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Autore Discussione: LIDIA YUSUPOVA La colpa di essere nati ceceni  (Letto 2389 volte)
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« inserito:: Luglio 20, 2009, 10:19:37 am »

20/7/2009
 
La colpa di essere nati ceceni
 
LIDIA YUSUPOVA
 
La situazione in Cecenia è molto complessa, come nel Caucaso in generale, e in tutta la Russia. Troverei sbagliato trattare questi argomenti separatamente, come se il Caucaso fosse un problema distinto. L’ultima tragedia, l’omicidio di Natasha Estemirova, mia amica e collega di Memorial, è una dimostrazione della crudeltà e della rozzezza di un sistema che non rispetta i valori del mondo civile. La Russia non è un Paese civile, non è un Paese democratico.
Perché non dico soltanto «Cecenia», ma dico «Russia»? Perché tutta la politica nel Caucaso, per secoli, è stata la politica del Cremlino. La Cecenia è una repubblica della Federazione Russa, in Cecenia si uccide quotidianamente, come si uccidono a Mosca, in pieno giorno, giornalisti, avvocati. Tutti lo sanno e nessuno più se ne stupisce. Una volta gli omicidi e i sequestri avvenivano in una cornice «legale», quella della legge per la lotta contro il terrorismo (Kto). Da qualche mese questo regime in Cecenia è stato revocato, la situazione è considerata ormai «normalizzata». Viene da chiedersi cosa abbia portato l’abolizione del Kto, e la mia risposta è: nulla, per la gente che vive in Cecenia nulla.

Anche i russi hanno paura
Sì, Grozny è stata ricostruita, ma quando passi la sera vedi che sono poche le finestre illuminate, la maggior parte dei palazzi dentro è ancora devastata. Una mia parente ha avuto l’appartamento distrutto da un missile, il governo ha rimesso le porte e le finestre e restaurato la facciata, ma dentro sono rimaste le rovine, e la ricostruzione di quello che non si vede è a carico dei cittadini. Sì, funzionano la scuola e l’università, dove le ragazze sono obbligate a portare il velo - e questo non mi fa molta paura, è la tradizione, nelle famiglie cecene l’uomo ha diritto di dire alle figlie, alla moglie e alle sorelle di coprirsi la testa, ma non è il governo a doverlo fare. Sì, Kadyrov ha costruito una lussuosa moschea nel centro della città, ma gli omicidi non si sono fermati. Sì, non ci sono più i posti di blocco ai quali la gente veniva fermata arbitrariamente e spesso spariva nel nulla, c’è un parco con gelaterie, ma la vita non è cambiata molto. La situazione oggi è molto più complicata che all’inizio della seconda guerra in Cecenia, nel 1999, nel 2000 e negli anni successivi. Anche allora avvenivano gli omicidi, i sequestri e le esecuzioni sommarie, ma erano compiuti per lo più dalle truppe federali dell’esercito e del ministero dell’Interno, inviate da Mosca. Oggi le stesse tragedie sono aggravate dal fatto che i loro autori appartengono al popolo ceceno, conoscono la mentalità locale e si orientano con terribile disinvoltura nei legami parentali e clanici. C’è una catena di persone legate l’una all’altra in queste vicende, c’è l’intimidazione, c’è la sfiducia totale verso gli organi che dovrebbero garantire l’ordine, verso la magistratura e l’intero sistema giudiziario. La gente, ogni giorno, riceve una nuova dimostrazione del fatto che nessuna legge funzioni o possa difenderli. Non solo in Cecenia, che è un posto particolare con le sue specificità, ma anche nel resto della Russia.
La Russia ha paura, ha paura perfino di menzionare il nome di Putin. La gente è spaventata dalle stragi terroristiche, dalla minaccia del terrorismo, è confusa, non capisce più niente, non sa chi c’è dietro e pochi vogliono fermarsi a riflettere, ad esempio per giungere alla conclusione che si tratta di minacce sollevate dal sistema per distrarre l’opinione pubblica dai reali problemi interni del Paese. Oggi al potere c’è Medvedev che promette di «punire i colpevoli» dell’omicidio di Natasha e dice che lei «raccontava la verità». Ma chi è Medvedev? È soltanto il delfino di Putin. Quale politica farà? Solo quella che piacerà a Putin e ai suoi uomini? La differenza è solo nel nome del presidente, oppure nel suo eloquio più diplomatico? È Medvedev solo un’ombra di Putin?

Un Paese malato
Non so, è tutto così teatrale, e così tragico. Penso che la situazione si stia aggravando. Qualche giorno fa ho tirato fuori dalla cassetta postale un libricino, si intitola Regole di comportamento antiterroristico per i moscoviti, è stato prodotto dal Comune. L’ho sfogliato e mi sono colta a pensare che non è casuale, che bisogna aspettarsi - speriamo di no! - atti terroristici a Mosca o in altre città, che il sistema sta preparando una sorpresa, si prepara ad armarsi, per non assumersi la responsabilità per la sua incapacità o per la mancanza di volontà di governare.
Assisto ormai da troppi anni alle violenze che si consumano nel mio paese: è dall’epoca della prima guerra cecena, nel 1994, che vedo morire amici, compagni, fratelli. E la scelta di difendere i loro diritti è nata proprio dalla volontà di fermare la catena degli abusi e delle violenze che nel silenzio generale si abbattevano su persone spogliate della loro identità civile. Ma come avvocato ho capito di non poter più svolgere il mio lavoro. Non posso ingannare me stessa, perché la realtà è che non posso dare speranze a coloro che difendo, né promettere loro un processo giusto ed equo. Ogni volta che i giudici leggono il verdetto, condannando a 10-20 anni di carcere o addirittura all’ergastolo ragazzi di 18-20 anni colpevoli soltanto di essere nati ceceni, ho davanti lo sgomento dipinto sui loro volti, la disperazione nei loro occhi. E non riesco più a dare a loro, e nemmeno a me stessa, la speranza che la legge possa trionfare. Il gorgo della corruzione, delle tangenti che hanno infettato tutto il sistema rendono il Paese un corpo malato: andrebbe curato, ma con quali medicine e quali terapie? Per me questa è l’ora dello scoraggiamento più profondo, in un sistema così non sento di poter contare sull’umanità, né sulla giustizia.


Coordinatrice dell’ufficio legale di Memorial a Mosca, dopo essere stata per molti anni a capo dell’ufficio di Grozny. È candidata al Nobel per la Pace
 
da lastampa.it
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