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Autore Discussione: D'Alema non aveva chances  (Letto 2275 volte)
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« inserito:: Novembre 26, 2009, 10:55:12 am »

26/11/2009 - ITALIA E UE

D'Alema non aveva chances
   
ANTONIO PURI PURINI


Con le recenti nomine ai vertici delle istituzioni europee e malgrado la delusione italiana per la mancata nomina di Massimo D’Alema ad alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, l’Europa ha celebrato la vittoria della sostanza rispetto all’apparenza. Questo risultato del buon senso richiede una duplice riflessione che vada oltre i limiti di un’ipocrita political correctness: tocca l’Europa, tocca l’Italia. È intanto fuori luogo il pessimismo che ha accompagnato le nuove nomine.

Si dimentica che l’Unione Europea è arrivata stremata, dopo otto anni di negoziato, allo storico appuntamento dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona: stremata ed in una certa misura anche divisa su parecchie questioni, dai problemi del coordinamento finanziario alle questioni del clima. Si dimentica che l’Europa non è un Superstato ma un’Unione: l’ipotesi di affidare, in queste condizioni, a personaggi carismatici la guida esterna dell’Unione Europea rimane prematura. Si dimentica che il problema principale dell’Unione ed importante anche per il comune cittadino non è la visibilità delle sue manifestazioni esterne ma la sostanza delle sue politiche; esiste un problema di fiducia fra le istituzioni ed i cittadini europei: per risolverlo è necessario identificare reali interessi comuni, definirli, attuarli, spiegarli, tutelarli. È prioritaria la capacità di assumersi delle responsabilità rispetto a quella di rappresentarla all’esterno, di reagire alla stanchezza europea cementando l’unità. Personalità fascinose potranno essere utili in futuro quando l’Europa avrà recuperato la capacità di prendere delle decisioni importanti con spirito unitario: oggi non servono brillanti affabulatori ma gente solida capace di trasformare parole in fatti o d’impedire che i fatti diventino parole. Da questo punto di vista, il nuovo presidente del Consiglio europeo Herman van Rumpuy ed il nuovo Alto Rappresentante Catherine Ashton sono nomine ineccepibili: la storia dell’integrazione europea conosce nomi arrivati come sconosciuti a Bruxelles e che hanno mostrato il proprio valore nel tempo.

Se partiamo dal presupposto che l’Italia si muove ancora nel solco del progetto politico originario, penso che possiamo solo rallegrarci per un risultato che consente all’Unione Europea di ripartire con i piedi per terra, d’intercettare le aspettative della gente comune e che lascia aperte molte possibilità di ulteriori sviluppi che non siano quelli del comun minimo denominatore. Non credo francamente che siano stati fatti torti al nostro Paese. Nell’ambito delle indicazioni delle due famiglie politiche, era abbastanza evidente da diversi giorni che molti capi di governo - innanzitutto il Cancelliere Merkel - volevano una soluzione consensuale, evitare una contrapposizione fra nominativi che sarebbe stata drammatica per l’Europa, premunirsi contro le novità negative di una vittoria del partito conservatore di David Cameron sull’impegno britannico in Europa. Se questo era lo scenario di partenza, la candidatura D’Alema non aveva possibilità sin dall’inizio. Dopotutto i socialisti europei hanno fatto una battaglia soprattutto per la carica piuttosto che per il nome: accantonata l’ipotesi Blair ma non l’opzione britannica, è rimasta la baronessa Ashton membro di un partito socialista al governo. Per l’Italia la lezione da trarre, anche per il futuro, da questa vicenda è un’altra. Fermo rimanendo che non esistono prevenzioni contro candidati italiani, va constatato che prevale in questo momento in Europa il profilo della misura, della capacità di gestire meccanismi complessi, della sensibilità verso le attese dei cittadini, della riluttanza a non compiere fughe in avanti, della prudenza sull’allargamento, della concretezza.

Questo non è l’approccio italiano di oggi.

È invece lo stile del Cancelliere tedesco: Angela Merkel ha trovato l’equilibrio con Nicolas Sarkozy, ha trionfato sull’ostinazione di Gordon Brown a candidare Blair, offrendogli un’onorevole via d’uscita.

La politica interna italiana o le accuse reciproche di mancato od insufficiente sostegno non c’entrano. Siamo noi che dobbiamo adeguarci agli altri e non gli altri a noi. L’Italia potrebbe molto più utilmente rafforzare la propria centralità in Europa lavorando alla coerenza delle proprie posizioni, all’identificazione dei propri reali interessi nazionali, partecipando costruttivamente alla formazione dell’interesse comune, distinguendosi per qualità ed impegno in una Commissione che sarà dominata da autorevoli commissari francesi e tedeschi: insomma, rimboccandosi le maniche e liberandosi, almeno ogni tanto, dalla grettezza della propria politica interna.

Altrimenti, la cavalcata nel deserto in Europa continuerà ancora a lungo ed anche la prossima tornata di nomine (dalla presidenza dell’eurogruppo alla presidenza della Bce) riserverà delle amare sorprese.

*Ex ambasciatore italiano in Germania

da lastampa.it
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