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7891  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: ELEZIONI inserito:: Maggio 30, 2007, 11:04:45 pm
Sconfitta collettiva

Gianfranco Pasquino


Prevedere le sconfitte elettorali e non fare niente per evitarle ovvero, quantomeno, ridimensionarle, non depone a favore di nessuno dei dirigenti del centrosinistra. Cercare di minimizzarle, mi pare, poi, un’operazione tanto ipocrita quanto controproducente. Certo, il Nord geografico include anche la Liguria e l’Emilia-Romagna (e dal ballottaggio di Parma potrebbe venire una gradevole sorpresa)... Ma fare spallucce dicendo che il Nord rappresenta un problema «non da oggi» per il centro-sinistra non riduce le proporzioni della sconfitta e non avvia in nessun modo a soluzione il problema. Neppure cercare i capri espiatori o, peggio, le bacchette magiche serve a salvare le coscienze e ancora meno a recuperare i voti.

Tutti gli studiosi sanno, e persino qualche politico ha imparato, che nei comportamenti elettorali, che includono anche la decisione di non andare a votare, entrano una pluralità di motivazioni. Pertanto, qualcuno degli elettori del centro-sinistra ha mostrato la sua disaffezione standosene a casa. È recuperabile mostrando loro che il governo di centro-sinistra sa prendere decisioni e attuare politiche. Qualcuno ha ritenuto che uno schieramento come quello del centro-sinistra dovrebbe contenere e ridurre i privilegi, ma, di fronte alla documentazione dei costi della politica, è stato preso, non soltanto dallo sconforto, ma anche dall’irritazione e ha deciso di dare una lezione ai troppi compiaciuti politici di mestiere che si ergono a casta. Qualcuno, infine, fra i molti che, probabilmente, oscillano fra centro-sinistra e centro-destra, ha deciso che su tematiche importanti, come la sicurezza, l’immigrazione, le tasse (la distribuzione del cosiddetto tesoretto), il centro-sinistra non ha le idee chiare e neppure le proposte giuste. Per quanto l’assunto democratico che l’elettore ha sempre ragione debba essere condiviso e tenuto fermo (altrimenti dovremmo affidarci, di volta in volta, ai cardinali, ai generali e agli imprenditori, e non ai professori che si fanno allegramente «prendere a prestito» dalla politica), questo assunto non suggerisce affatto che gli elettori abbiano posizioni giuste in tutte le materie né posseggano tutte le informazioni necessarie.

Tuttavia, una volta attribuita agli elettori una parte di responsabilità per la loro carente informazione, tutta la rimanente e preponderante responsabilità va assegnata ai politici, nel nostro caso ai politici e ai professori di centro-sinistra che stanno governando e che non si sono curati abbastanza di interagire con l’elettorato, tutto e non soltanto il «loro» poiché di elettori «sicuri» ne sono rimasti piuttosto pochi. Non mi soffermerò qui sul sufficientemente criticato atteggiamento complessivo di saccenza che troppi politici e non-politici di centro-sinistra emanano, abbastanza spesso senza accompagnarlo con reale competenza. Non c’è dubbio, però, che molti elettori, anche di sinistra, si sentono «snobbati» dai loro rappresentanti e, magari inconsciamente, trasmettono la loro delusione a parenti, amici, colleghi che finiscono per abbandonare ogni tentazione di, per dirla con Totò, «buttarsi a sinistra». Il peggio viene quando, invece di ascoltare una riflessione seriamente autocritica, gli elettori vengono messi di fronte a numerosissimi tentativi di scaricabarile. Questi tentativi prendono forma di un abbondante flusso di dichiarazioni che attribuiscono la sconfitta a qualche capro espiatorio che, rovesciato, diventerebbe bacchetta magica.

No, non credo che si possa provare che se il centro-sinistra avesse spostato il suo asse più verso sinistra le elezioni amministrative sarebbero andate meglio. Non penso neanche che l’elettorato avrebbe votato per il centro-sinistra se già fosse esistito il Partito Democratico e, ancora meno, che la soluzione consista nell’accelerarlo. Credo, invece, che, finito il flusso delle dichiarazioni, bisognerebbe ripensare come farlo il Partito Democratico. Con buona pace del sindaco Sergio Chiamparino, che continua ad avere tutta la mia stima, non posso credere che gli elettori di Verona, ma neppure quelli di Asti, Alessandria, Vercelli, non hanno votato a sinistra per protesta contro la sua esclusione dal Comitato Promotore del Pd, anche se il segnale mandato non includendolo è stato molto negativo e sarebbe stato meglio che lui ci fosse. In definitiva, sono colpevolista, anzi, giustizialista.

Tutti i dirigenti dell’Unione, del centro-sinistra, del Partito Democratico debbono essere considerati collettivamente responsabili quando perdono le elezioni. Qualcuno un po’ di più, in particolare, tutti coloro che prendono opportunistiche distanze dalle politiche del governo. Tuttavia, quello che, non soltanto, preoccupa, ma, personalmente, mi irrita è che, superato questo tornante, dopo i ballottaggi, l’Unione riprenderà a presentare il ventaglio delle sue articolate e rissose posizioni. Invece, bisognerebbe tornare a fare politica, esattamente quello che, nella maggioranza delle regioni del Nord, dopo le promesse di qualche anno fa di Fassino (e Bersani, la Margherita sembra non curarsene neppure), di insediare un organismo specifico a Milano, è clamorosamente mancato. Se Filippo Penati vince nella provincia di Milano, se Sergio Chiamparino vince e rivince a Torino, se Mercedes Bresso vince in Piemonte, se Massimo Cacciari torna a vincere a Venezia, se Riccardo Illy vince in Friuli, è soltanto per fattori occasionali, oppure perché sanno con le loro promesse, con i loro comportamenti, con le loro politiche convincere e conquistare consenso? Non sarebbe, dunque, opportuno che la Sinistra Democratica (Mussi, Salvi, Angius) e il Partito Democratico riflettessero, senza considerarsi né concorrenti né nemici, e suggerissero, con ragionevole urgenza, qualche seria innovazione alla politica del centro-sinistra?

Pubblicato il: 30.05.07
Modificato il: 30.05.07 alle ore 8.58   
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7892  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: SOCIETA' - FAMIGLIA inserito:: Maggio 30, 2007, 11:03:17 pm
Palestinese e giornalista: discriminata

Maurizio Debanne



Ala'a KarajhAla'a Karajh è una giornalista palestinese di 23 anni. Le qualità del mestiere le possiede tutte: di curiosità ne ha da vendere, la realtà sa bene che la si conosce solo per strada e non per sentito dire. L'umiltà poi la dimostra prendendo appunti in ogni incontro a cui prende parte. «Da tutti posso imparare qualcosa», dice a l'Unita.it. Ala'a ha fatto parte di un gruppo di 12 giornalisti, 6 israeliani e 6 palestinesi, che ha preso parte ad un workshop di 3 giorni presso la redazione di RaiNews24 sul ruolo dei media nel conflitto israelo-palestinese. Il progetto, finanziato dall'Unione europea, dal Comune di Roma e dalla Regione Lazio, è stato organizzato dal Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente e da due Ong, Keshev (israeliana) e Miftah (palestinese).

Dai lavori sono emerse fuori tutte le difficoltà che attraversa la stampa di ambo le parti. Ala'a non si sottrae a elencare le proprie. «Il giornalismo palestinese è ancora molto giovane e dunque manca a volte di professionalità», ammette. Tuttavia, le difficoltà non derivano solo dall'inesperienza e dall'estremismo di alcuni canali, come quello di Hamas. «Due anni fa durante il ritiro da Gaza voluto dal governo israeliano di Ariel Sharon le televisioni di tutto il mondo coprirono l'evento. C'erano anche le telecamere di Al Jazira e Al Arabya. Ma a noi giornalisti palestinesi non ci fu rilasciato il permesso dalle autorità di sicurezza dello stato ebraico di entrare a Gaza per raccontare lo sgombero degli 8mila coloni». «Una decisione incomprensibile», è il commento del capo della delegazione israeliana, Yitzar Be'er, direttore di Keshev.

E qui si apre allora il problema delle fonti. Se ai palestinesi non è concesso di vedere con i propri occhi ciò che accade in Israele, o un discorso del primo ministro o di altri membri dell'esecutivo dello stato ebraico, come possono svolgere appieno il proprio lavoro? «Siamo più volte costretti a ricercare le notizie guardando le tv satellitari arabe», confessa Ala'a. A questo quadro va aggiunto inoltre che per i palestinesi è difficile spostarsi anche all'interno della stessa Cisgiordania. A causa dei blocchi interni israeliani, recentemente criticati dalla Banca Mondiale in un rapporto sull'economia palestinese, è difficile coprire gli eventi nelle varie città della West Bank. Insomma, oltre alle difficoltà di sfondare in un settore molto competitivo, ancora giovane e a volte attaccato da un fanatismo, in Palestina essere giornalisti è davvero un'impresa. Al'a però non si scoraggia e non nasconde davanti a nessuno il suo sogno: diventare un giorno anchorman di una importante Tv araba.


Pubblicato il: 29.05.07
Modificato il: 29.05.07 alle ore 18.58   
© l'Unità.
7893  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: SOCIETA' - FAMIGLIA inserito:: Maggio 30, 2007, 11:02:45 pm
Per 4 agenti l'accusa è di aver provocato il decesso del giovane Federico, svolta nell'inchiesta Ferrara, trovate altre prove nella cassaforte della polizia: sette tamponi con il sangue della vittima e documenti clamorosi 

 
FERRARA - Le sorprese erano chiuse in cassaforte. Ci sono novità sulla storia di Federico Aldrovandi, lo studente diciottenne che il 25 settembre 2005 morì a Ferrara dopo essere stato fermato dalla polizia. Tutto era pronto per l’udienza preliminare che il prossimo 20 giugno deciderà se mandare a processo quattro agenti accusati di omicidio colposo. Ed invece, dalla questura arrivano nuovi reperti, sconosciuti agli atti dell’inchiesta. Dagli «originali » delle telefonate ai tamponi imbevuti del sangue del ragazzo. E con essi affiorano dubbi e sospetti, ai quali dà corpo Alessandro Gamberini, legale della famiglia del giovane: «È la prova di come in questa inchiesta il materiale di indagine sia stato accuratamente selezionato, dato o non dato a seconda della convenienza. Per fortuna qualcosa è cambiato». Aldrovandi muore a Ferrara, in via Ippodromo, dopo aver trascorso la notte in un centro sociale di Bologna. Così ricostruiva i fatti una nota della questura: «Alle 6.25 personale di Polizia interveniva su segnalazione di alcuni cittadini che avevano riferito del comportamento strano di un giovane. Poco dopo, il giovane è stato colto da malore».

Caso chiuso. Morto per cause naturali, durante il trasporto in ospedale. Overdose, si dirà poi. Tre mesi dopo Patrizia, la madre di Federico, apre un blog per chiedere nuove indagini. Emergono testimonianze che parlano di un controllo piuttosto energico da parte degli agenti intervenuti. Secondo i consulenti della famiglia ci sarebbe stata una violenta colluttazione tra quattro agenti e Aldrovandi, sottoposto ad una immobilizzazione forzata con schiacciamento della cassa toracica. Il 9 gennaio 2007 c’è la richiesta di rinvio a giudizio per quattro poliziotti. La partita giudiziaria si giocherà su perizie mediche e sulle diverse ricostruzioni degli orari. Anche per questo, è di grande onestà e pulizia la nota datata 2 febbraio 2007 della Squadra mobile di Ferrara che accompagna le nuove rivelazioni. Scrive il dirigente: «In data odierna ho avuto accesso, per la prima volta, al registro degli interventi del 113 relativo al periodo di indagine, fino ad oggi custodito nella cassaforte dell’Unità di polizia giudiziaria». Per una circostanza fortuita, si apre così, «per la prima volta», lo scrigno che contiene gli originali degli atti compiuti quel 25 settembre 2005.

Il catalogo è questo: ci sono tutti i brogliacci delle telefonate effettuate dagli agenti, e gli orari del loro intervento nel luogo dove Federico Aldrovandi cominciava la sua agonia. La Squadra mobile li mette a confronto con i documenti «puliti» che sono stati poi allegati agli atti dell’inchiesta. E scopre che tra la copia «in brutta» e quella in bella, ci sono differenze sostanziali. Sull’orario dell’arrivo della prima pattuglia, i cui agenti sono accusati di aver pestato Aldrovandi: «Doverosamente si deve rilevare come il foglio di intervento originale, annullato con dei segni trasversali a penna, è parzialmente difforme» da quello poi trascritto agli atti. «In particolare, la difformità è relativa all’orario in cui è stato dato l'intervento, e la correzione fatta a penna contrasta con i fogli successivi ». Il nuovo questore di Ferrara, Luigi Savina, uno dei poliziotti più stimati dal Viminale, mette per iscritto di non aver chiesto «per ora» una relazione sull’accaduto ai due ispettori che hanno firmato i rapporti solo perché consapevole che anche la Procura ha un procedimento in corso sui modi con i quali è stata effettuata l’indagine sulla morte di Aldrovandi. Dal carteggio custodito in cassaforte spuntano anche due lettere «manoscritte in originale», che sono riferibili alle attività di sopralluogo compiute la mattina del 25 settembre—Aldrovandi morì poco dopo l’alba—«ma non risultano finora essere state inviate alla autorità giudiziaria».

L'ultima scoperta è forse la più clamorosa. La questura comunica di aver ritrovato anche sette tamponi intrisi di sangue «relativi al giovane Aldrovandi» conservati da ormai due anni nei frigoriferi della Polizia scientifica, e mai messi agli atti. In una vicenda dove autopsie, perizie mediche e sopralluoghi contano molto, è un dettaglio che potrebbe avere la sua importanza.

Marco Imarisio
30 maggio 2007
 
da corriere.it
7894  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: POLITICA inserito:: Maggio 30, 2007, 11:00:33 pm
30/5/2007 (7:22)

Di Pietro, siluro a Visco

Mozione al premier: il governo gli ritiri la delega sulla Guardia di Finanza


GUIDO RUOTOLO
ROMA

Otto di sera. Si è appena conclusa la riunione dei senatori di Italia dei Valori con Antonio Di Pietro. Il ministro annuncia che stamani sarà depositata una mozione con la quale (anche) Italia dei Valori chiede al presidente del Consiglio, Romano Prodi, di ritirare («temporaneamente») la delega al vice ministro all’Economia, Vincenzo Visco, e la legge al telefono: «Sia Visco che il comandante generale della Guardia di finanza, Roberto Speciale, sono, per il ruolo che ricoprono, di per sé credibili ma le loro versioni dei fatti sono diametralmente opposte. Su questa vicenda - spiega Di Pietro - sono in corso inchieste della magistratura per cui è inopportuno che il viceministro Visco continui a mantenere la delega sulla Finanza, anche per non dare spazio a sospetti di interferenza. E’ questa la ragione che ci porta a chiedere al presidente Prodi la sospensione temporanea delle sue deleghe, in attesa degli esiti delle indagini della magistratura».

Si complica ancora di più l’«affaire» Visco-Speciale. Proprio ieri mattina la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama aveva fissato per mercoledì prossimo il dibattito sulla mozione presentata dall’opposizione, che chiede al governo di ritirare la delega sulla Guardia di finanza al vice ministro Vincenzo Visco. Proprio perché nella stessa maggioranza, in questi giorni, erano arrivati segnali di insofferenza e di perplessità sull’operato di Visco, Cesare Salvi (Sinistra democratica) e Giovanni Russo Spena (Rifondazione) avevano chiesto che, prima del dibattito in aula, il governo si riunisse con la maggioranza. «La posizione assunta da Italia dei Valori - commenta il capogruppo di Rifondazione, Russo Spena - rende ancora più urgente la riunione della maggioranza, per evitare che la vicenda possa destabilizzare la stessa tenuta e struttura del governo». Il vice ministro Visco per il momento tace. Sta lavorando a una memoria «difensiva» per chiarire ogni dubbio sul suo operato. Agli atti delle inchieste della magistratura, c’è anche la lettera datata 24 luglio 2006, e inviata al comandante generale della Finanza, Roberto Speciale. Nella lettera, Visco ricorda il primo incontro del 26 giugno, nel quale il generale annunciò diversi cambiamenti ai vertici della Finanza: «Il 13 luglio ho parlato della questione con i generali Pappa e Favaro e da questi incontri emerse l’opportunità di coinvolgere nei movimenti anche Milano». Visco, dunque, riconosce che il fascicolo Milano viene aperto con i suoi colloqui con i due generali.

Lo stesso giorno, Visco incontrò anche Speciale: «(La) invitai a procedere nei trasferimenti - ricorda il viceministro - inserendo anche Milano e decidendo, previa consultazione con i generali Pappa e Favaro, una proposta di avvicendamento che vi trovasse tutti d’accordo». Da quel momento esplode la polemica. La notizia di avvicendamenti a Milano viene lanciata dall’Ansa, monta la polemica politica perché gli annunciati trasferimenti vengono presentati come punitivi nei confronti della squadra che ha indagato su Unipol. Visco ricorda il 24 luglio al generale Speciale: «Dal Comando Generale non ho ricevuto più alcuna proposta, salvo quella relativa ai soli spostamenti di Milano, inviatami il 14 luglio e che è rimasta di fatto sospesa». Ecco il punto. La lista degli «epurandi», sembra di capire dalle parole di Visco, arriva dal Comando.

Chi ha ragione? Visco o Speciale? Ieri, intanto, il Cocer della Finanza, l’organismo di rappresentanza militare, è sceso pesantemente in campo, per difendere il «suo» comandante, il generale Speciale. Il Cocer ricorda che i movimenti interni furono stabiliti nel marzo del 2006, e Milano non c’era. Fino al 13 luglio scorso: «Nella vita pubblica l'unica cosa di rilievo tra marzo e luglio dello scorso anno è stata la nascita di un nuovo Parlamento e di un nuovo governo. Gli avvicendamenti sono allora la conseguenza del nuovo scenario istituzionale e politico?».

da lastampa.it
7895  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: ELEZIONI inserito:: Maggio 30, 2007, 10:56:15 pm
Maurizio Migliavacca: «Sicurezza e tesoretto, abbiamo disorientato gli elettori»

Andrea Carugati


Mettere un «punto fermo» alla discussione sulla leadership del Pd, «perché sarebbe deleterio trascinare questa discussione per mesi». Maurizio Migliavacca, coordinatore dei Ds, risponde così a chi, come Rutelli, ieri ha rilanciato sulla proposta di accelerare. «Io credo che vada eletta l’assemblea costituente e che spetti a questo organismo sovrano individuare chi dirigerà il partito. C’è effettivamente bisogno di un leader che dia voce al Pd, se ci sono altre ipotesi su come e quando eleggerlo discutiamone nel comitato promotore. Purché non si parli solo di organigrammi».

Onorevole Migliavacca, che giudizio dà del responso delle urne?

«È un risultato da non sottovalutare. Ma non c’è stata alcuna spallata, i risultati non chiedono al governo di andarsene: la sconfitta di Berlusconi nelle amministrative del 2002, quando si è votato nelle stesse città e province, fu nettamente peggiore. Ma stavolta l’astensionismo ha penalizzato soprattutto noi: questo voto chiede al governo di rimboccarsi le maniche e rilanciare il suo profilo riformatore».

È stato un voto locale o influenzato da un quadro nazionale?

«Ci sono entrambi gli aspetti. Ma quando perdi il Comune da Gorizia a Verona, da Monza a Alessandria c’è anche un segno politico più generale di insoddisfazione verso il centrosinistra».

Come intendete rispondere?

«Bisogna correggere alcune politiche di governo. Penso soprattutto alla sicurezza: dobbiamo intervenire anche sul funzionamento della giustizia perché si è fatta strada l’idea che ci sia nei fatti una sorta di impunità. Poi dobbiamo rispondere con una politica di redistribuzione al senso di vulnerabilità che inquieta anche parti della classi medie. La discussione sul cosiddetto tesoretto è l’esempio di un messaggio contraddittorio che disorienta gli elettori e danneggia il governo: servono scelte precise che rispondano a questo senso di vulnerabilità. Infine il fisco: nessun passo indietro sul rigore e la lotta all’evasione fiscale, ma c’è bisogno di una semplificazione. E ancora: c’è una insofferenza, soprattutto al Nord, rispetto ai tempi della politica e al funzionamento del sistema pubblico. La destra cavalca l’antistatalismo, a noi spetta rilanciare le riforme istituzionali, a partire da federalismo e riforma elettorale».

C’è chi dice che il Pd sia il vero sconfitto di questa tornata elettorale.

«Non è stata la prima prova elettorale del Pd: è un progetto che vive ancora una fase di passaggio. Questo voto conferma la necessità politica del nuovo partito e chiede una accelerazione, soprattutto per quanto riguarda la sua identità, il suo profilo sui grandi temi, la capacità di farli vivere nella società».

A proposito di sicurezza: rifarebbe tra i primi provvedimenti della legislatura l’indulto?

«Questo provvedimento ha aumentato l’inquietudine e l’allarme sul tema della sicurezza. L’errore è stato non accompagnarlo subito e incisivamente con misure sul funzionamento della giustizia e sulle politiche di sicurezza».

Da dove nasce la percezione di una politica che non decide?

«Il problema è la coesione della maggioranza: serve un’agenda condivisa delle priorità e poi su questa bisogna andare avanti senza esitazioni».

Pochi mesi fa è stato approvato un dodecalogo. Che fine ha fatto?

«Il tema è ancora quello: serve un’agenda più chiara, più incisiva e deve essere supportata da una volontà di decisione e poi da una adeguata comunicazione al Paese, che si basi soprattutto sui fatti».

Per fare questa agenda saranno necessari nuovi vertici?

«Per carità, evitiamo verifiche e altri riti della vecchia politica. Ci sono dei ruoli istituzionali, si esercitino».

C’è un problema di leadership nella maggioranza?

«Ci vuole più da parte di tutti più responsabilità e capacità di decisione».

Ma non potevate chiudere prima il contratto degli statali?

«Sarebbe stato meglio».

Pubblicato il: 30.05.07
Modificato il: 30.05.07 alle ore 9.00   
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7896  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / ESTERO inserito:: Maggio 30, 2007, 10:55:13 pm
«Così la guerra dei diamanti ci ha rubato la nostra terra»

Toni Fontana


Il passaggio di Roy Sesana nei corridoi del Senato, tra i parlamentari immersi nelle questioni della politica italiana, ha creato un po’ di sorpresa. Non è del resto cosa di tutti i giorni, anche in una città cosmopolita come Roma, vedere un personaggio come lui. Sguardo tagliente, un sorriso graffiante che ricorda quello di un altro figlio dell’Africa, Nelson Mandela, Roy Sesana è il leader di boscimani del Kalahari (Botswana), il testimone della resistenza di un popolo che rischia di essere sacrificato sull’altare del profitto e della sete delle grandi compagnie diamantifere. Roy parla nella lingua a schiocco del suo popolo e riassume in poche frasi il senso della sua battaglia: «La terra è madre, la terra è vita, nella terra sono sepolti i nostri antenati». «Nessun popolo al mondo - aggiunge l’avvocato Stephen Corry, direttore di Survival, l’associazione che ha adottato la causa dei boscimani - ha mai vissuto così a lungo nella propria terra».

I boscimani abitano le terre dell’Africa meridionale da 20mila anni. Solo uno speciale rapporto con la flora e la fauna ha permesso loro di sopravvivere. Da 200 anni sono vittime della violenza dei coloni bianchi e delle tribù Bantu. Solo alcune migliaia di membri delle tribù Gana e Gwi sono scampati al genocidio. Nel 1961 venne istituito il Central Kalahari Game Reserve, la più estesa riserva dell’Africa (52mila kmq), allo scopo di «tutelare» i 3-5000 boscimani Gana e Gwi che vi vivevano. Il proposito era quello di lasciare intatta la loro cultura, unica soprattutto per lo spiccato senso musicale di molti nativi. Ma i guai, iniziarono con la scoperta dei diamanti. A partire dal 1997 i boscimani hanno subito deportazioni in veri e propri campi di concentramento, violenze e stupri. I pozzi sono stati cementati, le riserve d’acqua disperse nella sabbia, la caccia è stata vietata. I boscimani, come gli indiani d’America, sono stati confinati in ghetti dove alcolismo e Aids hanno creato le condizioni per la «soluzione finale», cioè l’annientamento del popolo più antico del pianeta. Fin dal 1991 Roy Sesana, boscimane Gana (il vero nome nelle lingua locale è Tobee teori), all’incirca sessantacinquenne, ha assunto la guida del Fpk (First People of the Kalahari) che si batte per i diritti dei popoli nativi. Incarcerato e torturato più volte ha iniziato nel 2006 una battaglia legale contro il governo del Botswana. Il 13 dicembre 2006, dopo 134 giorni di udienza, e 19mila pagine di verbali, l’Alta Corte del Botswana, ha pronunciato una storica sentenza. Gli sfratti sono stati dichiarati «illegali» ed è stato riconosciuto il diritto dei boscimani a vivere nella terra dei loro avi. Ma i problemi non sono finiti. Come hanno spiegato ieri Roy e l’avvocato Corry solo i 200 attori della causa sono stati autorizzati a tornare nella riserva con le loro capre. Senza il bestiame i boscimani non possono sopravvivere nelle aspre terre del Ckgr. Neppure il conferimento a Sesana del Right Livelihood Award (il Nobel alternativo) avvenuto nel 2005 ha fermato la repressione e, nel 2005, altri militanti del Fpk sono stati arrestati e torturati.

«Ci hanno deportato caricandoci sui camion - ha detto ieri Roy - ora ci negano ogni aiuto per tornare». La De Beers, che firma una parte consistente dei diamanti del pianeta, ha nel frattempo concluso lo sfruttamento di una miniera nella riserva, ma le ricerche di altri siti proseguono e non è solo la sete della multinazionali a minacciare i boscimani, ma anche il razzismo di un parte dei neri e dei bianchi del Botswana. E, mentre i boscimani rischiano di sparire il presidente del paese africano, Mogae, viene regolarmente ricevuto a Londra e nelle capitali dell’Occidente. L’associazione Survival ha appunto adottato la loro causa attuando anche clamorose iniziative. Quando la De Beers ha aperto il primo negozio a Londra le gigantografie pubblicitarie con la modella Iman sono state coperte con manifesti con la scritta: «I boscimani non sono per sempre». Ora Survival si batte affinché venga ratificata la Convenzione Ilo 169 sui popoli indigeni e tribali. Solo quattro paesi europei l’hanno fatto. Survival ha diffuso ieri una lettera del presidente Zapatero che annuncia la ratifica da parte della Spagna (poi effettuata). In Italia l’associazione ha inviato una lettera a D’Alema. In Senato l’iniziativa è stata presa dal senatore Francesco Martone (Verdi).

Pubblicato il: 30.05.07
Modificato il: 30.05.07 alle ore 8.59   
© l'Unità.
7897  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: ELEZIONI inserito:: Maggio 30, 2007, 05:39:22 pm
I furbetti di palazzo vogliono silurare Prodi per la seconda volta.

ciaoooooooooooooo



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Pd, Ds e Margherita: serve una guida politica accanto Prodi

Simone Collini


Né il Governo, nè il Partito democratico possono continuare così. Lo dicono i vertici di Ds e Margherita all'indomani del voto, che sarà pure amministrativo ma segnala una difficoltà nel rapporto col Paese che non può essere sottovalutata. Serve uno «scatto» sia nell'azione di governo che nella costruzione del Pd, dice Piero Fassino, bisogna «rispondere alle attese di modernizzazione e riforme» con «determinazione e tempestività». E bisogna correggere la rotta a un governo che finora non ha brillato per «capacità di decisione e qualità della comunicazione» anche per Francesco Rutelli, che giudica inoltre necessario «accelerare i tempi della leadership del Pd». Un argomento che si impone nel dibattito post-voto suscitando qualche fastidio a Palazzo Chigi, e che verrà riproposto alla riunione del Comitato promotore per il Pd convocato per lunedì sera.

Il leader della Margherita sostiene sia giunto il momento di dotare il nascente partito di «una leadership piena», che sia in grado di «mettere in pista idee, proposte ed energie per corrispondere tempestivamente e meglio a quanto ci chiedono i cittadini». Anche per i Ds «non si può rimanere in mezzo al guado» e serve una guida politica a tempo pieno per il Pd, ma Fassino giudica rischioso far eleggere il leader con le primarie del 14 ottobre. Il ragionamento è che indicare una personalità, quale che sia, con il voto di un milione e più persone (è la cifra a cui si punta per l'elezione dell'Assemblea costituente) rischia di indebolire Prodi. La soluzione su cui stanno ragionando al Botteghino è di far designare dalla Costituente un segretario che «affianchi» Prodi, inevitabilmente impegnato nell'azione di governo. Che tanto per i Ds quanto per la Margherita ora va rilanciata.

Fassino e Rutelli riuniscono gli organismi dirigenti dei loro partiti quando ormai è chiaro il quadro completo del voto. L'umore attorno a entrambi i tavoli è tutt'altro che buono. Si prende atto di un esito elettorale deludente e sia al Botteghino che al Nazareno si giudica ora necessario il massimo impegno per ottenere buoni risultati ai ballottaggi. Ma soprattutto si ritiene a questo punto indispensabile «una agenda chiara delle priorità» del governo, che dovrà poi essere «concretizzata» in tempi certi. E si deve ora anche, perché no?, puntare ad ottenere consensi tra gli elettori. Sintomatica l'uscita di Rutelli aprendo i lavori della Direzione diellina: «Bene l'accordo sui dipendenti pubblici, ma non si poteva ottenere prima delle elezioni invece che a urne chiuse?».

Il problema di «selezionare gli obiettivi» e di «prendere le decisioni necessarie» al loro raggiungimento è una questione che Fassino solleva di fronte alla Presidenza del comitato politico, e che in serata ribadisce con i segretari regionali: «Già dopo la Finanziaria avevo detto che serviva un cambio di passo...». Insieme a Massimo D'Alema, Walter Veltroni, Pierluigi Bersani e a tutti gli altri dirigenti il leader della Quercia ribadisce che «sarebbe errato sottovalutare» il risultato di un voto che è un chiaro «campanello d'allarme», per la maggioranza ma non solo. Il calo dell'affluenza alle urne è per i Ds un segnale da leggere su più livelli. Da una parte è questo calo il principale responsabile delle basse percentuali ottenute da un po' tutte le forze del centrosinistra. E questo vuol dire, come fa notare Bersani, che non c'è stata una «migrazione» di voti verso il centrodestra ma «una disaffezione del nostro elettorato» su cui si può e si deve lavorare. Ma dall'altro lato vuol anche dire che se non si corregge la rotta si rischia di dare fiato all'antipolitica, che come dimostra il voto di domenica e lunedì premia il centrodestra (e in particolare la Lega), non il centrosinistra. «La disaffezione dei cittadini verso la politica matura quando i tempi delle decisioni sono più lunghi dei tempi della società», sottolinea Fassino facendo sempre riferimento alla necessità di mostrare una maggiore capacità decisionale: «O la politica si adegua o la crisi crescerà». E decisioni vanno prese per la Quercia innanzitutto sul terreno della sicurezza e delle infrastrutture, vanno prese per favorire una riduzione della pressione fiscale e una semplificazione burocratica.

Non diversa è l'«agenda di priorità» prospettata dalla Margherita. Siccome chi sta al governo parla agli elettori con «la qualità dei risultati» e siccome in questi dodici mesi «sono stati aperti troppi temi, spesso troppo a lungo, e troppo frequenti sono stati i ripensamenti», a questo punto è arrivato il momento per Rutelli di concentrare l'azione di governo su pochi, precisi punti: «È importante che il governo batta un colpo dando il primo segnale di riduzione della pressione fiscale», dice nella relazione alla Direzione della Margherita, «dobbiamo saper leggere bene i segnali che nei giorni scorsi hanno sottolineato il tema della insopportabile crescita della pressione fiscale». È di nuovo sull'Ici che punta il dito Rutelli, che per quanto riguarda gli altri obiettivi su cui il governo deve concentrarsi mette il via libera alla Tav Torino-Lione e la messa in campo di misure che garantiscano la certezza della pena.

Tutte questioni che verranno discusse al vertice del Comitato promotore del Pd convocato per questa sera. Era stato Veltroni, all'incontro di mercoledì scorso, a proporre di riunire oggi i 45 per esaminare il voto amministrativo. «La questione settentrionale non è che una variante di un problema nazionale di rapporto con il paese», dice il sindaco di Roma intervenendo alla riunione al Botteghino, «il risultato delle amministrative merita una riflessione molto seria, molto approfondita e molto realistica».


Pubblicato il: 30.05.07
Modificato il: 30.05.07 alle ore 8.31   
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7898  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: ELEZIONI inserito:: Maggio 30, 2007, 05:37:22 pm
Berlusconi, il voto e la democrazia

La forza dei numeri

di Piero Ostellino


Questa tornata di elezioni amministrative e il successo del centrodestra sgombrano definitivamente il campo da tutte le illazioni che, negli ultimi tempi, erano emerse intorno ai Palazzi della politica e sulla natura delle inquietudini della società civile. L'intervista di Massimo D'Alema al Corriere, nella quale il vice- presidente del Consiglio e ministro degli Esteri aveva parlato di «crisi della politica», era stata interpretata come un tentativo non solo di stornare l'attenzione dalle difficoltà del governo, ma soprattutto come una sorta di auto-candidatura alla successione di Romano Prodi alla guida del Paese.

La sconfitta del centrosinistra fa ora apparire intempestivi, per non dire incauti, quei giudizi sulle intenzioni attribuite al presidente dei Ds. Analogamente, il discorso del presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, era stato accolto, oltre che come un’anticipazione della sua personale «discesa in campo» analoga a quella di Berlusconi nel 1993-94, anche come una obliqua congiura del mondo economico-finanziario nella prospettiva di un governo «tecnocratico » e neo-centrista che, in qualche modo, facesse giustizia di politici inefficienti e di un sistema bipolare male in arnese. Il successo del centrodestra e la sconfitta del centrosinistra ripristinano il principio dell'alternanza che presiede anche a un bipolarismo come il nostro.

I media avevano riferito dell'una, dell'altro e delle interpretazioni che ne erano seguite, finendo essi stessi col diventare oggetto di una maliziosa curiosità che trascendeva la loro funzione istituzionale — che è quella, appunto, di dare le notizie — e attribuiva loro poteri e disegni di natura politica che non potrebbero coltivare, e tanto meno manifestare, anche se lo volessero, senza cadere nel ridicolo. La puntuale registrazione, da parte di tutti i media, dell'esito elettorale e i giudizi da essi pressoché unanimemente espressi cancellano ogni dubbio. La verità è che, con il successo del centrodestra, ha vinto la democrazia, esattamente come avrebbe vinto la democrazia se a vincere fosse stato il centrosinistra. Gli interpreti dei Palazzi della politica, quelli del mondo economico-finanziario e degli stessi media, nell'ipotesi che essi si avventurassero su un terreno che non è loro proprio, possono dire quello che vogliono e abbandonarsi alle più spericolate speculazioni, ma resta il fatto che, alla resa dello spoglio delle schede elettorali, in democrazia, contano i numeri, i voti.

Conta, per usare, un’espressione abusata, ma corretta, «la gente».

Che piaccia o no, Silvio Berlusconi è nuovamente e saldamente in sella dopo essere stato sconfitto solo un anno fa alle elezioni politiche semplicemente perché la maggioranza della «gente», nei comuni e nelle province dove si è votato, non solo al Nord, ma anche in larga parte del Sud, ha eletto i candidati del centrodestra. Si dice che, nei regimi illiberali e antidemocratici, l'autocrate che non piace al popolo si ingegna di cambiare il popolo, magari chiudendolo in un lager. In democrazia non è fortunatamente possibile.

Suscita, perciò, qualche legittima perplessità anche il dibattito che di tanto in tanto affiora dentro il centrodestra sulla futura leadership della coalizione. Mentre sarebbe piuttosto interessante che, invece di pestare l'acqua nel mortaio della leadership, il centrodestra, con Berlusconi in testa, provasse a elaborare, e farci conoscere, una «certa idea dell'Italia» nella quale vorrebbe farci vivere.

30 maggio 2007
 
da corriere.it
7899  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: ELEZIONI inserito:: Maggio 30, 2007, 05:36:45 pm
Pd, Rutelli: «Anticipare a giugno la scelta del leader»


«Accelerare la scelta del leader». Così Francesco Rutelli nella relazione alla direzione della Margherita, convocata per un'analisi del voto. Per Rutelli il risultato delle amministrative spinge Ds e Margherita «a imprimere una vigorosa accelerazione» sui tempi della costruzione del Partito democratico e sulla scelta del leader del Pd».

Secondo quanto riferiscono alcuni dei partecipanti alla riunione, Rutelli ha sottolineato che «un leader serve subito, già dall'assemblea costituente» e che «aspettare fino al 2008 sarebbe troppo rischioso». A suo avviso, infatti, non si può «rimanere sul bagnasciuga» perché occorre garantire una guida al nuovo partito.

Il vice premier ha rivendicato la validità della sua proposta di qualche tempo fa di anticipare la costituente a giugno e ha dato atto a Franceschini di avere ragione nel proporre un'accelerazione sulla leadership. Una posizione - tutta interna agli apparati - già espressa, all'inizio di maggio, dal vice premier e diversa rispetto a quella di Fassino e di Prodi. Quest'ultimo aveva detto: «Io penso a una grande assemblea costituente a metà ottobre, nella quale si eleggeranno ben 200, 500 o mille membri con il principio "una testa, un voto"».

Rutelli sembra dunque voler riproporre la sua idea di far scegliere il capo del Pd dagli apparati e propone di nuovo di anticipare l'assemblea costituente a giugno. «Ma non sarà una minaccia per il governo», ha assicurato.

Pubblicato il: 29.05.07
Modificato il: 29.05.07 alle ore 21.23   
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7900  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: ELEZIONI inserito:: Maggio 30, 2007, 05:36:14 pm
Dopo voto, Romano Prodi: «La priorità è guarire il Paese»

Napolitano: «Politici, più moralità»


«È chiaro che non sono soddisfatto», ma l'esito delle amministrative era «un risultato atteso», perché «un premier serio non si aspetta i risultati dopo il primo anno, ma a fine legislatura». Romano Prodi tira le somme all'indomani del voto, ma difende l'operato del suo governo: la priorità «è guarire il Paese» e per farlo occorrono «sacrifici». Del resto, «non mi interessa una effimera popolarità» afferma, e soprattutto «non voglio avere la responsabilità» di sfasciare l'Italia. Certo, riconosce Prodi, dal voto delle amministrative si evidenzia «una difficoltà del Nord», che «per noi è una priorità, ci lancia una bella sfida ed io sono tranquillo». Quanto alla richiesta di dimissioni arrivata da Silvio Berlusconi, Prodi la rispedisce al mittente: «lui avrebbe dovuto darle per quattro volte nella sua legislatura».

Ma sull´analisi del voto ci sono opinioni diverse nella maggioranza: mentre per l'ala radicale dell'Unione viene premiata la sinistra e dato uno smacco al Pd, per Ds e Dl si evidenzia proprio la necessità di accelerare sulla nascita del Pd. Dice infatti Fassino: «È un voto che sarebbe errato sottovalutare e che sollecita governo e centrosinistra a uno scatto. E serve uno scatto nella costruzione del Pd». Dello stesso avviso Rutelli: «Non c'è stato alcun premio alla sinistra radicale. Certo il risultato dell'Ulivo è stato insoddisfacente», ma il voto dice che bisogna «imprimere una vigorosa accelerazione» sulla costruzione del Pd e sulla scelta del suo leader.

Per il segretario del Prc, Franco Giordano, «non si può più andare avanti così, c'è bisogno di un salto di qualità e l'Italia ha bisogno di una sinistra alternativa mentre il Pd viene colpito al primo vaglio elettorale». Ancora più duro il leader di Sd Fabio Mussi: «È stata una debacle per il Pd, e se vale come una consolazione le liste e i candidati che hanno un chiaro profilo di sinistra hanno avuto in tutta Italia dei buoni risultati». E il segretario del Pdci Diliberto avverte: «Serve un vertice di maggioranza, non voteremo un Dpef a scatola chiusa». Il leader dei Verdi Pecoraro Scanio rincara la dose: «L'area arcobaleno, che ha parlato di programmi e temi concreti e non di contenitori, esce rafforzata da questo voto. Si deve riflettere su questo dato e bisogna evitare tentazioni egemoniche da parte del Pd».

Per il leader Idv Antonio Di Pietro «piaccia o no, il risultato ha una valenza politica», mentre il segretario dell'Udeur, Clemente Mastella, chiosa: le elezioni amministrative dimostrano che il Pd è un «partito che non c'è». Infine, anche il socialista Boselli chiede un vertice «perché la macchina non ha funzionato a cominciare da quello che avrebbe dovuto rappresentarne il motore principale costituito dal nascente Pd», e Angius sferzante: «Il nascente Pd indebolisce l'Unione».

Il centrodestra continua a cantare vittoria. Addirittura secondo il leghista Roberto Calderoli il risultato delle urne «ha svelato l'inganno del 9 aprile dell'anno scorso». Bisogna staccare la spina al governo, invoca Maurizio Gasparri. Perciò non è escluso che il Cavaliere vada davvero al Quirinale. A caldo Silvio Berlusconi ha contestato che si possa dire che il centrodestra ha vinto solo al Nord, come titolano la maggior parte dei quotidiani del dopo elezioni. La Cdl, per lui, e soprattutto Forza Italia, hanno vinto ovunque.

Pubblicato il: 29.05.07
Modificato il: 29.05.07 alle ore 21.22   
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7901  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: ELEZIONI inserito:: Maggio 30, 2007, 05:35:45 pm
30/5/2007 (7:13)

L'Unione accerchia Prodi
 
Dopo la sconfitta, affondo di Rutelli: subito il leader del Pd.

I Ds: cambio di passo. Il premier pronto a correre per le primarie

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Ds e Margherita in rotta di collisione con Prodi.

Il premier non minimizza i risultati della Amministrative ma neanche ne fa un dramma. Gli alleati invece si sono presi una grande paura. «Sarebbe sbagliato - ha spiegato Piero Fassino al comitato politico della Quercia - sottovalutare il voto. Il governo e il centrosinistra sono sollecitati a uno scatto. E’ necessario rispondere alle attese di modernizzazione e riforme». Ma Ds e Margherita hanno un problema in più che si chiama Partito Democratico che rischia di essere risucchiato negativamente dall’immagine del premier e dai contrasti della coalizione che al Nord è stata umiliata. «Sottovalutare il messaggio che viene da questa parte del Paese sarebbe un grave errore», annota Dario Franceschini che rilancia con forza la necessità di una leadership nuova e forte del Pd in coincidenza con l’elezione dell’Assemblea costituente d’ottobre. Prodi considera questa idea una sua deminutio e un ulteriore indebolimento dell’esecutivo. Stasera, alla riunione del Comitato dei 45 si discuterà anche di questo e di come reagire alla batosta elettorale.

Il punto centrale tuttavia rimane l’azione del governo, perché da questa passa il vero recupero di consenso. Francesco Rutelli è stato il più esplicito e il più critico. Chiedendo di eleggere già a ottobre il leader del Pd: «Serve una leadership piena che non sia il frutto di un’intesa tra i gruppi dirigenti dei partiti fondatori». Attaccando il ritardo di certe decisioni, a cominciare dall’Ici: «E’ sacrosanta l’indicazione di destinare l’extra-gettito nella direzione degli armonizzatori sociali e alle pensioni più basse, ma è altrettanto importante che il governo batta un colpo dando un primo segnale di riduzione della pressione fiscale. Ecco perché sosteniamo l’intervento sulla casa che tocca i ceti medio-bassi e che è subito percepita dalle famiglie». Per Rutelli poi è stato «un errore» chiudere il contratto degli statali a urne chiuse: «Da tempo avevamo chiesto di risolvere questa controversia prima delle elezioni». Le sue accuse hanno un chiaro indirizzo: Prodi e Padoa-Schioppa.

Decidere e comunicare, cambiare passo, «altrimenti ne prenderemo atto», spiega minaccioso il deputato veneto della Margherita Fistarol. «Tra qualche settimana avremo le partite Iva del Nord - aggiunge Fistarol - inferocite per l’adeguamento degli studi di settore. Ecco, dalle mie parti non capiscono perché devono pagare più tasse se poi a Roma litighiamo sul tesoretto». Insomma i due alleati maggiori di Prodi non ci stanno ad aspettare la fine della legislatura, come ha detto ieri il premier, per fare un bilancio dell’azione del governo. Per Ds e Margherita se il toro non viene preso subito per le corna, travolgerà tutti e tutto. Anche il Partito democratico le cui sorti Fassino e Rutelli vogliono distinguere da quelle dell’esecutivo. Nei vertici della Quercia e dei Dl si è acceso l’allarme rosso: per questo non è più possibile aspettare il 2008 per avere alla guida del Pd un leader saldo in sella. «Scegliere subito il leader del Pd è ormai l’orientamento prevalente», osserva Antonello Soro. Alla stessa conclusione sono arrivati i big Ds. Veltroni, Bersani e D’Alema non hanno dubbi, più prudente invece Fassino: non è convinto dell’opportunità di aprire ora un dibattito sulla guida del Pd.

Resiste a questa ipotesi Prodi che vede come fumo negli occhi lo sdoppiamento della leadership del partito da quello della premiership. «Credo - spiega sempre Soro - che siamo maturi i tempi per una coabitazione tra leader del partito e leader del governo. La situazione delicata ce lo impone». Nomi non ne sono stati fatti alle riunioni dei Ds e dei Dl dove è chiara l’idea che il leader del Pd non sarà il candidato a Palazzo Chigi. Questo dovrà essere deciso nel 2010, un anno prima delle elezioni politiche, sempre che a quella data il governo Prodi arrivi. Sì, perché a margine degli incontri di ieri non veniva esclusa l’ipotesi di una crisi di governo. «Anche perché - diceva un ministro della Margherita - Prodi purtroppo è molto, molto debole». C’è un punto su cui i due partiti non sono d’accordo. La Margherita vorrebbe che il segretario venga scelto con delle vere e proprie primarie, mentre la Quercia sostiene che questo indebolirebbe troppo Prodi e propone di far eleggere il leader dai delegati dell’assemblea costituente. Ma di fare presto ormai parlano tutti, anche il nuovo arrivato Marco Follini: «A questo punto l’accelerazione sul Pd ci sta tutta».


da lastampa.it
7902  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: ELEZIONI inserito:: Maggio 30, 2007, 05:34:53 pm
E Santagata: «Romano si candida»

Rutelli: subito il leader del Pd «Voto deludente.

Sugli statali si poteva firmare prima».

Il ministro prodiano: il Professore o corre o fa il nonno

 
ROMA - Cercasi leader disperatamente. Ora anche Francesco Rutelli cambia passo, propone di eleggere il 14 ottobre non solo la Costituente ma anche il capo del Pd e, dopo aver denunciato il deficit di «decisione» e «qualità di comunicazione» che ha paralizzato l'azione di Prodi, imprime una «vigorosa accelerazione» all'unità dei riformisti.

«Guardo con favore alla sollecitazione di Dario Franceschini» fa sua la road map del capogruppo dell'Ulivo.

Un'accelerazione che ha il via libera dei deputati ds e dl e che potrebbe costringere Prodi a raccogliere il guanto di sfida. «Se si fanno le primarie — svela la tentazione del premier Giulio Santagata — Prodi correrà. O sta a casa a fare il nonno o si candida».

Quasi un processo al governo, quello che Rutelli interpreta davanti alla Direzione del suo partito. Una lunga e severa relazione che prende le mosse dalla lettura impietosa di un risultato «insoddisfacente» per il Pd, soprattutto al Nord. Quanti errori ha inanellato l'esecutivo... Un mese e più a discutere del «tesoretto», elenca Rutelli, troppi temi aperti e troppi «ripensamenti», una Finanziaria che è stata «comunicata e percepita in maniera confusa», e poi, errore capitale, la firma a urne ormai chiuse del contratto con gli statali. E ora bisogna riflettere.

L'astensione? «Clamoroso il differenziale di circa 15 punti tra partecipazione al voto nelle Province e quello nei Comuni».

L'antipolitica? «Il governo non deve cavalcarne l'onda, ma deve governare bene». La priorità è tagliare l'Ici. «Il governo batta un colpo, dando un primo segnale di riduzione della pressione fiscale», scrive al primo punto della sua agenda programmatica. L'analisi del voto spacca l'Unione, mette gli uni contro gli altri, lacera il già fragile tessuto della coalizione di Prodi. La sinistra se la prende col Pd, Mastella e Boselli vogliono fare il «tagliando» al governo, Diliberto vuole un vertice o non voterà il Dpef, Mussi parla di «débacle»...

Dalla Margherita, Franceschini chiede a Prodi «più coraggio» e Antonello Soro sogna un esecutivo «collegiale e coeso». Ma è la Quercia il partito più scosso. «Un voto che sarebbe errato sottovalutare e che sollecita il governo a uno scatto sulle riforme» scandisce il segretario, presenti D'Alema e Veltroni. Il sindaco dirà la sua solo stasera, al vertice del Pd: «Il risultato deve essere affrontato con serietà e realismo. Ci vuole una riflessione molto seria, che va fatta collettivamente». E quando Fassino riunisce i segretari regionali Ds dà sfogo alla sua irritazione. «L'avevo detto che serviva un cambio di passo, non mi hanno ascoltato...».

M.Gu.
30 maggio 2007

da corriere.it
 
7903  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: ELEZIONI inserito:: Maggio 30, 2007, 05:34:09 pm
Amministrative e partiti Ds e Dl meglio da soli.

Arretra Rifondazione

L'Ulivo crolla a Genova: meno della Quercia nel 2002

Nel centrodestra sono in crescita Lega e Forza Italia 

 
ROMA — Nella Cdl avanzano Forza Italia e Lega, nell'Unione arretra l'Ulivo e quindi il futuro Partito Democratico. A sinistra reggono o crescono i partiti più piccoli, come Verdi, Pdci, Udeur e, soprattutto, l'Italia dei Valori. Mentre Rifondazione comunista indietreggia. E a destra An e Udc nel complesso confermano il loro peso, registrando un progresso in alcune città e un calo in altre.

Stiamo parlando, è bene ricordarlo, di circa un quarto dell'elettorato, ma i dati di queste amministrative influiranno non poco sulle future scelte dei singoli partiti e delle diverse alleanze. Stando ai numeri elaborati da Forza Italia, là dove si è votato (non sono quindi cifre nazionali), il centrodestra avanza in modo sostanzioso, incassando il 57,72% alle provinciali contro il 38,28 dell'Unione e il 50,59% alle comunali contro il 46,08. Lo slancio della Cdl è avvenuto soprattutto al Nord, dove sia il partito di Silvio Berlusconi che quello di Umberto Bossi crescono un po' ovunque. Da segnalare, in particolare, la performance della Lega a Verona, dove tra la lista Tosi (il neoeletto sindaco leghista) e la lista vera e propria si arriva al 28,2%. Cinque anni fa aveva il 6,1%.

Nelle province del Nord Forza Italia è il primo partito e la Lega il secondo, alleanza che si conferma vincente. An è davanti a tutti a Lecce e Reggio Calabria. Ma per avere un quadro che renda con più obiettività il rapporto di forze esistente tra i partiti occorre guardare i dati delle provinciali, dove le liste civiche hanno un impatto minore. Dal confronto tra i numeri emerge subito un dato che riguarda il futuro Partito Democratico. In tutte le sette province dove si è votato la lista unitaria dell'Ulivo è andata peggio di quanto siano andati cinque anni fa i Ds e la Margherita messi insieme. E non di poco. In alcuni casi il solo voto diessino di allora era addirittura superiore all'attuale dell'Ulivo. È il caso della provincia di Genova dove Ds e Margherita prendono insieme il 30,2% mentre nel 2002 la Quercia aveva il 30,8 e i dl il 9. Oppure di La Spezia, dove l'Ulivo ha il 32,7% mentre la Quercia aveva il 33,5 e i diellini il 9,1.

Fenomeno confermato al Comune di Genova, con la lista ulivista che prende il 34,3% contro il 44,4% incassato nel 2002 (35,1 i Ds e 9,2 la Margherita). Persino nella rossa Ancona si passa dal 41,2% di cinque anni fa (26,6 ds più il 14,6 dl) contro l'attuale 30,1%. La stessa cosa accade, con percentuali diverse, a Varese, Vercelli, Vicenza e Como. Certo, si potrebbe fare anche un discorso su candidati più o meno azzeccati. Ma gli avversari del futuro Pd portano avanti la controprova dell'Aquila, dove i due partiti si sono presentati da soli: i Ds sono cresciuti dello 0,6% e la Margherita è calata solo dello 0,9%. Un altro dato significativo è rappresentato dal calo di Rifondazione comunista. Nelle sette province interessate dal voto avanza dello 0,2% solo a Vercelli mentre indietreggia in tutte le altre. Solo per fare due esempi: a Genova passa dal 7,9 al 5,8% e a Varese dal 6 al 3,6.

Roberto Zuccolini
30 maggio 2007
 
da corriere.it
7904  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: ELEZIONI inserito:: Maggio 30, 2007, 05:33:29 pm
Il giorno dopo lo schiaffo del Nord «Chi ora accelera crea difficoltà al governo»

Il premier e il nuovo assetto dell'Ulivo: verrà dopo «Il Nord a disagio ci sfida. Abbasseremo le tasse»


ROMA - Tormenti elettorali, ma non solo. Il giorno dopo lo schiaffo del Nord, Prodi è costretto ad affrontare anche i nodi del Partito democratico. E lo fa con decisione, respingendo la proposta avanzata da Rutelli di anticipare la scelta di chi guiderà il nuovo soggetto. «Facciamo il nostro percorso — dice il Professore ragionando con i suoi — il problema della leadership verrà dopo. Chi vuole accelerare rischia di mettere in difficoltà l'attuale leader e il governo». Non cambia, quindi, il calendario per Prodi: le primarie il 14 ottobre dovranno servire a eleggere i componenti dell'assemblea costituente. Per il timoniere bisognerà aspettare il 2008. Altra questione, il voto amministrativo.

È stato un weekend da dimenticare per il Professore.

Che incassa la botta e non la nasconde: «È chiaro che non sono soddisfatto». Prende atto della protesta del Nord: «C'è un disagio evidente nei confronti della politica». Sforzandosi di convertirla in sfida positiva: «Abbiamo delle idee in cantiere, il Settentrione è una priorità, sono tranquillo». Consapevole che una spia rossa si è accesa, Prodi però non sconfessa le scelte del suo esecutivo, convinto di poter essere premiato sul medio periodo. Rispedisce al mittente l'idea delle dimissioni («Il governo va avanti»), liquidando con toni aspri l'offensiva delle opposizioni: «Dimissioni? Nelle passate elezioni locali, Berlusconi ha sempre preso delle stangate da olio santo. Eppure ho sempre detto che doveva governare fino alla fine: i cittadini lo hanno mandato via, vedremo tra 4 anni cosa succede...».

Il Prodi del dopo-amministrative parla soprattutto agli alleati, delusi, divisi e spaventati dal responso delle urne. «Si tratta di un risultato assolutamente atteso» assicura, nel senso che non era questo il traguardo dal quale potevano giungere allori: «Un premier serio si aspetta il raccolto dopo 5 anni non dopo il primo». Era impensabile essere premiati dopo «una Finanziaria così dura» e i sondaggi avevano fotografato il malessere di larga parte dell'opinione pubblica: «Quando si governa seriamente, si scontentano i cittadini. Non mi interessa un'effimera popolarità...». Intanto però dal Nord giunge un segnale che assomiglia molto a un avviso di sfratto. Prodi assicura di aver recepito il messaggio, a partire dalla questione tasse: «Cominceremo subito il cammino di riduzione della pressione fiscale, ma prima occorre avere un equilibrio dei conti pubblici perché non voglio che il Paese vada in malora». Ma il Nord pretende anche altro. E il Professore, con il tono di chi ha capito che il tempo sta per scadere, promette interventi su opere pubbliche («Dopo un vuoto finanziario di anni»), sulla sicurezza, attraverso il piano-Amato, e «qualche altra cosetta che a giorni vi dirò»

Francesco Alberti
30 maggio 2007
 
da corriere.it
7905  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / Re: ELEZIONI inserito:: Maggio 29, 2007, 10:03:36 pm
Sollievo e timori

Antonio Padellaro


Il sollievo che si coglie nelle prime reazioni dei partiti dell’Unione spiega il risultato delle amministrative di ieri forse meglio di ogni altra analisi sul voto. Il centrosinistra ha pareggiato pur giocando fuori casa, come ha calcisticamente notato l’ulivista Soro. Cioè, nel momento più difficile per la maggioranza di centrosinistra. Cioè, dopo una legge finanziaria sicuramente impopolare e dopo un primo anno di governo difficile ma onestamente non esaltante. Perciò non ci sarà nessuna spallata per far cadere Prodi per il semplice motivo che la spallata è un’idiozia che Berlusconi seguita a ripetere per fomentare i fans e occupare i titoli dei tg. Lo sa anche lui che non si è mai visto un governo cadere per effetto di un test amministrativo che coinvolge un quarto del corpo elettorale Ma dire che è andata meglio del previsto come abbiamo ascoltato nelle prime dichiarazioni del centrosinistra non è una grande consolazione se la previsione era da brivido. Di positivo c’è che la sostanziale tenuta della coalizione consentirà adesso ai leader di riflettere serenamente e senza inutili nervosismi sulle buone ma soprattutto sulle cattive notizie che si possono leggere, se uno le sa leggere, su quei dieci milioni di schede elettorali.

Cominciamo da Genova, certo per la vittoria meritata di Marta Vincenzi ma anche per le dure parole e i giusti timori che la candidata diessina ha subito voluto esternare. Primo timore: l’assenteismo che ha penalizzato principalmente il centrosinistra; nel capoluogo ligure come nel resto d’Italia.

Secondo timore: che il grande distacco con la Cdl si sia ridotto non per ritrovata fiducia nei confronti del centrodestra che non c’è ma per delusione «verso il centrosinistra che sta governando Paese, Regione, Provincia e Comune». Terzo timore: che la delusione sia dovuta alle mancate promesse di cambiamento da parte del centrosinistra e che il segnale di astensione dica guardate, potremmo non darvi più credito se continuate così. Un’analisi che sottoscriviamo in pieno. Un messaggio che da oggi stesso dovrebbe essere all’esame dei leader di governo.

Rallegriamoci pure per i successi colti dall’Unione in città difficili come Agrigento (la prima volta), l’Aquila (strappata alla destra) e Taranto (dove si va al ballottaggio con il centrosinistra però diviso). Risultati, tuttavia, che non bastano a compensare la vera e propria frana che ha investito i partiti di governo in Piemonte e nel Lombardo-Veneto. A Verona, Alessandria, Asti, Monza l’Unione perde i sindaci che aveva. E sono batoste. Alla provincia di Vicenza c’è poi la Caporetto del centrosinistra il cui candidato raccoglie un misero 18 per cento. Solo a Cuneo il sindaco uscente dell’Unione vince bene ma purtroppo è l’eccezione.

Anche qui il messaggio è chiarissimo e preoccupante. Lo spiega bene nell’intervista che pubblichiamo il sindaco di Torino Chiamparino: quando si esce dalle aree metropolitane, al Nord c’è una distanza che il centrosinistra non riesce a colmare. Se è stato sempre così da più di dieci anni (con sola la parentesi del 2002) ci sono evidentemente ragioni di debolezza strutturale non solo nell’azione di governo ma nella credibilità stessa della coalizione. Nella parte più ricca e produttiva del paese, la sinistra viene vissuta esclusivamente come portatrice di nuove tasse oltre che di mentalità statalista e antiimprenditoriale. Sarà ingiusto, sarà sbagliato, ma è così. Per non parlare delle infrastrutture. Delle grandi strade di comunicazione che mancano. Dei famosi passanti (vedi Mestre) sempre promessi e mai realizzati. Della Tav, al centro di interminabili discussioni con le popolazioni locali mentre il governo non sa ancora che pesci prendere. La questione sicurezza, infine, che si risolve con interventi mirati ed efficaci. E non cercando di scimmiottare Sarkozy. Tutte sfide che dovrebbero essere raccolte dal nuovo Partito Democratico che sta nascendo dalle radici dell’Ulivo. Quanto forti e quanto da rafforzare lo vedremo oggi sulla base dei voti raccolti da Ds e Margherita.

L’ex Cdl ha poco da cantare vittoria. L’Unione ha i suoi problemi ma la destra appare sempre più un’accozzaglia di sigle tenute insieme dall’essere opposizione. Ha ragione però Roberto Maroni quando sottolinea il successo dei candidati leghisti nelle roccaforti padane come il valore aggiunto che consente a Berlusconi di gridare vittoria. Sindaci leghisti, come quello di Verona, dalla faccia truce e dai proclami intolleranti che non promettono niente di buono per il futuro della nostra democrazia. Un motivo in più perché l’Unione corra ai ripari aggiustando un’immagine che, ammettiamolo, oggi appare meno forte rispetto a un anno fa.

Pubblicato il: 29.05.07
Modificato il: 29.05.07 alle ore 9.06   
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