pensiamo che i giurati non fossero presenti alla proiezione-stampa di We Own the Night, il film americano di James Gray: i giornalisti hanno (ingiustamente) fischiato, mentre una delle rarissime voci di corridoio filtrate in questi giorni danno il film tra i favoriti. Chi scrive, per la cronaca, sarebbe contento, anche se non abbiamo inserito Gray nel nostro palmarès personale.

Come scriviamo ogni anno, il pronostico cannense è difficile perché qui la giuria fa il suo mestiere: vede i film, discute e non parla con nessuno. Da oggi, appena visto Promise Me This di Kusturica, i giurati verranno come al solito segregati e per domani pomeriggio dovranno consegnare il verdetto. Come da tradizione, i direttori Jacob e Fremaux non eserciteranno pressioni. Una volta succedeva, ma senza grande esito: proprio quest'anno, in occasione del trentennale della Palma a Padre padrone, i fratelli Taviani hanno raccontato di aver appreso, anni dopo, dei retroscena divertenti sull'edizione '77. L'allora direttore Favre le Bret spingeva per Una giornata particolare e soprattutto per un premio alla Loren; i giurati e soprattutto le giurate, estenuati dalle pressioni, videro entrare Sofia alla proiezione di gala e dissero più o meno: «Che donna bella, ricca, fortunata… e vuole anche la Palma d'oro? Pussa via!». Così, convinti da Rossellini che era il loro presidente/tutore, votarono per i Taviani all'unanimità. È stato proprio Jacob a raccontare questa storia, per cui è presumibile che l'attuale presidente del festival abbia fatto tesoro di tale esperienza. Quest'anno il presidente è Stephen Frears, che ben difficilmente premierà film eccessivamente intellettualistici ed estetizzanti. Alcuni dei «nostri» premiati (Persepolis, Schnabel, i Coen, Van Sant, l'attrice rumena) sono verosimilmente presenti nelle discussioni della giuria, che potrebbe prendere in considerazione anche Wong Kar-Wai, il russo Zvjagintsev, l'americano Zodiac, il turco-tedesco Fatih Akin, il citato James Gray e, ovviamente, Kusturica. Con ciò, abbiamo citato 11 film e magari ne salterà fuori un 12esimo. Niente vincitori annunciati, a Cannes 2007. In fondo è più bello così.

Pubblicato il: 26.05.07
Modificato il: 26.05.07 alle ore 9.46   
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7920  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / L'appello sul blog di Luca Sofri inserito:: Maggio 26, 2007, 10:21:13 pm
L'appello sul blog di Luca Sofri «Dieci giovani per il Comitato del Pd»

«Meraviglia per la totale assenza di persone che abbiano meno di quarant'anni: ecco qualche suggerimento»   
 
L'appello su Wittgenstein


La rabbia passa anche, e forse soprattutto, sul web. Dopo la delusione dei giovani Ds e Dl per l'assenza di under 30 dal Comitato del futuro Partito Democratico (alla faccia di certe dichiarazioni rilasciate prima, durante e dopo i congressi della Quercia e della Margherita), online si moltiplicano le critiche e gli appelli. Come quello che è possibile sottoscrivere sul blog di Luca Sofri (www.wittgenstein.it).

MERAVIGLIA - «Care persone del Comitato per il Partito Democratico - si legge - ci risolviamo a scrivervi perché abbiamo letto nelle parole di alcuni di voi un disagio in cui ci siamo riconosciuti sui primi passi del Partito Democratico.(...). Ci sembra inevitabile la meraviglia per la totale assenza in questo comitato di persone che abbiano meno di quarant'anni, e per la presenza di sole quattro persone nate dopo gli anni Cinquanta. Accidente assai spiacevole, per un organismo che ha come priorità il rinnovamento e la sfida con il futuro. In Italia ci sono 28 milioni di persone che hanno meno di quarant'anni. Tra di voi, neanche una (...). Aggiungiamo subito altri dieci nomi, scelti tra i molti che nella politica e nella società hanno già dimostrato capacità o sostegno popolare ampi e convincenti, e che siano per anagrafe e sensibilità rappresentativi anche dell'altra metà degli italiani: dieci sono pochi, ma è qualcosa. Fatto 45, si fa 55»

I NOMI - Ed ecco i nomi proposti per il comitato del Pd dai firmatari dell'appello di Wittgenstein: «Giuseppe Civati, consigliere regionale della Lombardia; Carlo Antonio Fayer, consigliere comunale a Roma; Mario Adinolfi, giornalista; Sandra Savaglio, astronoma; Matteo Renzi, Presidente della Provincia di Firenze; Anna Maria Artoni, imprenditrice; Ivan Scalfarotto, dirigente d'azienda; Alessandro Mazzoli, Presidente della Provincia di Viterbo; Marta Meo, architetto; Michela Tassistro, Istituto Nazionale di Fisica della Materia; Eleonora Santi, staff del Sindaco di Roma; Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale; Pierluigi Diaco, giornalista; Marco Simoni, economista; Lorenza Bonaccorsi, Capo della Segreteria del Ministero delle Comunicazioni; Gianni Cuperlo, deputato». Una "lista" sostenuta non solo da persone tra i venti e i quarant'anni. «Perché escludere delle generazioni - spiegano - è una sciocchezza».

26 maggio 2007
da corriere.it
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