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Autore Discussione: Fabrizio BARCA.  (Letto 37996 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Agosto 21, 2014, 06:56:18 pm »

Un altro viaggio per l’Italia -10-
Pubblicato in: Il blog   il 16 agosto 2014 da Fabrizio Barca
Castelli e castellani

Clarissa: A Taurasi il castello pubblicizza un ‘percorso sensoriale’ ma, come tutti i castelli della zona, è rigorosamente chiuso. Per fare il vero percorso sensoriale basta inoltrarsi nei vicoli: canti della chiesa, in pura tradizione popolare orale, odore di pane fresco, la campana che suona e poi, incorniciato dalla porta della città che dà sulla terrazza che sovrasta l’intera vallata, tutto si trasforma in un set. Una Ferrari guidata da un tipo identico al Geppy della Grande Bellezza porta via una sposa e uno sposo accaldati, il tutto catturato in HD da un fotografo che quasi finisce sotto le ruote per fare le riprese dal basso, come si deve.

Fabrizio: Faccio io il guastafeste per una volta. Benissimo tutto e benissimo anche le enoteche che riempiono il borgo. Ma le tre voci di francesi – ammesso che fossero turisti e non amici di un “emigrato” che rientra per l’estate – non bastano per dare un senso ai fondi spesi per ristrutturare il castello. Un solo B&B in un posto famoso per il suo vino, anche fuori dell’Irpinia, è un segnale pessimo. E in quelle enoteche stasera, sarà un caso, non si vede nessuno. Dove sta la visione che leghi quel borgo agli altri in un progetto sostenibile di sviluppo? Dove sono i nuovi castellani?

Beh, allora parliamo del castello di Gesualdo. Qui è nato e vissuto il grande compositore di madrigali e motetti appassionati e tormentati, con armonie discordanti e quasi dolorosi ma estremamente moderni per l’epoca. Pare che abbia avuto una vita depravata, e che tanta era la sua apatia che usava pagare bande di ragazzini che dovevano frustarlo per dargli una carica. Come spesso accade, grande creatività e grande tormento vanno mano nella mano, facilitati da una enorme quantità di denaro e da una posizione di rendita assoluta. Il Conte era sempre il Conte. O no? Ora il castello è alla fine di una lunga ristrutturazione, ma non si sa che cosa ci farà il Comune. La solita sala polivalente? Una biblioteca comunale, da tenere chiusa? Una sala convegno da usare tre volte l’anno? Dico una fesseria, ma se si trasformassero i castelli in scuole statali di nuova generazione, aperte tutto il giorno, con saloni a quel punto veramente polivalenti per fare musica, teatro, danza, arte, sport, biblioteche vive, e salette più piccole per seminari, lezioni, dibattiti, inviti a personalità esterne? Dimmi se non potrebbe funzionare? Forse si troverebbe il talento, questa volta senza tormento, dentro a quei muri intrisi di storia?

Ecco, hai trovato i nuovi castellani! Si potrebbe anche fare. Se la filiera della scuola, Roma in testa, si impegnasse e se sindaci e cittadini e famiglie e insegnanti e giovani ci credessero. All’idea di diventare castellani. Lavoriamoci. Ma comunque, la prossima volta, prima di rifare i contenitori decidiamo i contenuti. Una piccola lezione ? Viene da Cairano. Non c’è il castello ma ci sono i castellani. Lavorano a riempire le strade di fiori in un gioco-competizione lanciato da un cairanese che vive nel mondo, mentre in altri locali uno che il teatro lo sa fare e interpretare e vivere – un mio caro amico che incontriamo d’improvviso e con gioia nelle viuzze del borgo – inventa serate che mancheremo con rimpianto.

Da - http://www.fabriziobarca.it/un-altro-viaggio-per-italia-castelli-e-castellani/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29
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« Risposta #31 inserito:: Agosto 21, 2014, 06:57:19 pm »

Un altro viaggio per l’Italia
pubblicato in: Il blog   il 7 agosto 2014 da Fabrizio Barca
Istantanee di un tour senza meta. I nostri dialoghi surreali (ma veri). La Maiella

CLARISSA: Ci metti poco con l’autostrada, ma poi ti perdi con la statale SS81 che piega inspiegabilmente a destra e a sinistra senza dare indicazione di come proseguire, quasi che il guidatore sia tenuto a saperlo per DNA.

FABRIZIO: Ma è colpa nostra, che abbiamo tentato di tagliare a 5 chilometri da Chieti. E poi questa estate non s’era detto “Prima regola: perdersi”?

Arriviamo a uno dei molti laghi artificiali creati in Italia quando andavano di moda le stazioni idroelettriche e i relativi lavori pubblici.

Di moda? Ma era quando l’Italia aveva una strategia: “usare la forza dell’acqua”. E poi il bacino oggi attrae uccelli di ogni tipo. L’antropizzazione può essere un bene.

Insomma, eccoci a un Bed and Breakfast in mezzo al nulla alla fine di una strada, su una rocca, affiancato da case in rovina, e chi ti apre la porta? Una signora sulla sessantina portati benissimo … inglese, of course. Dopo si scopre che sua nonna è emigrata a Londra a inizio secolo, dove più tardi la famiglia ha gestito un caffè in una zona operaia, fino agli anni ‘90. Ora lei e suo marito hanno comprato casa in questo angolo nascosto di Abruzzo e ci stanno sei mesi all’anno, volando con 39 euro con Easyjet su Pescara. A maggio arrivano con provviste inglesi, comprate da Tesco, aspirina e polvere per la lavatrice incluse, e a novembre riportano indietro olio e marmellate, lasciando il Bed and Breakfast incustodito.

Torna e ritorna questa storia degli aeroporti a 50-70 minuti. E’ il raggio di un nuovo “pendolarismo globale”. Sei mesi l’anno, una nuova vita ma con la possibilità di visitare ed essere visitati dai propri amici e parenti. Oppure vacanze volanti ma in borghi. O le classiche due settimane, in tutte le stagioni, combinando cultura, paesaggio e cibo, mare e montagna come è possibile in un paese “stretto”. Le forme sono le più disparate, ma in comune c’è l’arrivo di “altri”, curiosi, senza pregiudizi, pronti a mescolarsi, a portare e prendere idee, non solo aspirine e marmellate. E’ una roba glo-cal di cui non abbiamo ancora studiato bene gli effetti. Ma che ci serve come il pane. Anche perché rompe barriere e rilancia l’identità territoriale senza l’asfissia della sua autoreferenzialità. E poi, evviva, non sono solo classe media alta e intellettuali. Ma popolo.

Comunque, non ho capito se contribuiscano all’economia e allo sviluppo locale della zona o se semplicemente ogni straniero che arriva pensa di aver trovato la chiave del proprio paradiso individuale. Vendere le case agli stranieri – costano veramente poco – è una soluzione duratura per il territorio? O è solo il pezzo di un puzzle che resta da costruire?

Credo sia un pezzo, importante, ma solo un pezzo. Se il sistema locale, le sue imprese, le sue filiere pubbliche, i cittadini, lo cavalcano in modo individuale – per vendere qualche posto a tavola in più, per raccogliere imposte o per allargare la propria cerchia di relazioni – molti singoli staranno meglio, ma non si attiverà un cambiamento. E’ necessario un impegno collettivo, sul fronte privato e pubblico, per capire di quali processi su più ampia scala questi “esploratori” possono essere l’avanguardia, per adattare ai loro bisogni l’offerta, per migliorare i servizi essenziali, per utilizzare gli esploratori come strumenti di marketing di filiere agroalimentari locali, per accompagnare i loro interventi isolati nei borghi con riassetti edilizi rivolti anche ai residenti. Questo mi veniva di pensare risalendo la strada sfasciata che ci aveva condotto a quella casa sul lago.

Da - http://www.fabriziobarca.it/860/
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« Risposta #32 inserito:: Agosto 21, 2014, 06:58:11 pm »

Un altro viaggio per l’Italia -13-
Pubblicato in: Il blog   il 19 agosto 2014 da Fabrizio Barca
Fantasie e musei delle tradizioni popolari

Clarissa: Ad Aquilonia sappiamo di trovare un amico che ha scritto e allestito uno spettacolo basata sulle leggende irpine. Una fantasia d’estate, una specie di Cirque du Soleil locale, completo di gru e droni volanti telecomandati, un corpo di ballo, attori professionisti, di valore, e un cavallo e un cane in carne in ossa. Il palcoscenico è una vasta distesa di terra ondulata, il proscenio una quercia secolare, le colline, una luna crescente e le stelle per quinte. Un miracolo organizzativo tra tre comuni, e decine di associazioni. Le scene di folla e di ballo sono interpretate dai giovani di Aquilonia, quasi tutto il paese porta la maglietta rossa STAFF.

Fabrizio: Quattrocento persone e più a godersi lo spettacolo. Tutti i volti di questi giorni, i volti dei borghi e delle campagne, dei vecchi e dei giovani. La famiglia mista, mezza tedesca e mezza italiana, che abbiamo incrociato due sere prima a Morra a mangiare baccalà in 10 diverse straordinarie versioni. I ragazzi che sembravano tirarla lunga al bar. Gli amministratori di queste terre. L’amico poeta. Il politico antico con cui amo conversare, come facevo con mio padre.

Poi in paese dopo lo spettacolo la sera la movida, in pieno centro. Così non c’è bisogno di prendere la macchina e sballarsi a 20 km da casa per poi rischiare la vita sulla via del ritorno. Prima, nel pomeriggio, la banda del paese, la salvezza della musica in Italia, quasi l’unica via per prendere in mano uno strumento e suonare insieme ad altri. Una grande tradizione. Qui, per festeggiare la prima dello spettacolo, si erano aggiunte, in prestito sempre dagli Stati Uniti, le majorette in uniforme e pom pom.

Fra la banda e il “fantasy” irpino l’occasione per ricredersi. Sui “musei delle tradizioni popolari”. Almeno su uno. C’è ne sono a bizzeffe in giro per le aree rurali di tutta Italia, finanziati con fondi comunitari, spesso “dolci” ma modesti, assai spesso rigorosamente chiusi. E così avevo ironizzato su quello di Aquilonia, richiamato in un incontro pubblico. Eh no, questo è davvero una bella sorpresa. Strumenti, beni, foografie, didascalie che ti inchiodano a guardare. Che ricostruiscono il farsi e la fatica del farsi di prodotti artigianali o della terra, di quegli stessi che ora tornano. Un modo di legare le esperienze di questi giorni. Morale. Mai generalizzare. Altrimenti fai come quel famoso duo di opinionisti quando scrivono del finanziamento pubblico delle “sagre”: ce ne sono che finiscono lì – hanno ragione loro – utili giusto per far tirare il fiato a un pó di lavoro, altro che “investimenti pubblici”; ma ce ne sono altre che radicano una tradizione favorendo il giro di boa di un paese. Vedere per capire. (Ciò scritto, perché qui il giro di boa avvenga manca ancora il passo decisivo: la costruzione di quello che il mio amico economista chiama un “sistema intercomunale”, dove i comuni, uniti in associazione, e i loro cittadini si muovono assieme e il museo, come ogni altra offerta, diventa parte di un circuito per chi si affaccia in queste terre)

Da - http://www.fabriziobarca.it/fantasie-e-musei-delle-tradizioni-popolari/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29
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« Risposta #33 inserito:: Agosto 21, 2014, 07:30:46 pm »

Crisi chiama crisi e acciughe molli

Clarissa: Sembra che più c’è crisi più c’è crisi. Eh? Anticipo la tua reazione: perché dici cose ovvie? Comunque il fatto è che dopo due giornate con Tito …

Fabrizio: … niente racconti, copyright riservato sui “viaggi interni interni” e i loro mirabili protagonisti …

… scendiamo verso il mare del Cilento.

Scegliamo la strada alta, perché è domenica e la strada normale, riaperta due giorni a settimana “perché sta scendendo a vista d’occhio” – Siamo Pazzi Noi Italiani – la descrivono come impossibile. (Il mio amico giornalista è stato qui prima di noi è ha scritto un pezzo memorabile)

Un ‘villaggio’ dove eravamo approdati per caso l’anno scorso ha una bella baia protetta e decidiamo di tornare. Almeno non c’è folla. Insomma, c’è sempre meno clientela, le ultime famiglie fedeli che vengono lì da sempre, con i figli adulti …

… cresciuti lì con gli altri figli e per questo contenti di venire – ti anticipo perché lo sai che su questo da tempo la pensiamo diversamente … Effettivamente quando chiediamo della signora napoletana con cui avevamo condiviso idee e sensazioni l’anno prima ci guardano come se fossimo marziani … eppure il posto è lo stesso.

Insomma, di fronte ai segni di crisi cosa fanno i gestori? Tirano sulle cose piccole. Le bottigliette di acqua minerale e – peggio di tutto – il cibo. Mai mangiato così male. Ma quanto costa un buon piatto di spaghetti? Carote, sedano e finocchio bollito adagiati su un po’ di pasta non può essere considerata una cena. E le quantità? Nemmeno in un rémise en forme dove paghi per essere obbligato a fare la dieta.

Non riesco a contraddirti, anche se la cura delle casette del villaggio, meravigliosamente nascoste dagli alberi, e la simpatia del bagnino – mi ricorda una figura mitica della mia fanciullezza Santamarinellese – non puoi sotterrarle, visto che ci hanno riportato qui. Ma effettivamente il cibo … Perché non racconti di quella che mia nonna avrebbe chiamato una “sciacquattura di piatti” e dei frammenti di peperone collocati strategicamente nel piatto per dare colore a quattro acciughe presentate come “acciughe fritte”, divenute molli dopo l’incontro con l’olio bollente avvenuto tanto, troppo, tempo prima. E vogliamo aggiungere che con la notte al “borgo inventato” – che se li meritava tutti – è l’unica sosta costata soldini in questo viaggio. Si, hai ragione, crisi chiama crisi. Lezione per tutti noi: se ti becca la crisi, fai uno sforzo innovativo, non ti immiserire.

Da - http://www.fabriziobarca.it/crisi-chiama-crisi-e-acciughe-molli/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29
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« Risposta #34 inserito:: Agosto 23, 2014, 12:29:13 pm »

Un altro viaggio per l’Italia -16-
Pubblicato in: Il blog   il 22 agosto 2014 da Fabrizio Barca
   

Clarissa: Avvicinandoci in macchina, da nord, al primo dei borghi medioevali delle pendici del Pollino calabro, sotto il sole cocente di mezzogiorno, vediamo un giovane salire le curve a piedi, faticosamente, trascinando un trolley. Si ferma ogni tanto per prendere fiato e allontanare la camicia elegantemente stirata dalla schiena sudata. Gli chiedo fin dove deve arrivare. Mi risponde ‘il centro flora faunistico … devo fare un provino.’ Si era alzato alle 3 del mattino dalla Sicilia ed è arrivato solo ora, con il trasporto pubblico. Non capisco cosa c’entrino flora e fauna, ma gli auguro buona fortuna e proseguiamo per la nostra strada.

Fabrizio: Per scendere in Calabria abbiamo fatto eccezione alla regola del viaggio. Lasciando da parte le pieghe strette delle strade minori siamo piombati in autostrada. È la nuova Salerno- Reggio, quella dei pontoni che si stagliano lontani quando ti arrampichi su per Pollino.

Un bel borgo in ristrutturazione e un via vai inaspettato di persone, una piazzetta ventilata in cima con un chiosco-bar, e il centro flora faunistico trasformato effettivamente in studio cinematografico. Stanno realizzando il casting per un film, un lungometraggio, ambientato in Calabria. Una coppia di professionisti ha comprato e rimesso a posto molte case del borgo. Ne hanno fatto museo e albergo diffuso. E ora come contributo alla rinascita di un immagine positiva della Calabria, hanno messo le strutture a disposizione della troupe. Il giovane del trolley nel frattempo ci ha raggiunto, distrutto dalla salita rovente, e ci guarda strano come se avessimo nascosto a lui il trucco per arrivare prima e sedersi all’ombra con una cedrata fresca e tante olive, ma poi la buttiamo a ridere. Ha occhi bellissimi dietro agli occhiali scuri, e un sorriso avvincente. Speriamo di avere visto nascere uno star.

Di certo qui abbiamo visto contenuti che usano contenitori. La parte bassa di questo splendido borgo è vivace non da oggi. Ma i cucuzzoli sono sempre la parte più difficile. Dove spesso ti si presentano buchi neri al posto delle finestre e tetti pericolanti, segni dell’abbandono. Qui no, grazie anche alla strada facile d’accesso, il rinnovamento è cominciato.

Non solo qui. Il Bed and Breakfast del secondo borgo medioevale del Pollino dove arriviamo è il diciannovesimo che apre. E’ una vecchia casa di famiglia, di nuovo in cima al paese – qui la strada d’uscita dal cucuzzolo è impervia, verso la montagna – e il balcone guarda sui tetti, i comignoli, le scale strette, il canyon profondo e misterioso nel sottofondo. La coppia che l’ha ristrutturata ha vissuto in giro per il mondo. La figlia parla tre lingue.

Ecco un esempio dell’effetto virtuoso di combinare radicamento e apertura, locale e globale. La vita “nel mondo” porta una dimestichezza con gusti, le culture e le lingue di altri popoli che ti consente di orientare la tua offerta turistica alla loro domanda. Il legame con il territorio ti rende parte di una comunità che sta costruendo degli standard, e conosce i prodotti che è possibile offrire. Superando la logica del mors tua vita mea, l’intero comune si muove assieme, imparando a combinare cooperazione e concorrenza.

In piazza c’è una sagra del cinghiale e un concorso di bellezza locale. Ragazze giovani sui tacchi a 12 camminano a larghe falcate sulla pedana sotto lo sguardo distratto dei compaesani, i quali sembrano concentrarsi piuttosto sulle grandi quantità di carne nei loro piatti.

Da - http://www.fabriziobarca.it/provini-e-prove-di-sviluppo-fabrizio-barca-calabria/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29
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« Risposta #35 inserito:: Agosto 23, 2014, 06:13:22 pm »

Un altro viaggio per l’Italia -15-
Pubblicato in: Il blog   il 21 agosto 2014 da Fabrizio Barca
Controcanto cilentano. E tensioni

Il giorno dopo le acciughe molli raggiungiamo in barca – 6 euro, pochi – una baia del Parco del Cilento dove restiamo in campeggio due notti da un pastore che cucina alla grande. Formaggio suo, fiori di zucca freschi dall’orto, brace di un legno che brucia lento. Suona musica cilentana appresa dal nonno – che gli ha lasciato anche la casa e il gregge. Ma la zampogna non lo convince

Non la suona da Natale. È secca e stona.
La aggiusta piano piano, insistendo tutta la sera finché non è perfetta. L’organetto invece sprigiona tutto il suo spirito di ospitalità. Il vino e il cibo non sembrano neppure misurati, ne arriva quanto ne hai bisogno. Tutta la famiglia lavora.

I cavatelli li ha fatti la suocera e ci fanno dimenticare brodaglie e acciughe molli. S’è nuotato parecchio per raggiungere la grande grotta della scogliera e per arrivarci di pieghe se ne sono seguite parecchie. Altro che Moebius, qui è roba per Mandelbrot, quello che ha scoperto che ghirigori delle coste e delle nuvole – e pure la distribuzione delle imprese per dimensione, da non crederci – seguono la stessa legge. Magia, religione o grandi numeri?

Intanto che discetti, loro corrono dalla griglia alla cucina, ai tavoli, e continuano a offrire leccornie una più buona dell’altra. Mettiamo pure in conto che abbiamo una forte bias per il cibo buono, naturale, e locale. Resta tutto vero. Comunque, il mio punto è un altro. Anche per il pastore c’è crisi. Ce l’ha detto la seconda serata con un po’ di amarezza. Ma la sua ricetta per controbattere è dare di più, non dare di meno. Essere più generosi, non più tirati. Alla fine puoi farcela, perché ormai conta più di tutto il passaparola, i network, il racconto che cammina.

Eppure, a dirla proprio tutta, anche nel suo dare di più, nel suo innovare, nel suo passare da piatti e bicchieri rigorosamente di coccio a “roba di plastica”. – come lui stesso la chiama – c’è una tensione. La tensione fra il restare per pochi, facendo e offrendo in questi angoli d’Italia una vita bella e pura ma dura, e raggiungere i molti, rendendoti più “commestibile”, col rischio di sbracare. E di perdere la tua clientela originaria. E forse persino te stesso. Per ora il luogo è ancora magico. E tiene, ma … Comunque sono sicuro che su questa tensione torneremo.

Da - http://www.fabriziobarca.it/controcanto-cilentano-e-tensioni/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29
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« Risposta #36 inserito:: Agosto 26, 2014, 06:00:39 pm »

Un altro viaggio per l’Italia -19-

Pubblicato in: Il blog il 25 agosto 2014 da Fabrizio Barca
 

Bellezza, bruttezza e Nimby
Clarissa: Una guida e grande escursionista ha detto che se ci tiene alla persona che porta in giro gli fa prima vedere il brutto della Calabria per poi stupirlo con la sua bellezza. Il problema è che spesso le due cose – bruttezza clamorosa e bellezza strepitosa – sono veramente mischiate assieme in una mélange dannata. Mi sembra una specie di NIMBY all’incontrario. Cioè, nella propria “Back Yard” meravigliosa, anche nelle zone di mare o di montagna colonizzate dalla buona borghesia, sono state buttate tonnellate di mondezza e tirate su tonnellate di cemento. La famosa ‘Calabria non finita’ di cui tutti parlano – il terzo e quarto piano lasciato in cemento o mattone nudo per i figli e nipoti che non verranno mai a vivere lì – si trasforma in una ‘Calabria finita’ sotto il peso delle costruzioni improvvisate.
Fabrizio: Poi giri l’angolo – “girare l’angolo” è il motto costruito con i figli, che ci ha regalato le sorprese più belle della vita – e trovi la bellezza di una pozza levigata dal fiume, di un pino gigante, di un pinnacolo di creta, di un bosco infinito più bello di quelli Trentini, di un campo biondo, di un borgo arcigno che traguarda il mare, di un paio di occhi azzurri sovrastati da ciglia spesse e nere, del suono secco di un parlare antico. E ti domandi: ma perché avete perso il senso del valore di ciò che avete? Perché vi siete lasciati confondere dal verbo piemontese? E poi dal denaro di Roma? E dall’anti-Stato che avete lasciato crescere (quando non cresciuto) dentro le porte di ogni comunità? Eppure le pieghe della vostra terra sono così profonde, contorte e frequenti che per ogni bruttezza ci sono ancora dieci bellezze. È chiaro come il sole che potete farcela.
Si, certo. Ma intanto abbiamo conosciuto una coppia inglese che aveva comprato una casa in un nuovo agglomerato di cemento sorto vicino al mare. Ora dormivano nello stesso Bed and Breakfast dove abbiamo tirato su la tenda …
È stata una “prima volta” per i gestori. Ma li abbiamo convinti con un sorriso. E si è mangiato alla grande, con una fila di verdure di antipasto più lunga ancora del solito e il primo di tanti cavatelli, ma di lusso …
… si, benissimo il nostro cibo, ma intanto la famigliola inglese stava lì perché hanno tagliato la luce e l’acqua a tutto il comprensorio. Pare che il costruttore fosse in odore di mafia: “Who knows where the money came from!” Posso immaginare la pubblicità che faranno al loro ritorno. Comprate casa in Calabria! È un’affare!
Ehi, ehi, è pur vero che è l’unica storia un po’ tragica di stranieri che abbiamo incontrato in Calabria. Ne abbiamo visti pochi – pare, così ad esempio ci hanno detto a Catanzaro Lido, che qualche anno fa ce ne fossero assai di più – ma quelli incrociati avevano il viso felice. Forse avevano imparato a guardare solo la Bellezza.
Licenza foto: Creative Commons 2.0 di Hindrik

Da - http://www.fabriziobarca.it/calabria-bellezza-bruttezza-e-nimby/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29

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« Risposta #37 inserito:: Agosto 26, 2014, 06:04:15 pm »

Un altro viaggio per l’Italia -18-
Pubblicato in: Il blog   il 24 agosto 2014 da Fabrizio Barca
Un altro viaggio per l’Italia -18-   
Arbëreshë e inglese

Clarissa: È incredibile come l’identità che deriva dall’essere e dall’essere riconosciuta come minoranza linguistica unisca le popolazioni di questi piccoli paesi. Sono passati 600 anni ma la lingua, i costumi e le tradizioni Arbëreshë vivono. E come! Essendo stata in Albania, e dopo avere tradotto in inglese il libro della scrittrice albanese Elvira Dones (che scrive in italiano) sono affascinata. La cugina della nostra ospite canta in un coro e ci invita alla festa del vicino paese dove si esibisce quella sera. A scuola i ragazzi fanno due ore a settimana di lingua Arbëreshë; troppo poco, si lamenta una mamma. Un’altra obietta che sarebbe più utile concentrarsi sull’inglese e arrendersi ai tempi che cambiano. Il fatto è che la scuola è una monoclasse, con tutti i gradi dell’elementare insieme. Si capisce le preoccupazioni sono altre.

Fabrizio: Eppure si potrebbe avere entrambe le cose. Conservare la lingua, che poi vuol dire musica, identità (di fronte a se stessi e agli altri), relazioni internazionali; e studiare il nuovo in classi di dimensione normale, mescolandosi con i bimbi di altri paesi. Per farlo ci vuole la capacità e il coraggio di immaginare, di chiedere e di realizzare scuole nuove, collocate in posizione baricentrica, che accorpino i micro-plessi dei singoli paesi e che, con le risorse finanziarie risparmiate, assicurino agli alunni trasporti sicuri, strutture adatte a una nuova didattica, spazi collettivi. Insomma, scuole che “facciano invidia” agli studenti e ai genitori dei centri maggiori. E dunque che incoraggino le giovani coppie dei piccoli paesi a restare e altre magari a trasferirsi, a vedere alla tentazione di lasciare la città.

Da - http://www.fabriziobarca.it/arbereshe-e-inglese/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FabrizioBarca+%28Fabrizio+Barca+%C2%BB+Report%29
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« Risposta #38 inserito:: Agosto 30, 2014, 09:03:17 am »

Un altro viaggio per l’Italia -22-
Pubblicato in: Il blog il 28 agosto 2014 da Fabrizio Barca
 
Stato sì, Stato no
Clarissa: Potere dei pregiudizi. Quando una ‘cosa pubblica’ in Calabria è perfetta viene istintivo chiedersi ‘che succede?’. Dopo le ferriere, a Mongiana. ci imbattiamo in un parco del Corpo Forestale dello Stato: Villa Vittoria. Una volta dentro, il verde e l’ordine, insieme all’aspetto stesso della struttura – fioriere con gerani, infissi di legno dipinti di rosso – fanno pensare subito a uno chalet austriaco di gran stile. Il giardino offre un percorso accompagnato da segnali in Braille per non-vedenti di tutte le piante medicinali possibili, alberi e piante menzionati nella Bibbia, con relativo passo e chiosa, un frutteto degli alberi dimenticati, con specie che non si usano più perché producono frutta troppo irregolare nonostante che siano più resistenti ai parasiti e alla siccità, e un’area faunistica dentro al bosco con esemplari di animali endemici. Tutto curato all’estremo, neanche un pezzo di carta igienica per terra. Tutto questo quando ciò che è dello Stato – o comunque collettivo – è in genere trattato malissimo. Impressionante.
Fabrizio: Ci parlano dei meriti di chi ha la responsabilità della Villa. Appaiono indubbi. E ci resta la voglia di capire cosa ha prodotto questo risultato. E il fatto stesso che la responsabilità sia stata affidata a chi sa esercitarla in questo modo. Insomma, la domanda di sempre: perché qui si è altrove no ? Lo so che ogni “qui” che funziona è diverso dall’”altrove”. Che ogni luogo ha una sua storia. Irripetibile. E tuttavia le lezioni ci sono sempre. Non per copiare. Ma per sperimentare strade, soprattutto con la convinzione provata da fatti che “è possibile farcela”. In Calabria come ovunque.
Anche perché qualche miglio più in giù …
… a Bivongi, intendi ? Dove si aprono le gole del fiume, la scoperta di questa estate.
Si. Da Bivongi, ci confermano con convinzione le persone del posto, si può risalire con un lungo percorso fino alle altissime cascate di Marmarico. Altrimenti, ci dicono, ti ci portano con la jeep, che si fa prima. Proprio al bivio della strada sterrata delle jeep vediamo un bel segnale marrone, di quelli che indicano un’attrazione turistica, ‘percorso di trekking’ con due signori che camminano con gran determinazione disegnati in nero. Ci sentiamo confortati nella nostra scelta di non prendere il 4×4. Ma da quel momento in poi non c’è più alcuna indicazione. Non solo, dopo avere imboccato una strada sbagliata …
… l’imbocco del piccolo sentiero che scorre lungo e dentro il fiume è nascosto e solo grazie ai consigli di un contadino che ci ha riempito di dolcissime prugne verdi riusciamo alla fine a trovarlo. …
… vediamo scene di distruzione. Il ‘percorso’ annunciato dai locali come ‘rovinato a tratti’ non esiste più. Ponti di legno e scalette giacciono sul letto del fiume, e eventuali sentieri di una volta sono coperti di fitti rovi. Dopo due ore arriviamo ai bagni di Guida, un’antica stazione termale di acque sulfuree. E potrebbe bastare.
Effettivamente il posto è bello. Il torrente forma pozze di acqua e addirittura chi ha riaperto i Bagni propone una brace accesa sotto il pergolato di un casolare. Ma le cascate sono ancora lontane …
Solita scena tra i due: il bello è nel viaggio; bisogna arrivare in cima perché altrimenti è una sconfitta, e comunque vedrai il premio per lo sforzo (lascio indovinare chi interpreta quale parte). Morale della favola, ovviamente, è che si prosegue, piedi in acqua, per risalire il fiume, ancora.
E qui le cose si fanno toste, perché dopo una prima traccia non c’è più nulla. Intendiamoci: non può esserci un itinerario permanente perché qui l’acqua in piena della primavera se la porterebbe via. Ma visto che che è un trekking consigliato potrebbe starci un segnale, due pennellate su un albero, ogni tanto. Come quando il fiume si biforca. O quando, all’antica centrale elettrica, un sentiero, questo vero, si distacca sulla sinistra per risalire verso la carrareccia delle jeep, ma all’inizio si vede appena e bisogna crederci.
Alle cascate non c’è più il sole. Per la stanchezza non alzo lo sguardo, per paura di inciampare sulle rocce, e vedo solo l’ultimo tratto di caduta dell’acqua. Mi sembra una grande delusione – finché non mi accorgo del resto. Sì che c’è il premio … ma il premio più grande sarà togliersi le scarpe bagnate e bere una birra fredda a Stilo. La punizione per chi mi ha fatto fare sei ore di canyon arriva la sera: canzoni napoletane urlate in stile lirico e amplificate da casse imponenti dal palcoscenico al centro della piazza.
Ci vorrebbe poco, scelte musicali soggettive a parte, per portare in quelle gole escursionisti di ogni tipo e stazza. Quasi chiunque per i primi trecento metri, dove il sentiero si può rendere permanente, molti fino ai Bagni e non pochi fino alle cascate, semplicemente pubblicando una mappa dell’itinerario, da vendere a chi ci si avventura, con qualche limitato segnale. Che renderebbe anche a chi porta le jeep, che per quella lunga sterrata impossibile oggi chiede solo sette euro. Piccole cose ben pensate. Qualche migliaio di euro. Niente mega progetti. Come se si dovessero spendere sempre centinaia, che dico, milioni di euro pubblici per fare cose utili – l’errore stupido di chi pensa che la concentrazione dei fondi (comunitari ad esempio) debba essere finanziaria, quando invece deve essere strategica. Molti piccoli interventi pensati, frutto di analisi dei bisogni, con i risultati chiari in testa e comunicati a tutti sul web, possono valere assai più di un progettone, appetitoso per appaltatori e appaltanti. Quando dico queste cose a Stilo incontro un gran sorriso d’intesa. Da chi di progettoni inutili ne ha visti passare parecchi per queste terre. Ma intanto qui il voto per lo Stato è negativo.

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« Risposta #39 inserito:: Agosto 30, 2014, 09:58:36 am »

Un altro viaggio per l’Italia -21-
Pubblicato in: Il blog il 27 agosto 2014 da Fabrizio Barca
 
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Infiniti tronchi e classe operaia
Clarissa: Dopo una salita di mille tornanti, antichi uliveti con terrazze sempre più esposte, una roccia sempre più nuda, una vegetazione sempre più arsa, scavalliamo il passo e lasciamo alle spalle il mare. Siamo nelle Serre. Un parco eolico, un vecchio invaso naturale ma soprattutto boschi di pini … mi viene alla mente De Gregori e i suoi ‘infiniti tronchi’. Due mondi assolutamente diversi.
Fabrizio: È il fascino della Calabria. Non solo, non tanto quegli 800 chilometri di costa, a non contare i ghirigori degli scogli. Ma soprattutto la diversità esaltata, al girare dell’angolo, al salire di qualche centinaio di metri .Se l’Italia capisce che la diversità interna è la sua cifra, il suo senso stesso di nazione, per la Calabria è fatta. Diventa la quintessenza del paese.
Dopo molto girovagare si arriva in una città piena di attività apparentemente in mezzo al nulla. È Serra San Bruno. Facciate di chiese barocche, di una ricchezza sorprendente, negozi e caffetterie di qualità, le insegne ancora in stile antico. La banda del paese sta scaldando i motori per la festa del paese. Il suono è patriottico – andrebbe benissimo per Verdi. Se Muti non li ha già arruolati vuol dire che non li ha ancora sentiti. Ci fermiamo per prendere un po’ di frutta e per fortuna ci fermano altri clienti, per dirci che dobbiamo assolutamente entrare nelle chiese. Una, in particolare, è un autentico gioiello di tardo barocco calabrese, con un tabernacolo mozzafiato. Molte opere sono state portate lì dalla vicina Certosa dopo il terremoto del 1783.
Sulla porta un messaggio di addio irrevocabile – “non fate nulla per richiamarmi, ve lo chiedo davvero” – del prete di quella chiesa. Non ci sarà modo di capirne il perché.
Qui i Borboni estraevano ferro e tagliavano i boschi per legname. E si lavorava il ferro. A Mongiano si costruivano i fucili per l’esercito. La città era ricca, e la sua mano d’opera fondamentale.
La cultura del luogo è anche operaia. Lo si legge nell’austerità delle case, a due piani, con tetti ben conservati, mai incise da ampliamenti devastanti. E lo si vede in una presenza “di sinistra”, la più visibile dell’intero viaggio: un’associazione combattiva – Il Brigante – annidata in un angolo straordinario che ricorda Trastevere a Roma, che si batte sul tema dell’acqua e del suo inquinamento e che quella sera organizza salsicce e birra in strada. Lo scopriamo dopo l’ottima cucina di un ristorante giovane, torniamo li e ci sentiamo a casa.
Prima siamo andati al parco della Certosa per leggere e riposare al fresco. Saliamo a piedi per un bosco di faggi e soprattutto pini secolari. Mi addormento al suono del vento a cui si aggiunge più tardi – ma io penso di sognare – un canto gregoriano sostenuto e maschile. Mi sveglio come incantata, tu stai ancora all’Ipad.
Bisogna pur trovarlo un momento per scrivere le mie chiose ai pezzi che a te vengon facili.
Andiamo? Il tragitto di ritorno passa dalla chiesa dove si celebrano i matrimoni moderni. Sotto alla scalinata ci sono carrozze con cavalli, un trenino rumoroso, alcuni mini pony puzzolenti, e mondezza, tanta mondezza. Brutto e bello ancora. Mano nella mano. Dopo scopro che nel monastero ricostruito vivono ancora i frati. Una volta la settimana escono per una gita nei boschi. Saranno loro che ho sentito? O era una registrazione a uso turistico? Non lo saprò mai.

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« Risposta #40 inserito:: Agosto 30, 2014, 09:59:25 am »

Un altro viaggio per l’Italia -20-
Pubblicato in: Il blog   il 26 agosto 2014 da Fabrizio Barca
Due ore micidiali e un treno Rivarossi

Clarissa: Quel mare così blu, così scintillante, è tenuto a debita distanza da una ferrovia a binario unico.

Fabrizio: Il treno che ci passa sopra sembra quello della Rivarossi – chi si ricorda? – con cui giocavamo a casa del compagno di classe che lo aveva. Talvolta il vagone è uno solo. Talvolta sono due. E il treno fischia, fischia, per ricordare a tutti che esiste ancora. O forse per scoraggiare chi quei binari volesse attraversarli come se fossero finti.

Beh, certo, il tracciato potrebbe essere utilizzato in ben altro modo. Come percorso turistico per gli appassionati, invidiato in tutto il mondo. O come sentiero o pista ciclabile che potrebbe correre accanto alla linea ferroviaria. Con fermate attrezzate per un tuffo in mare o una navetta che salga su per le colline per mangiare specialità della zona.

Potrebbe. Ma non è. Perché per farlo bisogna prima far quadrare i conti, costruire un progetto che parta da una verifica della domanda – sì ancora una volta la domanda. Senza studiarla non si combina nulla. Ma intanto si potrebbero almeno migliorare i sottopassi rendendo il mare più accessibile.

Beh certo, si eviterebbero scene come quella di quei due disperati che, vedendo cotanta bellezza, e non avendo trovato un passaggio al mare, parcheggiano la macchina alla bene e meglio e attraversano il binario a piedi, asciugamani al collo, il pranzo al sacco in spalla.

Ora è chiaro perché il treno fischia! E per chi non vuole rischiare la pelle …
… chi non vuole rischiare la pelle può fare come quelli che trovano finalmente un tunnel improbabile sotto alla ferrovia, imboccano il letto di un fiume e alla fine … finiscono insabbiati. Sì, siamo noi ahimè. Te l’avevo detto che forse non era il caso. Le due carrozze vecchie e scassate della litoranea passano sopra, fischiando. Dopo due ore di lavoro duro riusciamo ad uscire.

Sono state due ore micidiali, con l’ansia di dover chiamare un carro attrezzi e perdere la faccia, ma alla fine col metodo insegnatoci tanti anni fa da quei giovani marocchini a est dell’Atlante – una strada di piccoli tronchi costruita sotto l’auto – siamo fuori. E il bagno in quell’acqua straordinaria sulla punta dell’intero continente d’Europa è ancora più bello

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« Risposta #41 inserito:: Agosto 31, 2014, 09:02:15 am »

Un altro viaggio per l’Italia -23-
Pubblicato in: Il blog   il 29 agosto 2014 da Fabrizio Barca

Senza via d’uscita?

Clarissa: Ci sono tanti modi di segnalare che la strada non è in perfette condizioni. Uno che mi diverte in modo particolare è ‘sagoma deformata’. Vedo un’ombra, è Peter Loren nel film ‘M – il Mostro di Düsseldorf’. Una sagoma deformata, per l’appunto. Un’altro modo è ‘strada dissestata’; mi ricorda i telegiornali apocalittici sul dissesto idrogeologico o sui dissesti finanziari. In strade più grandi ho visto anche ‘giunti dissestati’ – e la mente corre alle mie ginocchia, definitivamente dissestate ormai. La scritta ‘Presenza di buche sulla carreggiata’ mi pare più diretta, e tutto sommato più onesta. Almeno sai da che cosa ti devi guardare, come quella che ti avverte che ci sono ‘frane per i prossimi 7,3 chilometri’. Ma la segnaletica che vince la gara è quella che lascia tutto all’immaginazione: ‘STRADA CHIUSA’ !

Fabrizio: Tutta questa storia per arrivare alle tre mitiche strade di Longobucco. Paese straordinario sul costone orientale della Sila, dove i boschi densi dell’interno lasciano il passo a gole profonde, come quella verso cui siamo diretti. Ci si arriva con una strada dalle mille curve, in condizioni buone, ma con un destino incerto: ci spiegano, arrivati in paese, che è una “strada di nessuno”, nel senso che nessuna istituzione la riconosce come propria e dunque nessuno ha l’impegno a manutenerla. Ma il problema non è arrivare a Longobucco dalla montagna, è arrivarci dalla costa, tornare a casa la sera, se lavori “giù”. Per carità, di strade ce ne sono due. Ma qui la fantasia è andata oltre ogni immaginazione. All’ingresso di quella antica, mille curve, che collega anche molte case sparse, scopri dal solito straordinario cartello che dalle 7 di sera al mattino la strada è “non percorribile”. All’ingresso della fascia di cemento appena terminata (per metà) che percorre il vasto letto della fiumara – reggerà alle piene rabbiose di questi giganti d’acqua assopiti? – il cartello ti dice invece che stai entrando in un “cantiere”. Scopriremo che è il cartello ipocrita frutto di compromessi con la popolazione, perché quella lì “strada” non lo è ancora. Ma tutto questo ha un senso? Ma dove sta la politica – lo scrivo senza le solite virgolette perché questa dovrebbe essere la politica – ossia la capacità di combattere insieme con altri, da dentro e da fuori di un luogo, per pretendere che i propri diritti minimi – tipo, uscire ed entrare senza coprifuoco dal mio paese – siano rispettati? Senza il ritorno della politica senza virgolette non c’è via d’uscita.


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« Risposta #42 inserito:: Settembre 07, 2014, 05:42:04 pm »

Un altro viaggio per l’Italia -25-
Pubblicato in: Il blog   il 31 agosto 2014 da Fabrizio Barca

Fuochi e mortificazioni


Clarissa: Scendere ancora, ancora più a Sud, in questo nostro zigzagare Coast to Coast nella Calabria stretta, ci ha portato negli incendi.

Fabrizio: Ne avevamo intravisto uno solo in Sila, richiamati dal suono e dal profilo inconfondibile di un Canadair. Ma le macchie inconfondibili tappezzano tutte le montagne attraversate. Sin dal Cilento.

Non so perché ma mi cambiano l’umore, nel fondo. Forse è il senso di impotenza che genera vedere un’intera collina di macchia mediterranea bruciare, forse è una sorta di paura primitiva davanti alla potenza del fuoco, forse una rabbia civica. Che ancora una volta, come ogni anno, si ripetano le stesse scene. E la macchia ci mette almeno tre anni a ricrescere. Non parliamo del bosco. E la collina nuda e nera è brutta e desolante. Comunque, la cosa più bella di viaggiare in un paese dove sai la lingua è che parli con le persone, fai due chiacchiere al bar, chiedi spiegazioni, cerchi di andare a fondo. Ma per gli incendi non ci riesci. Se ti parlano lo fanno guardandosi intorno e alle spalle, anche all’insù, come se ci fossero orecchie dappertutto.

Non esageri. Poche volte come parlando dei fuochi, in ogni punto della penisola, ho visto e sentito nella pelle l’”intimidazione” mafiosa. Proprio nel momento in cui il nostro interlocutore cedeva alla voglia di condividere un’informazione non ovvia, gli vedevi sorgere l’ansia che stesse facendo una cosa sbagliata. E ti veniva, a te, per imbarazzo, la voglia di cambiare argomento. Per il senso di mortificazione che l’intimidirsi promana. Per il dubbio che ti sorge su te stesso: ma se vivessi qui, saprei essere diverso? Chissà !

Abbiamo raccolto tante diverse spiegazioni. Dal piromane alla ricerca di attenzione, alla vendetta personale. Dagli allevatori di bovini che fanno scappare i pastori …

… fanno letteralmente “terra bruciata”, per deprezzarne il valore e comprarla poi a due soldi, magari investendo poi con fondi comunitari (che pessima fama hanno questi benedetti Fondi … quanto è vero quello che sapevo e sapevamo già e cioè che non un euro più va speso senza che i risultati attesi siano resi noti a tutti e che a tutti sia data la possibilità facile, verrebbe voglia di dire l’obbligo, di dire che ne pensano, prima che siano allocati … e dici fondi europei per dire ogni soldino pubblico) …

… alle aziende boschive che hanno ricevuto in sub-appalto dal pubblico la cura e l’uso dei boschi che bruciano l’evidenza del lavoro non-fatto …

… questa non l’avevo mai sentita. Pare che anziché pulire il sottobosco taglino fusti che non andrebbero tagliati … come se poi quel moncherino di tronco e radice venissero mangiati dal fuoco … mah …

… fino alla storia che trovi sempre sui giornali, dei Forestali che arrotondano lo stipendio per le ore di intervento (ma questa ci convince poco perché la cifra aggiuntiva è davvero modesta e il rischio in questa terra dove il fuoco facilmente ti accerchia è grosso assai).

Comunque ci dicono che nella Sila quando era stato introdotto un incentivo per chi cura ed è responsabile dei boschi legato ai non-fuochi (meno ce ne sono più hai) le cose erano andate meglio. Qualunque fossero le cause.

Fatto sta che ora siamo alla Fiumara di Amendolea nell’Aspromonte, dal nostro amato produttore di bergamotto, e brucia la collina. Uno spettacolo che fa da amari contrappunto a ciò che succederà a Bove quella sera.

Che rabbia non esserci andati, dopo quei deliziosi cavatelli con sugo di capra (in bianco, resa tenera da ore e ore di cottura e dall’aggiunta di una scorza di mandorla, se abbiamo capito giusto), ma la stanchezza per una volta ci aveva scoraggiato dal girare l’angolo.

Insomma, a Bove c’era il “Cammello”, un danzatore di Taranta ingabbiato dentro una struttura di canne a forma, appunto, di cammello dalla quale partono pirotecnici fuochi d’artificio. A prevenire i fuochi in questo caso, ci hanno raccontato, un drappello di vigili del fuoco.

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« Risposta #43 inserito:: Settembre 07, 2014, 05:42:52 pm »

Un altro viaggio per l’Italia -24-
Pubblicato in: Il blog   il 30 agosto 2014 da Fabrizio Barca

Disservizi e servizi

Clarissa: Dimmi che non è vero … Un messaggio stampato attaccato fuori di uno sportello bancomat. Già sono difficili da trovare nei piccoli paesi. Al massimo un Posta Pay, spesso nemmeno quello. Ora l’abbiamo trovato ma nel messaggio si legge: “In questa banca il denaro non è liberamente disponibile. Il ritardo nel tempo di erogazione cresce con l’ammontare richiesto. Il personale non può farvi nulla”. E pensa che qui serve il contante sempre. Non c’è la linea, il POS non funziona, l’ho chiesto ma non mi è arrivato, Ecc. Ecc. Ecc. Il personale non può farvi nulla.

Fabrizio: Per esser chiari questa storia del “messaggio preventivo” dove si annuncia DISSERVIZIO non è calabra. Ma ci torna alla mente oggi quando un ragazzo a cui chiediamo del bancomat si mette a ridere. E già perché in questi paesi non vengono solo a mancare i servizi pubblici, ma anche quelli privati, con un colpo pesante a cittadini e turisti. Per non parlare del prezzo della benzina, inesorabilmente più alto. Quando la pompa non è stata proprio chiusa.

Comunque, coi soldi contati risaliamo in Sila. Pare di essere in Svizzera. Si pratica l’alpeggio ad alta quota, le mucche hanno campanelle attaccate al collo con un grosso collare rosso, i prati sono verdi, i pini crescono giganti, si mangia formaggio fresco. Di nuovo, un contrasto assurdo a meno di un’ora e mezza di distanza in macchina dalla costa chiassosa.

Per non parlare della segnaletica dei sentieri. La prima che incontriamo chiara e di qualità in tutto il viaggio. Certo, la straordinaria generosità, tutta calabra, di cui beneficiamo attraverso una catena di eventi nata in una bella libreria di Lamezia ci ha messo sulla strada e ci ha fornito una mappa niente male che mai altrimenti avremmo trovato – il turista che cala da “Marte” cosa avrebbe fatto? Ma resta che i sentieri sono ben marcati e i segnali a prova di fesso. E poi mi colpisce, sul bordo di un’area recintata, la chiarezza di un cartellone che, spiegando il progetto comunitario di ripopolamento del contesto faunistico, indica in lingua italiana – non in burocratese – addirittura i risultati attesi. Lo vedi che si può fare !

Dopo il cammino abbiamo dormito in un silos ristrutturato, con semplicità e gusto, di un’azienda agricola sulle rive di un micro-lago. Una camera rotonda Feng Shui, con il gallo che ti sveglia di buon’ora e cene cucinate con prodotti appena colti dall’orto – frittelle di fiori di zucca da svenire.

Speriamo che reggano a gestire il posto. C’è ne sono pochi come loro.

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« Risposta #44 inserito:: Settembre 07, 2014, 05:53:03 pm »

Musica e poesia: la quadratura del cerchio

Clarissa: Se scavalli l’Aspromonte, con le sue foreste fitte di faggi e pini, e arrivi sopra Scilla al tramonto – quando la luce è tenue e i contorni delle case si fanno meno chiari – il paesaggio è così antico che scompare nel tempo. Potrebbe essere 3000 anni fa come oggi. Ulisse che passa tra Scilla e Cariddi nella sua barca, e in contemporanea noi su una piacevolissima terrazza con una famiglia di gran simpatia che ci ospita in attesa dei fuochi sul mare. Quest’anno il Comune è in dissesto (di nuovo quella parola) e la festa del paese si svolge in forma ridotta. Ma chi ha bisogno di fuochi con una vista così?

Fabrizio: La Sicilia resta a un tiro di schioppo. Le acque di Ganzirri, la forma appena accennata di Stromboli, quella più nitida di Vulcano. Ieri dalle pendici della montagna avevamo visto l’Etna, fumante. È un continente. Un mondo da visitare. Ma per conto suo. Presto.

Una sosta nel risalire la Calabria ce la concediamo da antichi amici – di pura vacanza, mare e chiacchiere, altro mare, altre chiacchiere.

Si accavallano i racconti di queste settimane. Col tentativo di trovare la quadra. A partire da quella discesa ardita giù per il fiume Aventino – intrapresa geniale di un altro amico antico – è stato tutto un risalire e ridiscendere, per borghi salvati o abbandonati, per sentieri curati o dimenticati, per scogliere protette o aggredite, per speranze di cambiamento in fiore o nella spazzatura. Perché qui sì e lì no? Quali persone, quali alleanze, quali conflitti hanno sbloccato le cose dove sbloccate sono? Come allargare la macchia della bellezza? La quadra non esce. Ma i pensieri si puliscono.

Quando dobbiamo partire, ahimè, è sabato, giorno di cambio dei vacanzieri in affitto. Il traffico è fermo sulla litoranea. Ormai, presa l’abitudine delle ‘area interne’, imbocchiamo la prima strada che ci permette di scappare dal caldo e saliamo per le colline. Su, su ancora, come verso il fiume Lao, e poi giù di nuovo, in costa. A un certo punto superiamo la linea di confine con la Basilicata, il fiume Noce. Da una piana costruita allo spasimo, fino alla costa, a una piana coltivata e una costa conservata. Impressionante la differenza!

È un caso di scuola. Da mostrare a Putnam e a tutti quelli che attribuiscono la trappola del sottosviluppo del Sud allo spirito dei popoli di quelle terre, ovviamente immodificabile nei secoli. (Il grande alibi di una classe dirigente nazionale che ha cessato di impegnarsi sul Sud). Mentre è evidente che a cambiare a cavallo del fiume Noce sono le istituzioni: il modo in cui i “popoli di quelle terre” si sono organizzati, e quindi i comportamenti e le regole che si sono dati, e la cultura che ne è discesa e si è stratificata. La cultura non è un dato ultimo, immodificabile, è un dato endogeno, frutto dei comportamenti, di decisioni, della politica. Ed è in un piccolo focolaio di cultura che si chiude (si quadra?) il nostro viaggio.



È il festival ‘La Luna e i Calanchi’ ad Aliano, la città del confino di Carlo Levi. Cristo non si è fermato qui, ma si capisce come il paesaggio abbia ispirato la desolazione espressa nel titolo. È lunare, desertificato, arido. I calanchi si stagliano massicci davanti agli occhi. Una intera carcassa di vacca giace al bordo del sentiero che imbocchiamo, seccata da dentro, le ossa completamente ripulite dal sole, la pelle vuota come una zampogna gigante senz’aria. Il Festival, al contrario, è una botta di vita. Chiamati dal nostro amico poeta e ‘paesologo’, attori, musicisti, poeti, pastori, tecnici, scienziati e politici …

… e giovani, molti giovani, finalmente, da tutta Italia …

… si radunano in anfiteatri costruiti e naturali – tra i calanchi, sui terrazzi, nei vicoli, nelle piazzette – e si dedicano per due giorni a un esercizio di contemplazione delle stelle e del paesaggio, della bellezza delle parole e della musica, della felicità e della morte. Un tale eccesso di offerta che ti porta a fare le 2, le 3, le 4 del mattino. Oppure, per molti, tutta la notte. Sfiniti e felici. Se la vita fosse sempre come questo viaggio…

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