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Autore Discussione: Torri Gemelle nel Kurdistan: la strage degli yazidi  (Letto 2683 volte)
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« inserito:: Agosto 24, 2007, 06:18:28 pm »

Torri Gemelle nel Kurdistan: la strage degli yazidi

È il più terribile atto terroristico compiuto da al-Qaeda dopo l'11 settembre del 2001.

Ha colpito una minoranza accusata di eresia dai musulmani ortodossi.

La natura religiosa della "guerra santa" di Bin Laden, analizzata dal professor Vittorio E. Parsi

di Sandro Magister


ROMA, 24 agosto 2007 – È stata generalmente sottovalutata, come fosse una delle tante anonime uccisioni che insanguinano ogni giorno l'Iraq. Ma la strage che la vigilia di Ferragosto ha decimato la popolazione yazida era assolutamente fuori dall'ordinario.

Uno dei pochissimi analisti di politica internazionale che le ha dato il necessario rilievo è stato il professore Vittorio E. Parsi, in un editoriale di prima pagina sul quotidiano della conferenza episcopale italiana, "Avvenire".

A giudizio di Parsi, la strage di Ferragosto degli yazidi è seconda – per dimensione e per potenza anche comunicativa – soltanto all'abbattimento delle Torri Gemelle, l'11 settembre 2001. Sia l'una che l'altro sono state opera di al-Qaeda, l'organizzazione islamista fondata da Osama Bin Laden.

Nella strage hanno perso la vita più di 500 persone. con oltre 350 feriti. Per avere un'idea dell'entità dell'eccidio, basti pensare che pochi giorni dopo, in Perù, un micidiale terremoto ha fatto un numero pari di vittime.

Il tutto è stato pianificato e realizzato con cinque veicoli carichi di due tonnellate di esplosivo, che hanno raso al suolo larga parte dei villaggi di Qataniya e Adnaniya, nel Kurdistan iracheno verso il confine con la Siria, entrambi abitati da yazidi.

Gli yazidi sono una minoranza religiosa all'interno della popolazione curda che è musulmana sunnita. Il loro credo risente di influssi zoroastriani e giudaici, cristiani ed islamici. I musulmani ortodossi li squalificano come adoratori del demonio. Ma, in realtà, la figura preminente della loro dottrina, Melek Ta'us, uno dei sette angeli ai quali Dio ha affidato il mondo, è simbolo del bene e non del male. Ha tratti che lo avvicinano all'arcangelo Michele. Il loro rito più importante è il pellegrinaggio annuale, della durata di sei giorni, alla tomba dello sceicco Adi, a Lalish, quindici miglia a nord di Mosul.

Considerati come eretici dai musulmani, gli yazidi hanno sofferto frequenti persecuzioni. Si sposano tra loro e non accettano convertiti. Si stima che oggi siano circa mezzo milione, la maggior parte nel Kurdistan. Tra gli immigrati in Europa, il loro gruppo più consistente è in Germania. In Iraq sono stati tra i più aperti sostenitori dell'intervento americano che ha rovesciato il regime di Saddam Hussein.

Una precedente strage ha colpito gli yazidi lo scorso 22 aprile 2007. Un gruppo di uomini armati ha bloccato un autobus di linea sulla strada da Mosul a Ba’ashika, ha fatto scendere musulmani e cristiani e ha massacrato i restanti 23, tutti yazidi. Gli aggressori hanno motivato il loro atto come una vendetta all'uccisione, pochi giorni prima, di una giovane yazida di 17 anni, Du’a Khalil Aswad, lapidata a morte da venti suoi correligionari per essersi accompagnata a un giovane musulmano: lapidazione poi pubblicizzata da video diffusi per internet.

Ancor più di questo precedente massacro, l'eccidio di Ferragosto risente della natura di geopolitca religiosa della "guerra santa" scatenata da al-Qaida.

Nei piani dell'organizzazione di Bin Laden, il Kurdistan è un terreno chiave di questa guerra. All'incrocio tra Oriente e Occidente, storico passaggio tra il Mediterraneo e la Persia, questa regione è stata nei secoli terra di conquista.

Essa è abitata anche da popolazioni cristiane. Fonti di "Asia News" a Mosul indicano nelle bombe contro gli yazidi "parte di un più vasto piano studiato dagli estremisti wahabiti, che ormai controllano la zona, di eliminare tutti gli elementi che potrebbero ostacolare il raggiungimento dei loro obiettivi: lo stato islamico e il califfato".

Il timore è che “domani sarà la volta dei villaggi cristiani della piana di Niniveh", una decina di villaggi tra Qaraqosh ed al-Qosh. Vi abitano circa seimila famiglie cristiane, molte arrivate da Baghdad e da Mosul in cerca di riparo.

Ecco qui di seguito l'analisi del professor Parsi, docente di politica internazionale all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, pubblicata su "Avvenire" del 18 agosto:


Se il nuovo fronte di al-Qaeda è il Kurdistan

di Vittorio E. Parsi


È il più sanguinoso attentato terroristico dopo quello delle Torri Gemelle di Manhattan, con le cui conseguenze siamo ancora alle prese a quasi sei anni dall'11 settembre 2001: oltre 500 morti, un numero imprecisato di feriti e due villaggi ai confini del Kurdistan iracheno letteralmente spazzati via dalla furia omicida di uno dei tanti gruppi affiliati ad al-Qaeda che operano in Iraq.

Le vittime della strage di Ferragosto appartengono per la quasi totalità agli yazidi, una piccola setta sincretistica la cui religione fonde elementi comuni a zoroastrismo, giudaismo, manicheismo, cristianesimo e islam.

Come in altre analoghe occasioni, in Iraq e fuori dell'Iraq, la magnitudo del massacro è una sorta di firma, con la quale al-Qaeda autentica le proprie azioni. Persino nell'Iraq degli oltre cento morti ammazzati al giorno, una simile ecatombe ristabilisce le gerarchie tra i seguaci di Osama Bin Laden e tutti gli altri assassini che operano nel paese. Ma la scelta dell'obiettivo ci fornisce qualche elemento in più circa la strategia della galassia che si riconosce nella predicazione violenta del "califfo del terrore".

Aver voluto colpire in maniera così spettacolare una piccola minoranza che è ritenuta eretica da molti esponenti dell'islam sunnita fondamentalista e radicale (ma non necessariamente collusi col terrorismo) ha, innanzitutto, il preciso significato di ribadire la natura della lotta in cui i qaedisti sono impegnati in Iraq.

Questa lotta è un jihad, una guerra santa. Non è una guerra di liberazione nazionale, né una guerra contro l'imperialismo americano. Con la strage di Ferragosto i qaedisti hanno voluto riaffermare la cifra della loro guerra in Iraq, della loro presenza in quel paese. E la dimensione della violenza serviva a sottolineare, in termini comunicativi, la capacità di al-Qaeda nell'imporre la sua guerra su quella di tutti gli altri: siano essi sciiti filo iraniani e seguaci dell'"esercito del mahdi", insorgenti baathisti e guerriglieri sunniti finanziati dai sauditi.

Sono tanti gli attori, interni e internazionali, che giocano la propria partita in Iraq, che combattono ognuno la propria guerra, dove ogni azione militare, ogni attentato, ogni strage di civili è inevitabilmente funzionale agli scopi degli uni e degli altri, anche quando gli uni e gli altri sono nemici. Al-Qaeda ha battuto un colpo per ricordare a tutti che cosa ci sta a fare in Iraq e qual è il suo progetto, e col clamore della megastrage ha, per un lungo attimo, consentito che il suo distinto progetto fosse nuovamente riconoscibile rispetto agli altri.

I villaggi distrutti sono nella regione di Sinjar, una zona a maggioranza sunnita ai confini del Kurdistan iracheno. A mano a mano che la possibilità di un ritiro americano dall'Iraq si fa più concreta e vicina, la rilevanza strategica del Kurdistan cresce sempre di più. Non è un mistero che alcuni dei piani elaborati al Pentagono prevedono un ridispiegamento temporaneo delle truppe americane proprio nel Kurdistan, da cui potrebbero essere impiegate per azioni mirate "scova e distruggi" proprio nei confronti delle cellule qaediste.

Il Kurdistan, con la sua autonomia di fatto, il buon funzionamento delle sue istituzioni e la relativa sicurezza di cui godeva fino a un paio di mesi fa, rappresenta un'oasi nello sconfortante panorama del resto del Paese e un grattacapo per alcuni potenti vicini. Non è certo casuale che proprio negli ultimi mesi siano aumentati gli attentati nella regione.

Alla strage di Ferragosto il presidente del Kurdistan iracheno Barzani ha reagito disponendo l'invio di 350 militi peshmerga, fatto che ha consentito nuovamente agli arabi sunniti di accusare i curdi di avere mire sul petrolio dell'area di Mosul, etnicamente mista e contesa tra le due etnie.

Ipotizzare che, fissando come prossimo obiettivo strategico la destabilizzazione del Kurdistan, al-Qaeda troverebbe più di qualche interessato spettatore, dentro e fuori l'Iraq, è fin troppo facile profezia.

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Il quotidiano della conferenza episcopale italiana su cui è uscito l'editoriale del professor Parsi:

> "Avvenire"


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