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Autore Discussione: GARETH EVANS L'Australia e la partita vinta contro il razzismo  (Letto 1959 volte)
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« inserito:: Agosto 10, 2011, 11:50:27 am »

10/8/2011

L'Australia e la partita vinta contro il razzismo

GARETH EVANS*

Qualche settimana fa in Australia, un giocatore della massima lega di calcio è stato multato, sospeso e pubblicamente rimproverato sui mezzi di informazione. Quello che colpisce di questa storia è il motivo per il quale questo professionista del pallone è stato sanzionato e redarguito in maniera tanto severa dalla società civile. A suo carico non c’era la solita entrata in scivolata da cartellino rosso, l’ennesimo insulto all’arbitro o la classica partita venduta nell’ambito di un giro di calcio-scommesse. La pietra dello scandalo è stata di ben altro genere, ovvero un insulto rivolto a un avversario. Un avversario di origini nigeriane, contro il quale aveva inveito ricorrendo a epiteti razzisti.

Solo alcuni giorni prima un altro giocatore aveva rivolto insulti discriminatori nei confronti di un collega di origini sudanesi: cacciato dal campo di gioco è stato interdetto da ogni manifestazione calcistica sino al compimento di un percorso riabilitativo.

Fino a qualche anno fa, in Australia, come nel resto del mondo, questo tipo di incidenti sarebbero passati quasi in sordina, immuni da ogni sanzione. Non erano considerate cose serie, ma forme espressive riflesso del clima calcistico, con i giocatori pronti a fronteggiarsi come gladiatori nell’arena infiammati dal tifo sugli spalti.

Un famoso giocatore degli Anni Novanta era solito dire: «Faccio apprezzamenti di carattere razzista ogni settimana, mi aiuta a vincere le partite». E gli spettatori non erano da meno: «Cantiamo “nero bastardo” ma non vogliamo certo intendere questo, è solo un modo per sfogarci ed esprimere il nostro stato d’animo».

E tutto questo accadeva in un Paese che, almeno dal punto di vista istituzionale, si era da tempo lasciato alle spalle il proprio passato razzista. Le famose politiche sull’immigrazione ispirate all’«Australia bianca», furono abbandonate alla fine degli Anni Sessanta, mentre negli Anni Settanta fu emanata una severa legislazione anti-discriminatoria e compiuti innumerevoli sforzi in termini di concessioni e programmi sociali per risarcire le popolazioni locali, aborigene e delle isole di Torres Strait, dei danni e le ingiustizie subite.

Gli episodi di razzismo verbale, ovvero apprezzamenti denigratori pronunciati da persone appartenenti ad etnie o nazioni diverse, sia sul posto di lavoro o addirittura a tavola durante una cena in famiglia (ricordo in maniera lucida quello che ha significato crescere negli Anni Cinquanta) sono divenuti assai meno frequenti nella vita privata dei cittadini australiani, e del tutto assenti in quella pubblica dagli Anni Novanta. Ma lo sport è qualcosa di diverso. In quel contesto è come dar sfogo al proprio temperamento, non importa se si applaude o si urlano dei «boooo»; si tratta semplicemente di una tattica legittima, non differente dal punzecchiare un avversario mettendone in dubbio la virilità.

Quella impostazione e quel comportamento sono iniziati a cambiare grazie alla campagna promossa da un giocatore di calcio dell’Aboriginal Australian Rules, Nicky Winmar, uno dei pochi giocatori aborigeni che allora militavano nella lega di calcio professionista. Nel 1993 ne ha avuto abbastanza. È protagonista di una prestazione formidabile, decisiva per vincere l’incontro, nonostante per tutto la partita sia bersagliato dal pubblico con epiteti razzisti. Così al termine dell’incontro si rivolge ai tifosi della squadra avversaria alzando la maglia con una mano e puntando l’altra al petto.

La dichiarazione è chiara: «Sono nero ed orgoglioso di esserlo». La richiesta di un intervento deciso per stroncare le derive razziste nello sport nasce proprio da questo episodio e dagli abusi subiti in campo due anni dopo da un’altra star aborigena, Michael Long. Tanto da spingere la Lega calcio australiana a introdurre nel 1995 un codice di condotta dal titolo «Diffamazione religiosa e razziale», contenente procedure conciliatorie, severe misure punitive e programmi rieducativi.

Il codice è stato determinante nel depurare il calcio australiano dalle contaminazioni razziste che hanno reso la vita miserabile a molti giocatori discendenti dalle popolazioni indigene, la cui presenza agli alti livelli del calcio giocato si è più che raddoppiato nell’ultimo decennio. Il codice è stato adottato in ogni tipo di competizione calcistica organizzata entro i confini nazionali ed è stata un importante esempio per altri sport in Australia e nel resto del mondo. Ad esso si sono ispirate le direttive anti-razziste adottate dalle autorità calcistiche internazionali, Fifa e Uefa (anche se talvolta la loro reale applicazione ha lasciato a desiderare).

A lungo inoltre in Australia si sono nutriti dubbi sull’impegno dimostrato al di fuori dei confini nazionali per condannare la diffamazione a sfondo razzista, in qualunque contesto e da parte di chiunque. Senza dubbio c’era un considerevole attaccamento sentimentale agli sportivi e alle sportive aborigeni, e in generale nei confronti delle popolazioni indigene dell’Australia, nel discorso pronunciato nel 2008 dal primo ministro Kevin Rudd da titolo «Scuse alla generazione rubata». Ma questo sentimento può essere esteso a quelle persone di origini africane e di altre etnie che sono diventati sempre più numerosi e visibili in Australia?

I segnali giunti nelle ultime settimane indicherebbero che la storia sta quantomeno facendo il suo corso. La notizia di abusi di carattere verbale subiti dal giocatore di origini nigeriane come da quello di origini sudanesi ha generato una condanna autentica, chiara e visibile da parte dell’opinione pubblica, creando un senso di vergogna non solo per chi ne è stato autore ma per l’intero Paese. Per un australiano della mia generazione è un fatto del tutto nuovo e assai gradito. E c’è inoltre ogni motivo per sperare e credere che la nostra esperienza stia acquisendo una rilevanza universale.

*Ex ministro degli Esteri australiano ed esponente del Partito laburista
da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9078
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