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Autore Discussione: Barney versione cinema, un film contro gli scemi  (Letto 2769 volte)
Admin
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« inserito:: Agosto 13, 2009, 04:03:42 pm »

13/8/2009
 
Barney versione cinema, un film contro gli scemi
 
 
MATTIA FELTRI
 
Se uno è stupido è stupido, e non una persona intellettualmente svantaggiata». Chi lo disse? Mordecai Richler o Barney Panofsky? L’autore o il protagonista del libro? Boh, ma che importanza ha? È come girare di notte col mestolo in mano e non ricordarsi come diavolo si chiami quello strumento da cucina.

Tutti ricordiamo male. Barney se ne fotteva altamente: ingigantiva, abbelliva, abbruttiva, «sono un contaballe», diceva. La memoria dice: Mariarosa Mancuso. Fu lei la prima a scriverne sul Foglio. Ma ne scrissero un po’ tutti, di sicuro Antonio D’Orrico sul Corriere della Sera. Il libro dell’anno, scrissero.

Poi arrivò Giuliano Ferrara che ululava entusiasta al telefono: «Devi assolutamente leggere La versione di Barney! Subito! Scrivine centomila battute entro domani!». Fortuna che qualcuno di noi lo aveva già letto, come Christian Rocca, ancora al Foglio e oggi corrispondente dagli Stati Uniti. Venne tramutato in un biografo-filologo-apologeta di Richler. Andò in Canada per due mesi e raccontò tutto, ma proprio tutto, di Mordecai, della sua famiglia, dei suoi amici, delle sue strade. Ferrara impiantò una campagna spettacolare, travolgente, onnivora, come gli capitava e ancora gli capita, sette-otto articoli al giorno in un quotidiano di quattro-sei pagine. Ne nacquero due rubriche. Una sopravvive a otto anni di distanza e la cura Andrea Marcenaro: si chiama Andrea’s Version e il risultato è che ormai Marcenaro pensa e scrive come Richler, e vive come Richler. Whisky compreso, forse.

Prima che l’attacco alle Torri Gemelle spazzasse via questa primavera goliardica, serissima e goduriosa, Ferrara trascinò centomila lettori a comprare e leggere il romanzo, a farne una bibbia contro l’ipocrisia. Roberto Calasso, editore di Adelphi, portò qualche copia del giornale a Richler che se ne inorgoglì. Ferrara e Rocca presero a girare l’America e il Canada come fan in tournée ed Emma Richler, figlia di Mordecai, raccontò che se li ritrovava sempre davanti, due curiosi tipi italiani, «sembravano Stanlio e Ollio».

Il libro è piaciuto a tutti. Ciascuno per un motivo diverso, ma a noi piacque perché ci sembrava che Mordecai fosse uno dei nostri, che eravamo nati anche con l’ambizione - fra le tante - di coventrizzare il linguaggio finto e annacquato della politica e dell’informazione, che semmai saltava dritto dal politicamente corretto all’insulto. Mordecai era uno che diceva negri ai neri, che da ebreo passava per antisemita, che - o era Barney? - diceva: «Un mondo dove le mignotte sono chiamate operatrici del sesso è un mondo sbagliato». Adesso le chiamiamo «escort». Gli stavano sullo stomaco gli scrittori, specie quelli europei, che non erano compresi fumatori di sigari ma galline competitive come dirigenti del settore dell’abbigliamento; gli stavano sullo stomaco le «damazze griffatissime e ingioiellate, tutte col naso rifatto, tutte spianate col laser»; gli piacevano le città multietniche ma, se andava al ristorante giapponese, davanti a sushi e sake prendeva il cameriere per la collottola: «Senta, a me piacciono il pesce caldo e il vino freddo. Porti via e vediamo se ha capito, d’accordo?».

Era uno che aveva proposto la ridicolizzazione degli stupidi come contributo alla civiltà. Uno che - e ce lo stampammo nel cervello - sentenziò: «Chi è politicamente corretto non ha senso dell’umorismo. Loro sanno che cosa è giusto per te e per tutti. Io diffido di costoro».

da lastampa.it
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