LA-U dell'OLIVO
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6676  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino. Da ... FB del 16/6 inserito:: Giugno 16, 2016, 12:31:27 pm
Ai terroristi non violenti di casa nostra, dobbiamo aggiungere i vecchi responsabili dei nostri guai che pur di farsi notare combattono Renzi, i violenti ideologizzati che vorrebbero imitare in Italia le violenze accadute in Francia, i violenti "tanto chi se ne frega" (squadristi internazionali), ed altri ancora compresi gli indifferenti (tanto io non voto).

Ma non dobbiamo dimenticare la massa (ancora non ben definita in termini quantitativi) degli Italiani imbecilli, contrari inconsciamente alla democrazia di fatto.

Quindi perchè dare il nostro appoggio al governo?
E' presto detto: è l'unico governo possibile oggi e i "non-ancora-renziani" non essendo tifosi possono dare il loro appoggio soltanto perchè aspettano provvedimenti a favore della gente. Ciaooo

FB del 16/6 Arlecchino bis
6677  Forum Pubblico / NOI CITTADINI, per Civismo, Conoscenza e Consapevolezza. / Giuseppe Bianchimani Neoliberismo: il capro espiatorio che fa comodo a tutti inserito:: Giugno 13, 2016, 01:05:52 pm
Economia & Lobby
Neoliberismo: il capro espiatorio che fa comodo a tutti

Di Giuseppe Bianchimani
 9 giugno 2016

Contro ogni dato, statistica o curva d’incidenza, le cause del virus Ebola sono state individuate da Laura Boldrini nella “spinta al privato della Sanità mondiale “. L’11 settembre. Come dichiarò l’allora presidente della Commissione europea, Romano Prodi: “Quello che è successo a New York ci ricorda che non potrà più imporsi come dottrina una certa forma di pensiero unico che difende il liberismo sfrenato”. Questi sono solo due dei molteplici commenti che si possono ravvisare sul web, leggere tra le righe di giornale o apprendere in un dibattito televisivo. La scelta non ha come scopo attaccare i due personaggi in questione, bensì sfruttare la loro posizione autorevole per dare credito ad una tesi che si sta via via concretizzando: Vi è un male? La colpa è del neo-liberismo!

Penso che il problema principale sia definire che cosa si intende per neo-liberismo, poiché questa parola sembra dire tutto e niente. La mia idea è quella di chiarire quali sono le posizioni in merito per ciò che concerne la letteratura economica e quindi chiedersi: vi è effettivamente tra gli economisti teorici o tra i responsabili della politica economica una comunità ascrivibile al pensiero neo-liberista? E se la risposta dovesse essere affermativa, quali sono le implicazioni che ne discendono? Molti sostengono, che le cause della crisi risalgono al grande processo di deregolamentazione in materia finanziaria attuato dalla fine degli anni ottanta.

Questa iniziativa fu in gran parte dovuta e/o teorizzata da una classe di economisti, provenienti per lo più dall’università di Chicago, con a capo Milton Friedman, passati poi alla storia con il nome di neo-liberisti o Chicago boys. Secondo questa tesi, se oggi ci troviamo a sperimentare un periodo di scarsa crescita a livello globale (alcuni direbbero secular stagnation), un livello di diseguaglianze esacerbato ed una pesante incertezza diffusa nei mercati finanziari, circa la sostenibilità dei debiti pubblici, lo si può ricondurre per intero al neo-liberismo! Magari fosse così facile. Basterebbe invertire il mainstream dominante. La concezione comune è che in teoria economica vi siano due schieramenti, diametralmente opposti: i keynesiani da una parte ed i liberali dall’altra.

Uno scontro in cui i primi riconducono le cause della determinazione del reddito (ciò che si definisce comunemente Pil) a fattori di “domanda aggregata”, mentre i secondi sostengono che bisognerebbe attuare politiche di stimolo per “l’offerta aggregata”. In realtà queste sovrastrutture sono state abbandonate da tempo, in particolare dagli anni settanta in poi, con ciò che oggi viene definita la teoria dell’equilibrio. Riportando un caro esempio (si veda Monacelli), la macroeconomia moderna oggi non è composta né da “domandisti” né da “offertisti”; ma semplicemente da “equilibristi”. Ciò non vuol dire che vi sia una omologazione concettuale circa lo studio dei fenomeni socio-economici, al contrario vi è una sintesi di elementi dell’una e dell’altra corrente.

I modelli che fanno riferimento a questa impostazione teorica vengono definiti Dsge (per i più curiosi si veda Jordi Galì), un acronimo che sta per dynamic stochastic general equilibrium. Sostanzialmente, i Dsge cercano di spiegare fenomeni quali la crescita economica, fluttuazioni del ciclo economico (es. recessioni) e gli effetti della politica monetaria e fiscale, sulla base di modelli fondati da principi di equilibrio, ovvero l’interazione tra domanda ed offerta aggregata attraverso il sistema dei prezzi. Questa tipologia di modelli è ampiamente accettata, sia da economisti più vicini ad idee “conservatrici”, che da coloro che si sentono più prossimi alle idee “democratiche”.

È sorprendente inoltre sottolineare (come osservato da Gregory Mankiw qualche anno fa) che i consiglieri economici dei presidenti Usa e delle banche centrali sono quasi sempre reclutati tra le file dei “neokeynesiani”, cioè tra coloro che credono nell’efficacia della politica monetaria e fiscale (si pensi alle figure di Draghi, Bernanke oppure Olivier Blanchard, non proprio dei paladini del “liberismo sfrenato”). Come potrebbe essere altrimenti? I veri “mercatisti” non avrebbero salvato le banche, non le avrebbero parzialmente nazionalizzate e non avrebbero promosso gli stimoli fiscali.

Allora perché vi è tanto fervore ed accanimento verso il neo-liberismo? Probabilmente perché, e su questo la storia ha tanto da insegnare, l’utilizzo di un capro espiatorio fa sempre comodo per evitare ragionamenti più complessi. Con ciò non voglio asserire che le politiche economiche degli anni ottanta non abbiano influito sulla determinazione della crisi finanziaria, ma è oltremodo controproducente ragionare con delle categorie ormai desuete. Sembra quasi diventata un’ossessione, eppure oggi che cosa si intende per neo-liberismo? Forse è una domanda su cui in molti dovremmo riflettere.

Di Giuseppe Bianchimani | 9 giugno 2016

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06/09/neoliberismo-il-capro-espiatorio-che-fa-comodo-a-tutti/2806635/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2016-06-09
6678  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / Daniele Guarneri. Perché sto con Parisi. Intervista ad Alberto Bombassei inserito:: Giugno 13, 2016, 01:04:10 pm
Perché sto con Parisi. Intervista ad Alberto Bombassei

Giugno 4, 2016 Daniele Guarneri

Dal referendum costituzionale alle riforme utili al paese per proseguire nella (mini) ripresa.
Il patron della Brembo promuove il governo. E pure il candidato del centrodestra a Milano


La campagna per promuovere il referendum costituzionale del prossimo ottobre è partita ufficialmente da Bergamo e il primo pit stop di Matteo Renzi per lanciare la mobilitazione si è svolto lo scorso 22 maggio alla Brembo al parco tecnologico Kilometro Rosso, sede dell’azienda italiana leader mondiale nel settore dei sistemi frenanti. «C’è una Italia pronta a voler cambiare e per farlo #BastaunSì», ha detto il segretario del Partito democratico, accolto da Alberto Bombassei, 75 anni, patron della Brembo e deputato di Scelta Civica. «Sono d’accordo con Renzi e condivido tempi e modi della nostra riforma costituzionale», dice Bombassei a Tempi. «È importante che quanti oggi sono incerti davanti a questa riforma, per timore che vengano negati o annacquati i princìpi costituzionali, abbiano piena consapevolezza che andrà a incidere solo sulla seconda parte della Carta, quella relativa all’ordinamento della Repubblica. Punterà a ridurre i parlamentari, a eliminare il bicameralismo perfetto, facendo sì che si velocizzi il processo legislativo. Oggi più che in passato la necessità di accorciare i tempi dell’entrata in vigore delle nuove leggi è forte ed evidente. Non possiamo più permetterci, sempre nel rispetto di rigorose garanzie democratiche, che leggi utili al paese diventino oggetto di veti incomprensibili che spesso non hanno nessun legame con il merito dello specifico provvedimento».

Presidente, questa riforma riporta molte deleghe oggi di competenza regionale in capo allo Stato. Non le sembra un passo indietro rispetto ai concetti di sussidiarietà e federalismo? Certo in questo modo si potranno eliminare tutte le inefficienze, anche economiche, che si sono originate in particolare in alcune Regioni, ma così si penalizzano anche quelle che hanno amministrato in maniera virtuosa.

Mi lasci dire che la riforma del Titolo V del 2001 è nata con le migliori intenzioni, ma Regioni ed enti locali spesso non hanno saputo fare tesoro del principio di sussidiarietà che vi veniva espresso, inceppando non di rado l’efficienza, già zoppicante, della macchina statale. Io sono vicino a molte istanze che hanno ispirato la riforma della Costituzione in chiave federalista, ma va riconosciuto che non si è rivelata un successo a livello di efficienza. La nuova riforma restituisce al potere centrale alcune materie su cui è legittimo che non ci siano rischi di sottostare a un potere di veto delle amministrazioni locali. Credo sia un punto controverso e che ha creato numerosi conflitti e danni (anche economici) a tutto il paese. Non è detto, comunque, che questa riforma non abbia bisogno di qualche correzione. Io non apprezzo chi sostiene che la più bella Costituzione del mondo non può essere toccata, ma allo stesso tempo credo che se gli effetti non saranno come quelli sperati, sarà legittimo pensare a qualche limatura della riforma.

Lei ha più volte riconosciuto al governo Renzi la forza del cambiamento, giudicando positivamente il suo operato. Tuttavia alcuni dati, ad esempio quelli di produttività e occupazione, non possono certo essere letti con grande entusiasmo. Le tasse non sono state diminuite in modo apprezzabile, un po’ meglio si è fatto sul versante delle imposizioni e tasse su salari e profitti. Ma può bastare?
Certo che non può bastare, ma sarebbe impensabile effettuare un taglio netto dell’imposizione fiscale senza valutare con attenzione le conseguenze. Intanto abbiamo visto come la decontribuzione abbia influito positivamente sul mercato del lavoro: abbiamo ancora un tasso di disoccupazione molto elevato, ma l’Istat prevede che si attesterà sull’11,3 per cento, un dato migliore rispetto ai tempi recenti e che è stato raggiunto solo grazie alle riforme attuate da questo governo. Ma anche misure inserite nella legge di stabilità 2016 come la Sabatini bis (finanziamenti agevolati per le Pmi, ndr) o il super ammortamento hanno avuto dei risultati apprezzabili. L’unica possibilità è quella di continuare su questa strada, stimolando produttività, spesa interna e investimenti. Tutto sperando che una vera e seria politica di taglio dei costi venga davvero oltre che annunciata anche realizzata.

Il premier insiste nel dire che l’Italia è ripartita, ma i numeri sembrerebbero non confermarlo, almeno non in modo così entusiasmante come lo sbandiera Renzi. Il Pil 2015 ha registrato un +0,8 per cento contro una media dell’Eurozona del 2,2 per cento. Da imprenditore di successo, cosa serve all’Italia per ripartire davvero?
Ritengo che l’Italia sia davvero davanti a una lieve ripresa. La crescita del Pil del 2015, è vero, non ha soddisfatto le attese, ma allo stesso tempo l’Istat ha diffuso un dato, seppur basso, l’1,1 per cento, comunque positivo per quest’anno. È un dato in chiaroscuro che provo a commentare da uomo d’impresa, che vive nel mercato. È vero che la ripresa si avvantaggia di una congiuntura positiva e probabilmente irripetibile: la spinta della Bce e il basso prezzo del petrolio le danno una grossa mano. Ma il quadro è molto più complesso: la crisi dei migranti, i venti di guerra, le tendenze antieuropeiste, sono tutti fattori che condizionano e condizioneranno i mercati in direzioni spesso imprevedibili. La realtà è di difficile lettura perché sono troppe le forze in grado di spostare lo scenario economico. La mia sensazione, però, è che nel paese si stia affermando, nel mondo produttivo e nella stessa politica, la convinzione della necessità di cambiare passo e di impegnarsi tutti insieme per superare i limiti storici e strutturali di cui soffre il nostro paese. Nel mondo delle imprese si sta affermando la volontà di far crescere le dimensioni medie delle nostre aziende, male endemico del nostro sistema industriale. Sul fronte politico la sensibilità nei confronti delle imprese è cresciuta e molte delle recenti riforme lo dimostrano.

Quindi è soddisfatto della nomina di Carlo Calenda a ministro dello Sviluppo economico? Alla sua prima uscita pubblica all’assemblea di Confindustria, il neo ministro ha annunciato un piano industriale per l’Italia, addirittura «prima dell’estate».
Credo che l’elezione di Carlo Calenda al Mise, soprattutto per noi imprenditori, sia una notizia molto positiva. Calenda conosce bene il quadro internazionale, conosce i tavoli di crisi che ha seguito già come viceministro e conosce l’urgenza di far partire quanto prima il Piano Manifattura 4.0. Per ripartire l’Italia ha bisogno di una regia politica esperta e consapevole del quadro interno ma anche del contesto generale. Gli investimenti saranno fondamentali. Le risorse di bilancio, seppur scarse, che saranno utilizzabili con il recente ok di Bruxelles alla flessibilità, dovranno essere impiegate per stimolare gli investimenti pubblici e agevolare quelli privati. Solo con la spinta alla produttività potremo rimetterci in carreggiata.

Le amministrative di maggio potrebbero dare già un segnale a Renzi di come tira il vento in vista del referendum. Crede che il centrodestra di Milano “rinato” sotto la candidatura di Stefano Parisi, possa essere un modello per la nazione?
Credo che queste voci danneggino Parisi. Lui ha promesso che ha intenzione di impegnarsi ad amministrare in modo efficiente il comune di Milano. Mi sembra già molto: Milano è il vero motore del paese, soprattutto in chiave economica. Credo che Parisi abbia le qualità per svolgere questo compito, credo che possa convincere i milanesi che è in grado di farlo, ma non in conflitto con il potere governativo. Parisi stesso ha confermato che i sindaci non sono pro o contro il potere centrale ma hanno il dovere di collaborare con questo. Il governo, inoltre, ha promosso iniziative importanti anche in chiave economica e sono certo che se sarà Parisi ad amministrare la capitale morale d’Italia nei prossimi cinque anni, saprà avviare un discorso costruttivo con qualsiasi rappresentante del governo centrale. È un uomo esperto e dialogante, anche se fermo e determinato.

Prima della nomina di Parisi a candidato sindaco di Milano, il Pd credeva di poter vincere tranquillamente. Lei conosce bene l’ex manager di Fastweb, quali sono i punti di forza che gli permetteranno di gestire la sua coalizione?
Sono bergamasco, non vivo i problemi di Milano e comunque non voterò nel capoluogo lombardo. Però conosco Parisi da tempo, ho apprezzato il suo impegno in Confindustria digitale, so come sia stato un ottimo manager in Fastweb. Dal punto di vista personale ne apprezzo l’onestà e la qualità del pensiero. Oggi è anche un imprenditore, ma conosce bene la macchina amministrativa del Comune. Mi sembra stia anche dimostrando di avere una personalità capace di mediare di fronte agli estremismi che emergono, inevitabilmente, sia nel suo sia nello schieramento opposto. Ha ragione Parisi quando dice che la Lega rappresenta problemi che molti milanesi sentono e a cui vanno date risposte. Io sono convintamente europeista come lo è Parisi, ma per amministrare una città non credo che questa divergenza sostanziale con le posizioni della Lega possa essere un limite insormontabile a una buona gestione della città. Bisogna proporre soluzioni per il futuro della città, immaginarne il ruolo futuro ma con pragmatismo e capacità. E Stefano è in grado di farlo.

Si dice che Parisi sia molto simile a Beppe Sala, candidato Pd. È d’accordo?
Qualcuno ironizzando sul profilo dei candidati di altre grandi città ha suggerito di mandare chi perderà a Milano ad amministrare Roma o Napoli. È ovviamente una battuta, ma segnala la percezione di una qualità elevata dei candidati milanesi. Sono due persone che hanno dimostrato la loro professionalità e il loro valore nella carriera da manager privati ed entrambi hanno anche avuto esperienze – non da politici – nella macchina dell’amministrazione pubblica. Non conosco Sala a sufficienza per giudicarne a fondo le qualità, certo ho apprezzato il lavoro fatto in Expo e raccolgo attestati di stima da più parti. Mi sembra però che rispetto a Parisi soffra di più una coalizione che fa fatica a rappresentare. Mi pare poco a suo agio con la maglietta di Che Guevara. Di Parisi ho apprezzato visioni e sensibilità sociali che sono indispensabili in una città che non solo è tornata a essere l’avamposto anche simbolico del paese, ma è anche una città solidale e attiva nel volontariato. Credo che ci siano anche differenze, ma non vanno ricercate nelle ideologie e nelle etichette che l’uno o l’altro schieramento storicamente rappresentano.

Cosa deve fare la politica per essere un vero anello di congiunzione ed equilibrio degli interessi di tutti i corpi sociali, di tutte le visioni presenti nella società?
La politica deve essere capace di mediare, non imporre. Ascoltare le varie anime della società senza pregiudizi dettati da un’ideologia spesso anacronistica e stantia, e trovare le soluzioni che le competono. Con la mia esperienza in Parlamento ho scoperto che il mestiere del politico non è facile, soprattutto per chi, come me, è abituato a decidere velocemente. In politica occorre avere molta pazienza oltre che lucidità e visione per portare avanti decisioni e obiettivi che, nel lungo periodo, creino benefici a tutta la società. Anche a quanti, nell’immediato, si vedono negare i propri interessi.

@daniguarne

Da - http://www.tempi.it/perche-sto-con-parisi-intervista-ad-alberto-bombassei#.V1mYUzUXeaQ
6679  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / JACOPO IACOBONI. - Dieci pensieri sul voto nelle città inserito:: Giugno 13, 2016, 01:02:46 pm
Dieci pensieri sul voto nelle città
Virginia Raggi, candidata del M5S in grande vantaggio al primo turno delle comunali a Roma

06/06/2016
Jacopo Iacoboni

Il primo turno delle amministrative delinea un quadro articolato, che provo a fotografare così. 

I. Il Movimento cinque stelle sfonda a Roma, la città dei disastri di Alemanno e la città di Mafia Capitale che tocca il Pd romano, oltre che della defenestrazione di Ignazio Marino (ci torneremo). Accanto alle percentuali di Virginia Raggi, direi che contano molto i voti assoluti al Movimento, per descrivere l’ampiezza di questo risultato. Alle politiche, nel 2013, il M5S prese a Roma 130mila voti. Alle europee del 2014, nonostante la grande vittoria di Matteo Renzi, il Movimento prese 293.241 voti. Ieri ne ha presi 393.483, centomila voti netti in più: un’immensità. È il punto di partenza di ogni analisi, ma anche punto molto impegnativo, una cima difficile da eguagliare e una città, Roma, che fa abbastanza storia a sé, nel bene come (soprattutto) nel male. 

II. I cinque stelle vanno molto bene a Torino, anche qui grazie a una donna, Chiara Appendino, un’ottima candidata per profilo personale, che ha scelto di fare una campagna molto moderata - secondo alcuni anche troppo - andando, anziché verso i temi di sinistra (reddito di cittadinanza), verso quelli di centrodestra (rapporto con le fondazioni, ampia e anche spregiudicata rassicurazione alla città borghese). Il risultato in voti assoluti è anche qui notevole. La progressione di questi anni parla meglio di ogni altra cosa: alle europee il M5S aveva preso a Torino 91mila voti, ieri ne ha presi 107mila. Cinque anni fa, quando Appendino entrò in consiglio comunale, il Movimenti ottenne 21mila voti. Parallelamente, il Pd del sistema-Fassino è passato da 138mila voti cinque anni fa a 106.832 ieri (alle europee, il Pd a Torino aveva preso 189.596 voti.

III. Il M5S resta un Movimento molto disomogeneo territorialmente. Cresce anche a Milano, ma lì non supera il 10 per cento (molto poco, in quella città, per ambire in prospettiva alla sfida delle politiche). E’ basso a Napoli, la città di tre membri del direttorio su cinque. E’ stabile a Bologna, qui anzi con una lieve flessione di voti assoluti, e rimane fuori dal ballottaggio: e considerate che l’Emilia è una terra fondativa dei cinque stelle. Da questo punto di vista, la grande vittoria, anche simbolica, e l’incremento di voti assoluti (quasi universale) del M5S non coincidono con una equa ripartizione della sua presenza diffusa. I cinque stelle restano una forza centrale e centromeridionale, mentre al nord (con l’eccezione di Torino e la Liguria) faticano ancora. 

 IV. Il Pd è in un arretramento sostanziale grave. I numero lo dicono un po’ ovunque, ma l’emorragia è drammatica a Roma. Nel 2013 i democratici presero nella capitale 267mila voti, alle europee del 40% di Renzi addirittura 506mila, ieri ne hanno presi 200mila. Molto pochi in assoluto, anche se - a mio giudizio - Giachetti ha compiuto un miracolo ad arrivare al ballottaggio col quasi 25 per cento. Un mese fa partiva spacciato al 14, secondo i sondaggi, e portando con sé il peso dei disastri del pd romano e delle inchieste di Mafia capitale. 

V. Renzi. Certo ha avuto un ruolo la voglia, assai diffusa in Italia, di dare anche un colpo a Renzi, e a quanto lui tenda a personalizzare ogni battaglia (questa, paradossalmente, l’aveva personalizzata molto meno di altre). Gli errori principali a me paiono due. Uno: il cosiddetto Partito della Nazione si sta rivelando in questi anni un boomerang ovunque, assoluto, kafkiano. O dove si prova a costruirlo (Beppe Sala a Milano è in lievissimo vantaggio, ma in una gara del tutto aperta, e ha concluso davvero col fiatone e spompo), o dove il Pd paga scissioni, lacerazioni, perdita di consensi e nascita di forze politiche alla sua sinistra. Successe in Liguria, successe a Venezia, succede a Torino, a Milano è finita malamente l’era Pisapia, a Napoli, dove ci si è alleati con Verdini. Non pare una politica che stia pagando, almeno nei territori. Chi è convinto del contrario, rimanga sereno a discutere con Verdini e Alfano. 

VI. Il caso Marino. A Roma - e veniamo al secondo errore del premier segretario - il Pd sconta, ne sono abbastanza certo, la penosa defenestrazione di Ignazio Marino, un siluramento deciso nelle segrete stanze, dall’alto e in maniera davvero opaca, di un sindaco eletto, che era rimasto impigliato in storie - come già si sta vedendo - di nessun rilievo penale. Sarebbe bastato non distruggere Marino per evitare il tornante del voto a Roma: senza il quale lo scenario di oggi sarebbe tutto sommato accettabile per Renzi (e al netto di Giachetti che, lo ripeto, ha salvato il salvabile). Ps. Marino, e quel che restava delle sue basi elettorali, l’hanno ovviamente fatta pagare come potevano, o non votando, o votando direttamente Raggi. 

VII. A Roma colpisce assai che il Pd vinca solo in tre municipi (due dei quali centro e Parioli), e oltre le mura perda ovunque. Un partito salottizzato e cricchizzato. 

VIII. I candidati. Il Pd - tolto secondo me Giachetti - non è in grado di imbroccare un candidato interessante e almeno relativamente fresco che è uno. Il Renzi della rottamazione presunta ci ha proposto: Fassino, Beppe Sala, l’oscura burocrate Valente, e l’usato (abbastanza) sicuro Merola. Uau, che appeal (senza contare i tratti di profondo conservatorismo, o di vera svolta moderata, di queste scelte). Pensate invece ai due posti dove il Movimento vince, Roma e Torino (altrove, ripeto, non va affatto così trionfalmente): schiera due volti interessanti, che funzionano, due donne che hanno un profilo molto più divertente anche da raccontare; qualunque cosa pensiate, naturalmente, del loro spessore politico, delle loro scelte politiche, delle loro frequentazioni, dei mondi (spesso di centrodestra) che le hanno accompagnate, o di tutte le ambiguità del partito-azienda e della Casaleggio, che più volte abbiamo riccamente documentato. 

 

IX. Il centrodestra. Mi pare che, se unito, esiste eccome: basti solo il caso di Milano a dimostrarlo: ha il problema di trovare un leader competitivo, come nel capoluogo lombardo è riuscito a fare. Ma non è scomparso affatto dall’Italia, attenzione. 

X A Roma, tutto l’opposto: Meloni e Marchini insieme avrebbero largamente garantito i voti per andare al ballottaggio, ma la rissa Berlusconi-Salvini ha reso impossibile una mediazione su un nome comune. Meloni resta figura chiave per il ballottaggio di Roma. Qui risulta che lei personalmente non ami affatto la Raggi (raccontano che le stia cordialmente antipatica), ma i suoi elettori? Molti sembrerebbero non così distanti da pose anti-establishment (e addirittura dure con rom me migranti) dei cinque stelle. Giachetti può lavorare sulla rete che porta all’elettorato di Marchini (Toti, Ranucci, propaggini varie di rutellismo), e deve provare a convincere almeno una fetta dei sostenitori di Giorgia. Un’impresa non impossibile, ma certo, molto, molto in salita. 
Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/06/06/italia/speciali/elezioni/2016/amministrative/dieci-pensieri-sul-voto-nelle-citt-vtuCzFUpXJXUQm0UxqQUYJ/pagina.html
6680  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / GOFFREDO DE MARCHIS. Staino a Renzi: "Allarghi il cerchio magico, basta ... inserito:: Giugno 13, 2016, 01:01:12 pm
Staino a Renzi: "Allarghi il cerchio magico, basta circondarsi di fedelissimi"
Appello dell'inventore di Bobo sull'Unità: "Diamo un cuore al Pd".
Firma anche Francesco Guccini


Di GOFFREDO DE MARCHIS
09 giugno 2016

ROMA - "Lo statista è lui, tocca a lui tenere unito il partito. Allarghi il cerchio magico, basta con la logica dei fedelissimi". Sergio Staino, l'inventore di Bobo, il narratore a fumetti dei travagli della sinistra, pubblica oggi sull'Unità un appello a ritrovare l'anima del Pd, un'anima progressista e si rivolge in primo luogo a Matteo Renzi. L'appello ha già ricevuto il sostegno di Francesco Guccini, Sergio Givone, Massimo Cirri, Mario Primicerio e Silvio Greco. Si attendono altre firme.

Staino, stavolta se la prende con Renzi?
"Il mio appello è rivolto a tutti. Matteo però è il segretario, la responsabilità di unire il Pd è principalmente sua".

Non la sta esercitando?
"Lo aveva fatto all'inizio cercando una gestione collegiale. Penso alla presidenza del partito conquistata da Gianni Cuperlo e poi passata ad Orfini. Penso all'offerta della direzione dell'Unità allo stesso Cuperlo. Poi si è chiuso a riccio. Per esempio tante persone dentro al Pd, in modo scorretto, vivono il referendum costituzionale come l'occasione per far cascare il premier. Ma c'è tanta altra gente nella sinistra che ha dei dubbi in buona fede, sia sulla legge costituzionale, sia sulla legge elettorale. Possiamo ascoltare anche queste voci senza farci prendere dall'ira?".

Cosa deve fare Renzi?
"So cosa non deve fare. Non deve più fare il duro e basta. Nel partito ci sono tante sensibilità e soprattutto c'è molta umanità. Usi di più il cuore. Se vuole ricostruire un gruppo dirigente guardi al curriculum delle persone e non al loro posizionamento nel gioco delle correnti interne. A me dispiacerebbe molto se andasse a sbattere. Ma se non vuole sbattere deve cambiare qualcosa".

Sono in parte gli argomenti di Bersani.
"D'Alema e Bersani non vedono l'ora di riprendersi il partito, il giocattolo. Ma con tutto il rispetto per la loro storia, secondo me dovrebbero mettersi a fare film, come Veltroni. O il vino. Certo, meglio i film perchè almeno danno un contributo alla sinistra...".

E Renzi?
"Se lo statista è lui, deve fare la prima mossa per dare un cuore al Pd. Un partito di soli renziani doc non esiste, non fa molta strada. Non perdiamo l'anima di sinistra. Sono i nostri compagni".

Fassina compreso, che dà il titolo al suo ultimo libro?
"Fassina ha dato indicazione di votare scheda bianca al ballottaggio di Roma tra Raggi e Giachetti. Per me è irrecuperabile".

© Riproduzione riservata
09 giugno 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/06/09/news/staino_a_renzi_allarghi_il_cerchio_magico_basta_circondarsi_di_fedelissimi_-141624202/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_09-06-2016
6681  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / ILVO DIAMANTI - Antipolitici e contro il governo, nasce il Carroccio a 5 Stelle inserito:: Giugno 13, 2016, 12:59:32 pm
Grillo e Salvini. Antipolitici e contro il governo, nasce il Carroccio a 5 Stelle
Le Mappe. Ciò che unisce lepenisti e grillini è l’avversione a Renzi. Ma anche profondi risentimenti nei confronti delle istituzioni e dell’Europa

Di ILVO DIAMANTI
09 giugno 2016

IN VISTA dei ballottaggi che si svolgeranno nelle principali città, si delinea una convergenza fra i principali soggetti politici anti-renziani. Questa, almeno, sembra la principale logica che ispira le scelte della Lega e del M5S. Remare contro i candidati del PdR. Votare per l'avversario del Capo e del partito di governo, chiunque esso sia. Di qualunque partito. In questo modo, ha osservato Ezio Mauro, nei giorni scorsi, M5S e Lega, gli antagonisti più determinati di Renzi, si apprestano a celebrare le "nozze del caos". Che stabiliscono un rapporto stretto fra gli opposti populismi.

LE TABELLE

A Roma e a Torino, in particolare, l'indicazione di Salvini a sostegno di Virginia Raggi e Chiara Appendino è netta. Ed esplicita. Così come a Milano Lega e M5S si sono espressi, entrambi, per Parisi e, soprattutto, contro Sala. Il candidato di Renzi. Cioè: il comune nemico. Il "tripolarismo imperfetto", di cui avevo parlato nei giorni scorsi, commentando i risultati del primo turno, in questa occasione, si ricompone e si bipolarizza. Spinto, in questa direzione, dalle regole del gioco elettorale. Ma anche dai reali orientamenti degli elettorati. Infatti, se guardiamo le indagini condotte da Demos (ma non solo) negli scorsi mesi, le affinità elettive fra gli elettori di questi partiti, peraltro molto diversi, appaiono evidenti. Palesi. In particolare, quasi 3 elettori della Lega su 10 si dicono (molto o abbastanza) vicini al M5S. Un legame, dunque, più stretto che con ogni altro partito. In particolare, rispetto al Pd (16%). Si tratta, peraltro, di una relazione reciproca, visto che fra gli elettori del M5S viene espressa una preferenza particolarmente intensa per la Lega, oltre che per i FdI. Vale la pena di osservare che questa attrazione Lega-stellata era già emersa in passato. In occasione delle elezioni politiche del 2013. Allora, nei comuni a forte radicamento leghista, si erano verificati rilevanti flussi elettorali a favore del M5S. "Restituiti", in gran parte, l'anno seguente, in occasione delle elezioni europee.

Cosa spinge gli elettori dei due partiti gli uni verso gli altri, appassionatamente? Anzitutto, la comune insofferenza verso le istituzioni dello Stato e verso i partiti. In quanto tali. Si tratta, cioè, di attori politici dell'antipolitica. Poi, i comuni bersagli polemici. Per prima, l'immigrazione. Quindi, l'Unione Europea. In altri termini, le due facce della globalizzazione. La perdita di sovranità politica ed economica a favore di entità sovranazionali, perlopiù controllate da burocrati. E condizionate dagli interessi dei mercati e dell'economia globale. In secondo luogo, le migrazioni che provengono dal Sud del mondo. E aumentano il nostro senso di vulnerabilità. E di spaesamento. Lega e M5S, per quanto abbiano una sociologia e una geografia diverse, condividono questi sentimenti. E ciò spiega le tendenze al reciproco soccorso, in occasione dei prossimi ballottaggi.

Dalle indagini condotte nelle scorse settimane da Demos, in particolare, a Roma oltre metà degli elettori di Giorgia Meloni, sostenuta dalla Lega di Salvini, sembra orientata a favore di Virginia Raggi. Mentre un altro terzo potrebbe astenersi. Pressoché identici i movimenti possibili - e probabili - a Torino. Dove, nel ballottaggio, oltre metà della base elettorale del "leghista" Morano sembra intenzionata a votare per la candidata dei 5 Stelle. Un terzo ad astenersi. A Bologna, dove, a sfidare il sindaco in carica, Merola, del PD, sarà la leghista Lucia Borgonzoni, invece, queste tendenze appaiono meno marcate, ma, comunque, coerenti. Circa il 40% degli elettori di Bugani, del M5S, propendono, infatti, per la candidata della Lega. Gli altri si dividono, in egual misura, fra Merola e l'astensione.

Così, nelle città al voto, sta prendendo forma un'opposizione lega-stellata, che, in alcune zone, si allarga ad altri soggetti politici, di destra più estrema. Questa sorta di "terra di mezzo" canalizza e coagula sentimenti inquieti e risentimenti anti-istituzionali. Antieuropei, antigovernativi. Che riflettono e amplificano l'insicurezza. Si tratta di alleanze e intese ispirate e dettate dagli specifici contesti e confronti in cui avvengono. Elezioni amministrative, che presentano confini locali e territoriali definiti. Eppure è difficile non immaginare - e prevedere - che si tratti di esperienze e di esperimenti che potrebbero riprodursi e proiettarsi altrove. Su scala più ampia. Soprattutto, in ambito nazionale. Dove l'opposizione populista lega-stellata minaccia di divenire la principale opposizione a Renzi e al suo PdR.

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09 giugno 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/06/09/news/antipolitici_e_contro_il_governo_nasce_il_carroccio_a_5_stelle-141606952/?ref=HREC1-6
6682  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / Roberto NAPOLETANO Il segnale «politico» da cogliere inserito:: Giugno 13, 2016, 12:58:19 pm
Dossier | N. 76 articoli Elezioni comunali 2016
Il segnale «politico» da cogliere

  Di Roberto Napoletano 07 Giugno 2016

La storia di questo risultato “politico” del primo turno delle elezioni amministrative, che coinvolgono 1342 Comuni, inizia e finisce con la storia italiana che appartiene al disagio sociale mai domato e a una persistente fragilità della sua ripresa economica. Perché il consenso di chi è chiamato al governo del Paese negli anni di una crisi senza fine più pesante di quella degli anni Trenta non venga consumato dai tanti populismi, tra loro molto differenti e con alcune spinte civiche al cambiamento da non sottovalutare, bisogna fare le cose difficili.

Bisogna sporcarsi le mani con la più oppressiva e ottusa delle amministrazioni pubbliche nazionali e territoriali (non priva peraltro di valori e intelligenze individuali) e fare in modo che cambino le teste e i comportamenti collettivi prevalenti: uscire dalla cultura delle angherie e delle corruttele per entrare in quella del servizio al cittadino e all’impresa e, soprattutto, nello spirito dei sistemi economico-politici più illuminati al passo con i tempi dove chi vuole rischiare in proprio e creare lavoro qualificato per tutti non è visto come un nemico da osteggiare e angustiare con ogni mezzo ma come un soggetto positivo da incoraggiare nella sua azione e nel suo slancio di intrapresa. Bisogna dare segnali lineari, riscontrabili, con certezza per l’oggi e per il domani, sulla strada della riduzione dell’insostenibile fardello di oneri contributivi e fiscali che ancora grava sul sistema produttivo italiano per trasferire a chi è in casa fiducia duratura e, altrettanto importante, per testimoniare a chi è fuori casa in modo riscontrabile che le cose stanno cambiando e che, quindi, si può, anzi si deve, tornare a scommettere sull’Italia della manifattura, dei servizi e del suo capitale “nascosto” di innovazione, un Paese con il più grande patrimonio storico-artistico-museale al mondo e un talento giovanile ora più consapevole, che non teme confronti. Questa è la dura realtà di cui prima si prende atto meglio è.

Il dato di Milano, da questo punto di vista, è esemplare. Dove l’amministrazione è più efficiente, dove la comunità civile resta un presidio riconoscibile e si percepisce un disegno di sviluppo in cui le forze sane dell’economia si intrecciano positivamente con quelle della cultura e della politica, dove il carico delle diseguaglianze è meno forte, quasi per incanto, la spinta delle correnti populiste si attenua dentro le coalizioni e fuori di esse. Vorrà dire o no qualcosa? Si è detto troppo e fuori luogo sulla storia dell’Expo, prima quando era un disastro assoluto poi quando era un successo mondiale, quello che mi piace sottolineare qui è che in questi anni Milano è tornata ad essere la capitale mondiale della creatività, i servizi pubblici sono migliorati, il ceto imprenditoriale è tornato a scommettere sulla sua capitale economica, il profilo di testimonianza civile e di respiro internazionale si sono accentuati. Questa comunità ha selezionato due candidati che sono espressione della borghesia produttiva e manageriale, ora la contesa si sposta sulla capacità di intercettare la spinta di maggiore partecipazione che pure viene dai movimenti che il voto popolare ha tenuto fuori dai ballottaggi.

L’esito del primo turno delle elezioni, a Roma, offre valutazioni speculari rispetto a quelle di Milano: il degrado morale, politico e amministrativo della Capitale riduce la capacità di selezionare classe dirigente che possa esprimere la parte illuminata della borghesia e quella più sana della storica classe politica e apre, quindi, praterie da percorrere a chi si fa interprete del disagio sociale crescente, della spinta al cambiamento, e dovrà dimostrare di essere all’altezza di gestire l’uno e l’altra offrendo, sul campo, competenze e capacità di governo. Dovrà dimostrare di sapere fare le cose difficili che gli altri non hanno saputo fare, soprattutto, sul terreno della buona amministrazione. Si accorgeranno presto di quanto poco sarà di aiuto la forza delle parole. Ovviamente i romani diranno la loro al ballottaggio ed è buona regola non escludere mai sorprese.

Ha fatto bene il premier e segretario del Pd, Matteo Renzi, a dire chiaro e tondo: non sono soddisfatto, il Pd ha problemi. Queste dichiarazioni confermano il fiuto e la capacità di leadership politica che tutti gli riconoscono. Non commetteremo l’errore di rivendicare il merito di avere sempre segnalato l’esigenza di una politica economica di lungo termine, riscontrabile per linearità e coerenza di impianto, senza indulgenze elettoralistiche vere o presunte che siano, e neppure vogliamo mettere in discussione la spinta riformista che c’è stata ed è sotto gli occhi di tutti sui temi del mercato del lavoro, di riduzione della pressione fiscale, della pubblica amministrazione, della giustizia civile e di un nuovo assetto costituzionale con i necessari contrappesi che non vanno sottovalutati per nessuna ragione al mondo. Quello che vogliamo dire è altro: c’è un passaggio ineludibile, di dura fatica, che può segnare lo spartiacque tra l’oggi e il domani, ed è quello che permette di dare un contenuto effettivo alla riforma della pubblica amministrazione e una linearità visibile di lungo termine negli interventi (che pure ci sono stati) in tema di politica fiscale e di riduzione dei suoi prelievi.

A ben vedere, passa di qui, da queste cose difficili, la capacità di creare quella fiducia piena, indispensabile per innescare una ripresa robusta e duratura in casa e la conquista di quella piena legittimazione di leadership europea necessaria perché arrivi anche nelle nostre famiglie ciò che l’Europa può dare ai cittadini europei e si ostina sciaguratamente a negare. Forse, questo voto amministrativo potrà essere ricordato per il segnale “politico” che è stato capace di lanciare. A patto che venga raccolto e lo si sappia mettere a frutto. Noi speriamo che avvenga.

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2016-06-07/il-segnale-politico-cogliere-071023.shtml?uuid=AD0XUSX
6683  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FRANCESCO BEI. Cancro, pacemaker e il resto il corpo restaurato del Capo inserito:: Giugno 13, 2016, 12:57:08 pm
Cancro, pacemaker e il resto il corpo restaurato del Capo
Dalla rivelazione del Duemila sul tumore alla prostata ai problemi cardiaci Il carisma del leader, alla ricerca dell’immortalità, accresciuto dalle malattie
Berlusconi era stato ricoverato al San Raffaele anche per una uveite acuta nel 2013

10/06/2016
Francesco Bei
Roma

«Ho avuto un cancro e dopo aver superato questa prova, ho imparato a non avere più paura di nulla». Berlusconi e il mito della sua immortalità, la malattia, il corpo vulnerabile e tuttavia onnipotente. E poi la potenza virile e la delicatezza femminile, gli acciacchi dell’età e la rincorsa all’eterna giovinezza, insomma con tutto quello che c’è tra la vita e la morte, sesso incluso naturalmente, ci gioca da sempre traendone anche una discreta rendita politica. 

Quel corpo, su cui si sono esercitati in molti e la letteratura abbonda, a partire dal molto citato “Il corpo del capo” di Marco Belpoliti (Guanda), è ormai una sorta di monumento italiano e come tutti i monumenti negli anni ha subito colpi, è stato restaurato, un pezzo crollato, un altro sostituito. In un susseguirsi di lifting, pacemaker, uveiti, trapianti, operazioni varie, aggiunte e tagli, sempre tutto pubblico, perché nell’ostensione del corpo, anche del corpo malato, il leader ha sempre ritrovato la sua forza. E così, appunto, nel 2000 fu la rivelazione del cancro alla prostata, ma l’operazione risaliva a tre anni prima. Anche in quel caso, curiosamente, durante una campagna elettorale per le amministrative. «Ero sul palco, in mezzo alla gente, ma parlavo con la morte nel cuore. La mattina dopo dovevo entrare in sala operatoria, non riuscivo a non pensarci, temevo che il male fosse incurabile», confidò in un’intervista a Repubblica. 

Altra fuga in gran segreto in America nel 2006. «Vado a divertirmi a Las Vegas», disse ai cronisti prima di partire. Invece era a Cleveland a mettersi un pacemaker. E ancora nel 2015, quando quel ricambio elettronico dovette essere sostituito. Vita sregolata, notti insonni, troppo stress, (troppe ragazze), troppo tutto. 

Nel 2006 a un convegno dei giovani di Dell’Utri – a proposito, il gemello politico del Cavaliere ha avuto problemi di cuore pochi giorni fa – Berlusconi clamorosamente e pure in diretta tv, s’accasciò, svenne, perse i sensi e le guardie del corpo fecero appena in tempo ad acchiapparlo al volo perché non cadesse dal palco. Ma erano già i giorni del declino, lontani da quelli della potenza fisica. Come l’esaltazione del fitness, della corsa del ’95 alle Bermuda con gli amici di sempre: Fedele Confalonieri, Adriano Galliani, Carlo Bernasconi, Gianni Letta e, appunto, Marcello Dell’Utri.

Lui davanti e gli altri a inseguirlo, tutti in divisa bianca. «Sui cento metri non ce n’è per nessuno, mi lascio dietro anche i ragazzi della scorta», raccontava in Sardegna negli ultimi anni. Ma il primo a non crederci era lui. Di lì a poco, nel 2009, sarebbe arrivato quel pazzo di Massimo Tartaglia a scagliargli in pieno volto una miniatura appuntita del Duomo. «E ci mancò poco che mi cavasse un occhio». Anche allora l’ostensione del volto tumefatto e pieno di sangue ebbe un effetto magico sulle masse dei fedeli, rinsaldò il mito di un uomo «tecnicamente immortale» (parola di Umberto Scapagnini, il suo medico prima di Zangrillo, morto nel 2013). Lo stesso Scapagnini che gli somministrava un misteriosissimo elisir antietà a base di «olio di onfacio e palosanto, una pianta di cui si nutrono gli abitanti centenari di Ocobamba». Che poi esisterà veramente sull’atlante? 

Ma si potrebbe andare avanti con l’uveite che lo costrinse a girare in Senato con gli occhialoni da sole stile il Padrino, con la sciatica che miracolosamente lo abbandonò a Vicenza per mostrarsi arrabbiato e pimpante davanti ai industriali, l’Alzheimer, «ma al primo stadio», come i malati di Cesano Boscone dove svolgeva i servizi sociali. Fino alla valvola atriale di un suino che gli impianteranno martedì. Confermandone così la natura ibrida di uomo/animale, nel segno totemico del verro. Per gli antichi Celti simbolo di fertilità. E che sia lunga vita. 
 
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Da - http://www.lastampa.it/2016/06/10/italia/cronache/cancro-pacemaker-e-il-resto-il-corpo-restaurato-del-capo-Lyvq2AD4R02FFoCImzUDHO/pagina.html
6684  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Maria Teresa MELI Renzi: «Devo cambiare di più il Pd Le critiche? ... inserito:: Giugno 13, 2016, 12:55:50 pm
Renzi: «Devo cambiare di più il Pd Le critiche? Perché l’ho fatto poco»
Il presidente del Consiglio e leader dem: «Queste elezioni sono soltanto locali
Uno schieramento trasversale mi attacca? Non temo chi fa politica contro qualcuno»

Di Maria Teresa Meli

Presidente Renzi, partiamo dai fischi di oggi. È finita la sua luna di miele con il Paese?
«Non vorrei deluderla troppo. Ma io ho preso i fischi dal primo giorno e continuerò a prenderli, mettendo la faccia ovunque. Nella campagna delle Europee 2014, quelle del mitico 41%, ho fatto comizi interi da Palermo a Napoli fino a piazza della Signoria nella mia Firenze dove c’erano centinaia di fischietti, striscioni e contestazioni. E governavamo da due mesi appena, altro che luna di miele. Il 2015 è stato un lungo elenco di fischi dal Jobs act, con la Fiom in tutti i miei eventi a contestare, fino alle proteste dei professori. Non è una novità. Sono invece molto contento del fatto che chi ieri contestava da Confcommercio alla fine è sceso a discutere e con un paio di loro è scattato persino l’abbraccio. Hanno ragione a chiedere meno tasse, ma sanno anche che stiamo riducendo ogni anno la pressione fiscale. Certo, loro non vogliono che diamo gli 80 euro a chi guadagna meno di 1.500 euro netti. Li rispetto, ma non sono d’accordo: io penso che sia una misura di giustizia sociale e non torno indietro».

Se le Amministrative andassero male per il Pd, si aprirebbe un periodo di grande fibrillazione...
«Ho legato la mia permanenza al governo all’approvazione delle riforme nel referendum di ottobre e mi hanno accusato di aver personalizzato. Adesso gli stessi vorrebbero legare il governo al voto di alcune realtà municipali? Ma non scherziamo. Nessun Paese del mondo civile fa così. Si rassegnino: le elezioni amministrative sono un passaggio locale. Utili tutte le riflessioni sociologiche di questo mondo. Ma che vada in un modo o in un altro stiamo parlando di episodi territoriali, non di un voto nazionale».

Ma se il Pd perdesse a Roma e Milano per lei sarebbe un brutto colpo.
«È ovvio che preferisco che vinca. È ovvio anche che il Pd — anche in caso di vittoria — deve affrontare un problema interno perché non è possibile continuare con un gruppo dirigente che tira e altri che tutti i giorni lavorano per dividere. Ci parliamo tra noi e invece dovremmo parlare alla gente. Ma uno alla volta, per carità. Adesso lavoriamo sui ballottaggi, poi discuteremo. Oggi ho visto l’ennesima perla del gruppo dirigente Cinque Stelle: la senatrice Taverna, membro dello staff cui deve rispondere l’eventuale sindaco Raggi, propone di posticipare le Olimpiadi. Dal baratto alle Olimpiadi una volta ogni tanto, dopo averci deliziato con le sirene, i complotti americani sull’allunaggio e altre amenità. Non è un problema di Pd: davvero i romani vogliono questo gruppo dirigente?».

Il 5 giugno si è visto che c’è un ampio schieramento trasversale contro di lei, non ha paura che si rinsaldi e si allarghi al referendum?
«Io credo che sia poco corretto fare analisi di politica nazionale sul voto amministrativo. Ma se proprio si deve fare, dico che non mi fa paura chi fa politica contro qualcuno. Se c’è una novità che ho portato — fin dall’inizio del travagliato rapporto con Berlusconi — è stata quella di fare politica per un’idea e non contro un nemico. Io penso che gli italiani siano molto maturi, più dei politici e più dei raffinati commentatori. Al referendum sulla scheda c’è la possibilità di avere un Paese più semplice o di mantenere il sistema com’è. Di superare finalmente le storture del bicameralismo paritario e dare governabilità o continuare con inciuci, larghe intese e piccoli cabotaggi. Di attaccare quella che viene ritenuta la casta della politica riducendo le spese per parlamentari e consiglieri regionali o tenersi il sistema politico più costoso d’Occidente. Io credo che un elettore deluso, che magari vota 5 Stelle o Lega, al referendum voterà sì. Poi alle politiche del 2018 magari sceglierà un altro premier. Ma quel premier, ammesso che vinca, potrà governare».

Bersani le chiede di non far mettere i banchetti per il Sì alle feste dell’Unità.
«È un atteggiamento che non capisco e mi colpisce molto. Ci siamo giocati tutta la legislatura, nata dal fallimento elettorale, sulla possibilità di fare le riforme. Abbiamo fatto sei letture cambiando più volte il testo per venire incontro alle esigenze di tutti e segnatamente della minoranza del Pd. Sappiamo che se la riforma non passa l’Italia tornerà a ballare per l’instabilità e l’ingovernabilità e torneremmo a essere il problema dell’Europa. E io dovrei vergognarmi di quello che abbiamo fatto? Qui sta il punto. La nostra comunità rispetta chi vuole votare in altro modo, noi non espelliamo nessuno. Ma una cosa è il rispetto per chi non la pensa come la maggioranza, altra cosa è annullarsi, vergognarsi delle nostre riforme, nascondere i nostri tavolini e le nostre bandiere».

Quindi non accetta la richiesta di Bersani?
«Me lo lasci dire: facciamo il Jobs act con 455 mila posti di lavoro in più e stiamo zitti in pubblico per paura di irritare qualche sindacalista. Riduciamo il precariato nella scuola come nel privato con i nuovi contratti a tempo indeterminato e non lo rivendichiamo perché temiamo le polemiche. Eliminiamo l’Imu e non possiamo dirlo perché lo voleva anche Berlusconi. Eliminiamo la componente costo del lavoro dell’Irap e ci vergogniamo perché è una richiesta di Confindustria. Otteniamo il doppio turno e le preferenze e non ci va bene perché il premio alla lista e non alla coalizione mette in crisi la sinistra radicale. Facciamo la legge sui diritti civili e non va bene perché la vota anche Verdini. Otteniamo la flessibilità e non lo diciamo perché il problema è il Fiscal Compact, che peraltro il precedente gruppo dirigente ha ratificato in silenzio. Le feste dell’Unità sono le feste del Pd. Non le feste di una corrente minoritaria del Pd. Se ci togliamo la politica, cosa rimane? E la proposta di dire “Sì al referendum” alle feste viene dal segretario regionale dell’Emilia-Romagna, non dal nazionale».

Anche ieri alla Confcommercio vi hanno chiesto di ridurre le tasse. Almeno a questa richiesta dirà di sì?
«Certo. Se vanno avanti le riforme, avremo ancora margini di azione per ridurre ulteriormente le tasse. Ma non voglio parlare di nessuna ipotesi fino al giorno dopo il referendum. Altrimenti mi diranno, come in passato, che si tratta di una mancia elettorale».

Dopo il 5 giugno se la sente di dire che aveva ragione la minoranza? L’alleanza con Verdini non paga.
«L’alleanza parlamentare con Verdini nasce dal fatto che nel 2013 si sono perse le elezioni. E con Verdini quel gruppo dirigente ha già governato votando insieme la fiducia a Monti e a Letta. Quel gruppo dirigente ha scelto Migliavacca e Verdini per fare un accordo — poi saltato — sulla legge elettorale. E adesso se Verdini — che non è ovviamente rappresentato al governo — vota con noi in Parlamento questo sarebbe un problema? Quanto alle Amministrative, l’alleanza a Napoli e Cosenza, perché queste erano le due città interessate, mi pare che avesse carattere locale. E che non abbia funzionato per nessuno. Nel 2018 il Pd si presenterà da solo, un partito a vocazione maggioritaria come previsto dallo statuto. Punto».

Il Pd non sembra attrarre l’elettorato di sinistra...
«Sinceramente non mi pare questo il punto. Io almeno non vedo un trasloco di voti verso Fassina e Airaudo. Quelli che invece votano Cinque Stelle — meno comunque del passato — sono diversi. Chi non ci ha votato, non ci ha votato per problemi sul territorio, sui singoli candidati. Ma se proprio vogliamo trasformarlo in un voto di protesta contro di me, ok, diciamola tutta: chi non ci vota più per colpa mia non mi accusa di aver cambiato troppo nel Pd. Mi accusa di aver cambiato troppo poco. Mi accusano di aver mediato fino allo sfinimento con tutte le correnti e le correntine del Pd. Ogni giorno ho cercato di mediare, di discutere, di tenere buoni tutti. Dobbiamo cambiare di più, non di meno».

Lei ha detto di voler «usare il lanciafiamme» nel Pd e la minoranza si è sentita nel mirino. Che cosa intendeva dire?
«Il problema non riguarda solo la minoranza. Ma il modo con il quale vogliamo usare questi diciotto mesi che ci separano dal congresso. Vorrei che ci occupassimo del futuro del Paese, non del futuro dei parlamentari. Il male della politica italiana è di avere troppi partiti e troppi politici. Ci vogliono invece più idee nei partiti e più buona politica».

Perché è così contrario all’idea di attribuire il premio di maggioranza alla coalizione vincente e non al partito?
«Mi sembra di essere stato chiaro. Ma le sembra normale che mentre il mondo fuori discute di Trump, mentre l’Europa riconosce il nostro passo in avanti sul Mediterraneo e l’Africa con il Migration Compact, mentre finalmente si passa dalla cultura dell’austerity a una stagione di investimenti, la preoccupazione principale della classe politica italiana sia capire se il premio di maggioranza lo diamo alla lista o alla coalizione?».

I 5 Stelle sembrano pronti a passare dalla protesta alla proposta. Non la spaventa il fatto che Grillo potrebbe rappresentare la novità che prima sembrava rappresentata da lei?
«Quando ci saranno le elezioni politiche la partita sarà una partita a tre. Il Pd, un candidato del Movimento 5 Stelle e vedremo chi sarà, un candidato del centrodestra, e vedremo chi sarà. Gli italiani sceglieranno, a quel punto. Ma se ci sarà un sistema istituzionale finalmente funzionante l’Italia avrà fatto un passo avanti chiunque vincerà quelle elezioni. Io personalmente rispetto tutti e non ho paura di nessuno».

L’hanno criticata perché va da Putin quando in Italia ci sono i ballottaggi...
«Sta scherzando spero. Scusi, che facciamo? Siccome ci sono le amministrative smettiamo di governare il Paese? Non partecipo al Forum di San Pietroburgo su cui ho garantito la presenza da mesi? Ma ci rendiamo conto che in questi anni l’Italia ha recuperato credibilità a livello internazionale? E dovremmo tornare alla piccola guerriglia politica locale, con decine di partiti che si scontrano tutti gli anni in elezioni territoriali mentre gli altri Paesi fanno politica internazionale? Spiacente, io non ci sto. Sono il leader pro-tempore di uno dei Paesi più importanti del mondo, l’Italia che parla con Obama e con Putin. Non l’Italietta che spende settimane a discutere della percentuale di due liste civiche».

10 giugno 2016 (modifica il 10 giugno 2016 | 15:29)
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Da - http://www.corriere.it/amministrative-2016/notizie/renzi-devo-cambiare-piu-pd-critiche-perche-l-ho-fatto-poco-821f86a6-2e7f-11e6-ba60-ddaed83f69c5.shtml
6685  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino. Sinistra non è CentroSinistra (almeno non questa sinistra sinistra). inserito:: Giugno 09, 2016, 11:21:15 am
Sino a quando persone e personaggi anche qualificati e di valore, seguitano a parlare di Sinistra e CentroSinistra come fosse la stessa cosa, non ci leveremo di torno il polverone che offusca la visione della realtà che ruota intorno al PD. Molti lo fanno con malizia politica: la destra chiamandoci di sinistra quasi fosse una malattia altri, come per esempio Bersani, richiamandosi addirittura all'Ulivo (che hanno sempre ostacolato) unico CentroSinistra ideale possibile. Facciamo (facciano i politici PD) chiarezza una volta per tutte. La Sinistra attuale non ha nessuna intenzione di assumere programmi e azioni di CentroSinistra, anzi l'ostacolo maggiore alla sua realizzazione viene proprio dalla Sinistra-sinistra massimalista e per nulla riformista. Quindi Sinistra, oggi, è una realtà politica e sociale nettamente diversa dal CentroSinistra. Il CentroSinistra (ulivo o come altro si voglia chiamarlo senza deturparne l'atto di nascita e aggiornandolo nei suoi temi originali) è il riformismo fatto programma, è l'apertura al pensiero socialista e cattolico in cui il sociale e il liberale devono fondersi in un "tema-progetto" governativo riformista, moderno proiettato al futuro benessere del paese Italia e al cambiamento nel Mondo del concetto di Capitalismo.   

da FB Arlecchino 09/06/2016
6686  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino. L'unico dato preoccupante per chi non si lascia trascinare nel ... inserito:: Giugno 09, 2016, 11:18:58 am
L'unico dato preoccupante per chi non si lascia trascinare nel "turbinio del condominio" è quello che indica il non voto.

Per il resto è chiaro che Renzi deve rivedere diverse cose che ha trascurato nella "foga del fare" e in quella più densa del promettere. Deve anche rivedere il peso di alcuni suoi consiglieri ricercandone tra quelli capaci di immaginare un futuro per il CentroSinistra (non soltanto per il PD). Per il resto dato che un "altro Cesare" non si vede all'orizzonte è sempre Renzi che si deve dar da fare per "pedalare nel senso giusto". Hai voluto la bicicletta ...

Da FB Arlecchino del 07/06/2016
6687  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MARCELLO SORGI. La democrazia anomala dei frammenti inserito:: Giugno 09, 2016, 11:17:25 am
LaStampa.it
OPINIONI
La democrazia anomala dei frammenti

07/06/2016
Marcello Sorgi

Le elezioni amministrative rappresentano da sempre in Italia una sorta di mid-term, un test per gli equilibri politici presenti e quelli futuri. Fu così per le prime giunte di centrosinistra negli Anni Sessanta. E così per la svolta del 1975, che portò i primi sindaci comunisti alla guida delle grandi città fuori dal perimetro delle «regioni rosse», annunciando la svolta dei governi di unità nazionale ’76-’79. 

E ancora, con l’elezione diretta dei primi cittadini nel ’93, la definitiva esclusione dei democristiani dai ballottaggi e la prima legittimazione del bipolarismo, che doveva portare nel ’94 alla vittoria del centrodestra con Berlusconi. Sepolto, non a caso, dopo quasi un ventennio, dall’ondata dei sindaci arancione, da Pisapia a De Magistris, che nel 2011 avrebbe anticipato di pochi mesi l’uscita da Palazzo Chigi dell’ex-Cavaliere.

Con lo stesso criterio ci si potrebbe chiedere se il voto di domenica scorsa nelle città, la vittoria della Raggi e l’affermazione dell’Appendino e dei 5 Stelle a Roma e a Torino, il risultato in bilico di Sala a Milano, la rivincita dello stesso De Magistris nella Napoli in cui il premier era andato personalmente a lanciargli il guanto di sfida, anticipino la crisi di Renzi e del renzismo. Gli elementi per pensarlo ci sono, e lo stesso presidente del Consiglio, a caldo, ha ammesso la delusione del Pd, sebbene non la consideri decisiva per le sorti del governo. Né va dimenticato che si tratta del primo turno di un’elezione che prevede i ballottaggi, e solo allora, tra due settimane, si potrà fare una valutazione completa.

Al momento la svolta - se di svolta si può parlare - non ha nessuna delle caratteristiche che si erano palesate nel passato; non si sono insomma manifestati un nuovo quadro politico e neppure, per quanto provvisorio, un diverso equilibrio. Il successo, anche oltre ogni previsione, delle candidate M5S a Roma e a Torino non va confuso con il risultato di De Magistris (che è tutt’altra cosa, e già mescola, dopo cinque anni di potere, aspetti di trasformismo e clientele locali con il voto di protesta), e non basta a dire che si va verso un’Italia a 5 Stelle. La resurrezione del centrodestra, a Milano con il tecnico Parisi, a Bologna con la leghista Borgonzoni e a Napoli con l’usato sicuro Lettieri, dimostra che la coalizione ex-berlusconiana ha ancora delle prospettive, ma non risolve la sfida letale tra l’anima moderata del leader-fondatore e quella radicale salvinian-meloniana. Al dunque, l’unico vero obiettivo di Berlusconi era punire e far cadere la leader ribelle di Fratelli d’Italia, e a Roma questo è accaduto, anche al prezzo di una sorta di liquidazione dell’alleanza.

A conferma di questo insieme così frammentato, le percentuali dei partiti, ricavate finalmente ieri sera dopo un calcolo assai complicato, sono di una tale modestia che la nuova carta politico-geografica dell’Italia rivela sintomi di alopecia del potere locale assai difficili da curare e impossibili da riunificare in qualcosa che abbia l’ambizione di tornare ad essere di dimensione nazionale. Il Pd e Forza Italia, per dire del maggior partito della coalizione di centrosinistra e dell’ex-maggiore del centrodestra, si erano presentati con il loro simbolo in un’assoluta minoranza di casi, per il resto si erano camuffati e mescolati a un’indecifrabile ragnatela notabilare di piccolo cabotaggio. Temuto fin dalla vigilia, il guazzabuglio delle liste locali - diffuse ovunque, presenti in qualsiasi schieramento, con la sola eccezione del Movimento 5 Stelle, che dove si è presentato, non certo dappertutto, lo ha fatto da solo - lascia già presagire cosa diventeranno, al termine dei ballottaggi, le trattative per la formazione delle giunte, e subito dopo le vite precarie delle amministrazioni, tenute in pugno da ras locali che non hanno vincoli di appartenenza, né, figuriamoci, di obbedienza, ad alcun partito o organizzazione, si nascondono sotto le sigle più strane e rispondono, in realtà, solo a se stessi. I disgraziati elettori che domenica, malgrado tutto, sono andati a votare, grazie alle coalizioni locali che sostenevano i candidati sindaci, si sono trovati di fronte all’esatto contrario delle più collaudate offerte pubblicitarie dei supermercati. Lì, almeno, in certe stagioni, paghi una e ricevi tre confezioni del prodotto che avevi scelto. Qui, invece, votando un candidato sostenevi un intero schieramento e diventavi sostenitore di certi arnesi che mai avresti voluto avere al tuo fianco.

La crisi del Pd, che comunque, tolta Napoli, resta in gioco da Nord a Sud, lo scatto delle due donne 5 Stelle (non accompagnato da un successo complessivo, dato che alla fine il movimento andrà in ballottaggio in 20 comuni su 1300), e la rinascita isolata del centrodestra saranno pure gli aspetti più evidenti dei risultati. Ma il vero profilo del Paese che vien fuori dalle urne del 5 giugno è quello frastagliato appena descritto. Sarebbe ora che qualcuno in Italia - a cominciare da Renzi e almeno finché è possibile - s’impegnasse a pensare di riorganizzare dei normali partiti, come quelli che finora sono stati distrutti, per ricostruire una democrazia normale.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/06/07/cultura/opinioni/editoriali/la-democrazia-anomala-dei-frammenti-NAidGaAsa3xMR31SuhoDvJ/pagina.html
6688  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Lucia Sgueglia. La stampa internazionale rapita dal fenomeno Raggi inserito:: Giugno 09, 2016, 11:16:14 am
La stampa internazionale rapita dal fenomeno Raggi
Sui media largo spazio a commenti e ritratti della candidata «avvenente e anti casta» che fa tremare il leader del governo

Virginia Raggi
09/06/2016
Londra 

“I romani frustrati da buche e spazzatura hanno dato una strigliata ai democratici” 
In una Gran Bretagna alle prese con il referendum sulla Brexit, di elezioni italiane si è parlato poco. Con l’eccezione di Virginia Raggi. Il Financial Times, che nel weekend scorso aveva dedicato un lungo profilo alla candidata del Movimento 5 Stelle, scrive che gli elettori romani hanno dato una «strigliata» a Renzi e definisce la performance del Pd in generale «scoraggiante». Il quotidiano della City guarda alle possibili ripercussioni sulla stabilità di Renzi. «L’onda populista che sta dilagando nella politica europea – scrive - minaccia ora il suo governo», con il rischio che «l’insoddisfazione peggiori in vista del referendum sulla riforma costituzionale su cui il premier si gioca il futuro». La Bbc nota che lo scandalo di Mafia Capitale «ha alimentato l’ascesa dei 5 Stelle» e parla di romani «frustrati da buche nelle strade, cumuli di spazzatura e carenze nei trasporti pubblici e negli alloggi». 

Alessandra Rizzo 
Washington 
“La svolta populista di un’elegante bruna” 
Il successo di Virginia Raggi domina cronache e commenti delle testate americane. Il «New York Times», in un «editorial board», spiega che la vittoria della grillina riscriverebbe la storia di Roma, sia perché si tratterebbe del primo sindaco donna della capitale, sia perché, in quanto espressione di «un movimento anti-establishment», rischia di scardinare gli ordini capitolini e al contempo mettere in discussione la solidità di Matteo Renzi. Sui rischi di tenuta del Paese in vista del referendum autunnale insiste il «Wall Street Journal», mentre «Bloomberg» sottolinea come già lunedì i rendimenti dei titoli di Stato italiani sono rimbalzati dinanzi a un nuovo ipotetico scenario politico. Il sito filo-conservatore «BreitBart» titola invece: «La rivolta populista vede una elegante bruna proiettata verso la vittoria a sindaco di Roma». Elegante bruna certo, forse anche populista, ma - come sottolinea il «New York Times» - col merito di aver tirato fuori la rabbia dei romani.

Francesco Semprini 
Madrid 
“Un brutto segnale, ma Renzi può rifarsi” 

La gran parte dei giornali spagnoli parla delle elezioni amministrative concentrandosi sul risultato di Roma. «Come a Madrid e Barcellona, la capitale italiana potrebbe avere un sindaco donna e anticasta- scrive Mònica Bernabé sul Mundo - Virginia Raggi fa parte del movimento populista di Grillo». Su El País, il corrispondente in Italia Pablo Ordaz racconta la disfatta del Pd a Roma e Napoli, sottolineando le divisione interne dei democrat, «il vizio autodistruttivo della sinistra». In ogni caso, si legge sul quotidiano progressista, «Renzi, a differenza di altri leader europei, la faccia ce la mette sempre». Partita chiusa? «In Italia e può succedere di tutto», conclude Ordaz. Il catalano «La Vanguardia» parla della capitale come della città «peggio amministrata d’Europa», scrive Eusebio Val, secondo il quale il voto di domenica «è stato un brutto segnale in vista del referendum. Ma Renzi ha tempo per rifarsi». 

Francesco Olivo 
Berlino 
“I partiti tradizionali hanno lavorato male, ecco perché il Movimento ha successo” 
I media tedeschi si concentrano soprattutto sull’affermazione di Virginia Raggi. Potrebbe diventare il primo sindaco donna di Roma in 2769 anni, ricorda la «Welt». Quanto avvenuto a Roma è in sintonia con l’andamento politico più generale in Europa, scrive la «Faz»: un movimento di protesta riscuote successo con una candidata giovane e senza esperienza, non in primis perché gli elettori abbiano voglia di rivolta, ma perché i partiti tradizionali hanno lavorato male; tutt’altra questione è se il M5S possa davvero risolvere i problemi decennali di Roma.

La «Süddeutsche Zeitung» nota che alla vigilia Renzi voleva tacere sui risultati, ma li ha poi commentati ampiamente e non sembrava rilassato, visto che il primo turno «è stato una delusione» per il suo Pd: «non un disastro completo, ma sarebbe potuta andare molto meglio». Se ai ballottaggi il Pd dovesse vincere a Milano e Roma la delusione svanirebbe, altrimenti Renzi «avrebbe all’improvviso moltissimo da spiegare». 

Alessandro Alviani 
Parigi 
Occhi su Virginia e la carca delle “5 Etoile” 
Anche questa è Europa. Mai come quest’anno un voto locale italiano suscitava tanto interesse in Francia. Radio, tv, giornali, social network: per due giorni il nome (e il volto) di Virginia Raggi sono apparsi dappertutto. Molti media parigini hanno approfittato dei risultati del «Mouvement 5 Etoile» - come lo chiamano da queste parti - per organizzare talk show e dibattiti sull’affermazione dei partiti «populisti» «anti-sistema» dopo il caso austriaco. 

Nei commenti dei giornali, tra cui «Le Monde», molti hanno evocato un «schiaffo» per il premier Matteo Renzi e, più in generale, per i «partiti tradizionali», mentre comincia il conto alla rovescia per la corsa all’Eliseo del 2017 con l’inarrestabile avanzata di Marine Le Pen, la leader del Front National ormai data per certa al ballottaggio. Pochissimo spazio, invece, al centrodestra di Silvio Berlusconi, ex-ossessione dei francesi ormai passato in cavalleria.

Paolo Levi 
Brasilia 
“Il banco di prova sarà il referendum. La destra sempre più debole e divisa” 
Un trionfo del movimento anti-sistema, una dura prova per Renzi. Questo il commento della stampa brasiliana al risultato delle amministrative, dalle quali emerge soprattutto la figura di Virginia Raggi. «I romani hanno votato lei – dice la rivista “Veja” – perché stanchi di anni d’immobilismo e degli scandali di corruzione delle amministrazioni precedenti». «Durante la campagna - spiega il “Jornal do Brasil” - la Raggi ha fatto promesse bizzarre, ma se diventasse il primo sindaco donna della capitale, proietterebbe il suo movimento come la forza più importante d’opposizione a Matteo Renzi». La «Folha di Sao Paolo» ricorda che il vero banco di prova del governo sarà il referendum costituzionale e sottolinea il clima da regolamento di conti nella destra. «C’è molta divisione tra i moderati e più radicale di Matteo Salvini». 

Emiliano Guanella 
Mosca 
“Avanti il fronte Euroscettico contrario alle sanzioni alla Russia” 
«L’opposizione antisistema in testa a Roma», «Vittoria dei Populisti», ma soprattutto di una «forza Euroscettica». I media russi si concentrano su ciò che più preme a Mosca commentando lo sprint di Virginia Raggi: allargare il fronte europeo anti-sanzioni, alla vigilia del rinnovo previsto da Bruxelles a fine giugno. E della visita di Matteo Renzi da Putin a San Pietroburgo. 

Il quotidiano «Kommersant» non si sbilancia su Grillo (destra o sinistra?), ma sottolinea come i 5 Stelle siano favorevoli all’abolizione delle misure. E finita l’era dell’«amico Silvio», niente scrupoli a evidenziare le debolezze del governo italiano: «Dopo la caduta di Berlusconi, i principali rivali di Renzi sono loro». Mentre il quotidiano filo-governativo «Izvestija» si spinge oltre con un’intervista al deputato Lega Nord Grimoldi, dal titolo: «ormai in Italia l’unica forza politica che è a favore della proroga delle sanzioni è il Pd di Renzi». 

Lucia Sgueglia 
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Da - http://www.lastampa.it/2016/06/09/italia/speciali/elezioni/2016/amministrative/la-stampa-internazionale-rapita-dal-fenomeno-raggi-zBcQAsbdiXXLjHmTqG1VBJ/pagina.html
6689  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / ILVO DIAMANTI - Comunali 2016, schemi saltati e confronti incerti: ecco il... inserito:: Giugno 09, 2016, 11:13:54 am
Comunali 2016, schemi saltati e confronti incerti: ecco il tripolarismo imperfetto
La mappa del voto. L'esito delle elezioni è ancora aperto


Di ILVO DIAMANTI
07 giugno 2016

IL DATO più chiaro del primo turno della consultazione amministrativa di domenica scorsa è che, ormai, non c'è più nulla di chiaro. E di prevedibile. Nel rapporto fra cittadini e politica. Fra elettori e partiti. Così, l'esito delle elezioni è ancora aperto. Tra i 143 comuni maggiori (oltre 15 mila abitanti) al voto domenica scorsa, infatti, 121 andranno al ballottaggio. Cioè, non tutti, ma quasi. Alle precedenti elezioni erano molti di meno: 92. Questa tendenza appare evidente soprattutto nelle regioni dell'Italia centrale. Un tempo definite "rosse", perché politicamente di sinistra. Ebbene, fra i 19 comuni maggiori al voto, in questa zona, quasi tutti (17) andranno al ballottaggio. In primo luogo, Bologna. Dove il sindaco in carica, Merola, si è avvicinato al 40% dei voti. E fra due settimane dovrà, quindi, affrontare Lucia Borgonzoni, candidata leghista del Centro-destra. Una prova sulla quale incombe, minaccioso, il precedente del 1999, quando Giorgio Guazzaloca, del Centro-destra, prevalse su Silvia Bartolini, di Centro-sinistra. Al ballottaggio.

LE TABELLE

Nel complesso, i candidati del Centro-sinistra vanno al ballottaggio in 88 comuni (sono primi in 47), quelli di Centro-destra, della Lega o dei FdI in 69 (primi in 38 Comuni). Infine, il M5s raggiunge il ballottaggio in 20 comuni (è primo in 6). Questo rapido profilo quantitativo serve a chiarire una ragione importante - se non la più importante - dell'incertezza che pervade questa competizione amministrativa: la pluralità degli attori in gioco. In altri termini, se per molti anni abbiamo inseguito un bipolarismo senza preclusioni, senza fratture, Oltre l'anticomunismo e il berlusconismo (o il suo contrario), oggi dobbiamo fare i conti con un modello diverso. Sicuramente più aperto. Anzi: fin troppo. Siamo entrati, infatti, in un sistema a "tripolarismo imperfetto". Dove il centrosinistra, imperniato sul PD(R), si oppone non solo al Centro-destra, impostato sull'asse FI-Lega - allargato, in alcuni contesti, ai FdI. Ma anche al M5s che ha ottenuto risultati importanti a Roma, con Virginia Raggi e a Torino, con Chiara Appendino a Torino. Mentre in alcuni casi, è sfidato da soggetti diversi ma, comunque, alternativi ai due poli tradizionali. Come Luigi De Magistris, a Napoli. Ciò rende il confronto complicato. Non solo nel primo turno, ma anche e tanto più nei ballottaggi. Perché non è chiaro se e per chi voteranno gli elettori dei partiti esclusi. Nello specifico: chi sceglieranno gli elettori di Centrosinistra fra un candidato leghista, forzista o dei 5s? Oppure, reciprocamente, chi sceglieranno gli elettori leghisti, forzisti o del M5s nel caso il loro candidato di riferimento fosse, a sua volta, escluso dal ballottaggio? In linea teorica, ove fosse rimasto in gioco, sarebbe favorito il candidato del M5s. Perché a-ideologico. Esterno alle fratture tradizionali. Visto che gli elettori del M5s sono, politicamente, trasversali. Riassumono il disagio verso i partiti ma anche la mobilitazione su temi "civici" e territoriali. Così, i loro candidati possono venire utilizzati dagli altri elettori, “contro" gli avversari storici. Post-berlusconiani, leghisti oppure renziani. A seconda dei casi e delle esigenze.

È probabile, allora, che molti elettori, nel dubbio, ricorrano al non-voto. Si astengano. Non per scelta, ma per non-scelta. D'altronde, si tratta di un orientamento diffuso, anche in questo caso. La partecipazione al voto, infatti, ha superato il 60%. Cinque punti in meno rispetto alla precedente scadenza elettorale. Tuttavia, non si è verificato il crollo temuto. Piuttosto, è interessante osservare che l'affluenza - e parallelamente l'astensione - elettorale ha colpito il Nord e le regioni rosse, più del Mezzogiorno. Certo, il voto amministrativo, nel Sud, è condizionato - e incentivato - da logiche particolaristiche. Ma è singolare che oggi, nel Centro-Nord, la partecipazione elettorale sia calata molto più che nel Sud.

Ciò sottolinea un'altra tendenza, emersa dopo le elezioni del 2013. La perdita delle specificità territoriali. Meglio: la "nazionalizzazione" del voto. E dei partiti. Fino allo scorso decennio, infatti, gli orientamenti politici ed elettorali riproducevano legami sociali e territoriali di lungo periodo. Veicolati da partiti di massa, che esprimevano ideologie di lunga durata e disponevano di organizzazioni diffuse. I partiti di sinistra, in particolare, si imponevano nelle regioni rosse del centro. Mentre al Nord erano più forti i partiti di centrodestra e la Lega. Ma alle elezioni del 2013, per la prima volta, si afferma un partito senza una specifica "vocazione" territoriale. Il Movimento 5 Stelle, appunto. Primo oppure secondo in quasi tutte le province italiane. Da Nord a Sud, passando per il Centro. Alle elezioni europee del 2014, il PD di Renzi, il PdR ne riproduce la traccia. Primo oppure secondo partito, dovunque. Inseguito dal M5s. E da un centrodestra spaesato e diviso, dopo il declino di Berlusconi. Nume tutelare e identitario. Così le diverse Italie politiche, oggi, si sono omogeneizzate. La stessa Lega si è "nazionalizzata". È la Ligue Nationale di Salvini, alleata con i FdI di Giorgia Meloni. Guarda a Roma e al Sud. Così, non c'è più religione. E non c'è più fedeltà. Non solo a Bologna. Neppure a Torino. Dove le tradizioni operaie e industriali hanno perduto rilievo. E la crisi economica incombe (come ha osservato Piero Fassino). Mentre a Milano Sala e Parisi appaiono due candidati allo specchio. Roma è, dunque, la capitale esemplare di questa Italia - senza colori e con poche passioni. Dove ogni voto - politico, europeo, amministrativo - diventa un'occasione im-prevedibile. E ogni elezione, come ho già scritto, è "un salto nel voto".

© Riproduzione riservata
07 giugno 2016

Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni-comunali-edizione2016/2016/06/07/news/comunali_2016_schemi_saltati_e_confronti_incerti_ecco_il_tripolarismo_imperfetto-141458639/?ref=HREA-1
6690  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Grazie a Rossi è tutto chiaro, ... inserito:: Giugno 09, 2016, 11:12:45 am
Grazie a Rossi è tutto chiaro, la parte sino ad ora perdente della Sinistra PD di estrazione ex PC o simili vuole prendere il potere in tutto il PD. Vuole il recupero di persone "storiche" (nonostante la loro storia), Non vuole che un PD di vero CentroSinistra si esprima da riformista reale, in pratica non vuole Cattolici non integralisti (gli ex Margherita) e il Socialismo non comunista, lavorino e gestiscano insieme il PD, portando innovazione e modernizzazione. Il loro problema di persone e idee legate al passato è che la gente non li vuole più in questa condizione di perenne antichità. Renzi deve essere tanto capace nel continuare l'allargamento concettuale verso il Centro Cattolico non integralista (non verso la destra) e un Socialismo (rigenerato dopo Craxi) che sappia esprimersi e finalmente realizzarsi. Gli argomenti portati da Rossi sono li a farci capire l'incapacità della Sinistra-sinistra di ridisegnarsi verso un futuro diverso e migliore del loro passato. Marchionne è ancora bestia-nera e il Sindacato-vecchio lo si deve riportare protagonista (anche così invecchiato). Renzi deve cambiare, ma nel senso che deve essere determinato a governare in modo che la gente percepisca il valore del suo governo in concreto, meno sfide da condominio e più agire nel Paese per migliorarlo rapidamente. Oggi può farlo domani il logorio di interessi di potere non rassegnati, renderanno tutto più difficile se la gente non sarà con Renzi. Ciaooo

Da FB Arlecchino el 06/06/2016
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