PRODI
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ECONOMIA
Il commissario Ue: il deficit migliora più di quanto previsto
Presto colloqui con Padoa-Schioppa sulla manovra fiscale
Almunia plaude all'Italia "I conti meglio delle attese"
Prodi: "Chiaro apprezzamento alla politica italiana anche dagli osservatori più severi"
Ok anche dalla Bce. Trichet: "Ma serve un attento controllo dell'inflazione"
LA VALLETTA (Malta) - Dopo il plauso di Standard&Poor's di ieri, i conti pubblici italiani raccolgono altri importanti consensi. Dalla Commissione Ue e dalla Bce arriva l'apprezzamento per la capacità di ridurre il deficit del 2007 oltre le attese. Tuttavia, l'organismo di Francoforte ricorda di non allentare la presa sul controllo dell'inflazione, anche perché, sui conti italiani, si staglia l'ombra di una crescita Ue che potrebbe essere più lenta del previsto. Soddisfazione da parte del premier, Romano Prodi, che sottolinea come "è chiarissimo l'apprezzamento che viene fatto in questi giorni alla politica italiana anche dagli osservatori più severi".
Il primo a promuovere il miglioramento del deficit del Paese è il commissario Ue agli Affari Monetari, Joaquin Almunia: "I dati positivi del 2007, migliori delle attese" rappresentano "notizie molto positive e il miglioramento del deficit è assolutamente benvenuto". Se S&P aveva definito "notevoli" i progressi italiani, Almunia ha puntato l'attenzione su un dato "molto buono soprattutto per l'economia italiana e i suoi cittadini" che "aiuterà a gestire in condizioni migliori queste turbolenze finanziarie" e consentirà di "provare a mantenere un tasso di crescita e occupazione adeguato".
Parole che arrivano da un esponente della Commissione non sempre tenero nei confronti dell'Italia, ultima la critica formulata a ottobre su una Finanziaria giudicata "poco ambiziosa" sul fronte della spesa. Un argomento che Almunia vorrà indagare a breve, già nella prossima settimana in cui, annuncia, è in programma un incontro con il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. Un'occasione per fare il punto sulle possibili azioni di Palazzo Chigi in tema di fiscalità: "Spero che mi informi sulle intenzioni del Governo, se ce ne sono", ha dichiarato Almunia.
A Malta, Prodi incassa anche l'ok di Jean-Claude Trichet, presidente della Bce che, rende noto il premier al termine di un colloquio informale fra i due, "ha molto apprezzato il cambiamento a 180 gradi della nostra economia". Anche se, "naturalmente dal punto di vista di un banchiere centrale", Trichet non ha perso l'occasione di ricordare all'Italia la necessità di "stare in guardia rispetto al fenomeno inflazionistico".
Un'ulteriore elemento di preoccupazione condiviso da Prodi e Trichet riguarda "l'incertezza" che regna sui mercati, anche alla luce delle recenti turbolenze finanziarie e all'elevato prezzo del petrolio. Situazioni che potrebbero costringere la Commissione Ue a rivedere nuovamente al ribasso le stime di crescita per il 2008. Dopo il taglio di novembre da +2,6% a +2,2%, il presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, ha infatti spiegato che "la Commissione sta considerando che potremo avere una crescita nel 2008 dell'1,8-1,9%".
Juncker ammette: "Non sappiamo quale sarà l'impatto di ciò che stiamo vedendo" in questi mesi. E se "non ho l'impressione - spiega - che ci sia stato un enorme impatto finora, non sono sicuro che lo possiamo escludere per i mesi futuri". Lo stesso Almunia, rivelando tutta la sua preoccupazione per un euro "ormai vicino ai limiti storici", ha sottolineato l'esigenza di "discutere con i nostri partner su strategie di cooperazione per evitare una eccessiva volatilità". Perché "finora siamo stati in grado di assorbire l'apprezzamento dell'euro e di riceverne qualche effetto positivo", ma ulteriori rialzi della moneta unica potrebbero essere più difficilmente gestibili.
L'unica nota positiva arriva sul fronte dell'inflazione: in questo momento viviamo "una situazione di sofferenza per l'aumento dei prezzi del petrolio e degli alimentari. Speriamo che nel 2008 questi shock esterni si riducano e che l'inflazione a fine anno torni a livelli normali", è l'auspicio di Almunia.
(12 gennaio 2008)
da repubblica.it
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Papa, Prodi: «Chiudiamo questa tensione»
La messa è finita. L’Angelus-arringa della domenica che deve rimettere in pari i conti con la società civile, è ormai concluso da ore. Dal Vaticano cantano vittoria per come è andata la risposta della Chiesa al dissenso espresso da alcuni professori per la visita del Pontefice all’Università La Sapienza. Il sole che ha baciato Roma questa domenica 20 gennaio ha fatto il resto.
Secondo la gendarmeria vaticana erano in duecento mila domenica mattina a piazza San Pietro, e anche il mondo politico ha sgomitato per essere in prima fila tra le braccia del Colonnato del Bernini. Il centrodestra era al completo: i vertici dell’Udc, Casini e Cesa, Cicchitto di Forza Italia, Gasparri, Ronchi e Alemanno di An, Borghezio della Lega.
Ma non manca anche qualche esponente dell’Unione. Non poteva mancare il vicepremier Francesco Rutelli, che chiarisce però che «la politica non c'entra: oggi c'è stato un gesto di riconciliazione, di affetto e di amicizia dei romani verso il Pontefice». C’era come ovvio Clemente Mastella, rammaricato perché «anche mia moglie avrebbe voluto essere qui» e polemico con il premier e il ministro degli Esteri che «avrebbero dovuto chiamare il Segretario di Stato Bertone per scusarsi». Presente anche il vicesegretario del Pd Dario Franceschini, che ha voluto compiere un «atto di solidarietà», perché «le basi di uno Stato laico sono la libertà di parola, di pensiero e delle idee altrui». Ci sono anche i cattolici del Pd, Paola Binetti, Enzo Carra, Pierluigi Castagnetti e Giorgio Tonini. Assente la ministra per la Famiglia Rosy Bindi, che ha detto: «Non ci sarò anche per non essere accomunata a chi, non andando mai a sentire l'Angelus, domani sarà invece presente allo scopo di strumentalizzare».
Non era all’Angelus, ma ha commentato la vicenda, nemmeno il premier Romano Prodi, che invita a spegnere i riflettori sulla vicenda: «Adesso pensiamo a lavorare per il futuro – ha detto da Bologna – a chiudere definitivamente questa tensione, a renderla temporanea come deve essere: un fatto episodico, non una ferita costante». Più amaro il commento del segretario del Prc Franco Giordano che ha provato «una certa tristezza vedere tutto l'establishment politico del centrodestra utilizzare l'Angelus del Papa a fine di polemica politica interna. Così – ha aggiunto – come la perdita di autonomia complessiva di una classe politica che dimostra sempre più un deficit di identità progettuale».
In sostanza quella del Papa è stata una diretta risposta alla contestazione degli studenti: «Come professore, per così dire, emerito che ha incontrato tanti studenti nella sua vita, vi incoraggio tutti, cari universitari, ad essere sempre rispettosi delle opinioni altrui e a ricercare, con spirito libero e responsabile, la verità e il bene».
Ma le polemiche non sono finite. Il comitato NoVat- Facciamo Breccia ha indetto per sabato 9 febbraio una manifestazione nazionale a Roma per denunciare «il crescente restringimento degli spazi di laicità». Ancora critico anche l’Arcigay: secondo il presidente nazionale, Aurelio Mancuso, «è necessario riflettere bene su cosa è accaduto oggi: l'assemblea che sancisce la nascita del clerical party, cui si sono iscritti, senza alcun rispetto per le cariche pubbliche che ricoprono, diversi politici italiani».
Pubblicato il: 20.01.08
Modificato il: 20.01.08 alle ore 18.24
© l'Unità.
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Lo strappo di mastella
Lo sfogo di Prodi: se cado sarà in piedi
Il premier verso la conta alle Camere: voglio vederli in faccia.
Dopo di me? Il voto
ROMA — «Se cado, sarà in piedi. Voglio vederli in faccia mentre mi voteranno contro... ». Serata muscolare. Sanguigna. Un ribollir di umori. Romano Prodi guarda il baratro che si è aperto davanti a lui e si prepara ad affrontarlo. Come ha sempre detto: «Se questo governo deve finire, che siano le Camere a sfiduciarlo. Altri giochetti non sono ammessi, almeno questo risparmiamolo agli italiani...». Oggi il Professore sarà alla Camera.
Ma non per parlare di giustizia: «È finito il tempo delle pezze, una per Mastella, l'altra per Pecoraro Scanio: di pezze si muore...». Appunto. No, sarà a Montecitorio, il premier, per guardare dritto negli occhi i mastelliani dell'Udeur mentre gli votano contro. Per ripetere che dopo di lui, dopo questo governo che per 20 mesi «ha vissuto a dispetto dei santi», ci può essere solo e unicamente il ritorno alle urne: «No a governi istituzionali o a larghe intese: la parola va restituita ai cittadini ». Fine delle trasmissioni, almeno di quelle a banda prodiana. Anche se ancora non c'è l'ufficialità, perché in questa serata da basso impero tutto è troppo convulso per capire, Prodi sa bene che la sua avventura a Palazzo Chigi ha raggiunto l'ultima stazione.
E ne ha parlato a lungo con il presidente Napolitano. La storia si ripete, dieci anni dopo.
Stavolta è Mastella a fare il Bertinotti. Allora fu questione di un voto. Oggi invece lo sfratto è arrivato per lettera. Senza tanti complimenti. Modi spicci, per la serie: fatti più in là. La raccontano così a Palazzo Chigi. Prodi aveva appena finito di incontrare il presidente della Repubblica di Timor Est (che risponde al nome di José Manuel Ramos Hosta) quando alcuni collaboratori gli hanno fatto le leggere le agenzie che annunciavano l'uscita dalla maggioranza dell'Udeur. «Il presidente — racconta chi era con lui — ha letto il dispaccio, ci ha guardati e, senza dire una parola, è rientrato nel suo ufficio». Pochi istanti dopo, un commesso di Palazzo Chigi ha consegnato allo staff del premier la lettera ufficiale dell'Udeur. «Potevamo immaginare qualcosa del genere ma non certo di leggerlo prima sulle agenzie...» è stato l'amaro e inevitabile commento dell'entourage prodiano. E visto che il galateo in politica ha un suo valore, «almeno per Romano», è anche giusto dire che Prodi, il gesto di Mastella, l'aveva messo in conto: quello che invece non si aspettava, «e che l'ha ferito profondamente» dicono i suoi, è stato il modo: «Erano due giorni che Clemente non si faceva trovare da Romano... » raccontano. E Prodi, che le antenne le ha sensibili, «una mossa a sorpresa se l'aspettava».
Come dicono attorno al Professore, cercando di farlo sorridere, «siamo il primo governo che cade perché colpito negli affetti familiari». Dove il riferimento è all'arresto della moglie di Mastella, alla rabbiosa reazione del marito, a quella simbiosi tra partito, famiglia e clan che ha fatto di Ceppaloni un'enclave della politica italiana. Si sente tradito e «ferito», Prodi, dal capo dell'Udeur: «Non mi aspettavo un comportamento del genere. Abbiamo lavorato insieme per quasi due anni, l'ho difeso tante volte, le sue baruffe con Di Pietro erano all'ordine del giorno... La politica, almeno come la intendo io, è fatta anche di rapporti umani ».
Ma ormai è andata. Il filo è rotto. E ora su Mastella piovono parole come proiettili. «È chiaro che si era già accasato — mormorano attorno al Professore —: ha visto che molti dei suoi passavano con il centrodestra e, temendo che gli si svuotasse il partito, ha giocato d'anticipo». È il fantasma di Berlusconi, del mercato della politica, del «complottone» tanto volte evocato durante le battaglie sulla Finanziaria a prendere corpo in questa notte di pensieri cupi, atmosfera da ultima stazione, mentre i grandi capi dell'Unione entrano a testa bassa a Palazzo Chigi per un vertice che dovrà formalizzare la fine di un governo e l'inizio di una fase ancora tutta da costruire.
Ci sarà tempo per le recriminazioni. E per le coltellate. Dietro lo strappo di Mastella c'è la storia di un centrosinistra che, da oggi, non sarà più lo stesso. «Peggio: rischia di non essere più, e basta...» mormorano attorno al Professore. Che, aldilà dell'ottimismo di facciata e della grande tenacia, da almeno 10 giorni sentiva avvicinarsi pericolosi scricchiolii. «Non se ne può più — si è sfogato con i suoi — di questi veti incrociati, un tutti contro tutti che non tiene in alcuna considerazione l'interesse del Paese...». E poi la battaglia sulla riforma elettorale.
Con Veltroni a scuotere l'albero dell'Unione: «Certo non ha aiutato — dicono attorno al Professore — l'ultima sortita sul Pd che va da solo alle elezioni: Mastella non aspettava altro... ». Notte di veleni. E voci in libertà. Qualcuno già ipotizza un Prodi ricandidato in caso di voto anticipato. «Neanche a parlarne, Romano è una persona coerente» tagliano corto a Palazzo Chigi. Perché, a volte, anche i diesel si fermano.
Francesco Alberti
22 gennaio 2008
da corriere.it
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IL PROFESSORE
Prodi: non sgomiterò per un altro incarico
«E' la fine di una stagione politica. Centrosinistra sfilacciato, non sarà più lo stesso»
ROMA — «E bravo Mastella, ce l'ha fatta, bel pasticcio, complimenti...». Uno sbuffo. Un'aggiustatina agli occhiali. E il sigaro in bocca. Attorno a lui, gli amici di sempre: Rovati, Parisi, Ovi, Santagata. Da via del Corso rimbalzano i cori da stadio dei ragazzi di An, che brindano e cantano l'inno di Mameli. I telefoni di Palazzo Chigi squillano in continuazione. «E bravo Mastella, bel colpo...»: Romano Prodi, in una di quelle sere che la Roma politica consegnerà alla storia, assiste in diretta, sprofondato in poltrona, al funerale del suo governo. «Si torna a casa, ragazzi...» sibila prima ancora che al Senato il presidente Marini legga il verdetto finale: 161 a 156. Numeri che il Professore conosce a memoria, se li è sognati per due notti: «L'unica speranza era che Mastella tornasse indietro e allora anche i diniani avrebbero fatto retromarcia, vabbé...». Un incubo, certo. Ma ormai esorcizzato. Stavolta, a differenza del '98, non ci sono Gianburrasca (leggi Parisi) a cui dare la colpa di aver sbagliato i conti: «Stavolta sapevamo tutto da almeno 24 ore. Sono andato al Senato ben consapevole di non avere speranza. Ma dovevo farlo. Chiamatela onestà istituzionale. Chiamatela come volete... Spero solo che l'Italia, o almeno una parte, abbia capito che l'ho fatto per coerenza, per rispetto verso gli elettori e le regole».
Non c'è rabbia, piuttosto un'infinita stanchezza, in questa notte prodiana. Morte annunciata di un governo. Quasi cercata. «Sapendo che molti non capiranno. E altri faranno finta di non capire...». Fine del Prodi Due. Fine del prodismo. «Fine di una stagione politica. D'ora in poi, tutto sarà diverso, il centrosinistra non sarà più lo stesso. E' tutto così sfilacciato...»: il sigaro ancora acceso, il Professore ragiona a voce alta, mentre la Roma dei palazzi guarda al Colle, costruendo il solito Totocalcio attorno alle prossime consultazioni. Un giochino al quale Prodi non intende minimamente partecipare: «Eh no, adesso basta, mi tiro fuori. La mia partita l'ho fatta. E non sarò certo io a sgomitare per avere un reincarico. Spetta ad altri fare il gioco: io non mi metterò di traverso, non farò nulla che possa impedire di trovare soluzioni che consentano di riformare l'attuale legge elettorale». Arriverà, è sicuro, l'onda dell'amarezza personale. Ma per ora c'è solo una grande preoccupazione. «Il destino dell'Italia è appeso a un filo. Andare al voto con questo sistema, con il "porcellum", sarebbe da irresponsabili: bisogna fare qualcosa». Il Professore sa benissimo che proprio alle urne, invece, punta Berlusconi: «Sarebbe un disastro, ricadremmo in quel tunnel in cui mi sono trovato io, che mi ha costretto in questi 20 mesi di governo a mediare in continuazione, un tiramolla estenuante...». Un governo di tregua è la soluzione che il premier dimissionario ha in mente. E di cui ha ripetutamente parlato con il presidente Napolitano, trovando una sponda. «E lì che bisogna arrivare. Io, a questo punto, resto alla finestra. Il Quirinale farà il suo lavoro...».
E' un Prodi a bordo campo. In panchina, diciamo. Una sorta di riserva della Repubblica: «I giochi, in casi come questi, non sono mai chiusi, si sa. Vedremo come andranno le consultazioni». Di più non dice. Ma fa chiaramente capire che, in assenza di alternative e a determinate condizioni, potrebbe anche accettare di essere lui a traghettare il Paese alle urne, con una nuova legge elettorale. Scenari comunque lontani, evanescenti. Neanche particolarmente interessanti per uno che, fino all'altro giorno, ancora credeva «di poter costruire qualcosa di importante per questo Paese». E invece la realtà è che, dopo quasi due anni, il pallino della politica non è più nelle mani del Professore. I giochi si fanno altrove. E il premier, nelle inedite vesti di spettatore, vede attorno a sé orizzonti tutt'altro che incoraggianti. «Una delle cose che mi hanno più rattristato, durante il dibattito al Senato, è stato il clima di scontro che si respira nel centrosinistra » confessa ai suoi. La sinistra radicale contro il Pd. Le correnti del Pd una contro l'altra. L'Unione ridotta a un cumulo di macerie. Spaccati anche sul futuro. Veltroni che non vuole il voto. Di Pietro che lo invoca. «Brutto spettacolo, che mi fa soffrire» mormora Prodi. Che naturalmente un'idea ce l'ha sul perché si è arrivati a questo punto, ma per ora se la tiene per sé. Atmosfera sospesa a Palazzo Chigi. «Ci sarà tutto il tempo per esaminare la situazione...» avvertono minacciosi attorno al premier dimissionario, facendo capire che qualche conto da regolare c'è, soprattutto con il Pd.
Non è affatto piaciuto a Prodi il modo in cui si è mosso Veltroni. «E' chiaro che da quel versante non è arrivato il sostegno che ci aspettavamo...» dicono i suoi, tenendo a freno un'irritazione inevitabilmente destinata a montare. Una tensione che montava da settimane, ma poi esplosa quando Veltroni ha ufficializzato l'intenzione di correre da solo alle elezioni. «Da quel momento, è iniziato il tracollo...» commentano attorno al Professore, convinti che l'accelerazione del sindaco abbia giocato un ruolo non da poco sulla decisione di Mastella di mandare per aria l'Unione e il governo. Il resto l'ha fatto la crisi, con Prodi deciso a morire in Parlamento e Veltroni invece a spingere per le dimissioni. «Non sarà semplice ricomporre i cocci » confessa un prodiano di lungo corso. Notte infinita, mentre fuori anche i ragazzi di An si sono stancati di brindare. La luce del Professore tarda a spegnersi, c'è tanta adrenalina ancora da scaricare: «Stasera qualcosa è finito, ma non mi pento: ho fatto la cosa giusta».
Francesco Alberti
25 gennaio 2008
da corriere.it
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«Non posso certo essere io a guidare un governo istituzionale»
Prodi: «E adesso farò il nonno»
Il premier dimissionario: «Quando si perde, anche per un voto, vuol dire che ha perso lo schema che si aveva»
ROMA - E adesso chissà se alla piccola Chiara regaleranno una nuova maglietta. Quella di due anni fa, con la scritta «nonno for president», oramai le va decisamente stretta. Lei è cresciuta e magari un bel «President for nonno» lo gradirebbe di più, se non altro perché avrebbe più tempo da trascorrere con lui. E del resto Romano Prodi è stato chiaro: «Non sono disponibile ad un reincarico, non posso essere io a guidare un governo istituzionale».
E a chi gli chiedeva che cosa avrebbe fatto dopo l'uscita di scena dalle stanze di Palazzo Chigi ha risposto senza esitazioni: «il nonno».
«HA PERSO TUTTO LO SCHEMA» - Chiara a parte, Prodi ha ammesso con molto realismo che il voto con cui è stato sfiduciato al Senato non può non lasciare il segno. «Io sono andato in minoranza - ha spiegato al termine del vertice del Pd a Sant'Anastasia -. Quando si va di fronte al Parlamento e si perde, anche per un voto, vuol dire che lo schema che avevo ha perso». Prodi è poi tornato sulla decisione di affrontare il voto in aula: «Ho deciso di andare di fronte al Parlamento non, come qualcuno ha detto, per tigna, ma perchè questo è il mio concetto di democrazia. E quindi, non credo di essere io la persona che può adempiere a questo ruolo di creare un governo che ci porti ad una legge elettorale che possa evitare le elezioni immediate».
«NO, IL PORCELLUM NO» - Prodi, in ogni caso, è favorevole come il resto del partito all'ipotesi di un esecutivo di larghe intese che possa portare a compimento almeno la riforma elettorale, perché se si tornasse alle urne con l'attuale legge elettorale, il cosiddetto «porcellum», «riprodurremmo tutte le tragedie italiane e la frammentazione politica di oggi». Non ha voluto però sbilanciarsi, il Professore, sul nome di un possibile candidato alla guida di un governo istituzionale, evitando di commentare anche l'ipotesi Gianni Letta con cui qualche cronista ha provato a stuzzicarlo: «Decide il presidente della Repubblica», è stata la sua laconica risposta. Identico abbotonamento di fronte alla domanda su eventuali altri «papabili»: «Vi posso assicurare che non si è assolutamente parlato di nomi. Si è parlato di disegni politici e di formule».
«PERIODO BELLISSIMO» - Prodi sembra dunque pronto ad uscire di scena, almeno temporaneamente. Prima di partecipare al summit del Pd aveva spiegato sorridendo che questi venti mesi a Palazzo Chigi sono stati «un periodo bellissimo». E adesso? «Ora andiamo avanti».
25 gennaio 2008
da corriere.it
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