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Autore Discussione: MATTEO RENZI  (Letto 141629 volte)
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« Risposta #75 inserito:: Ottobre 15, 2014, 05:09:43 pm »

Il premier Renzi spiazza anche i suoi: “Dimezzare il gap coi tedeschi”
Nella manovra almeno 13 miliardi di risparmi e una stangata sui giochi


14/10/2014
Alessandro Barbera
ROMA

Come un pokerista sicuro delle proprie carte, Matteo Renzi alza ancora la posta: ora scommette sulla cancellazione della componente Irap del costo del lavoro. Né riduzione, né raddoppio dello sgravio, bensì la vera e propria abolizione della tassa regionale nella parte che le imprese pagano per ciascun dipendente. È questa la voce che fa lievitare da ventiquattro a trenta miliardi l’ammontare della legge di Stabilità per il 2015 e a diciotto la somma delle riduzioni fiscali realizzate - se confermate - dall’inizio del governo Renzi. Il numero è evocativo per due ragioni: la prima, la più popolare, è che promette di far dimenticare il noto articolo dello Statuto dei lavoratori. Ma diciotto è anche la metà di trentacinque, ovvero i miliardi di tasse aggiuntive sul lavoro che oggi paga chi investe in Italia rispetto a chi lo fa in Germania.

La scommessa è maturata dopo una lunga riunione - domenica - con il ministro Padoan e alcuni degli economisti che ha voluto con sé a Palazzo Chigi. Eppure ieri al Tesoro non mancavano le bocche aperte, compresa quella del ministro. La decisione di dare per certi quei numeri Renzi l’ha presa in solitudine. «Ci metto la faccia fino all’ultimo», diceva a chi l’ha sentito al telefono. 

Nell’annuncio c’è un po’ di verità e un po’ di astuzia politica, perché per raggiungere i diciotto miliardi bisogna sommare tutti gli interventi fiscali sul tavolo: i bonus Irpef e Irap di quest’anno e del prossimo (dieci miliardi), l’ulteriore intervento sull’Irap (sei miliardi e mezzo), la conferma dei due sgravi per l’edilizia (un miliardo), lo sconto promesso a chi farà assunzioni a tempo indeterminato (settecento milioni nel 2015). 

Nel pacchetto Renzi ha anche inserito un bonus Irpef più alto in relazione al numero di figli, altri 500 milioni di euro. Per raggiungere quei numeri il governo dovrà fare uno sforzo eccezionale sul lato dei tagli di spesa, ma soprattutto nei confronti dell’Europa poiché la manovra sarà in deficit per almeno undici miliardi. Il controllo sarà «aritmetico», avverte il vicepresidente della Commissione Katainen. Per avere il sì di Bruxelles, il governo dovrà salvare l’apparenza della cosiddetta «regola del debito», un paio di miliardi di minori spese invece dei dieci che Bruxelles chiedeva qualche mese fa. 

Le ultime indiscrezioni raccolte fra Tesoro e Palazzo Chigi raccontano che i tagli di spesa potrebbero salire a tredici miliardi (Renzi parla di sedici), ai quali si aggiungerebbero tre miliardi di misure fiscali (lotta all’evasione oltre alla cosiddetta reverse charge limitata ai settori autorizzati dalla Ue), altri due miliardi di nuove tasse sui premi da scommesse. Poiché il governo vuole tagliare una tassa che serve per intero a finanziare la spesa sanitaria, almeno due o tre miliardi dovranno essere risparmiati a quella voce. 

Le Regioni, se vorranno, potranno tagliare altro, ad esempio le sedi di rappresentanza che ancora molte di loro hanno negli angoli più remoti del globo. I Comuni dovranno contribuire per un miliardo e mezzo, quel che resta delle Province per 500 milioni, le amministrazioni centrali per almeno cinque miliardi di euro fra riduzioni di spesa dei ministeri (almeno due miliardi) e taglio ai costi delle forniture di beni e servizi attraverso l’uso sempre più ampio della centrale degli acquisti, la Consip (altri tre o quattro miliardi).

Infine le società partecipate di Comuni e Regioni. Fino alla scorsa settimana al Tesoro si studiavano norme che spingessero ad una loro aggregazione, ma non avrebbero dovuto garantire risparmi importanti, non nel breve periodo. Ora si torna al piano Cottarelli: a meno di non allargare ancora le maglie del deficit, il governo dovrà imporre chiusure, almeno per quelle più inutili. 

Twitter @alexbarbera 

Da - http://www.lastampa.it/2014/10/14/economia/il-premier-spiazza-anche-i-suoi-dimezzare-il-gap-coi-tedeschi-JEwjOBjKCY7pxevsDuFMyK/pagina.html
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« Risposta #76 inserito:: Ottobre 19, 2014, 05:22:11 pm »

Intervista al Tg1
Renzi: «Regioni fate la vostra parte Avete qualcosa da farvi perdonare»
Il premier: «Parlerò con i governatori, ma non prendiamoci in giro: una cosa è tagliare i servizi sanitari, che sarebbe inaccettabile, altra cosa è tagliare gli sprechi»
Di Redazione Online

«Discutiamo con tutti, figuriamoci se non discutiamo con i presidenti delle Regioni» ma «le Regioni facciano la loro parte» anche perché «hanno qualcosa da farsi perdonare». Lo dice il premier Matteo Renzi al Tg1 parlando della Legge di stabilità, spiegando di riferirsi al «comportamento di alcuni consiglieri regionali». «Sono 20 anni che sacrifici li fanno i cittadini, ora è tempo che li facciano altri, tra cui i ministeri e le regioni». «Sono 20 anni che i sacrifici li fanno solo le famiglie, ora è tempo che li facciano altri, a cominciare dai ministeri e dalle regioni».

«Tagliare i servizi mai, gli sprechi sempre»
Così il premier al Tg1: «Noi discutiamo con tutti, figuriamoci se non discutiamo con i presidenti delle regioni. Però, non prendiamoci in giro: una cosa è tagliare i servizi sanitari, che sarebbe inaccettabile, altra cosa è dire che magari si fa qualche asl in meno o qualche primario e aiuto primario in meno o che magari il costo delle siringhe o delle attrezzature ospedaliere è uguale dappertutto. Ecco, tagliare i servizi mai, tagliare gli sprechi sempre».

Chiamparino: soluzione da trovare
Sia pure tra i distinguo polemici di alcuni governatori (in primis Maroni che paventa la chiusura degli ospedali) si aprono spiragli di dialogo tra governo e Regioni. Il presidente della Regione Piemonte Chiamparino parla di «soluzione da trovare». «Da Renzi andiamo con delle proposte concrete, che non toccano i quattro miliardi - dice il governatore - ma che li articolano in modo tale da consentire di reggerli. La polemica è inevitabile, ma è indispensabile un incontro per raggiungere l’obiettivo. Noi da una parte abbiamo sollevato il problema, dall’altra abbiamo cercato la soluzione, che è complessa».

Maroni: «La Lombardia già risparmia, si rischia collasso sanità»
«Noi avremo 930 milioni in meno, di cui 730 nella Sanità, e siamo già ridotti all’osso perché la Lombardia ha tagliato i costi negli anni passati. Con questa riduzione per garantire livelli essenziali, bisogna chiudere gli ospedali». Durissimo il governatore della Lombardia Roberto Maroni contro i tagli chiesti da Renzi. «L’alternativa è quella di alzare i ticket, le imposte, l’addizionale Irpef e l’Irap», ha aggiunto Maroni. «Renzi non può pensare di abbassare l’Irap e poi dire alle Regioni “alzatela voi”. Bisogna fare i tagli selettivi, i costi vanno standardizzati - ha continuato il presidente della Lombardia - perché questa è la strada, e il taglio lineare penalizza le Regioni virtuose come Veneto e Lombardia.

Ogni dipendente della Regione Lombardia costa pro-capite ai lombardi 19 euro, quello della Basilicata costa 220. La Lombardia ha dieci milioni di abitanti e tremila dipendenti. La Sicilia ha la metà degli abitanti e trentamila dipendenti. Queste sono le cose su cui intervenire». «Perché non lo fa Renzi? - ha concluso Maroni - Perché è difficile intervenire in questo modo, ma per fare le cose semplici non servirebbe uno come Renzi».

17 ottobre 2014 | 21:11
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_ottobre_17/renzi-cittadini-hanno-fatto-sacrifici-ora-li-facciano-anche-regioni-a8cc478c-562f-11e4-8d72-a992ad018e37.shtml
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« Risposta #77 inserito:: Ottobre 21, 2014, 11:17:00 pm »

Direzione Pd, Matteo Renzi soft con le minoranze. Obiettivo: Italicum a misura del partito della nazione
Pubblicato: 20/10/2014 20:48 CEST Aggiornato: 1 ora fa

Ineditamente morbido. In direzione Pd Matteo Renzi lascia cadere il guanto di sfida di Gianni Cuperlo che lo attacca sui finanziamenti alla Leopolda: “Il segretario sta costruendo un partito parallelo dotato di mezzi e risorse? Vuole fare del Pd una confederazione di correnti?”. Il leader risponde, “la Leopolda è uno spazio di libertà…”, ma non affonda, come sa fare. Anche nei confronti di Stefano Fassina, che si prende il diritto di decidere in autonomia sulla fiducia al Jobs Act (“Il programma del 2013 non lo prevedeva”), il premier non infierisce. Gli dice semplicemente che quel programma “non può essere l’unico punto di riferimento se nel 2013 non si è vinto…”. Renzi in versione soft, che succede? L’obiettivo è non esacerbare gli animi, sapendo di avere già in tasca (quasi) l’approvazione di un nuovo Italicum, magari con “premio di lista” e non di coalizione, per realizzare quel “partito della nazione” allargato ad apporti di ex Sel o Scelta Civica in grado di governare da solo e non in governi di coalizione e men che meno di larga coalizione. “Dobbiamo trovare il modo di stare insieme – dice Renzi alla direzione – se non ci siamo noi, l’alternativa è la piazza talvolta xenofoba o il populismo o la demagogia e fuori di qui non c’è qualcosa che rispetti di più la democrazia interna ma la demagogia che incrina le regole del gioco”.

I fondo, il premier non ha bisogno di infierire. Sa che chi lo ascolta in fondo è d’accordo. E’ convinto che nessuno nel Pd immagina davvero orizzonti politici fuori dal Pd. E ne ha ben donde. Se poi qualcuno se ne andrà, sarà scelta sua. Ma non avrà sconti dalla legge elettorale che Renzi ha in testa e che è a un passo dall’approvazione, visto che anche Silvio Berlusconi pare si stia convincendo sul premio alla lista e non alla coalizione. E’ questa la direzione di marcia e per indicarla Renzi non ha necessità di graffiare in direzione.

I suoi stretti collaboratori dicono che la linea soft rispecchia una scelta di rispetto nei confronti di un dibattito ‘alto’ sulla ‘forma partito’. Dibattito che prende le mosse dalla vecchia discussione tra partito liquido e solido dell’era Veltroni (presente in direzione) e che ora prosegue in forma un po’ aggiornata: tra chi come Renzi sostiene il partito a vocazione maggioritaria, il partito della nazione, che includa da “Gennaro Migliore”, ex di Sel, ad “Andrea Romano”, ex di Scelta civica, a chi come le minoranze sono affezionate alla forma classica fatta di iscritti e circoli. Dibattito complesso che oggi è solo iniziato in direzione Pd e che continuerà: “Oggi non ci sono conclusioni”, ha esordito Renzi di fronte ad un’assemblea sonnacchiosa, la descrivono i parlamentari renziani. Eppure le critiche non sono mancate, anche se l’ex segretario Pierluigi Bersani ha preferito non intervenire e se n’è andato anzitempo, mentre Massimo D’Alema non c’era. Ma Renzi ha solo accarezzato gli attacchi su chi finanzia la Leopolda del prossimo weekend a Firenze, sul perché quei soldi non finiscano nelle casse del Pd, perché vanno alla ‘corrente renziana’. Niente affondi.

Eppure sottotraccia, i suoi riflettono invece sul perché il patrimonio immobiliare che fu dei Ds e del Pci, gestito sul territorio da 57 fondazioni locali, non vada nelle casse del Pd. Insomma, si risponde ‘pan per focaccia’, ma lo scontro anche oggi resta subacqueo, per dirla in termini di partito liquido renziano. Ne parla a chiare lettere in direzione il lucano Salvatore Margiotta: “Le polemiche sulla Leopolda sono strumentali. Piuttosto ogni parlamentare faccia la propria parte nella ricerca di finanziamenti trasparenti per il partito e si affronti finalmente il tema del patrimonio ex Ds, mai confluito nel Pd".


Il senatore renziano Andrea Marcucci accenna al tema: “Non capisco poi lo stupore, mi pare che nella storia del Pd ci siano altre Fondazioni che svolgono peraltro un lavoro egregio, come ad esempio Italiani Europei”. Ma Renzi non alza il tiro dello scontro. Perché la questione è delicata. Quando il Pd fu fondato nel 2007, Ds e Margherita non scelsero la comunione dei beni. Ora se si cominciasse a litigare in streaming sui patrimoni degli uni e degli altri, vorrebbe dire che il partito è sull’orlo della separazione, come ogni coppia che scoppia.

Questo non succede. Da parte del segretario c’è il rispetto per il dibattito (“Smettiamola di pensare alla Leopolda in contraddizione con il partito. Se vogliamo parlare di soldi parliamone veramente che il tema è serio”) ma c’è anche l’obiettivo di non creare martiri nel Pd, soprattutto a meno di una settimana dalla manifestazione della Cgil dove si presenterà anche qualche dirigente di minoranza del Pd. E’ la stesso motivo per cui la settimana scorsa Renzi ha scelto di evitare le procedure di espulsione dei tre senatori Dem che non hanno votato la fiducia sul Jobs Act. Per il premier è anche un modo per distinguersi da Beppe Grillo, che proprio oggi ha espulso cinque attivisti protagonisti di una protesta sul palco al Circo Massimo. In direzione lo ha anche detto, con una battuta: “E’ imbarazzante che il M5s scelga di espellere chi ha solo chiesto un organigramma del movimento: tra di noi ci dovremmo espellere appena ci guardiamo…”.

Non fare come Grillo è fondamentale soprattutto in questo momento. Perché, dice Renzi, “vedo segni di sgretolamento di quel blocco lì e della destra: dobbiamo capire se questo stallo lo superiamo o no”. E’ il messaggio che lascia alla minoranza. La bussola è sempre quella di costruire il partito della nazione, più che dibatterlo, allargare i consensi del Pd in tutte le direzioni, da sinistra a destra, fino al centro. Ed è questo obiettivo che porta il premier a scegliere di farsi ospitare in tv dai programmi tv più pop del momento, dal format di Del Debbio a quello di Barbara D’Urso. “A me piace vincere – dice in direzione la senatrice renziana Maria Di Giorgi – ci sono pochi iscritti nel Pd? E’ irrilevante”, brusio in sala. Lei continua: “In questo secolo non è fondamentale: i nostri giovani non hanno voglia di iscriversi ma poi ci votano…”.

Conquistare il consenso perché, spiega a chiare lettere Renzi nelle repliche, “è finito il voto a tempo indeterminato, è finito l’articolo 18 del voto. La gente non vota sempre gli stessi comunque vada. La gente fa zapping anche con i voti e la fatica del consenso è quotidiana”. Sta qui il cuore della risposta alla minoranza, il motivo per cui non vale la pena infierire: “E’ un grande tema conquistare il consenso, che non vuol dire governare con l’occhio fisso ai sondaggi”. Certo, c’è l’avvertimento alla minoranza sul rispetto degli ordini di scuderia quando arriverà il momento di eleggere il prossimo presidente della Repubblica, che verrà concordato anche con Forza Italia “Non seguite twitter…”, dice Renzi, quasi che tema trappole ‘anti Patto del Nazareno’ in aula, nascoste dal voto segreto, come accadde per Romano Prodi l’anno scorso. E c’è il tema del ‘che fare’ con chi non vota la fiducia al governo. E’ successo sul Jobs Act al Senato, potrebbe risuccedere alla Camera, nonché sullo Sblocca Italia, contestatissimo dai civatiani. “Dobbiamo darci delle regole sul voto di fiducia. Non possiamo essere un club elettorale ma nemmeno un club di anarchici e liberi pensatori…”. Ma il tema verrà affrontato più in là, magari all’assemblea nazionale tra qualche mese. Prima la legge elettorale, cioè il lasciapassare verso il futuro del partito che Renzi vuole costruire.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2014/10/20/direzione-pd-matteo-renzi_n_6016620.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #78 inserito:: Ottobre 22, 2014, 05:42:00 pm »

Matteo Renzi e il 'partito della nazione': sarà una "Big tent".
Con o senza voto anticipato

Pubblicato: 21/10/2014 20:15 CEST Aggiornato: 21 minuti fa

Partito della nazione, partito Leopolda o semplicemente ‘Partito Democratico new look’. La confezione è questa. Il contenuto si spiega meglio con l’espressione preferita da Matteo Renzi e dai suoi: “Big tent”. Cioè ‘Grande tenda’. “Meglio di catch-all party, partito piglia-tutti e non tutto…”, spiega minuziosamente in Transatlantico Dario Parrini, deputato, segretario regionale dei Dem in Toscana, appassionato di legge elettorale, nonché co-autore di ‘Un’agenda per Renzi’, libretto scritto a 'sedici' mani con Giorgio Tonini, Enrico Morando, Antonio Funiciello, uscito quasi un anno fa. Dentro, c’era già a grandi linee il progetto politico che il premier ha annunciato ufficialmente ieri alla direzione Pd, dopo mesi di gestazione. Il via è arrivato ufficialmente a maggio, con il 40,8 per cento conquistato alle europee, raccontano i suoi. Il (mezzo) via libera è arrivato nell’incontro estivo con Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, quando il premier cominciò a parlare all’ex Cavaliere di premio di lista e non di coalizione ricevendone un ‘ni’ o un quasi sì. Italicum rivisto in senso bipartitico e ‘Big tent’ vanno a braccetto. Renzi conta di incassare la nuova legge elettorale a dicembre, dopo l’ok alla riforma costituzionale alla Camera a novembre. Gli serve soprattutto per dare a Giorgio Napolitano un segnale utile (le riforme) a permettergli di terminare il mandato al Quirinale a inizio 2015. Ma nel lungo periodo gli serve per consolidare quello che qualcuno dei suoi non disdegna di definire il “partito unico”, contenitore di idee diverse finanche opposte, punto di riferimento di potere, creatura ideologicamente flessibile e dunque elettoralmente forte. Come un grande supermercato dell’offerta politica: tutto in uno, senza andare per negozietti. Voto anticipato a primavera? I suoi scommettono di no, ma dipende da come andranno i prossimi dibattiti parlamentari.

In Transatlantico Parrini prende il suo iPad e apre Wikipedia alla voce “Big tent”. Tradotto: “In politica, una ‘grande tenda’, o partito ‘piglia-tutti’, è un partito politico il cui obiettivo è attrarre persone con diversi punti di vista in modo da rendersi appetibile a più elettori”. Trattasi di un approccio non basato su singoli temi, non caratterizzato da “rigidità ideologica”, ma al contrario basato sull’inclusione di “diverse ideologie e punti di vista nello stesso partito”. I riferimenti storici vanno dal Partito Repubblicano americano tra fine ‘800 e inizi del ‘900, alla coalizione del ‘New Deal’ di Roosevelt, fino alle esperienze anglosassoni e agli stessi repubblicani e democratici attuali negli Usa, naturalmente. Curioso che per Wikipedia gli esempi italiani di ‘Big tent’ siano la defunta Democrazia Cristiana (ovvio) e il Movimento 5 stelle (meno ovvio). E’ questo il progetto di Renzi, questo sta diventando il Pd sotto la sua segreteria.

Raccontano i suoi che ieri, dopo la direzione Dem, il premier abbia telefonato a Denis Verdini per rassicurarlo sulla legge elettorale. L’idea resta quella di approvare il nuovo sistema bipartitico sotto l’egida del Patto del Nazareno: con Berlusconi e non contro Berlusconi. Ragion per cui alla Camera i renziani del Pd non scommettono sul fatto che ai piccoli partiti verrà concessa una soglia di sbarramento al 3 per cento. Troppo bassa: l’ex Cavaliere non lo consentirebbe e magari nemmeno Renzi. Il 4,5 per cento viene considerato più realistico e “Alfano dovrà farsene una ragione”, dice un renziano doc, convinto che al Ncd comunque non convenga far saltare il banco del governo per andare al voto anticipato. “Gli conviene aspettare…”. Il punto è che anche dentro forze minori come Sel la sensazione è che non arriveranno ‘grandi concessioni’ sulla soglia di sbarramento per essere eletti: “Perché Renzi dovrebbe farlo?”. Pessimismo e fastidio.



Il pacchetto ‘Big tent’ e ‘Italicum rivisto’ potrebbe strutturarsi come un prendere o lasciare per tutti. Il tasso di violenza dell’operazione deciderà il destino della legislatura, anche se Renzi pare continui a dire ai suoi che resterà a Palazzo Chigi “fino a 47 anni”. Che, a conti fatti, vuol dire fino al 2018 e poi per un’altra legislatura. Insomma, da qui a dire che in primavera si torna al voto ce ne passa, almeno a sentire i renziani. Tra i parlamentari vicini al premier, il più incline a considerare questa ipotesi si spinge a prevedere un ritorno alle urne nel 2017: non prima. Ma anche un (ex) renziano critico come Matteo Richetti esclude che l’accelerazione sulla legge elettorale rappresenti una corsa al voto: “Non ci credo. E poi se è vero che Jobs Act e legge di stabilità serviranno a creare 800mila posti di lavoro, sarebbe meglio aspettarne gli effetti invece di sperare in un nuovo mandato”.

Eppure sui dubbi circa il ritorno alle urne pesano non solo le chiacchiere di Transatlantico e la paure concrete della minoranza Dem, ma anche le parole di Renzi che ieri in direzione non a caso ha auspicato una “discussione sul rapporto tra gruppi parlamentari e governo”, indicando “la legge di stabilità come prova di verifica…”. La conclusione la tracciano sempre i suoi: “E’ chiaro che se il Parlamento non gli permette le riforme…”. Tutto va in malora, anche la legislatura. E i maligni ti dicono che “se i dati economici dovessero essere peggiori del previsto, sarebbe facile aprire la porta delle elezioni anticipate…”. Anche se bisognerebbe approvare una clausola di salvaguardia per rendere l’Italicum valido anche per il Senato (ora non lo è), qualora il Parlamento non approvasse in via definitiva la riforma costituzionale. Percorso complicato.

Ma in periodi di “voto a tempo determinato”, quando non si può contare più sulla fedeltà ‘ora e per sempre’ dell’elettore, le incognite sono tante. Ma è proprio per questo che Renzi organizza la sua ‘Grande tenda’ per tempo: proprio per attrezzarsi nell’odierno deserto di ideologie date e definite. In questo senso, dice un parlamentare che lo conosce bene, “il Pd l’ha già ucciso o quel che rimaneva del partito già travolto dai tempi”. E così mentre la minoranza insiste sulla necessità di discutere della “forma partito”, Renzi è già diverse lunghezze avanti: oltre la forma, oltre il partito. “E’ vicino a come doveva essere il Pd l’originale”, obietta Parrini, “cioè la vocazione maggioritaria di Veltroni uccisa nella culla da Bersani e D’Alema. E faccio notare che tra tutte le forze politiche, il Pd è l’unica che ancora conserva il nome di ‘Partito’”.

Vista in questa luce, la Leopolda del weekend prossimo a Firenze assume il suo aspetto più vero. Cadono come foglie secche le critiche della minoranza sul perché i finanziamenti trovati per la kermesse renziana non finiscano invece nelle casse del Pd. Si scoloriscono le contestazioni di chi accusa Renzi di voler organizzare un “partito parallelo”. “Conosco troppo bene Renzi per pensare che voglia organizzare la corrente del capo – ammette il ‘critico’ Richetti – Il punto non è questo. La Leopolda ha sempre guardato e attratto fuori dal Pd, non risponde ad una necessità di centrosinistra, non è nata per cambiare pelle al Pd ma per costruire le ragioni per attrarre culture e poteri diversi…”. Ecco spiegata l’esigenza di una Leopolda di governo: con il Pd, oltre il Pd, ‘Grande tenda’ plasticamente adattabile al clima elettorale. Chi esce, dovrà giocarsela col deserto (delle ideologie): torrido di giorno, freddo di notte. Il nuovo Italicum potrebbe non offrire vie di mezzo.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2014/10/21/matteo-renzi-partito-nazione_n_6022820.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #79 inserito:: Ottobre 23, 2014, 11:30:03 am »

Renzi: "Piano di investimento gigantesco, basta austerità. L'Europa volta pagina"
Il premier: "Ora la crescita. Altrimenti il Vecchio Continente resta la cenerentola dell'economia mondiale. La nuova Ue è una grande vittoria dell'Italia, che non accetta diktat".
E sullo Stato Islamico: "Hanno in ostaggio una religione, la battaglia per la dignità non sarà breve"

22 ottobre 2014

ROMA - "E' pronto il piano di investimento europeo, è gigantesco, servirà per la creazione di posti di lavoro. Tutto questo è frutto dell'impegno italiano. L'Europa finalmente volta pagina". Lo ha detto Matteo Renzi riferendo oggi al Senato sull'imminente Consiglio Ue che si riunirà a Bruxelles a partire da giovedì e sulla nuova Commissione guidata da Jean-Claude Juncker, mentre al centro del dibattito rimane la legge di stabilità, tuttora al vaglio delle autorità europee.



"L'Europa abbia più coraggio". "La più grande vittoria dell'Italia in Europa è quella di aver proposto e per alcuni versi imposto un piano di investimenti da 300 miliardi di euro. E' il primo segno di attenzione non solo all'austerità e al rigore ma anche a crescita e investimenti. Siamo in una frase di transizione, come sempre", ha detto Renzi, citando lo scrittore Ennio Flaiano. "Vorrei che le nuove istituzioni europee mostrassero un po' più di coraggio e l'orgoglio di appartenere a questa Comunità che è l'Europa", ha poi dichiarato rivolgendosi ai senatori presenti, "la Ue sta cambiando le sue istituzioni e bisogna cogliere questa occasione" perché "noi non siamo gli osservati speciali", ma un Paese che fa le riforme.

"Crescita assolutamente prioritaria". "Il clima della comunità economica internazionale sta rapidamente cambiando" sull'economia, "il vertice del G20 metterà al centro la parola crescita", ha spiegato Renzi, "io trovo che non sia più rinviabile" una discussione "su come l'Europa vuole puntare ad uscire dai margini stretti del solo rigore per puntare ad una strategia di crescita. Non c'è solo un problema italiano, ma dell'intera area dell'euro, che è oggi la cenerentola dello sviluppo mondiale", dice il premier. "Del resto, il Fondo Monetario Internazionale ha evidenziato come il focus sulla crescita sia assolutamente prioritario".

"Basta subalternità". "Domani si terrà l'ultimo Consiglio europeo guidato da Van Rompuy, dopo dieci anni. Credo sia un passaggio rilevante", ha rimarcato Renzi. "L'Europa volta pagina nella guida delle sue istituzioni. Quando invece sui giornali leggo dell'ostilità di Bruxelles basata su frasi 'di aiutanti di collaboratori della Commissione', ecco, questo è un complesso di inferiorità che dobbiamo superare. Europa e Italia non devono essere in contraddizione", ha rimarcato Renzi, citando, dopo Flaiano, anche Giorgio Ambrosoli. "In queste ore, rispetto alla legge di stabilità, si dice 'arriva la lettera della Ue', cosa che fa evocare chissà quali procedure, messaggi o minacce. Ma tutto questo è naturale, come è "naturale che l'Italia sia protagonista con la propria voce" senza "diktat esterni".

"Ora una tripla A anche 'sociale'". A questo proposito, mentre Renzi parlava, il presidente della nuova Commissione europea Jean-Claude Juncker ha annunciato che il piano di investimenti da 300 miliardi sarà presentato al Consiglio europeo prima di Natale e non entro fine gennaio. La Ue "deve avere anche un'altra 'tripla A', quella sociale, altrettanto importante di quella economica", ha aggiunto Juncker. Al successore di Barroso e alla sua commissione, Renzi ha augurato "buon lavoro", dopo il voto positivo del Parlamento europeo di oggi. Nel primo pomeriggio, poi, il Senato ha accolto con 152 sì, 107 no e 4 astensioni la mozione presentata dai capigruppo della maggioranza che approvano le comunicazioni di Renzi sul prossimo Consiglio europeo. Accolta anche a voto palese, con 223 sì, 6 no e 43 astenuti, la risoluzione presentata dal vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli (Lega), centrata sulla tutela dei rapporti civili ed etico-sociali. Su questi due documenti, il governo aveva espresso parere favorevole.

"Russia-Ucraina? Passi in avanti". Il premier italiano si è poi soffermato anche sulle crisi internazionali in atto. Ci sono stati "passi avanti significativi tra Russia e Ucraina che hanno trovato nuova linfa dai colloqui di Milano, lo 'spirito di Milano', mi piace definirlo così", ha continuato Renzi parlando della crisi nell'est dell'Ucraina. "L'Italia non ha un'ansia energetica, non sottovalutiamo le preoccupazioni economiche, ma il ruolo della Russia non vale solo per le imprese italiane" bensì soprattutto "per il mantenimento dell'equilibrio internazionale. Il processo di recupero della Russia è importante per il ruolo che ha di punto di riferimento per il popolo ucraino, per l'Europa e la comunità internazionale. Una Europa forte si costruisce nel rispetto e nel dialogo".

"Sconfiggere lo Stato Islamico". Infine, sullo Stato Islamico: "Tra Siria e Iraq è in atto un'escalation preoccupante", ha detto Renzi, "ciò che hanno commesso gli estremisti provoca scandalo e dolore in tutta la comunità internazionale, per questo l'Italia è al fianco della dignità dell'uomo e della donna. Non è una guerra di religione, perché lo Stato Islamico ha in ostaggio una religione. La coalizione anti Is non sarà un intervento di breve durata".

© Riproduzione riservata 22 ottobre 2014

Da - http://www.repubblica.it/economia/2014/10/22/news/juncker_commissione_ue_presentazione_tripla_a-98715990/?ref=HREA-1
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« Risposta #80 inserito:: Ottobre 28, 2014, 04:06:35 pm »

Leopolda, Renzi: "L'articolo 18 è come il gettone nell'iPhone"
Si chiude con l'intervento del premier la convention renziana: "Il posto fisso non c'è più", rivendica per l'Italia un ruolo forte in Europa e sulle divisioni a sinistra dice: "Non ho paura di nuovi soggetti". Franceschini: "Ieri non si è spaccato, è nato il Pd". La commozione di Maria Elena Boschi: "E' un onore fare parte di questo governo". Fuori le proteste di un centinaio di lavoratori delle acciaierie di Terni.

Di ERNESTO FERRARA e LAURA MONTANARI
26 ottobre 2014

Dice che "il posto fisso non c'è più", che "bisogna cambiare il Paese" e il mondo del lavoro. Attacca Rosy Bindi che aveva definito "imbarazzante" la Leopolda: "Non saremo un partito di reduci e non permetteremo a quella classe dirigente di riprendersi il Pd per riportarlo dal 41al 25 per cento". Applausi dal pubblico, grida, "bravooo Matteo”, Renzi vai avanti così". E lui non se lo fa ripetere due volte. Rivendica per l'Italia un ruolo di primo piano in Europa. Chiede un lungo applauso per il presidente Giorgio Napolitano: "Quando si sentono tante menzogne nei confronti del nostro Presidente della Repubblica, credo sia doveroso che l'Italia per bene faccia sentire tutto l'affetto". Finisce con una standing ovation l'intervento del premier Matteo Renzi alla convention fiorentina, un'ora e passa di un discorso che non leviga le parole, non smussa gli angoli contro la vecchia guardia del Pd e contro la Cgil. Nessuna mediazione, sembra tornato il Renzi "rottamatore".

Alla Leopolda tre giorni di incontri e tavoli di idee, fra magliette anti-gufi (l'ossessione di "quelli che dicono che non ci si fa", atteggiamento tipico, dice il premier, "di una parte del ceto intellettuale") e la tensione che sale nella consapevolezza di una distanza, fra chi sta in questa vecchia ex stazione e chi ha affollato la piazza di ieri a Roma per la manifestazione della Cgil contro il Jobs act.

Renzi non sembra aver paura, non indietreggia sull'articolo 18, anzi incalza: "E' una regola degli anni Settanta che la sinistra allora non aveva nemmeno votato, siamo nel 2014 è come prendere un IPhone e dire dove metto il gettone? Come prendere una macchina fotografica digitale e provare a metterci il rullino. E' finita l'Italia del rullino". Una contrapposizione tra vecchio e nuovo che torna spesso nelle parole del premier che non sembra nemmeno preoccupato per una scissione a sinistra e lancia quasi una sfida: "Sarà bello capire se è più di sinistra restare aggrappati alla nostalgia o provare a cambiare il futuro". Avverte: "Non ho paura di nuovi soggetti a sinistra, le sinistre arcobaleno perdono e fanno perdere l'Italia".

Prende il microfono puntuale, alle 12,30 Matteo Renzi, camicia bianca e cravatta, davanti un pubblico di settemila persone. Spiazza tutti: "Non voglio parlare di Leopolda" comincia, ma poi di Leopolda parlerà eccome per difenderla ("siamo indignati per come è stata dipinta questa iniziativa"). Ringrazia i volontari: "Dimostrate prima di tutto che la politica è impegno e passione". Ammette però che questa quinta edizione è qualcosa di diverso:




Liberarsi dalle paure. "Un'altra Leopolda, il luogo è lo stesso ma noi siamo al governo. E se siamo al governo, non è per occupare una sedia o scaldare il posto e consolidare noi stessi, ci tocca cambiare il Paese. Perchè quella bicicletta ce la siamo cercata, ora è arrivato il momento di prenderci terribilmente sul serio".

Racconta che il podio è lo stesso di Verona, solo riverniciato ("là avevamo perso, ma non siamo scaramantici"). Toni decisi: “Ci raccontano che facciamo le cose un po' per caso, come pezzetti di puzzle messi qua e là. Noi, invece, non solo abbiamo un disegno organico, ma partiamo dal fatto che il mondo è interconnesso, un gran casino e che l'Italia ha un futuro se cambia sè stessa, ma deve liberarsi di alcune paure".

Contro i gufi. Parla di twitter, dei social, del mondo online che salta le mediazioni, ma soltanto per arrivare al punto che gli sta più a cuore, la crociata contro i pessimisti cronici individuati fra un "certo ceto intellettuale": "Sì, l'ho presa larga...ma voglio dire che c'è una guerra da combattere contro quelli che con uno scenario così dicono che l'Italia ha solo da perdere. Avete presente - e qui si rivolge agli "amici sindaci" -, quando si deve costruire una strada o aprire un cantiere? C'è il meeting del pensionato che scuote la testa, "uhmmm come lavorano piano, uhmmm non ce la fanno mica a finirlo...". E' una parte del ceto medio intellettuale di Italia. E mi scuso con i pensionati per l'accostamento...".

Parole spigolose quelle usate dal premier: "Quando diciamo che vogliamo parlare a tutti gli italiani vogliamo dire che abbiamo il desiderio di lasciare un segno e sfatare certi tabù. C'è un incantesimo da sfatare, non dico che l'Italia è la bella addormentata nel bosco perchè mancano i principi".

Sull'Europa. Quindi tocca all'Europa: "In Europa per me è una battaglia tutte le volte che ci vado, ma non perchè mi metto a litigare sullo zero virgola. Nessuno in Europa è così stupido da impiccare un paese ad una virgola, ma c'è un atteggiamento, paradossalmente portato da alcuni italiani che fanno sentire l'Italia come l'ultima ruota del carro, siamo il problema... Ma è sbagliato, io sono orgoglioso di portare la voce italiana nell'Europa con più forza. Non è un fatto economico, anche se basterebbe dire che noi portiamo 20 miliardi in Europa e ne portiamo a casa dieci e, tra averli e non averli...".

"La politica europea - prosegue il premier - non è solo discussione sul deficit. So che la politica estera non scalda, ma quando la Lega riunisce i cittadini contro l'immigrazione ignora che i 100mila sbarchi non sono figli del caso ma perchè la Libia è saltata e meno male che sulla nostra nave può nascere una bambina altrimenti il Mediterraneo sarebbe sia culla che tomba".





Sul lavoro. "Il posto fisso non c'è più. E' cambiato tutto, lo avete visto dal filmato in cui vi abbiamo mostrato come è cambiata in pochi anni la scrivania. Il modello fordista della fabbrica non c'è più. La monogamia aziendale è sparita. Cosa fa un governo di sinistra se non una politica che si prende in carico quelli che hanno perso il lavoro? E' uno shock psicologico enorme perdere il lavoro, cosa fai? Vai al centro dell'impiego, ti iscrivi, senti tutta la solitudine... Noi ci prendiamo cura con un assegno, poi ti vengo a cercare e ti offro un'occasione di lavoro e facendo questo dico che tu sei importante...Per anni ci siamo divisi in modo profondo tra chi voleva combattere il precariato organizzando manifestazioni, e chi voleva farlo organizzando convegni: ma il precariato si combatte innanzitutto cambiando la mentalità delle nostre imprese, e le regole del gioco".

Piazza San Giovanni a Roma. "Quelle come quella di ieri della Cgil sono manifestazioni politiche, e io le rispetto - dice Renzi -, e non ho paura che si crei a sinistra qualcosa di diverso, sarà bello capire se è più di sinistra restare aggrappati alla nostalgia o provare a cambiare il futuro".

Contro Rosy Bindi. Contro la Bindi che aveva definito in diretta tv la Leopolda "imbarazzante" Renzi attacca ad alzo zero: "Se uno si imbarazza perchè se dopo 25 anni che è in Parlamento trova un altro che riesce a portare la gente a fare politica allora gli abbiamo fatto un favore...". Quindi: "Tutte le volte che la sinistra radicale ha compiuto uno strappo, ha perso e ha fatto perdere l'Italia", sottolinea, tra gli applausi della platea, il premier.

80 euro. "Ho capito che se dico diamo 80 euro sono il Giorgio Mastrota de noantri (video), se parlo complicato divento invece un intellettuale organico. Allora ve lo dico da intellettuale: la riduzione della pressione fiscale alla quale state assistendo non ha eguali nella storia della Repubblica".

Napolitano. Finisce con una richiesta di Renzi alla platea, un grande applauso al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: "Viviamo un tempo delicato - ha detto - in cui ci sono straordinarie espressioni di bella politica. Vorrei citare una persona, che in questi mesi ho imparato a conoscere meglio dal punto di vista personale, il Capo dello Stato. Quando si sentono tante menzogne nei confronti del nostro Presidente della Repubblica, credo sia doveroso che l'Italia per bene faccia sentire tutto l'affetto".

Leopolda5. E' mattina, quando dentro, sul palco cominciano gli interventi dell'ultimo giorno della convention, fuori le proteste di un centinaio di lavoratori della Ast, le acciaierie di Terni e di una delegazione di Meridiana. Dentro quelli che parlano di futuro e di lavoro da creare, fuori quelli che il lavoro temono di perderlo. Dentro la ex stazione fiorentina, sulla scena in stile garage di Steve Jobs salgono imprenditori e giovani studenti, politici e manager: alle 10.45 la sala è già strapiena, circa seimila persone (diventeranno settemila alla fine). Nel cortile, si accendono i maxischermi per permettere alla folla di assistere ai lavori anche da fuori. Quattro minuti a chi sale sul palco, interventi stoppati da un gong per non rubare spazio a chi viene dopo, migliaia di tweet generati sull'hashtag #lepolda5.



Ci sono anche imprenditori come il veneto Alessandro Tronchin, che si occupa di finanziamenti europei e dice: “Passo il tempo a spiegare agli amministratori come funziona”. Parla Deborah Serracchiani, che ieri in diretta tv ha litigato con la Bindi che ha definito “imbarazzante” la Leopolda: “Lavoro, dignità e speranza sono parole che appartengono anche a noi. Perché ogni volta, a sinistra, dobbiamo sempre cercare la scissione dell'atomo senza mai produrre energia?”. E' una risposta alla piazza della Cgil di ieri. E poco dopo il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini dirà: "Ieri è nato il Pd, non si è spaccato il Pd. Noi stiamo discutendo di contenuti, per esempio dell'articolo 18 e non di correnti". E ancora: “Il Pd non può essere il solo il partito di chi ieri era in piazza. Lasciamoci alle spalle la vocazione minoritaria.
Si commuove, il ministro Maria Elena Boschi quando si affaccia alla platea della Leopolda:
ha gli occhi lucidi: “Non la faccio lunga. Qui ho cominciato come volontaria qualche anno fa, e alla Leopolda mi sento a casa. Ho giurato sulla Costituzione che avrei svolto il mio lavoro con onore. E l'onore per me è approvare una legge elettorale che dica subito il vincitore, preveda il ballottaggio. Onore per me è approvare una riforma costituzionale che riveda il rapporto tra gli enti locali, elimini il Cnel, elimini il bicameralismo perfetto. Onore per me è tornare il prossimo anno e dirvi che abbiamo eliminato tutti i decreti del passato da adottare, erano 900 li abbiamo ridotti della metà. Onore per me è fare parte di questa storia, una storia in cui una volontaria può diventare ministra, una giovane avvocata può diventare ministra. E lo dico con la voce che trema: onore è fare parte di questo governo e di questa storia insieme a voi”.

Renzi: "Ascolteremo la piazza ma andremo avanti"
Parla Matteo, 21 anni, che dice: “Basta con questa retorica dei giovani che stanno sui social network e non fanno nulla”, poi è la volta della vicepresidente di Dynamo Camp Serena Porcari, che si occupa di disabili: “Ho mollato la mia attività precedente per fare tutto questo, la solidarietà fa bene al Paese”. Sul palco si scherza, si leggono i tweet, quello in cui qualcuno dice: “Renzi oggi ha la camicia blu, ora tutti a cambiarsela?”. Scorre un video in cui si vede come è cambiata la scrivania negli ultimi 20 anni, tutto si è trasferito sul monitor, si è fatto software o app, dalle foto ai foglietti per gli appunti. Renzi è già arrivato, è nel dietro le quinte, lì dove si è fatto allestire una sorta di campus per lavorare, con il pc e tutto il resto. Ha già incontrato una delegazione delle acciaierie di Terni mentre partivano gli interventi.

Si aggirano facce celebri e politici a cominciare dal sindaco di Roma Ignazio Marino, Federica Mogherini, il segretario della Fiom Daniele Calosi. 
Regioni, si ai tagli. Il candidato Pd Stefano Bonaccini sale sul palco della Leopolda: “Mi auguro di poter essere il presidente della Regione Emilia Romagna, mi sono schierato dalla parte del governo quando Renzi ha chiesto a tutti di fare la propria parte per i tagli. Basta con la logica del “non tocca mai a te”. Oscar Farinetti si presenta sul palco con il cuoco Enrico Panero, che lavora in uno dei suoi Eataly: “Io e Enrico lavoriamo nella stessa azienda. La nostra fortuna è essere nati in Italia”, esordisce. Luca Parmitano l'astronauta: “Ogni foto racconta una storia”, dice. Lui mostra quella scattata dallo spazio che inquadra l'Italia e il bacino mediterraneo: “Non si vedono i confini, capite? Quella è la nostra sfida”.



Arriva Federica Mogherini, lady Pesc: “Mamma ma quindi cambi lavoro? Ti trasferisci? Ma se ce ne sono 28, a cosa serve quello europeo? Se riuscirò a spiegare a mia figlia quel che faccio, avrò raggiunto il mio obiettivo”, comincia. “Occorre portare la voglia di cambiare in Europa”. Rischia di scoppiare il caso sul segretario della Fiom di Firenze Daniele Calosi, che doveva intervenire: “Per il momento non sono in scaletta”, fa però sapere. Si presenta anche la deputata toscana Elisa Simoni, che all'inizio aveva detto non sarebbe venuta: “Quando parla il segretario io ci sono. Anche se parla in un pollaio”, scherza.

I manifesti contro i gufi
Parla anche una delle sorprese di questa Leopolda 5: “Un napoletano di sinistra”, lo presentano. E' Gennaro Migliore, ex Sel: “Il diritto di sciopero non è l'ultimo, è il primo”, attacca subito Serra. Poi azzarda: “Io voglio parlare di coerenza. Per me coerenza è dire alla Merkel che così non si può andare avanti”. Cita De Filippo: “C'è qualcuno che pensa che la sinistra sia solo il ragù della mamma e basta? Ce ne sono anche altri e migliori. Io qui ho trovato tante parole, una mi è piaciuta: è benvenuto”.

Andrea Romano, ex di Scelta civica, appena iscritto al Pd. Cita subito la vecchia canzone di Jovanotti, “sogno una grande chiesa, da Che Guevara a Madre Teresa...”. Poi: “Mi ha convinto a venire nel Pd la parola nazione. La nazione non è guerra, la nazione siamo noi che la pensiamo così ma anche quel che lasceremo ai nostri figli. Noi della nazione dobbiamo avere cura dell'interesse nazionale. Mi piace l'idea del patriottismo repubblicano, che non ha niente a che fare col conservatorismo, è un atto di devozione e fedeltà, un ponte tra passato e futuro. Patriottismo e sinistra dovranno prima o poi tornare insieme, come disse George Orwell.

Fuori protestano: ci sono i lavoratori di Esaote che rischia la chiusura, i dipendenti di Meridiana a rischio esubero, un plotone di cento operai delle acciaierie di Terni con lo striscione “No allo smantellamento delle acciaierie” sono qui dalle 9, assediano i cancelli della stazione, urlano “Andate a lavorare” mentre dalla stazione sparano “Say Geronimo”, che è una delle colonne sonora della kermesse. Renzi, riceve una delegazione di lavoratori. Intanto arriva anche il segretario fiorentino della Fiom Daniele Calosi, dice che vuole spiegare le ragioni di chi era ieri in piazza. Ma passano i minuti e nessuno gli fa sapere niente. Spiegheranno dopo gli organizzatori che è prassi inviare prima l'intervento da leggere sul palco della Leopolda (regola che vale per tutti eccetto per i ministri) e che il sindacalista non lo ha fatto. "Ho mandato richiesta di intervento il 22 ottobre - spiega Calosi - e mi è stato chiesto l'intervento scritto che io non ho dato. Forse in Corea del nord si richiedono gli interventi preventivamente. Poi se è il modo di operare alla Leopolda ne prendo atto ma mi dispiace". Code di piccoli veleni: "Oggi Renzi e i ministri - osservano dallo staff leopoldino - hanno incontrato i delegati Fiom ed i lavoratori dell'Ast di Terni. Ma Calosi non c'era, preferendo alimentare polemiche". Così si spengono le luci sulla Leopolda 5, ma i fuochi restano.

© Riproduzione riservata 26 ottobre 2014

Da - http://firenze.repubblica.it/cronaca/2014/10/26/news/leopolda_serracchiani_lavoro_dignit_uguaglianza_sono_anche_le_nostre_parole-99041202/?ref=HREA-1
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« Risposta #81 inserito:: Ottobre 28, 2014, 04:07:56 pm »

Leopolda, ultimo giorno
Renzi dall’art. 18 a chi pensa negativo: ex classe dirigente non riprenderà Pd
Nell’ex stazione, che ospita l’iniziativa, gran pienone di gente arrivata per ascoltare gli interventi e il discorso del premier. Sul palco Serracchiani, Franceschini, Poletti e l’ingegnere che ha raddrizzato la Concordia

FIRENZE - Un intervento che dura mezzora, il cui cuore è l’articolo 18 e le polemiche interne al Pd dopo il milione di persone scese in piazza a Roma con la Cgil per protestare contro il Jobs Act. Così il premier Matteo Renzi, camicia bianca e cravatta, conclude la kermesse fiorentina della Leopolda 5.

«Il posto fisso non c’è più»
«Il lavoro rappresenta la battaglia culturale più grande che ha investito la sinistra. Ci siamo divisi tra quelli che vogliono lottare il precariato con le manifestazioni e quelli che lo vogliono fare con i congressi. Noi pensiamo che il precariato si combatta cambiando la mentalità dell’impresa e dei nostri giovani», spiega. Poi grida dal palco: «Il posto fisso non c’è più, il mondo è cambiato». Sulle manifestazioni di sabato promosse dalla Cgil attacca: «Se sono manifestazioni io le rispetto. Sarà bello sapere se è più di sinistra rimanere aggrappati alle nostalgie e o se più di sinistra prevedere il futuro. Poi saranno i cittadini», prosegue. «Rimanere aggrappati all’art 18 votato nel 1970 è come pensare di mettere un gettone dentro l’iPhone o un rullino dentro una macchina fotografica». E poi conclude: «Di fonte al mondo che cambia a questa velocità, puoi discutere quanto vuoi ma il posto fisso non c’è più. Siccome è cambiato tutto, la monogamia aziendale è in crisi, un partito di sinistra che fa: un dibattito ideologico sulla coperta di Linus o chi perde il posto di lavoro trova uno Stato che si prende carico di lui?».

L’attacco alla Bindi
«Se uno si imbarazza perché se dopo 25 anni che è in Parlamento trova un altro che riesce a portare la gente a fare politica allora gli abbiamo fatto un favore...». Lo afferma il premier Matteo Renzi, intervenendo alla Leopolda e rispondendo, senza citarla, a Rosy Bindi che ieri ha definito la kermesse imbarazzante. «Tutte le volte che la sinistra radicale ha compiuto uno strappo, ha perso e ha fatto perdere l’Italia», sottolinea, tra gli applausi della platea, il premier.«Noi rispettiamo chi in Parlamento non la pensa come noi - ha aggiunto - che sui singoli provvedimenti ci siano anche voti di coscienza, rispetteremo anche i messaggi offensivi, ma non consentiremo a chi ha detto che la Leopolda è imbarazzante, non consentiremo a quella classe dirigente di riprendersi il Pd. Saremo il partito del futuro».

«In guerra contro chi crede che l’Italia non ce la farà»
«Non stiamo facendo le riforme perché ormai ci eravamo impegnati, ma perché c’è una guerra da combattere» quella contro chi non crede che l’Itala ce la farà. Lo ha detto il premier Matteo Renzi intervenendo alla Leopolda e facendo l’esempio «dei meeting dei pensionati che guardano i cantieri e scuotono la testa» che è «l’atteggiamento tipico di una parte del ceto intellettuale che esiste in Italia, che adesso sarà molto offeso dal riferimento del cantiere».

«Mi voglio scusare con loro - ha poi aggiunto sorridendo - con i pensionati del cantiere...». «Ci raccontano che facciamo le cose un po’ per caso, come pezzetti di puzzle messi qua e là. Noi, invece, non solo abbiamo un disegno organico, ma partiamo dal fatto che il mondo è interconnesso, un gran casino e che l’Italia ha un futuro se cambia sé stessa ma deve liberarsi di alcune paure»

«Ci tocca cambiare il Paese»
«Questa è la Leopolda, il luogo è lo stesso ma noi siamo al governo, io, noi, e se siamo al governo non è per occupare una sedia o scaldare il posto o per mantenerci al governo o consolidare noi stessi, ci tocca cambiare il Paese, perché quella bicicletta ce la siamo andati a prendere, ora è arrivato il momento di prenderci terribilmente sul serio». Così il premier Matteo Renzi ha aperto il suo intervento finale alla Leopolda. Nell’ex stazione, che ospita l’iniziativa, tantissima gente arrivata per ascoltare gli interventi e il discorso del premier. I ministri si sono alternati sul palco: Franceschini, Poletti, Boschi ma anche l’ingegnere che ha raddrizzato la Concordia. All’esterno, alcune manifestazioni di protesta degli operai delle acciaierie di Terni e dei lavoratori della Meridiana.

Boschi: «Un onore per me far parte di questa storia»
«È un onore per me far parte di una storia, di una comunità di persone normali e semplici, ma appassionate, che stanno cambiando il futuro del Paese». Lo ha detto il ministro alle riforme Maria Elena Boschi intervenendo alla Leopolda e ricordando le riforme pensate negli anni scorsi alla kermesse renziana e ora oggetto del lavoro del governo, come «la legge elettorale che dia un vincitore, che garantisca la governabilità a chi vince». «È un onore per me - ha aggiunto - portare a casa una riforma costituzionale che abbiamo pensato qua anni fa, e un onore per me come ministro per l’attuazione del programma è tornare il prossimo anno e dirvi che abbiamo eliminato tutto l’arretrato».

Pinotti: «Puntare sulle donne è una rivoluzione»
Puntare sulle donne nei ruoli decisionali come ha fatto il governo Renzi «è una rivoluzione, ed è il modo in cui questo paese diventa più forte». Lo ha affermato Roberta Pinotti, ministro della Difesa, dal palco della Leopolda 5, aggiungendo che «dobbiamo avere donne leader del mondo».

Franceschini: «Dimentichiamo la vocazione minoritaria»
«Sabato è stata la giornata in cui il Pd si è spaccato? O è nato il Pd?». Lo ha chiesto Dario Franceschini intervenendo alla Leopolda.«Siamo finalmente diventati quello che volevamo essere, un partito che discute di cose, non solo di chi sta con chi», osserva. «Abbiamo un leader di governo che ci ha portato a realizzare la vocazione maggioritaria: il Pd è anche il partito di chi era in piazza, ma non può essere il partito solo di chi era in piazza, ciò che ci dobbiamo lasciare alle spalle è la vocazione minoritaria, abbiamo bisogno della vocazione maggioritaria».



Serracchiani: «Lavoro e uguaglianza, nostre parole»
«La piazza della Cgil era una bella piazza, non lo dico per piaggeria: sono state utilizzate parole lavoro, dignità, uguaglianza. Ma perché queste parole non possono appartenere a questa stazione? Perché a sinistra abbiamo sempre bisogno di fare la scissione dell’atomo senza produrre energia?» Lo ha detto Debora Serracchiani, vicesegretaria del Pd e presidente del Friuli Venezia Giulia, parlando dal palco della Leopolda. «Io credo che ci siano le condizioni per fare le riforme: ma bisogna far capire che quello che stiamo facendo è per il bene del nostro Paese. Non ci sono diversi partiti democratici», ha aggiunto Serracchiani. «Questo partito democratico nuovo vuole cambiare tutto; ma soprattutto vuole cambiare tutti, cioè vuole cambiare coloro che non hanno capito che il cambiamento è la vera sfida per il paese. Noi faremo ogni sforzo per cercare di capirci, per comprenderci».

Farinetti: «Raccontiamo il nostro primato nel mondo»
«Ho un progetto straordinario: alziamo il culo dalla sedia e andiamo a narrare il nostro primato nel mondo, dobbiamo imparare a farlo». Lo ha affermato Oscar Farinetti, patron di Eataly, dove si è presentato insieme a Enrico Panero, 27enne cuoco del ristorante di Eataly a Firenze, parlando dell’enogastronomia italiana dal palco della Leopolda 5. Farinetti ha elencato i primati dell’Italia nel settore, ma ha osservato che oggi «esportiamo meno della Germania, e la metà della Francia», anche per colpa della troppa burocrazia. «Vengo alla Leopolda perché qui si cercano soluzioni, non è un luogo di lamentele».

26 ottobre 2014 | 11:56
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Da - http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/politica/14_ottobre_26/leopolda-pienone-maxi-schermi-palco-l-ingegnere-concordia-c6ae1550-5cfb-11e4-9730-b3609e6e5269.shtml
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« Risposta #82 inserito:: Ottobre 28, 2014, 04:09:23 pm »

Leopolda, caccia al selfie col ministro Boschi

E' mattina, quando dentro, sul palco cominciano gli interventi dell'ultimo giorno della convention, fuori le proteste di un centinaio di lavoratori della Ast, le acciaierie di Terni e di una delegazione di Meridiana. Dentro quelli che parlano di futuro e di lavoro da creare, fuori quelli che il lavoro temono di perderlo. Dentro la ex stazione fiorentina, sulla scena in stile garage di Steve Jobs salgono imprenditori e giovani studenti, politici e manager: alle 10.45 la sala è già strapiena, circa seimila persone (diventeranno settemila alla fine). Nel cortile, si accendono i maxischermi per permettere alla folla di assistere ai lavori anche da fuori. Quattro minuti a chi sale sul palco, interventi stoppati da un gong per non rubare spazio a chi viene dopo, migliaia di tweet generati sull'hastag #lepolda5.

Ci sono anche imprenditori come il veneto Alessandro Tronchin, che si occupa di finanziamenti europei e dice: “Passo il tempo a spiegare agli amministratori come funziona”. Parla Deborah Serracchiani, che ieri in diretta tv ha litigato con la Bindi che ha definito “imbarazzante” la Leopolda: “Lavoro, dignità e speranza sono parole che appartengono anche a noi. Perché ogni volta, a sinistra, dobbiamo sempre cercare la scissione dell'atomo senza mai produrre energia?”. E' una risposta alla piazza della Cgil di ieri. E poco dopo il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini dirà: "Ieri è nato il Pd, non si è spaccato il Pd. Noi stiamo discutendo di contenuti, per esempio dell'articolo 18 e non di correnti". E ancora: “Il Pd non può essere il solo il partito di chi ieri era in piazza. Lasciamoci alle spalle la vocazione minoritaria.

Si commuove, il ministro Maria Elena Boschi quando si affaccia alla platea della Leopolda, ha gli occhi lucidi: “Non la faccio lunga. Qui ho cominciato come volontaria qualche anno fa, e alla Leopolda mi sento a casa. Ho giurato sulla Costituzione che avrei svolto il mio lavoro con onore. E l'onore per me è approvare una legge elettorale che dica subito il vincitore, preveda il ballottaggio. Onore per me è approvare una riforma costituzionale che riveda il rapporto tra gli enti locali, elimini il Cnel, elimini il bicameralismo perfetto. Onore per me è tornare il prossimo anno e dirvi che abbiamo eliminato tutti i decreti del passato da adottare, erano 900 li abbiamo ridotti della metà. Onore per me è fare parte di questa storia, una storia in cui una volontaria può diventare ministra, una giovane avvocata può diventare ministra. E lo dico con la voce che trema: onore è fare parte di questo governo e di questa storia insieme a voi”.

Renzi: "Ascolteremo la piazza ma andremo avanti"
Parla Matteo, 21 anni, che dice: “Basta con questa retorica dei giovani che stanno sui social network e non fanno nulla”, poi è la volta della vicepresidente di Dynamo Camp Serena Porcari, che si occupa di disabili: “Ho mollato la mia attività precedente per fare tutto questo, la solidarietà fa bene al Paese”. Sul palco si scherza, si leggono i tweet, quello in cui qualcuno dice: “Renzi oggi ha la camicia blu, ora tutti a cambiarsela?”. Scorre un video in cui si vede come è cambiata la scrivania negli ultimi 20 anni, tutto si è trasferito sul monitor, si è fatto software o app, dalle foto ai foglietti per gli appunti. Renzi è già arrivato, è nel dietro le quinte, lì dove si è fatto allestire una sorta di campus per lavorare, con il pc e tutto il resto. Ha già incontrato una delegazione delle acciaierie di Terni mentre partivano gli interventi.

Si aggirano facce celebri e politici a cominciare dal sindaco di Roma Ignazio Marino, Federica Mogherini, il segretario della Fiom Daniele Calosi. 

Regioni, sì ai tagli. Il candidato Pd Stefano Bonaccini sale sul palco della Leopolda: “Mi auguro di poter essere il presidente della Regione Emilia Romagna, mi sono schierato dalla parte del governo quando Renzi ha chiesto a tutti di fare la propria parte per i tagli. Basta con la logica del “non tocca mai a te”. Oscar Farinetti si presenta sul palco con il cuoco Enrico Panero, che lavora in uno dei suoi Eataly: “Io e Enrico lavoriamo nella stessa azienda. La nostra fortuna è essere nati in Italia”, esordisce. Luca Parmitano l'astronauta: “Ogni foto racconta una storia”, dice. Lui mostra quella scattata dallo spazio che inquadra l'Italia e il bacino mediterraneo: “Non si vedono i confini, capite? Quella è la nostra sfida”.
Arriva Federica Mogherini, lady Pesc: “Mamma ma quindi cambi lavoro? Ti trasferisci? Ma se ce ne sono 28, a cosa serve quello europeo? Se riuscirò a spiegare a mia figlia quel che che faccio, avrò raggiunto il mio obiettivo”, comincia. “Occorre portare la voglia di cambiare in Europa”. Rischia di scoppiare il caso sul segretario della Fiom di Firenze Daniele Calosi, che doveva intervenire: “Per il momento non sono in scaletta”, fa però sapere. Si presenta anche la deputata toscana Elisa Simoni, che all'inizio aveva detto non sarebbe venuta: “Quando parla il segretario io ci sono. Anche se parla in un pollaio”, scherza.

I manifesti contro i gufi
Parla anche una delle sorprese di questa Lepolda 5: “Un napoletano di sinistra”, lo presentano. E' Gennaro Migliore, ex Sel: “Il diritto di sciopero non è l'ultimo, è il primo”, attacca subito Serra. Poi azzarda: “Io voglio parlare di coerenza. Per me coerenza è dire alla Merkel che così non si può andare avanti”. Cita De Filippo: “C'è qualcuno che pensa che la sinistra sia solo il ragù della mamma e basta? Ce ne sono anche altri e migliori. Io qui ho trovato tante parole, una mi è piaciuta: è benvenuto”.

Andrea Romano, ex di Scelta civica, appena iscritto al Pd. Cita subito la vecchia canzone di Jovanotti, “sogno una grande chiesa, da Che Guevara a Madre Teresa...”. Poi: “Mi ha convinto a venire nel Pd la parola nazione. La nazione non è guerra, la nazione siamo noi che la pensiamo così ma anche quel che lasceremo ai nostri figli. Noi della nazione dobbiamo avere cura dell'interesse nazionale. Mi piace l'idea del patriottismo repubblicano, che non ha niente a che fare col conservatorismo, è un atto di devozione e fedeltà, un ponte tra passato e futuro. Patriottismo e sinistra dovranno prima o poi tornbare insieme, come disse George Orwell.

Fuori protestano: ci sono i lavoratori di Esaote che rischia la chiusura, i dipendenti di Meridiana a rischio esubero, un plotone di cento operai delle acciaierie di Terni con lo striscione “No allo smantellamento delle acciaierie” sono qui dalle 9, assediano i cancelli della stazione, urlano “Andate a lavorare” mentre dalla stazione sparano “Say Geronimo”, che è una delle colonne sonora della kermesse. Renzi, riceve una delegazione di lavoratori. Intanto arriva anche il segretario fiorentino della Fiom Daniele Calosi, dice che vuole spiegare le ragioni di chi era ieri in piazza. Ma passano i minuti e nessuno gli fa sapere niente.

Spiegheranno dopo gli organizzatori che è prassi inviare prima l'intervento da leggere sul palco della Leopolda (regola che vale per tutti eccetto per i ministri) e che il sindacalista non lo ha fatto. "Ho mandato richiesta di intervento il 22 ottobre - spiega Calosi - e mi è stato chiesto l'intervento scritto che io non ho dato. Forse in Corea del nord si richiedono gli interventi preventivamente. Poi se è il modo di operare alla Leopolda ne prendo atto ma mi dispiace". Code di piccoli veleni: "Oggi Renzi e i ministri - osservano dallo staff leopoldino - hanno incontrato i delegati Fiom ed i lavoratori dell'Ast di Terni. Ma Calosi non c'era, preferendo alimentare polemiche". Così si spengono le luci sulla Leopolda 5, ma i fuochi restano.

Da - http://firenze.repubblica.it/cronaca/2014/10/26/news/leopolda_serracchiani_lavoro_dignit_uguaglianza_sono_anche_le_nostre_parole-99041202/?ref=HREA-1
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« Risposta #83 inserito:: Novembre 16, 2014, 05:40:35 pm »

Renzi al G-20: Contro la crisi basta austerità, uniti per la crescita

Dal nostro corrispondente Mario Platero
15 novembre 2014

BRISBANE – Subito dopo la sessione plenaria del G-20 Matteo Renzi ha ribadito che la visione comune dei leader mondiali è quella di sostituire le misure di austerità con misure per la crescita: “l'Italia sta facendo la sua parte con le riforme che abbiamo proposto, riforme apprezzate da tutti, lavoreremo con l'Europa per cambiare. Non appena saranno approvate lavoreremo con l'Europa per cambiare marcia”.

Matteo Renzi e' arrivato questa mattina a Brisbane determinato a rilanciare l'agenda per la crescita contro quella per l'austerità. E in questo suo obiettivo ha subito trovato nel suo primo impegno della mattinata una sponda nel primo ministro australiano Tony Abbott, deciso a sostenere ogni iniziativa possibile per favorire la crescita mondiale, incluso un pacchetto in alcuni centinaia di punti che sarà annunciato durante il vertice e ratificato dai capi di Stato e di Governo. Lo stesso Abbott è allineato con la posizione americana che vuole incoraggiare l'Europa a uscire da un circolo vizioso avviato dalle politiche del rigore di ispirazione tedesca che hanno impedito risultati virtuosi simili a quello americano che ha ripreso a crescere a tassi persino superiori al 4% con la creazione di 10 milioni di posti di lavoro in pochi anni a un tasso di disoccupazione che è passato dal 7,2 al 5,8% in appena un anno.

“L'unica strada oggi è tornare a discutere di crescita non solo di rigore. La crescita non viene solo dallo sviluppo dell'economia, ma anche da un investimento di lungo termine nella formazione e nella educazione” ha detto Renzi ai margini dei suoi incontri bilaterali qui a Brisbane. Il Presidente del Consiglio ha aggiunto che l'Italia appoggerà fino in fondo l'agenda per la crescita del G20. Renzi si è successivamente incontrato poi con il nuovo premier indonesiano Widodo, con Vladimir Putin e con il Presidente brasiliano Dilma Rousseff, reduce da una impressionante vittoria elettorale.

Fonti vicine a Palazzo Chigi hanno anche minimizzato il dato negativo sulla crescita:” Il PIL a meno 0,1 era largamente atteso- ci ha detto la fonte – non ne siamo felici ovviamente, ma non siamo neppure preoccupati. Il problema crescita non e solo italiano, riguarda tutta Europa”.

Le fonti di Palazzo Chigi osserva anche che “il continui ritornello della UE secondo cui l'Italia ha un debito alto, non è una novità. Che la percentuale Pil debito cresca con la crescita negativa è una banalità matematica” Dalla Commissione Renzi si attende piuttosto uno sforzo per rilanciare sugli investimenti. Renzi ha incontrato in bilaterale Con il premier indonesiano Joki Widodo, collega anche perché, ha detto ancora Renzi, “abbiamo alla entrambi alle spalle una esperienza come sindaci”. Nel dialogo si è parlato di rapporti economici e culturali fra i due paesi, anche in vista della collaborazione per Expo, e la lotta contro il terrorismo.

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-11-15/renzi-g-20-basta-austerita-uniti-la-crescita-095217.shtml?uuid=ABhOpIEC
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« Risposta #84 inserito:: Novembre 22, 2014, 05:22:35 pm »

19 novembre 2014
Intervista a Michael Dobbs: "Ecco i miei consigli a Matteo Renzi"

 “Intanto, la prima cosa che gli direi è che i miei libri sono semplicemente dei Drama e non dei manuali di istruzione (ride, ndr). 
Renzi è un premier giovane ed ambizioso, pieno di idee e di energia. Non l’ho mai incontrato, mi piacerebbe che accadesse. Ho un grande considerazione di lui però non deve mai dimenticare una cosa fondamentale: il motivo per cui è entrato in politica, cosa deve dare per ricevere.

Un politico non deve cercare di essere amato, ma rispettato. Deve ottenere il rispetto del suo popolo. Un politico serio e determinato deve puntare forte i piedi al suolo e spingersi il più possibile verso la giusta direzione. Deve dimostrare la sua tenacia e spietatezza nel raggiungere un certo obiettivo. In tal modo la gente sarà sempre con lui e non lo lascerà mai solo”. Sono i consigli di Michael Dobbs, autore di House of Cards, al premier Matteo Renzi

Da - http://video.huffingtonpost.it/culture/intervista-a-michael-dobbs-ecco-i-miei-consigli-a-matteo-renzi/2792/2792
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« Risposta #85 inserito:: Novembre 25, 2014, 04:26:02 pm »

Ecco la mia sinistra: sta con i più deboli e non ha bisogno di esami del sangue
Il premier scrive a Repubblica: "Ho rivendicato l'appartenenza del Pd alla famiglia socialista europea. Per me parlano i miei comportamenti"

Di MATTEO RENZI
22 novembre 2014
   
Caro Direttore, Repubblica mi chiama in causa personalmente. Mi chiede quale sia la nostra idea di sinistra che rivendico, ad esempio, quando parlo della riforma del lavoro. Come lei sa, non da ora, sono tra quelli che hanno favorito e accelerato la fine dell'era del trattino. Quando non si poteva pronunciare la parola sinistra senza premettere qualche prefisso per attenuarla, quasi a prendere le distanze. Ho sempre rivendicato, con fierezza ed orgoglio, l'appartenenza del Partito democratico alla sinistra, alla sua storia, la sua identità plurale, le sue culture, le sue radici. Per questo ho spinto al massimo perché il Pd, dopo anni e anni di dibattito, fosse collocato in Europa dove è adesso, dentro la famiglia socialista della quale oggi, grazie al risultato delle ultime elezioni, è il primo partito con oltre 11 milioni di voti. Questo per dire che nei comportamenti concreti, nelle scelte strategiche, il Pd sa da che parte stare.

Dalla parte dei più deboli, dalla parte della speranza e della fiducia in un futuro che va costruito insieme. Non credo sia il caso qui e ora di discutere di pantheon e di storie, ognuno ha i suoi riferimenti, le persone che ci hanno ispirato nella azione politica. Dico solo che nel Partito democratico hanno tutti cittadinanza alla pari, così come le tradizioni, le esperienze, le parole che ognuno di noi porta dentro questo progetto che è collettivo e anche personale perché riguarda nel profondo ognuno di noi, e non perché come vorrebbe chi ci vuole male c'è un uomo solo al comando. Quella del Pd è una sfida plurale, un progetto condiviso da milioni di persone, non la tigna di un individuo. Ed è per questo, però, che non possiamo permetterci di restare fermi a un passato glorioso, ma rivitalizzarlo ogni giorno cambiando, trovando soluzioni concrete ed efficaci a problemi che si trasformano e che riguardano da vicino la vita delle persone.

So che Repubblica non vuole farci un esame del sangue, come invece pretenderebbe qualcuno anche dalle parti del sindacato. Lo dico per rispondere alla premessa del vostro editoriale, di una mancanza di rispetto nei confronti di una storia e di una rappresentanza. Non è la mia intenzione, ho un profondo rispetto per il lavoro e per i lavoratori che il sindacato rappresenta. E non sono parole formali. Penso, tuttavia, che altrettanto rispetto sia da chiedere anche nei confronti di un governo che sta cambiando il mondo del lavoro per evitare che alibi e tabù tengano fuori dal mercato milioni di lavoratori solo perché non hanno contratto o sono precari. Penso che il modo più utile per difendere i diritti dei lavoratori sia quello di estenderli a chi ancora non ce li ha, di aprire le porte di uno spazio rimasto troppo chiuso per troppi anni. Altrimenti qualcuno ci deve spiegare perché con tutto l'articolo 18 abbiamo una disoccupazione a doppia cifra che cresce in questo paese.

Sono pronto sempre al confronto, da mesi giro l'Italia in lungo e largo, visitando aziende, stringendo le mani di chi lavora, parlando del futuro del paese in una competizione sempre più dura nel mondo. Non siamo noi, non è il governo, non è il Partito democratico a cercare lo scontro. Siamo noi, però, a porre il tema di un mondo che cambia, nel quale non possiamo più permetterci di non dare tutele alle donne che non hanno garanzie se aspettano un figlio. Un mondo nel quale la selva di contratti precari e precarizzanti deve essere disboscata, semplificata. Un mondo nel quale esista una rete di strumenti di welfare che sostenga chi perde il lavoro e lo metta in condizione di trovarne un altro.

Se entriamo nel merito del Jobs Act vediamo che non c'è riforma più di sinistra. L'altra sera, al PalaDozza di Bologna, nel cuore di quella Emilia rossa fatta di tradizione e pragmatismo, di storia e senso pratico, il passaggio più sentito di un intervento che ho fatto per sostenere Stefano Bonaccini come presidente di Regione è stato quello sul sindacato che non ha manifestato contro la Legge Fornero e oggi manifesta contro il Jobs Act. E avevo davanti una platea di militanti e dirigenti, molti dei quali vengono proprio dalla storia profonda della sinistra italiana. Allora, io mi faccio molte domande, mi interrogo e sento la responsabilità del cambiamenti che stiamo portando, che è autentica e non di facciata. Ma vorrei che anche il sindacato e più in generale il mondo della sinistra si chiedesse se non ci sia una grande opportunità da cogliere. Per questo penso che la battuta su Berlusconi e Verdini che fa l'editoriale di Repubblica sbagli indirizzo e destinatario. Il Pd ha chiara la differenza tra maggioranza e opposizione così come ha chiaro che le regole del gioco si prova a cambiarle assieme per poi tornare a dividersi su tutto il resto.

L'alternativa all'Italicum è lo status quo proporzionalistico. Che convince chi ha in mente un disegno neocentrista che fino a qualche mese fa era sul tavolo e che noi abbiamo sparecchiato. Mi viene rimproverato anche di scherzare coi gufi e coi soloni. Penso che un po' di ironia, Direttore, possa aiutare tutti a mettere a fuoco meglio le nostre posizioni, non per banalizzarle, ma per metterle in prospettiva. Per noi la sinistra è storia e valori, certo, è Berlinguer e Mandela, Dossetti e Langer, La Pira e Kennedy, Calamandrei e Gandhi. Ma è soprattutto un futuro su cui lavorare insieme per risolvere i problemi delle persone, per dare orizzonte e dignità, per sentirsi parte e avere orgoglio di essere non solo di sinistra, ma italiani.

Il mondo in questi mesi è cambiato, l'Italia in questi mesi è cambiata; l'Italia delle Istituzioni, del lavoro, della pubblica amministrazione, della giustizia. Una libertà ingiusta, una libertà per pochi, è la ragione sociale della destra. Ma una giustizia illiberale, una giustizia cioè che pretenda di essere per tutti ma senza rispetto per la libertà dei singoli, è la prigione ideologica di una sinistra che ha una visione odiosa delle cose. Tocca a noi recuperare questo ritardo, rivoluzionando come democratici questo meraviglioso paese. Ci sono due modi per cambiare l'Italia. Farlo noi da sinistra. O farlo fare ai mercati, da fuori. Sostenere che le ricette siano le stesse cozza contro la realtà. In ciò sta tutta la nostra idea di sinistra. Parole che producono fatti. Perché il tempo delle parole, giuste o sbagliate, slegate dai fatti, è un tempo che abbiamo deciso di lasciarci alle spalle per sempre.

© Riproduzione riservata 22 novembre 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/11/22/news/la_mia_sinistra_non_ha_bisogno_di_esami_del_sangue-101139978/?ref=HREA-1
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« Risposta #86 inserito:: Dicembre 13, 2014, 04:35:52 pm »

Renzi: non condivido ma il diritto di sciopero non si tocca

11 dicembre 2014

«Il diritto di sciopero è garantito dalla Costituzione e noi lo rispettiamo. Il fatto che io non sia d’accordo sullo sciopero di domani non toglie che la protesta domani si faccia, sia ben organizzata e gestita e, conoscendo le organizzazioni sindacali che lo hanno programmato, nel rispetto delle opinioni diverse, credo che domani filerà tutto liscio». Da Ankara il premier Matteo Renzi, al termine dell’incontro con il primo ministro turco Ahmet Davutoglu e alla vigilia dello sciopero generale proclamato da Cgil e Uil, è intervenuto anche sulle questioni italiane, dopo le scintille tra la leader della Cgil Susanna Camusso e il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi per la precettazione dei ferrovieri.

«Spero che le polemiche tra Lupi e Camusso si risolvano»
Per il premier «è legittimo che ci possano essere manifestazioni e scioperi». Quello generale - ha aggiunto - «è una forma di alta protesta alla quale dobbiamo avvicinarci con profondo rispetto: non la pensiamo come loro, cambieremo il Paese anche per loro, ma garantiamo la massima collaborazione istituzionale e mi auguro che si risolvano in poche ore le polemiche tra Lupi e Camusso».

La legislatura? «Per me finisce nel 2018»
A chi gli chiedeva se fosse nell’aria il voto anticipato, Renzi ha tagliato corto: «Per quello che mi riguarda la legislatura finisce a febbraio del 2018». Ma alla minoranza del partito il segretario del Pd ha lanciato un avvertimento in piena regola, dopo che ieri il Governo è stato “battuto” in commissione Affari costituzionali durante l’esame del ddl Boschi di riforma del Senato: «Recupereremo in aula, perché non è possibile fare soluzioni pasticciate e perché questo voto è stato definito un segnale politico da alcuni che lo hanno espresso. Di segnali politici il Pd parlerà in modo molto chiaro domenica. La riforma costituzionale andrà in aula a gennaio come previsto».

Sulla crescita tutti, o quasi tutti, d’accordo
«Auguro buon lavoro alla Turchia per il G20», ha detto Renzi, senza rinunciare a una frecciata: «È molto importante visto che in Australia si è insistito sulla crescita. La crescita è un fattore su cui tutti, o meglio, quasi tutti, insistono». «Domani a Istanbul vedremo aziende che fanno investimenti importanti, vogliamo dare un segnale di forte stimolo agli investitori», ha rilevato il presidente del Consiglio. «Vogliamo creare posti di lavoro, far sì che il Jobs Act non sia solo un insieme di regole ma faccia sì che l’Italia torni ad avere il segno più davanti. Vogliamo toglierci il segno meno davanti e lo faremo».

Emergenza profughi: serve supporto internazionale alla Turchia
Il capo del governo ha poi espresso «gratitudine per il lavoro della Turchia su profughi e rifugiati» e ha auspicato che la Turchia non sia lasciata sola ad affrontare l’emergenza profughi: «Do un numero: da noi c’è un dibattito per il numero molto alto di rifugiati provenienti dal nord Africa, e soprattutto dalla Libia, che sono stati, nell’anno di massima esposizione, quasi 150 mila. Bene, è un tema delicato da affrontare ma pensate che la Turchia ha a che fare con circa 2 milioni di profughi». Per questa ragione è necessaria una risposta, «un importante supporto della comunità internazionale».

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-12-11/renzi-non-condivido-ma-diritto-sciopero-non-si-tocca-173816.shtml?uuid=ABFd1NPC
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« Risposta #87 inserito:: Gennaio 08, 2015, 05:02:47 pm »

Fisco, Lega e minoranza Pd chiedono al premier di riferire.
Bersani: "Per il Colle ripartiamo da Prodi"
L'ex segretario dem attacca il presidente del Consiglio sulla delega fiscale: "Sua la manina? Non gli faccio i complimenti".
Poi ricorda: "La frode fiscale è reato in tutto il mondo".
In Senato prosegue l'esame della legge elettorale, bocciato calendario opposizioni

08 gennaio 2015
   
ROMA - Non si placa la polemica sulla norma salva-Berlusconi della delega fiscale (approvata e poi ritirata in Cdm), inserita prima di Natale, che di fatto avrebbe cancellato la condanna per frode dell'ex premier conferendogli una nuova agibilità politica.

Dopo che ieri il presidente del Consiglio si è preso la responsabilità dell'accaduto durante l'assemblea dei deputati democratici ("La manina è mia" avrebbe detto il premier) oggi l'ex segretario dem Pierluigi Bersani torna all'attacco e chiede spiegazioni: "Renzi in aula per spiegare? Certo non guasterebbe" ha affermato Bersani ospite di "L'Aria che tira" su La7. La richiesta formale di riferire in Parlamento era arrivata in mattinata prima dal senatore dem (dissidente) Massimo Mucchetti e poi da Sel e Lega Nord che ha presentato una mozione in merito.

L'intervento di Mucchetti, che ha chiesto a Renzi "di riferire per filo e per segno", ha creato un piccolo caso nel gruppo Pd, con il vicepresidente dei senatori dem Giorgio Tonini costretto a precisare che la richiesta di Mucchetti è stata fatta a titolo personale. La richiesta ha avuto il merito di rendere palese anche nelle aule parlamentari l'insofferenza della minoranza dem, sul piede di guerra per il caso della norma salva-Berlusconi. Contrasti che non sono passati inosservati in orbita Cinque Stelle, che con il senatore Giovanni Endrizzi, parla di "voto di scambio". La frenata del premier sulla delega fiscale ha messo in allarme anche il capogruppo Ncd Maurizio Sacconi, che ha chiesto all'esecutivo di "venire subito in Parlamento con quel decreto delegato, a prescindere da coloro che ne sarebbero i beneficiari" e di "spiegarci cosa pensa sia giusto per il nostro sistema tributario e per il nostro ordinamento". Intanto Pippo Civati, sempre più distante da Renzi, ha annunciato oggi la presentazione di una proposta per inserire una norma sul conflitto di interessi nella riforma costituzionale che a breve sarà all'esame della Camera dei deputati.

Bersani lancia Prodi per il Colle. "Non è messo così male Renzi. Ha dato un messaggio a un pezzo di Italia con quel 3%: essere leggeri sul tema fiscale è come dare da bere agli ubriachi. E' facile fare l'oste...". Ha usato una delle sue famigerate metafore Pierluigi Bersani per spiegare la sua distanza dal premier sulla delega fiscale e sull'idea complessiva di sistema fiscale: "Il punto è che concetto abbiamo di fedeltà fiscale in questo benedetto Paese. Renzi si è preso la responsabilità del decreto, la manina è la mia e ha risolto, ma io non riesco a fargli i complimenti". Poi ha incalzato il premier: "A Renzi voglio chiedere: abbiamo inventato l'evasione in proporzione? Non esiste in nessun posto al mondo una cosa così. La frode fiscale è un reato in tutto il mondo".

Il caso esploso nei giorni scorsi rischia di avere ripercussioni anche sulla corsa al Colle: la minoranza dem, che ha chiesto al governo di presentare la nuova delega fiscale prima del voto per il Quirinale, potrebbe ora essere tentata di respingere qualsiasi candidato figlio del patto del Nazareno. E magari ripartire da Prodi, come dice chiaramente lo stesso Bersani: "Romano Prodi candidato per il Colle? Non voglio fare nomi ma io sono quello lì...Ripartiamo da Prodi? sì, no poi si arrabbia...".

L'ex segretario Pd non ha risparmiato frecciate al premier, ricordando anche il recente Jobs Act: "Sta sbucando fuori un modo di pensare, un'idea di società sulla quale non solo d'accordo: per i lavoratori facciamo all'americana, per gli evasori all'italiana. Ci sono dei punti limite".

Italicum. Intanto al Senato è partito l'iter che dovrebbe portare all'approvazione dell'Italicum. Ieri l'aula ha respinto le pregiudiziali di costituzionalità presentate da M5s e Sel e, nonostante Forza Italia abbia riconfermato la sua contrarietà al premio di lista, sembra tenere il patto del Nazareno.

Oggi sono state bocciate tutte le proposte delle opposizioni di modificare il calendario dei lavori dell'aula del senato decise a maggioranza dalla capigruppo. L'aula ha respinto sia la proposta di Sel di inserire altre proposte di legge prima della riforma elettorale sia la proposta della Lega di inserire l'informativa sulla delega fiscale prima della riforma elettorale. La seduta riprenderà alla 16 con mozioni e interpellanze, mentre la discussione generale sull'Italicum riprenderà martedì.

Sul percorso della legge elettorale pesano i dubbi della minoranza Pd. Segnali poco incoraggianti sono arrivati dallo stesso Bersani che è tornato ad attaccare il sistema dei capilista bloccati. "Cerchiamo di ragionare, ho capito il Nazareno, ho capito che Berlusconi i suoi se li deve nominare lui anche se perde ma dobbiamo usare raziocinio, c'è un meccanismo come il Mattarellum, ad esempio...". E chiarisce ulteriormente le sue argomentazioni: "Il meccanismo dei capilista nominati oltre ad essere abnorme ha anche un aspetto particolare: se si vota un partito sopra il 20% la preferenza conta qualcosa. Se, invece, il partito sta sotto il 20% la preferenza è una presa di giro...". La partita resta tutta da giocare. La pausa nella discussione generale sarà utilizzata per sciogliere i nodi ancora sul tappeto e ricomporre i malumori all'interno del partito di maggioranza.

© Riproduzione riservata 08 gennaio 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/01/08/news/fisco_bersani_attacca_renzi_sua_la_manina_non_gli_faccio_i_complimenti_la_lega_chiede_di_riferire_in_aula-104521297/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_08-01-2015
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« Risposta #88 inserito:: Gennaio 10, 2015, 11:29:48 am »

Salva-Silvio, Matteo Renzi scarica la minoranza Pd e sceglie Berlusconi: rivedo la norma a febbraio
Pubblicato: 06/01/2015 21:37 CET Aggiornato: 06/01/2015 21:37 CET

Contro l’ostacolo del ‘salva-Silvio’, piazzato davanti a Palazzo Chigi da una tempesta perfetta e molto oscura sul decreto fiscale, Matteo Renzi guida a tutta velocità. Il premier compie una manovra spericolata. Arrabbiato, come lo descrivono i suoi, con chi gli ha servito questo piattino avvelenato, il premier si mette davanti al pc e compone la sua enews. Nella quale rivendica tutto: sia la norma che depenalizza l’evasione fiscale se è inferiore al 3 per cento del reddito imponibile e sia il fatto che la stessa norma possa cancellare la condanna per frode fiscale di Silvio Berlusconi, interdetto dai pubblici e incandidabile per il processo Mediaset. Come sa fare soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà, Renzi usa la testa d’ariete. Se ne infischia e va avanti. Di fronte alla minoranza Pd che gli chiede di correggere subito il decreto in un consiglio dei ministri ad hoc prima della avvelenatissima partita sul dopo Napolitano, proprio per fugare i dubbi, il premier non si ferma. La norma potrà essere rivista, spiega nella enews, ma non ora, bensì il 20 febbraio. In quella data l’esecutivo discuterà di tutto il pacchetto di norme fiscali, solo allora e non prima. Non prima che si sia posata un po’ di polvere sull’elezione del nuovo inquilino del Colle dopo Giorgio Napolitano, non prima che questo passaggio così cruciale si sia concluso.

Tenere Berlusconi in scacco. Fino ad allora, Renzi ha bisogno del sostegno dell’alleato del Patto del Nazareno. E la mossa decisa oggi serve al presidente del Consiglio per legare l’ex Cavaliere al patto, per costringerlo a mantenere la parola data a cominciare dalla discussione sulla legge elettorale al via in Senato nei prossimi giorni. Così la spiegano i suoi, senza falsi pudori. Perché al Senato, tra trappole e insidie della minoranza Pd e dei fittiani, l’obiettivo di approvare l’Italicum entro la fine del mese, cioè prima dell’elezione del successore di Napolitano, non è assolutamente a portata di mano, ragionano preoccupati i senatori della cerchia renziana. Il premier, racconta chi lo ha sentito, non ha pensato nemmeno per un attimo di dare ascolto alla minoranza Dem, di convocare subito il consiglio dei ministri per rivedere il decreto fiscale. Ritrattare ora sull’argomento “avrebbe significato mandare all’aria il lavoro di un anno costruito con Berlusconi a partire dall’incontro a Nazareno del 18 gennaio scorso”, sottolinea una fonte renziana. E dunque ecco qui, la spericolata enews che difende la norma e attacca l’antiberlusconismo della ‘vecchia sinistra’.

La rivendicazione. Il decreto fiscale, scrive Renzi, è stato “salutato positivamente per giorni, salvo poi cambiare idea quando qualcuno ha avanzato ipotesi che contenesse una norma salva Berlusconi (ipotesi tutta da dimostrare, peraltro). Per essere chiari: noi non facciamo norme ad personam, né contra personam. E' una norma semplice che rispetta il principio di proporzionalità. E che si può naturalmente eliminare, circoscrivere, cambiare. Ma per evitare polemiche - sia per il Quirinale, che per le riforme - ho pensato più opportuno togliere di mezzo ogni discussione e inserire anche questo decreto nel pacchetto riforme fiscali del 20 febbraio”. E ancora: “Il fatto che ci siano adeguate soglie di punibilità (penali: il colpevole paga lo stesso, tutto, fino all'ultimo euro ma con sanzioni amministrative e non penali) e che si rispetti il principio di proporzionalità è sacrosanto - osserva Renzi - Poi nel merito si può discutere di tutto, cambiare tutto, ragionare di tutto. Ma una legge si adotta se serve agli italiani, non se si immagina che possa servire o non servire a un italiano. Questa ossessione su Berlusconi sia da parte di chi lo ama, che da parte di chi lo odia non mi riguarda. A forza di pensare a lui, per anni si sono dimenticati degli italiani. Bene, noi cambiamo il fisco per gli italiani, non per Berlusconi. Senza fare sconti a nessuno, nemmeno a Berlusconi che sconterà la sua pena fino all'ultimo giorno".

Slitta l’incontro con Padoan. La tentazione è di rivedere la norma in modo che non riguardi il caso di Berlusconi, magari abbassando la soglia del 3 per cento o eliminando il reato di frode fiscale. Ma fino all’ultimo non è detto che vada così. E in ogni caso per Renzi il caso è chiuso, se ne riparlerà a febbraio. Anche l’incontro a quattr’occhi con il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, incontro che al Mef avevano segnato in agenda per oggi o domani, alla fine è slittato. Probabilmente il premier riceverà il ministro a Palazzo Chigi nei prossimi giorni, ma con la enews di oggi intanto ha infilato il dossier fisco in fondo al mese di febbraio. Nessuna urgenza. Anche perché, a guardare il panorama parlamentare, Renzi ha più necessità di imbrigliare Berlusconi piuttosto che la minoranza Pd, ragionano i suoi.

Bersani e i suoi silenti sul ‘salva Silvio’. Il ragionamento è presto svolto. Il premier è certo di aver ormai acquisito la ‘docilità’ di quella parte della minoranza Dem che lo ha aiutato a tirare in porto il Jobs Act, sfilandolo alla tempesta parlamentare pur scatenata da una trentina di frondisti Pd alla Camera. Insomma, Renzi sa che anche per la partita sul Colle può contare su Pierluigi Bersani e gran parte di Area Riformista. Tant’è vero che l’ex segretario Dem e i suoi sono rimasti muti sul pasticciaccio del ‘salva Silvio’. Eppure si tratta del caimano, l’avversario delle elezioni del 2013. Bersani e i suoi non hanno attaccato: un atteggiamento che nella cerchia renziana viene interpretato come una conferma ulteriore di disponibilità a lavorare con il governo e non contro. Ragion per cui, domani, nell’assemblea con i deputati Dem, il premier potrebbe tendere la mano in materia di legge elettorale. Vale a dire: cento collegi invece che 120 per limitare il numero dei capilista bloccati. Anche di questo parla la enews: “Cento collegi in cui ogni partito presenta un nome sul modello dei collegi uninominali, ma viene introdotta anche la possibilità di votare il proprio candidato con la preferenza. Alla fine due terzi dei parlamentari saranno eletti con le preferenze, un terzo con il sistema dei collegi".

Gli ‘irrecuperabili’ del Pd. Invece, il resto della minoranza Pd è irrecuperabile: lavora per sabotare il premier e il Patto del Nazareno. Così ne parlano i renziani di stretta osservanza, così registra il lavoro di ricognizione condotto dal fedelissimo Luca Lotti per scovare le sacche di franchi tiratori nel Pd. E dunque, nessuna sorpresa a Palazzo Chigi se la decisione di posticipare la revisione del decreto fiscale a febbraio viene attaccata duramente da Stefano Fassina (“La propaganda del premier è indecente”), da Alfredo D’Attorre (“Decisione sbagliata che rischia di aumentare fortemente polemiche e sospetti anche in vista dell’elezione del presidente della Repubblica”), da Corradino Mineo (“Sbaglia Matteo a difendere la modica quantità per evasori e truffatori. E sbaglia a rinviare a febbraio: sembra un favore a Berlusconi”). Nessuna sorpresa: “Loro saboterebbero qualunque candidato che Matteo possa proporre alla presidenza della Repubblica”, sottolinea un fonte vicina al premier.

Dunque, la tavola di discussione politica per il mese di gennaio è così apparecchiata. Chi vuole, si siede. Ombre e difetti di chiarezza sul ‘salva Silvio’ restano sotto il tavolo. Restano oscuri i dettagli intorno al ‘salva Silvio’ eppure la rivendicazione del pasticcio arriva via enews. Come un delitto di cui non si sappia nulla salvo cadavere e sigla di chi rivendica il misfatto. Renzi va avanti così. La scelta è fatta.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2015/01/06/salva-silvio-matteo-renzi_n_6425086.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #89 inserito:: Gennaio 10, 2015, 11:31:14 am »

Franco Coppi: "3% è segnale di Renzi per il Colle".
Per il legale di Berlusconi, il provvedimento è legato alle trattative

Pubblicato: 06/01/2015 11:18 CET Aggiornato: 32 minuti fa

"Mi chiede se la polemica sul 3% per i reati fiscali e sul mio assistito Silvio Berlusconi c'entri con la partita per il Quirinale? E io le rispondo di sì, altrimenti perché Matteo Renzi promette che la pratica sarà rinviata a presidente eletto e dopo la fine dei servizi sociali a Cesano Boscone?". Così Franco Coppi, legale di Berlusconi, in un colloquio con il Fatto Quotidiano. Il giornale riporta che ieri Berlusconi, in un incontro con Brunetta, Romani e Verdini, avrebbe rivelato di aver ricevuto una telefonata dal premier Renzi la sera del 24 dicembre.

Aspettare l'elezione del Capo dello Stato, osserva Coppi, "è l'aspetto che mi preoccupa e comprendo chi lo solleva: il provvedimento appare legato alle trattative per il Quirinale, utilizzato come un messaggio mentre ci avviciniamo all' appuntamento per la successione di Giorgio Napolitano. È scorretto per i cittadini che potrebbero beneficiare della soglia del 3% e per il Berlusconi politico. Per fortuna, il problema non mi riguarda".

"Quel che posso evidenziare - prosegue l'avvocato - è che il Tesoro e Palazzo Chigi non potevano non sapere l'esistenza del codice. E mi domando: perchè ieri ritenevano giusta la legge e oggi è sbagliata? Colpa sempre di Berlusconi?".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2015/01/06/franco-coppi-3-e-segnale-per-il-colle_n_6421504.html?utm_hp_ref=italy
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