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« inserito:: Aprile 13, 2009, 11:40:53 pm » |
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Intervista ll gestore del Mit, il primo fondo comune Usa che compie 85 anni, difende i pregi del risparmio gestito
«Le azioni sono vive e guardano lontano»
Zatlyn: ora puntiamo su largo consumo e salute.
Ma siamo azionisti di At&T ed Exxon dagli anni Trenta
Le azioni non sono morte e restano un ottimo investimento per il lungo termine». Lo dicono i gestori del fondo comune più vecchio del mondo, che in questi giorni celebra il suo 85° compleanno ed è sopravvissuto fra l'altro alla Grande Depressione. Chi avesse investito 1.000 dollari nel marzo 1924 nel Massachusetts Investors Trust (MIT), oggi avrebbe accumulato 1,2 milioni, nonostante le performance in rosso degli ultimi dieci anni, in linea con l'andamento di tutta Wall Street. È un rendimento di oltre l'8% l'anno. Ne parla con CorrierEconomia Nicole Zatlyn, che gestisce il MIT insieme a Kevin Beatty. Una famiglia di fondi (i Meridian) della stessa società di gestione del MIT, la MFS (controllata da Sun Life Financial of Canada), è disponibile anche per i risparmiatori italiani attraverso gestioni patrimoniali e fondi di fondi. Qual era la novità del MIT nel 1924? «Era il primo fondo comune aperto, cioè con la possibilità per i sottoscrittori di uscirne in qualsiasi momento. Prima c'erano solo i fondi chiusi, dove per liquidare il proprio investimento bisognava trovare un acquirente delle proprie quote». Com'è sopravvissuto al crac del '29 e alla Grande Depressione? «E’ sempre riuscito con successo a soddisfare le richieste di rimborso dei clienti. A un certo punto negli Anni Trenta una banca cliente aveva bisogno di liquidare tutte le quote che possedeva nel fondo, ma poiché erano cospicue, propose di farlo a rate. Invece i manager di MIT risposero che potevano rimborsare tutto subito. Fu molto importante per dare fiducia al pubblico». E la politica d'investimento? «Il MIT ha sempre focalizzato l'attenzione sulle azioni di aziende di qualità superiore e gestite meglio, con possibilità maggiori quindi di restare nel business per un lungo periodo. Infatti abbiamo ancora in portafoglio due società già possedute negli Anni Venti: il gruppo petrolifero ExxonMobil e quello telefonico AT&T». Può specificare quali sono i criteri di selezione che seguite? «Le aziende devono operare in un business con alte barriere d'ingresso, avere un ricco flusso di entrate cash disponibili con cui remunerare gli azionisti, essere gestite da una forte squadra di manager, avere bilanci in ottimo stato». Non avete in portafoglio banche o altri gruppi finanziari in crisi? «Abbiamo evitato AIG, Citigroup e altre società simili, perché 18 mesi fa, discutendo tra di noi, avevamo capito che erano al centro del terremoto». E’ giusto confrontare l'attuale crisi con quella degli Anni Trenta? «Certo viviamo una situazione unica. La turbolenza in Borsa è grande, ma la situazione è diversa da allora. La risposta politica alla crisi di 70-80 anni fa fu sbagliata. Oggi c'è molta enfasi da parte delle autorità di tutto il mondo sulla necessità di aggredire i problemi, non lasciarli ingigantire. Prima o poi gli interventi pubblici funzioneranno». Quali azioni preferite oggi? «Da un po' di tempo il nostro portafoglio è sovrappesato in titoli del settore del largo consumo, come Procter & Gamble e Pepsi, che abbiamo comprato a prezzi ragionevoli e che offrono un ottimo free cash flow. Altre aziende che ci piacciono sono nel business della salute, come Johnson & Johnson e la svizzera Roche». Negli ultimi 30 anni sono nati i fondi indicizzati, gli Etf, e gli hedge fund: i fondi comuni come il MIT sono ancora validi? «Crediamo di sì. Il MIT è orientato al lungo termine, con l'obiettivo di battere l'indice azionario americano S&P500, goal raggiunto sia a uno sia a cinque e dieci anni, mantenendo una volatilità inferiore alla media di mercato, facendo cioè correre meno rischi ai clienti». In assoluto la performance è è però negativa: è un risultato che mina la fiducia nella Borsa come investimento di lungo termine, o no? «Questi ultimi dieci anni sono stati incredibilmente difficili, ma non crediamo che le azioni siano morte. La storia mostra che dopo periodi di crisi come l'attuale, quando il mercato raggiunge un livello con alti dividendi e prezzi ragionevoli, seguono fasi di rendimenti superiori».
MARIA TERESA COMETTO
da corriere.it
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