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Autore Discussione: L'obiettivo è non cambiare nulla  (Letto 2860 volte)
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« inserito:: Febbraio 06, 2010, 11:50:09 am »

L'obiettivo è non cambiare nulla

di Mario Riccio

È passato un anno dalla morte di Eluana Englaro – e più di tre da quella di Piergiorgio Welby – ma la confusione sul tema del fine vita regna sovrana. L’attuale situazione è stata determinata dalla disinvolta e strumentale commistione dei differenti piani giuridico, deontologico ed etico-morale. A cui si è aggiunta la confusione terminologica fra rifiuto delle terapie, eutanasia, suicidio assistito. Si sono registrati anche appelli – talora autorevoli - alla condivisione e al compromesso in una materia – i diritti civili – che non ammettono tali ipotesi. Riconosciuto il diritto alla autodeterminazione in materia di trattamenti sanitari, ed esteso anche in caso di sopravvenuta perdita di coscienza - tramite appunto le direttive anticipate di trattamento - non vi è spazio per atteggiamenti compromissori. Quando nel recente passato furono emanate leggi come il divorzio e l’aborto, era chiaro a tutti che il diritto della singola donna di interrompere un processo biologico all’interno del proprio corpo o il diritto di una coppia a sciogliere il contratto matrimoniale non obbligava altri a fare lo stesso. Pertanto quelle leggi – come ogni disposizione in tale materia – erano orientate a garantire i diritti del singolo richiedente, non certo a imporre doveri ad altri. L’attuale maggioranza governativa finge invece di voler essere garante – con una proposta di legge assolutamente contraria ai principi costituzionali oltre che al codice deontologico medico – dei diritti di chi non desiderasse limitare, interrompere o non iniziare determinati percorsi terapeutici. Posizione irrazionale e contraddittoria: una legge che riconoscesse pienamente l’autodeterminazione in materia sanitaria non imporrebbe a nessuno la rinuncia alle terapie. Ignorate anche le posizioni assunte dai competenti uffici giudicanti sui casi Welby ed Englaro. Posizioni che hanno non solo ben chiarito l’esistenza di un pieno giuridico in tale materia nel nostro diritto, ma anche la netta differenza tecnica tra rinunciare ad una terapia (consenso/rifiuto ai trattamenti sanitari) e somministrare (omicidio di consenziente/eutanasia) o somministrarsi (suicidio/suicidio assistito) una sostanza che determini la morte. Distinguendo bene il piano giuridico dal quello etico morale, fino a riconoscere l’aspetto deontologico che trova nell’obbiezione di coscienza l’argomento più delicato. Destino già segnato anche per la futura legge sulle dichiarazioni anticipate, come è stato per la legge 40 sulla procreazione assistita. Una volta emanata, non supererà – al primo ricorso - il giudizio di costituzionalità nelle sue parti fondamentali. Precipiterà pertanto in quel limbo tutto italico fatto di oblio e rimozione. Pur dichiarata incostituzionale, non verrà modificata. Pertanto gli operatori sanitari – così come succede oggi per la procreazione assistita - si sentiranno autorizzati – giustamente - a fare quello che ritengono più corretto per l’interesse e nel rispetto della volontà del paziente.

06 febbraio 2010
   
www.unita.it

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