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Autore Discussione: Andrea Camilleri: la mia prima recensione sulla Stampa  (Letto 2697 volte)
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« inserito:: Novembre 01, 2010, 12:08:43 pm »

Cultura

01/11/2010 - INTERVISTA

Andrea Camilleri: la mia prima recensione sulla Stampa

«Tuttolibri fu il primo giornale ad occuparsi di me»

MARCELLO SORGI

Anticipiamo la versione integrale dell'intervista video ad Andrea Camilleri, realizzata per il numero speciale di Tuttolibri su iPad


ROMA

Andrea Camilleri, Tuttolibri compie 35 anni e tutto, attorno a questo che è stato il primo settimanale di recensioni, è cambiato. Di libri si parla in tv, per radio, su Internet e il 2010 potrebbe essere l'anno della diffusione di massa degli e-book, i libri non stampati che si ricevono sulle tavolette elettroniche. Le piace o l'inquieta ciò che sta accadendo?
«Sono molto affezionato a Tuttolibri e mi ricordo bene il primo numero. La Stampa e il Corriere della Sera li leggevo da tempo, ogni giorno, le terze pagine, più che le notizie. Nel'75 ero un'aspirante scrittore in cerca di pubblicazione. Avevo scritto il mio primo romanzo nel '68 ed avrei dovuto aspettare fino al '78 per trovare un editore: dieci anni di sistematici rifiuti! Tuttolibri, con un bell'articolo di Ruggero Iacobbi, fu il primo a recensirmi. Lei vuol sapere se il cambiamento mi preoccupa. No, a me le novità in genere piacciono».

E' mutato completamente il rapporto tra scrittori, media, società e politica. E di conseguenza, il rapporto tra scrittori e lettori.
«E' vero. Prima, forse la partecipazione del lettore rispetto allo scrittore era più autentica, perché meno esplicita. Non c'era la mania delle copie autografate e dell'esposizione mediatica degli autori. C'era più rapporto umano tra le pagine scritte da quell'autore che sceglievi come tuo autore. A conti fatti, non credo che in tutto questo tempo sia molto aumentata la quantità dei lettori. E' cresciuta piuttosto l'informazione sugli scrittori».

Infatti, si sa tutto di loro, di voi. Se torniamo al '75, l'anno della morte di Pasolini, era completamente diverso. Pasolini era uno degli intellettuali più conosciuti, scriveva sulla prima pagina del Corriere, era anche un famoso regista cinematografico: ma per molti, la sua morte coincise con la scoperta che fosse omosessuale e che ad ucciderlo fosse stato un ragazzo con cui si accompagnava.
«Non è che Pasolini nascondesse la sua omosessualità: solo che il sistema dell'informazione non se ne occupava. Del resto, cosa si sapeva di Moravia, a parte il fatto che fosse stato sposato con Elsa Morante e si fosse poi risposato con Dacia Maraini? Non c'era la sovrapposizione che c'è oggi tra la personalità di un autore, la sua vita privata e quel che scrive. Oggi puoi pensare di aver letto uno scrittore che conosci, ma magari non hai letto, solo perché l'hai sentito parlare in tv del suo ultimo romanzo!».

Vedere Sciascia in un talk-show televisivo sarebbe stato impensabile.
«Assolutamente, ma dipende anche da com'era fatto Sciascia. Credo che Leonardo abbia imparato a parlare a 40-45 anni. Prima, bofonchiava, o si esprimeva al meglio con i suoi famosi silenzi. E il silenzio, si sa, è la cosa più difficile da mandare in onda».

Lei invece per anni è stato ospite fisso al Maurizio Costanzo show, seduto accanto a maghi, ballerine, casi pietosi e leader politici. Dica la verità, Camilleri: non s'è mai sentito in imbarazzo?
«Mai. Le assicuro. Di quel genere d'imbarazzo da intellettuali di cui lei parla non ricordo di aver mai sofferto, perché non mi sento proprio un intellettuale. La compagnia eterogenea del Costanzo show mi piaceva e mi interessava perché sono curioso: trovarmi accanto a una ballerina o a un astrologo era un modo per conoscere gente».

Questa è l'unica cosa che non è cambiata: gli scrittori che scrivono sui quotidiani. Nel '75 Moravia e Pasolini scrivevano sul Corriere, Sciascia sulla Stampa, Calvino l'anno dopo avrebbe cominciato a collaborare con la Repubblica.
«Non credo che uno scrittore sia in grado di far cambiare idea a un lettore. Ma di offrire un punto di vista originale, un angolo in cui sistema la sua macchina da presa».

Invece, a parte lei e pochi altri, la diffidenza degli scrittori per la tv e i nuovi media resiste ancora.
«Sempre meno, direi. E per fortuna: nel mondo letterario c'è ancora questo retaggio, che personalmente non apprezzo, che se uno scrive per tanti e vende molti libri, in fondo, non è un vero letterato, come se la letteratura dovesse restare patrimonio per pochi. Invece io immagino noi scrittori un po' come i cantastorie che vedevo da ragazzino in Sicilia: se quando smettevano di cantare e raccontare, e giravano con la coppola per chiedere un compenso, il cappello si riempiva, vuol dire che erano stati bravi».

E secondo lei cosa motiva ancora questi, sia pure residuali, atteggiamenti elitari?
«E' sicuro che gli scrittori facciano ancora tante resistenze per accomodarsi davanti alle telecamere? Non mi sembra. Ricordo tanti anni fa, quando Ettore Bernabei dirigeva la Rai e mandò Angelo Guglielmi e me a stanare grandi letterati, a cominciare da Umberto Eco, per convincerli a realizzare con noi degli originali televisivi. Accettarono in molti, ma bisognò staccarli a fatica dalle loro scrivanie. Oggi a volte se non si chiudono le porte, c'è l'assedio degli scrittori che vogliono andare in tv».

Lei ha lavorato molto con Elvira Sellerio, che ha amato insieme libri e tv.
«Elvira è stata, e la Sellerio è e resterà, la mia principale editrice. Della sua esperienza come consigliere Rai ho un grande rimpianto: ci vedevano tutti i giorni. Le piacevano le immagini, i colori di scena. Era come quando si applicava a scegliere i quadretti per le copertine dei libri della Memoria».

Lei sembra così a suo agio con ogni tipo di media che non avrà certo timore dell'e-book?
«Non ne ho. Anzi spero che si diffonda e serva a trovare nuovi lettori tra i tanti che vedo sempre intenti a maneggiare i loro computer».

http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/373346/
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