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Autore Discussione: Marò, India: - L'Ue: «Soluzione nel rispetto delle leggi.  (Letto 2116 volte)
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« inserito:: Marzo 12, 2013, 06:43:10 pm »

Tensione dopo la decisione dell'italia di non far tornare i fucilieri a New Delhi

Marò, India: «Pronti a tutto per riaverli»

L'Ue: «Soluzione nel rispetto delle leggi»

Il premier Singh: decisione inaccettabile. Convocato l'ambasciatore italiano a New Delhi: Roma rispetti l'impegno preso


È braccio di ferro tra Italia e India dopo l'annuncio che i marò italiani non torneranno a New Delhi. Dopo la convocazione dell'ambasciatore italiano a New Delhi, Daniele Mancini, il ministero degli Esteri indiano ha diffuso una nota in cui si chiede al'Italia di «rispettare l'impegno preso», ossia di far rientrare in India i due marò a cui era stata concesso un permesso per votare alle elezioni in Italia. «Il governo dell'India sostiene con fermezza di non essere d'accordo con la posizione espressa dal governo italiano sul ritorno dei due marine in India - ha fatto sapere New Delhi - L'India si aspetta dalla Repubblica italiana, come Paese impegnato nel rispetto della legge, che onori la dichiarazione giurata sovrana fornita da essa alla Corte Suprema». Secondo l'emittente indiana Ndtv il governo di New Delhi aspetterà fino al 22 marzo, data della scadenza del permesso concesso ai marò, prima di intraprendere azioni contro l'Italia.

LA POSIZIONE DELL'UE - Anche l'Unione europea è intervenuta nella questione: il portavoce dell'alto rappresentante della politica estera della Ue, Catherine Ashton, ha auspicato che «si trovi una soluzione nel pieno rispetto della convenzione Onu sul diritto del mare e delle leggi internazionali e nazionali».

da - http://www.corriere.it/esteri/13_marzo_12/maro-india-pronti-a-tutto_20522136-8b1c-11e2-b7df-bc394f2fb2ae.shtml
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« Risposta #1 inserito:: Marzo 20, 2013, 06:48:24 pm »

Editoriali
20/03/2013 - Gahndi: ridateci i marò

Italia e India non saranno mai nemici

Roberto Toscano*


La tensione fra Italia e India è arrivata a livelli inusitati per due Paesi amici e legati da importanti rapporti economici, culturali, umani. Livelli inusitati con interventi esagitati che da noi arrivano a tradursi in richiami al governo a usare la forza per difendere la dignità nazionale. 

E in India prendono spunto dal mancato ritorno dei marò e dal recente scandalo per la fornitura di elicotteri della Finmeccanica per accusarci di inaffidabilità e corruzione. 

 

Purtroppo non si tratta solo di parole. Il provvedimento della magistratura indiana che limita i movimenti del nostro ambasciatore a New Delhi è ben più serio, più grave. La violazione delle disposizioni della Convenzione di Vienna è addirittura sorprendente, se si pensa che anche in caso di guerra e di rivoluzione la regola dell’inviolabilità delle sedi e della immunità dei funzionari diplomatici è sempre e ovunque stata rispettata. L’eccezione dell’Ambasciata americana a Teheran e dei diplomatici presi in ostaggio per oltre un anno è l’unico esempio contrario – un esempio non certo lusinghiero per l’India.

 

Ma come si è arrivati a questo punto? 

 

L’Italia ha certo ragione a sostenere che il problema dei due marò, che l’India intende processare per l’uccisione di due pescatori del Kerala, andrebbe affrontato sulla base delle norme internazionali e in una sede internazionale. Il problema però è che tutto ciò sarebbe certamente avvenuto se la nave mercantile su cui i due militari esercitavano, assieme ad altri colleghi, una funzione di protezione anti-pirateria avesse continuato la sua rotta dopo l’incidente. Tutto è diventato complicato nel momento in cui la nave è entrata nel porto indiano e i due marò sono stati – prevedibilmente – arrestati. Dico «prevedibilmente» perché mi sembra inevitabile che il Paese della vittima di un omicidio pretenda di esercitare la propria giurisdizione su un soggetto che è sospettato di esserne l’autore. 

 

(È di pochi giorni fa l’apertura presso la Procura della Repubblica di Roma di un procedimento contro ignoti per l’uccisione di un ostaggio italiano in Nigeria).

 

A suo tempo la magistratura italiana si vide respingere una richiesta di rogatoria nei confronti del caporale Lozano, che nel marzo 2005, nella strada tra Baghdad e l’aeroporto, sparò a una macchina che nella notte si avvicinava al suo posto di blocco e uccise il funzionario dei servizi Nicola Calipari. Immaginiamo che dopo quell’incidente il caporale Lozano fosse entrato in territorio italiano. Di certo sarebbe stato arrestato e processato - anche se poi (visto come è andata la lunga vicenda giudiziaria) sarebbe stato prosciolto per «immunità funzionale», ovvero per mancanza di competenza della magistratura italiana nei confronti del militare americano, stabilita in sede di appello e Cassazione in contrasto con quanto deciso dal tribunale di primo grado.

 

È su questo punto che sorge un interrogativo di fondo sulla decisione di entrare in porto. Ancora oggi non è del tutto chiaro chi l’abbia presa, ma va detto che se, come sembra di capire, si è trattato di una decisione dell’armatore, vi è da chiedersi quanto sia accettabile che militari impiegati come una sorta di «contractors alla rovescia» (militari adibiti ad un servizio di protezione di attività civili) siano esposti alle conseguenze di decisioni prese da civili e non dai loro superiori.

 

Non credo comunque che il punto più solido, dal punto di vista giuridico, della nostra argomentazione sia il fatto che l’incidente sia avvenuto in acque internazionali e che chi è accusato di avere sparato si trovasse su una nave italiana. Va detto infatti che il reato di omicidio si perfeziona nel luogo dove si trova la vittima, non dove si trova l’autore dell’atto che ha prodotto la morte – e le vittime erano su un’imbarcazione indiana.

Molto più promettente, sotto il profilo del diritto internazionale, sembra essere il riferimento alla natura degli imputati, e della missione che stavano svolgendo (una missione anti-pirateria concertata su base internazionale). 

 

Ma il punto è proprio quello di come arrivare a spostare la questione, come richiede l’Italia, a livello internazionale.

 

Qui passiamo dal diritto alla politica. Da dove derivano le resistenze indiane ad accettare questo tipo di soluzione?

 

Certo, il mancato rientro dei marò ha acceso le polemiche anti-italiane e le reazioni di un’opinione pubblica rendendo politicamente più difficile – anche se nella stampa indiana non mancano voci di moderazione e buon senso - una svolta del governo indiano verso una maggiore flessibilità. E visto che si parla di politica, va detto che il fatto che al vertice del sistema politico indiano ci sia Sonia Gandhi costituisce per noi un handicap, non certo un vantaggio. Anche se il suo lungo e totale impegno per il Paese d’adozione rende oggettivamente insostenibile definirla come «l’italiana», non vi è dubbio che il timore che l’origine italiana della leader del Partito del Congresso possa dare adito a critiche contribuisce a rendere più difficile un gesto di moderazione e flessibilità nei nostri confronti. Proprio ieri Sonia Gandhi - con la sua durissima presa di posizione contro l’Italia, accusata di «tradimento totalmente inaccettabile» - ha confermato di essere politicamente costretta a dimostrare di non avere per l’Italia alcun «occhio di riguardo». A questo va aggiunto che ci troviamo in un momento in cui il caso degli elicotteri, un episodio che si inserisce nella lotta senza quartiere che nel sistema politico indiano si sta conducendo sul tema della corruzione, alimenta nel sistema politico indiano la tentazione di scaricare sui «corrotti italiani» le colpe della corruzione del proprio sistema.

Eppure, al di là delle questioni giuridiche e delle complicate spinte a livello politico, la possibilità di ricondurre i rapporti italo-indiani su un piano di normalità, nell’interesse di entrambi i Paesi, fa riferito a altre considerazioni. 

 

L’incidente che ha coinvolto i marò italiani e i pescatori indiani è stato grave, vista la perdita di vite umane, ma si è trattato appunto di un incidente, di un tragico errore, e non di un’azione criminale o dolosa. 

Che senso ha far dipendere i rapporti fra due Paesi importanti economicamente, entrambi democratici, entrambi basati sul rispetto dello Stato di diritto, da un singolo episodio? Quale prezzo i due Paesi hanno intenzione di pagare, in termini di deterioramento di rapporti economici e culturali, e di contatti umani (dai turisti ai tanti indiani che lavorano in Italia, una delle più positive success stories in tema di immigrazione) per l’incapacità di fermare un’escalation di azioni e ritorsioni?

 

Credo che sia venuto il momento di riflettere, di mettere sul piatto della bilancia l’interesse nazionale dei due Paesi, di accettare compromessi, e soprattutto di abbassare il tono della polemica e delle ostilità. 

India e Italia non sono Paesi nemici, e la guerra italo-indiana non avrà luogo. Sarà però necessario, perché si possa riprendere a pieno il cammino della collaborazione e dell’amicizia, che la diplomazia e la politica forniscano con intelligenza, e con urgenza, il contesto necessario a trovare una soluzione equa e ragionevole a questo disgraziato incidente. 

 

* L’autore - che inizia oggi la collaborazione con La Stampa - è stato ambasciatore a Teheran e a New Delhi dopo aver ricoperto incarichi diplomatici a Santiago del Cile, Mosca, Madrid, Washington e a Ginevra. Ha insegnato Relazioni internazionali. 


da - http://lastampa.it/2013/03/20/cultura/opinioni/editoriali/italia-e-india-non-saranno-mai-nemici-QtRG3qK1UgHqBBdk8WJBBO/pagina.html
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