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Autore Discussione: Walter BONATTI, leggenda della montagna.  (Letto 5694 volte)
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« inserito:: Settembre 14, 2011, 11:54:19 am »

Cronache

14/09/2011 - LUTTO NEL MONDO DELL'ALPINISMO

Addio Bonatti, leggenda delle vette

Walter Bonatti era nato a Bergamo nel 1930 Scalatore e reporter aveva ottantuno anni

E’ morto Walter Bonatti, leggenda della montagna.

Nato a Bergamo nel 1930, nel 1954 ha partecipato alla prima spedizione italiana sul K2, insieme ad Ardito Desio, Achille Compagnoni e Lino Lacedelli.

Una spedizione controversa, seguita da una scia di polemiche che non si spegneranno fino al 2004, l’anno in cui il Cai certifica ufficialmente la versione di Bonatti.

Nominato Cavaliere di Gran Croce nel 2004 da Carlo Azeglio Ciampi, restituisce l’onoreficenza.

da - http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/420167/
« Ultima modifica: Settembre 15, 2011, 10:25:21 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Settembre 15, 2011, 10:24:59 am »

L'INTERVISTA-RACCONTO INEDITA

«Lavoravo alla Falck e scalavo di notte» Bonatti e la sua vita sulle montagne

Il ricordo del K2: «Mi hanno abbandonato senza coperte e senza cibo. Ce l'ho fatta ma il mio carattere è cambiato»


MILANO - I miti erano: Gesù Cristo come Dio, il re dell'Italia, il Duce dell'Impero. Arrivo a Piazzale Loreto, s'è girata la baracca. Vedo il Duce appeso come un maiale. Il Re è scappato, la guerra perduta. Cristo un'ipotesi. Avevo quindici anni, mi affacciavo alla vita in un mondo disfatto, senza prospettive e con gli ideali infranti. C'erano le montagne. Roccia. Ho cominciato con l'alpinismo. Quando si è su una montagna legati per la vita e per la morte si deve essere sinceri con se stessi. Perchè i conti con gli altri puoi sempre farli tornare. Ma in montagna due più due fa quattro. Con questa disciplina dentro mi è venuta voglia di conoscere il mondo. Ma non da città a città. Il mondo vero, concreto. Bastavano cinquanta chilometri, da Monza alle valli di Bergamo. Andavo in montagna ma non sapevo esattamente cos'era. Rispondevo a una necessità. Ero un animaletto, affascinato da questa gente che si appendeva nel vuoto. Quasi un miracolo.

Stavo delle ore sotto la Grigna a vedere come facevano. Poi andavo su un masso, provavo anch'io. Dopo, quando ero già Bonatti, tutti han detto che erano miei maestri. Ma io li avevo guardati, e basta. Imparavo da solo. Lavoravo alla Falck, ero in reparto in attesa di passare contabile. Mi sembrava umiliante. Ma non perchè era una manovalanza pesantissima. Da una parte avevo la natura, avevo la libertà. Dall'altra la costrizione senza limiti di una società che mi offriva solo delusioni e massacri. Io dormivo sul balcone, per abituarmi al freddo. Alla domenica, dopo il turno di notte, chiedevo un'ora di permesso. Prendevo il treno per Lecco, alle cinque. Poi il tramvai fino a Malavedo. Scalate su scalate. Tornavo giù alla sera cotto. Il lunedì alle sei ero già lì per il primo turno. Quando mi han passato agli uffici ho capito che dovevo tagliare i ponti. Per la gente ero un lazzarone che non aveva voglia di lavorare. Dicevano: ma sei matto? Lasci un posto alla Falck? Io il posto ce l'avevo già. Tutto quello che si fa nella vita è un gioco. Ma le regole vanno rispettate, altrimenti non hai riferimenti, non puoi misurarti nel bene e nel male. Non sei nessuno neanche per te stesso.

C'era amicizia in montagna. Per me c'era da dare anche la vita per un amico. Portavo ossigeno per i miei compagni, a ottomila metri. Facevo miracoli, perchè volevo che ce la facessero a scalare il K2. Hanno avuto paura che fossi più forte di loro. Mi hanno abbandonato sulla montagna senza niente da mangiare, niente da coprirmi. Fossi arrivato alla tenda del nono campo con quello che avevo fatto, uno di loro doveva cedermi il passo. Adesso si fanno delle cure preventive, si può resistere a ottomila metri. Ma nel 54 senza ossigeno si moriva. Io mi sono rifiutato. Sembra retorica ma è così. Mi sbattevo, contavo le dita, dovevo stare sempre vigile. Ce l'ho fatta, ma il carattere è cambiato totalmente. Verso la montagna non avevo nessun rancore. Ce l'avevo verso gli uomini. Mi sono chiuso in me stesso, sono diventato diffidente. Era l'orecchia in un libro, una cosa che non si cancella più. Ma era anche la mia regola. Dru, Poire, Pilastro Rosso, Bianco, Gasherbrum, Rondoy, Grandes Jorasses, quasi tutto da solo. Però per me cima era uguale a Cervino, da sempre. Dopo che ho fatto l'invernale sulla parete Nord ho sentito che potevo cambiare. Dicevano che avevo rischiato troppo. Che avevo tenuto l'Italia col fiato sospeso. Ma il rischio era calcolato. Sì, c'è sempre la sopresa. Ma all'imponderabile negativo che è la sfortuna corrisponde la fortuna. Sono due parentesi, e in mezzo ci siamo noi.

Ai miei tempi i giovani leggevano London, Defoe, Melville, Stevenson. Si sognava su queste avventure. I personaggi dei loro libri non mi hanno mai abbandonato. Ho cercato di dare materia alla fantasia. Sono stato nei posti di Jack London, nel grande Nord americano. Ho imparato ad andare in canoa e sono sceso dal Canada fino all'Alaska. Ho capito che prima di essere romanzieri erano dei fotografi. Con Melville sono andato nelle isole Marchesi. Avevano detto che s'era inventato delle storie. Invece si sono aperte le nebbie, ho visto tre salti d'acqua. Mi sono orientato. Era tutto vero. Con Defoe ho cercato l'isola di Robinson Crosue, e ho dormito nella sua grotta. Con Cecov sono stato in Siberia. Nello Yukon non ho trovato nessuno. In Africa, nessuno. Ero lì e dicevo: potrei incontrare Stanley. La realtà è il cinque per cento della vita. L'uomo deve sognare per salvarsi.

Testo raccolto da Giorgio Terruzzi e Edoardo Erba
14 settembre 2011 12:18© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/11_settembre_14/bonatti-terruzzi-intervista-racconto_abe4664c-deba-11e0-ab94-411420a89985.shtml
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« Risposta #2 inserito:: Settembre 15, 2011, 10:27:03 am »

Dall’archivio del Corriere della Sera / 4 agosto 1954

Buzzati e la conquista del ’54 «Quegli eroi stravolti dalla fatica»

Walter Bonatti faceva parte della squadra


Hanno vinto! Da parecchi anni gli Italiani non avevano avuto una notizia così bella. Anche chi non si era mai interessato d’alpinismo, anche chi non aveva mai visto una montagna, perfino chi aveva dimenticato che cosa sia l’amor di patria, tutti noi, al lieto annuncio, abbiamo sentito qualche cosa a cui si era persa l’abitudine, una commozione, un palpito, una contentezza disinteressata e pura. E con la fantasia abbiamo cercato di vedere i due vittoriosi sul pinnacolo ultimo del colosso diecimila volte più grande di loro, e i compagni appollaiati sugli spalti della ciclopica parete, simbolo minuscolo di un esercito schierato in profondità per la battaglia decisiva: tutti bravissimi, tutti degni di essere citati all’ordine del giorno del Paese.

IL TRIONFO - «Gloria», «trionfo» sono le parole che gli Inglesi, per cui l’antiretorica è legge nazionale, hanno adoperato senza risparmio l’anno scorso quando venne vinto l’Everest. Perché oggi non dovremmo usarle noi? E poi, una invidia immensa: ecco il sentimento che abbiamo provato all’idea di quei due uomini in cima alla seconda vetta della Terra: così come quando, da bambini, si invidiavano gli eroi che sconfiggevano i draghi e gli orchi delle fiabe. Sublime è un vocabolo rischioso, a cui ricorrere solo nelle occasioni eccezionali. Eppure non ci resta altro per definire ciò che sicuramente è avvenuto nell’animo degli alpinisti in quell’ora memorabile. Guardateli: spossati dalla fatica sovrumana, imprigionato il volto dalla maschera d’ossigeno che dà la vita ma è anche un tormento, infagottati dai giacconi imalaiani gonfi di piuma, simili a due goffi fantocci che, esaurita la carica, si muovono al rallentatore, già in preda forse alle misteriose allucinazioni degli ottomila metri, ridotti quasi a un pallido ricordo di se stessi, costretti a risparmiare anche i minimi movimenti, ché lassù semplicemente alzare un braccio costa un estenuante sforzo, all’ultimo confine delle risorse fisiche, oltre il quale c’è la morte. Ma ora pensate alla tremenda felicità che deve aver sopraffatto i loro cuori: quella suprema solitudine, sparita l’ossessionante sagoma che da mesi incombeva su di loro, più nulla al disopra tranne il cielo, e tutto intorno, fino a perdita d’occhio, lo sterminato arcipelago del Karakorum, ghiacciai inesplorati, catene gigantesche, vitree cattedrali, picchi paurosi, tutti, assolutamente tutti più bassi di loro.

Dino Buzzati

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14 settembre 2011 16:16© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/cronache/11_settembre_14/buzzati-articolo-edizione-54_2fd1b276-deba-11e0-ab94-411420a89985.shtml
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« Risposta #3 inserito:: Settembre 15, 2011, 10:28:36 am »


È morto Walter Bonatti

Scompare a 81 anni una delle più grandi leggende dell'alpinismo italiano e mondiale

   
MILANO - L'Italia dice addio a una leggenda dell'alpinismo: è morto Walter Bonatti. Lo riferisce in una nota l'editore Dalai.
La salma sarà trasportata a Lecco dove sabato e domenica verrà allestita la camera ardente. Scalatore, giornalista e scrittore di fama, Bonatti aveva 81 anni ed è morto per una malattia

LA CARRIERA ALPINISTICA- Nato a Bergamo il 22 giugno del 1930 aveva diciotto anni Bonatti quando compì la sua prima scalata sulla Grigna, la montagna più amata. In quindici anni di carriera alpinistica conquistò cime e aprì nuove vie e osò spingersi dove nessuno aveva neppure voluto pensare. Scalava dove gli altri si erano fermati. Fulminea la sua carriera. Nel 1951 conquistò la Est del Grand Capucin, nel cuore del Monte Bianco; nel 1954 partecipò alla spedizione del K2. nel 1955 il pilastro ovest del Dru in solitaria; nel 1957 la prima via sul Pilier d'Angle sul Bianco; nel 1959 il Pilastro Rosso di Brouillard e prima solitaria della via Major alla Brenva, sempre sul Monte Bianco; nel 1962 aprì la seconda via sul Pilier d'Angle e il tragico tentativo del Pilone Centrale, il sesto grado più alto d'Europa; nel 1963 la prima invernale alla Walker sulle Jorasses. Diede l'addio all'alpinismo estremo nel 1965 con una nuova via in solitaria invernale sulla Nord del Cervino. Imprese che hanno fatto la storia dell'alpinismo mondiale, compiute spesso in solitaria, con la fantasia, la tenacia e l'entusiasmo che hanno il sapore di qualcosa di epico. Non a caso Buzzati scriveva che se Bonatti fosse vissuto ai tempi di Omero le sue imprese sarebbero state raccontate con un grande poema.

LA TRAGEDIA DEL MONTE BIANCO - È certamente il Monte Bianco la montagna che lo ha reso più famoso, ma fu anche teatro della sua scalata più tragica, il tentativo al Pilone Centrale, dove morirono diversi alpinisti, tra i quali l'amico fraterno Andrea Oggioni. A soli 120 metri dalla cima la cordata fu investita da un'improvvisa bufera. Dopo giorni di bivacchi al gelo e tentativi di soccorsi tornarono indietro, stremati, solo in tre. Accorsero a Courmayeur i giornalisti ed forse per la prima volta i media posero l'attenzione sulle tragedie in montagna con le dirette senza sosta di Emilio Fede.

LA VICENDA DEL K2 - Il nome di Walter Bonatti è comunque legato soprattutto alla lunghissima polemica sulla conquista del K2. Nel 1954, a 24 anni partecipa alla spedizione italiana capitanata da Ardito Desio sullla seconda montagna più alta del mondo. Una spedizione che porterà in cima Achille Compagnoni e Lino Lacedelli. Il giorno prima, Bonatti, il più giovane della spedizione, scende al campo inferiore per recuperare le bombole di ossigeno e quando torna scopre che il nuovo campo, a sorpresa, è stato allestito 250 metri più in alto. Bonatti ci arriva solo poco prima del tramonto, ma Compagnoni e Lacedelli si limitano a suggerire da lontano di lasciare l'ossigeno e tornare indietro. Vista l'impossibilità della cosa, Bonatti e il portatore Mahdi trascorrono la notte a -50 °C, senza alcun riparo, tornando al campo solo all'alba. Mahdi, semiassiderato, subisce l'amputazione di numerose dita. A causa di un contratto Bonatti non può parlare dell'accaduto per due anni e lo farà solo nel 1961 nel libro «Le mie montagne». Soltanto nel 2004 la commissione d'inchiesta del Club Alpino Italiano riconosce la versione di Bonatti. «A cinquantatrè anni dalla conquista del K2 - scriverà Bonatti - sono state finalmente ripudiate le falsità e le scorrettezze contenute nei punti cruciali della versione ufficiale del capospedizione Ardito Desio. Si è così ristabilita, in tutta la sua totalità, la vera storia dell'accaduto in quell'impresa nei giorni della vittoria»

LE ALTRE AVVENTURE - Le imprese di Bonatti non si limitano alla montagna: negli anni Sessanta viaggia lungo l'Alto Orinoco, con due spedizioni va alla ricerca delle sorgenti del Rio delle Amazzoni, viaggia a Sumatra per studiare il comportamento della tigre al cospetto dell'uomo, nelle Marchesi ripercorre nella giungla il viaggio di Melville quando era scappato dalla baleniera su cui prestava servizio, ed era poi stato prigioniero dei cannibali, e riesce a provare la veridicità di tale storia. Sono degli anni Settanta le spedizioni in solitaria a Capo Horn, lungo 500 chilometri di fiordi della Patagonia, lungo il corso del fiume Santa Cruz, in Congo, in Guyana e Antartide. Sempre raccontando tutto in libri e reportage pubblicati dal settimanale Epoca che ne hanno reso famoso il suo amore per la natura e l'avventura.

I RICONOSCIMENTI - Walter Bonatti nel 2004 ricevette dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il titolo di Cavaliere di Gran Croce. Alla cerimonia di premiazione, il 21 dicembre 2004 al Quirinale, l'alpinista scoprì di essere stato premiato insieme ad Achille Compagnoni, il primo a salire sul K2 (con Lino Lacedelli), di cui aveva una pessima opinione dopo le aspre polemiche relative all'ascensione sul colosso pakistano. Con una lettera al Segretario Generale della Presidenza della Repubblica del 25 dicembre 2004, Bonatti restituì quindi l'onorificenza. Nel 2009 fu premiato con il «Piolet d'Or» alla carriera e al pubblico disse: «La montagna mi ha insegnato a non barare, ad essere onesto con me stesso e con quello che facevo». L'estate scorsa gli fu conferita la cittadinanza onoraria del Monte Bianco (unico ad averla) in una cerimonia avvenuta sulla terrazza dei ghiacciai di Punta Helbronner, alla presenza dei sindaci di Courmayeur e Chamonix.

LE REAZIONI- Reinhold Messner ricorda il suo amico, per il quale nel giugno di un anno fa aveva organizzato una festa per l'80/o compleanno. «Bonatti è stato uno degli alpinisti più grandi della storia, l'ultimo alpinista tradizionale, fortissimo in tutte le discipline. Walter era però soprattutto una bellissima persona, tollerante e amorevole». E aggiunge: «Walter ci lascia un grande testamento spirituale, quello di un uomo pulito che per le vicende accadute sul K2 è stato calunniato per 50 anni, ma alla fine tutti gli hanno dovuto dare ragione

Cristina Marrone

14 settembre 2011 16:47© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/cronache/11_settembre_14/bonatti-walter-morto_53177b3c-dea9-11e0-ab94-411420a89985.shtml
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« Risposta #4 inserito:: Settembre 15, 2011, 10:29:32 am »

Smentita la tesi di Desio

«Caso K2»: Bonatti riabilitato dopo 54 anni

I tre saggi del Cai: non utilizzò l' ossigeno di Compagnoni e Lacedelli


MILANO - Dopo ben 54 anni la storia del K2 viene riscritta. Le cose non sono andate come ci erano state raccontate da Ardito Desio, il capo della spedizione italiana alla seconda montagna del pianeta. La versione ufficiale dell' ultima parte della salita dal campo VII in su è invece quella messa a punto dai tre saggi, Fosco Maraini, Alberto Monticone e Luigi Zanzi, espressamente nominati dal Club Alpino Italiano nel febbraio 2004. Cosa accadde lassù, a oltre 8000 metri, nella zona della morte, tra il 30 e il 31 luglio 1954?

Gli elementi di novità acquisiti dall' expertise sono esplicitamente sottolineati da Annibale Salsa, presidente generale del Cai, in una nota che apre il volume nel quale la relazione viene finalmente pubblicata: K2, una storia finita a cura di Luigi Zanzi (Priuli&Verlucca, 144 pp., 12 ). A Walter Bonatti e all' hunza Mahdi viene finalmente riconosciuto un ruolo cruciale nella conquista del K2. Diversamente da quanto inizialmente sostenuto, la salita alla cima venne compiuta da Lacedelli e Compagnoni con l' uso dell' ossigeno recato dai compagni. Essi spostarono del tutto arbitrariamente il campo più in alto di circa 250 m rispetto al punto fissato (da 7900 m a 8150 m), in una zona invisibile, al di là di un' impegnativa traversata rocciosa.

Il nuovo sito era difficilmente raggiungibile da Bonatti e dall' hunza Mahdi, incaricati di portare a quella quota le bombole d' ossigeno per il balzo finale agli 8616 m della vetta. L' inspiegabile carenza di comunicazioni tra Compagnoni-Lacedelli e Bonatti-Mahdi costrinse questi ultimi a bivaccare di notte nella tempesta a circa 8150 m d' altitudine, con gravissimo rischio per le loro vite. Vittima di accuse infamanti, Bonatti si era battuto fin d' allora anche nei tribunali per ottenere il riconoscimento della sua verità.

A quattro anni dal cinquantesimo anniversario della conquista dell' unico ottomila raggiunto in prima ascensione dagli italiani, per lui questo è un risultato importantissimo. Ma già Messner nel 2004 aveva affermato che, se la conquista del K2 ha il proprio padre in Ardito Desio, ha certamente il secondo padre in Walter Bonatti. Grazie alla pubblicazione della relazione, si mette fine allo strascico di polemiche, accuse, processi e figuracce seguiti a una scalata che voleva essere il simbolo del riscatto del nostro paese dopo l' umiliazione del fascismo e della guerra. Solo ora la storia della nostra conquista del K2 può dirsi davvero finita. Al Cai il merito di avere avuto il coraggio di smentire, sia pure dopo mezzo secolo, la versione di Desio, ripristinando finalmente la verità storica.

Franco Brevini

20 novembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/09_novembre_20/lacedelli-k2-brevini_0f84f9ee-d5b9-11de-a0b4-00144f02aabc.shtml?fr=correlati
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« Risposta #5 inserito:: Settembre 18, 2011, 04:38:12 pm »

L'altra avventura, quella dell'uomo

Andrea Casalegno - 18 settembre 2011


Era un periodo difficile della sua vita. Concluse sia l'epopea dell'alpinismo estremo, che l'aveva reso celebre nel mondo, sia la straordinaria esperienza, che Walter si era inventato, del giornalismo di esplorazione e di avventura, che l'aveva rivelato al grande pubblico, Walter si sentiva, non per la prima volta, gravemente depresso. Alcuni amici, per tirarlo un po' su, gli portarono a casa un rotocalco in cui una bellissima attrice, Rossana Podestà, rispondeva a un giornalista che le aveva domandato che cosa le sarebbe piaciuto fare, a parte l'attrice, naturalmente. Rossana aveva risposto così: «Portare le macchine fotografiche a Walter Bonatti».
Poteva finire tutto con una risata, o con un'alzata di spalle. Invece Walter non fece commenti, ma pensò tra sé e sé che forse tra lui e quella donna sconosciuta esisteva un'affinità reale, una misteriosa consonanza di visione del mondo e della vita.
Walter cercò Rossana, e non fu per nulla facile trovarla. Ma alla fine, tenace come sempre, ci riuscì, e cominciò una delle storie d'amore più belle che io abbia mai conosciuto, che per una parte non è certamente finita.
Chiedo scusa ai lettori ai quali è già nota. Ma Betta, mia moglie, e io l'ascoltammo dalla viva voce dei protagonisti, e dall'averla raccontata su queste colonne, con il prima e il dopo, nacquero una vera amicizia e poi la collaborazione di Walter alla Domenica del Sole 24 Ore. Gli articoli, bellissimi, che Walter vi scrisse non aggiungono nulla alla sua fama, ma sono per noi del Sole un tesoro prezioso. Così come siamo fieri di essere stati i primi a divulgare, nel 1994, la lettera aperta di alpinisti, studiosi e amici della montagna che chiedevano alle autorità del Cai, il Club alpino italiano, di rettificare ufficialmente la versione scorretta sulla conquista del K2 di quarant'anni prima.
Incontrammo più volte Walter e Rossana, anche perché le case al mare di Betta e Rossana non erano molto lontane. Potemmo approfittare addirittura dell'alpinista Bonatti, che sulle rocce dell'Argentario, a picco sul mare, aveva tracciato un percorso per ragazzi, abbastanza lungo e del tutto sicuro, rivolto ai figli di Rossana e ai loro amici. Così mio figlio Nicola e il suo amico Pietro, allora quindicenni, e io stesso, possiamo dire di essere stati in cordata con Walter Bonatti.
Aperto, affettuoso, sorridente, disponibile, questo era Walter con gli amici nella terza parte della sua vita, che non lascia più spazio a grandi imprese (anche se il viaggio in Patagonia e altre emozionanti avventure non furono affatto un gioco da ragazzi per Rossana), se lasciamo da parte la grande impresa, che non è alla portata di tutti, anche se è meno esclusiva della continua sfida alla morte degli anni Cinquanta e Sessanta, di costruire con una grande donna una bella vita di coppia e un'armoniosa vita familiare.
Questo è l'unico Walter che conosco per esperienza diretta. L'altro l'ho incontrato, come ogni lettore, sulle pagine dei suoi libri. Bonatti è uno scrittore schietto ed efficace, che sa sempre che cosa vuol dire e come dirlo. Grande narratore, ha difeso la natura sostenendo in modo inflessibile che bisogna affrontarla con mezzi leali, cioè senza trucchi ma con rispetto, amore e soprattutto una piena conoscenza di sé.
Aver conosciuto questo Walter mi consente oggi di sentire lo smarrimento che prova chi non vedrà più quel sorriso che gli illuminava tutto il volto, non sentirà più quella voce, non stringerà più quella mano.
Certo, non era facile affrontarlo quando, in una controversia, sentiva messo in gioco il suo valore supremo: la verità. Nei cinquant'anni di lotta per ottenere giustizia nella vicenda del K2 fu di un'intransigenza che gli venne spesso rimproverata; fino a scrivere al presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, per deplorare che le celebrazioni nazionali per i cento anni di Ardito Desio non ricordassero i torti e le falsificazioni del comandante della spedizione del 1954. Ma nel merito aveva ragione, come tutto il mondo alpinistico sapeva da tempo. E alla fine ottenne giustizia, anche se forse non così completamente come avrebbe desiderato.
Grande in tutti i sensi, e soprattutto come uomo: questo era, questo è Walter Bonatti. Oggi la campana suona davvero per tutti, e anche per le sue montagne.

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