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Autore Discussione: ORNELLA VANONI "Felicità è fare pipì nei prati"  (Letto 2522 volte)
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« inserito:: Febbraio 25, 2009, 09:55:23 am »

25/2/2009 (7:Fico - INTERVISTA AD ORNELLA VANONI

"Felicità è fare pipì nei prati"
 
Ornella Vanoni, classe 1934, festeggia i 50 anni di attività
 
«Gli uomini? Li amo, ma che noiosi! Mi manca chi mi fa piedino a letto»

GIANCARLO DOTTO
MILANO


Oltre la porta c'è qualcosa. Un alieno che squittisce, madama Butterfly che vocalizza, una cinese in calore, una casa in fiamme, una follia in atto? No, Ornella Vanoni che cazzeggia. Lei e la sua assistente, Vera. Partita un giorno da Asmara per genuflettersi davanti alla voce che adorava. Non è più tornata. Le due insieme, il manicomio che non ti aspetti in un attico al centro di Milano, due passi da via Solferino. Ornella allegra, squinternata, in déshabillé e piedi scalzi. E la faccia grandiosa che si merita, inventata, pezzo a pezzo. Si è fatta disegnare dalla matita di uno come Darwin Cooke, esperto in donne gatto, pur di somigliare alle sue vecchie gatte di casa. «Moghi la pisciona è con me da sempre. La mattina viene a salutarmi nel letto. Ci facciamo le coccole e ci scambiamo opinioni sull’amore. Pit la sorda ha l’Alzheimer e la stessa malattia di mia madre: si dimentica che ha mangiato e vuole mangiare in continuazione».

L'album «Più di me», duettando con Mina, Baglioni e tanti altri. Ora la tournée dei cinquant’anni. Debutto il 7 marzo a Cesena.
«Non ho voglia. Cantare, per carità, lo faccio con gioia, ma sono gli spostamenti che mi ammazzano».

Che cosa fa stare bene oggi la signora Vanoni?
«Schiacciare un pisolino di mezz’ora, com’è successo ieri, tra le braccia del gigante, mio nipote di tredici anni. E fare la pipì nei prati».

Nata il 22 settembre 1934. Gemella di Gino Paoli.
«Lui è nato qualche ora dopo di me... Gino è uno dei tre o quattro uomini più importanti della mia vita. Un tipo strano. Un po’ ci fa, un po’ c’è. Si alza la mattina con una faccia che non capisci se gli è morto qualcuno o non trova il dentifricio... Poi invece può essere anche molto solare e allegro. E’ un uomo di cui le donne s'innamorano molto».

E’ successo anche a lei.
«Una faticaccia. Non c'erano i telefonini, giravo con questi sacchi di plastica pieni di gettoni, e piangevo sempre. Ho amato molto Gino, ma gli voglio ancora bene. Tra noi, nonostante lui abbia una vita molto felice con questa donna fantastica, c’è sempre un’emozione».

Lui ha ancora quella pallottola in corpo.
«Sta lì, serena, piccolina, si è amalgamata perfettamente col muscolo cardiaco. Lui ci convive, fa di tutto, anche il sub. Una passione che abbiamo in comune».

Ornella Vanoni in tuta da sub?
«Ho preso il brevetto un anno fa. Giù è più bello che su. Tutti mi dicono: “Ma non ti fa paura andare giù?”. “No, fa paura tornare su”, rispondo. Questo mondo fa ribrezzo».

La pallottola. Si sparò per amore?
«Ne ha date di versioni. La verità l’ha detta a me una volta. “A un certo punto mi sono fatto schifo, per tutta una serie di cose”».

Del suicidio di Luigi Tenco si è fatta un’idea?
«Una timidezza patologica, la nostra. La sera di Sanremo, gli faccio: “Luigi, ricordiamoci quando cantiamo di tenere gli occhi aperti”. Lui apre gli occhi e ha due pupille enormi, dilatate. Vado dal gruppo della Rca dove c’era anche Dalida e dico “State attenti a Luigi”. Io il mio dovere l’ho fatto».

Gemella anche di Leonard Cohen. Nato qualche ora prima.
«Cohen, il maestro di Fabrizio De André. Quando fu rilasciato dopo il sequestro, Fabrizio venne da me in Lucchesia, tradusse “La volpe azzurra” di Cohen e me la fece cantare. “Ti scrivo questa lettera, amica mia, ti ho visto alla stazione con la tua volpe azzurra un po’ vecchia e sciupata”».

Tempo di tributi per De André. Il più grande di tutti?
«Nell’insieme sì. Poi ce ne sono altri di grandissimi. Lucio Dalla, Fossati, lo stesso Paoli. “Il cielo in una stanza”, “Sapore di sale” non sono più canzonette ma capolavori. De André cucinava bene. Era un mago nel preparare il court bouillon, il brodo per lessare il pesce».

Tornando agli incontri fondamentali della sua vita. Giorgio Strehler e Lucio Ardenzi.
«Aggiungo Hugo Pratt e Pasolini. Di Pierpaolo mi mancano i suoi scritti, la sua veggenza. Mi manca il suo coraggio. Con Hugo, negli ultimi tempi, ci sentivamo al telefono quasi tutti i giorni. Raro incontrare qualcuno che la vita la racconta, la scrive e la disegna, ma soprattutto l’ha vissuta. Tanti figli, tante mogli, tanti viaggi. Era come Borges: tu ti sedevi, lui parlava e non sapevi mai dov’era il confine tra verità e finzione».

Fa colpo tanta leggerezza in una signora che potrebbe fare un lungo inventario delle sue cicatrici.
«Ho lavorato tanto e ho lasciato troppo solo mio figlio. Che, da grande, mi ha rovesciato addosso tutta la sua sofferenza. Abbiamo passato un'infinità di notti a piangere insieme con questo dolore addosso. Da tre anni il nostro è diventato un rapporto di amore e di fiducia. Leggerezza è capire che l'amore è tutto quello che conta. Anche per me. Perché ora mi voglio più bene».

Ha dimenticato una signora tra i «fondamentali» della sua vita.
«Roselen. Il mio pastore evangelico. Brasiliana di origine tedesca. Grande predicatrice. Mi ha fatto un’analisi rapida, impietosa dei miei comportamenti di madre. Quando finalmente ho ceduto e accettato Gesù, ho letto la frase nella Bibbia che mi ha cambiato la vita: “Se gli altri non cambiano, cambia tu”. Io sono cambiata, mio figlio è cambiato, la mia famiglia è cambiata. Il rapporto con mia nuora è cambiato. Mi sono messa a disposizione totale. Una generosità che li ha fatti sentire tutti più sicuri».

Contagiosa?
«Non ho più un compagno da dieci anni, anche se poi c'è Paolino, un ragazzo, che mi manda i fiori ogni settimana perché dice “non c'hai fidanzato quindi te li mando io”. I primi tempi ho sofferto: “Madonna, anche socialmente, ora con chi esco?”. Un giorno incontro un russo divertente a New York che mi fa: “Ma lei, non si chiama Ornella Vanoni? Sì? E allora, esca con la Vanoni, mi scusi”. Sono diventata il mio cavaliere».

Le donne di oggi non considerano più così necessario avere un uomo tra i piedi.
«Io non sono mai stata senza un compagno. Ho fatto un sacco di stupidaggini. Per non restare soli ci si attacca a storie che dovrebbero durare tre settimane e invece durano tre anni. A me piacciono gli uomini, anche se spesso sono noiosi. Di recente mi ha corteggiato un tipo che mi ha parlato per quattro giorni di mattoni. Due balle! Non ce la faccio a innamorarmi di uno che mi parla di mattoni».

Vita enciclopedica la sua. Da Strehler a Eros Ramazzotti, cantando la mala e la bossanova. Il piacere è ricordare o dimenticare?
«Rovistare nel dolore non fa bene. Tanto viene fuori da solo come il brodo quando spurga. Il 22 settembre ho compiuto gli anni. Alle otto di sera mi sono detta: “Ma perché mamma e papà non mi hanno chiamato?”. I miei sono morti da un sacco di anni. Ecco la mancanza, il dolore che affiora quando meno te lo aspetti. Quelle due lacrime che escono, piccole e calde, e non arrivano fino alle guance, si fermano qui. E quindi vedi che non c'è bisogno di spararsi».

Complicata la notte?
«Lo è stata per anni, ora non più. Facevo un mestiere contrario alla mia natura. Strehler mi disse: “Se ce la fai è un miracolo, hai un grande talento ma non hai il sistema nervoso per stare su un palco”. Non ho dormito per anni. L’ansia. Questo cambiare uomini, questo malessere, questo figlio che non vedevo. Oggi dormo benissimo. Come un ciocco».

Non lo cerca un corpo nel letto?
«Non quando dormo perché mi dà fastidio. Ma prima di dormire sì, sarebbe carino fare piedino con qualcuno».

La sua dedica: «A Gesù con tutto il cuore noi due sappiamo perché».
«Gesù, è un amico. Io ci parlo. Dio non mi è simpatico come lui. Trovo pesanti le persone prive di spiritualità. Penso a Wittgenstein che, in guerra, guardando tutti quei cadaveri, diceva: “Credere è più facile che restare da soli”. Forse solo quando ci abbracciamo e ci stringiamo non siamo soli. O quando riusciamo a commuoverci con qualcuno».

L’incanto della sua voce è che sembra sottratta al corpo. Non sembra avere un corpo.
«La voce è la cosa più enigmatica che possediamo. I grandi psichiatri non ti guardano mai in faccia, ti ascoltano. Penso che questa mia vocalità nuova è legata alla generosità del dire: “Io sono il mezzo attraverso il quale passa la mia gioia”. La gola si apre, il cuore si apre, è il cuore che canta».

«Nemiche mai». Il suo molto pubblicizzato duetto con Mina.
«Un'occasione buttata. Avrei preferito un pezzo straordinario per un'occasione straordinaria. Ma è molto difficile trattare con Mina... Una sua scelta. Questo è un motivetto carino, spiritoso, con un titolo accattivante, niente di più. Mi dispiace».

Mina a parte, ha fatto da mantide in questo album. Si accoppia e poi li uccide.
«Dice? Non l'ho mica fatto apposta. Mi sono molto divertita con Eros Ramazzotti. Mi mette di buonumore quella sua voce da Paperino. Con Gianni Morandi è stato commovente cantare insieme. Siamo entrambi molto emotivi».

Un salto a Sanremo.
«Mi sono divertita a fare la madrina di una ragazza. Ho avuto anche la mia standing ovation... Per quel poco che ho visto, mi è sembrato il migliore dopo quello di Chiambretti».

da lastampa.it
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