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Autore Discussione: Ninni Andriolo Il Pd è ancora un cantiere aperto Ma sbaglia chi discute Veltroni  (Letto 3065 volte)
Admin
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« inserito:: Dicembre 28, 2008, 11:42:34 pm »

«Il Pd è ancora un cantiere aperto. Ma sbaglia chi discute Veltroni»

di Ninni Andriolo


«A dispetto delle rappresentazioni giornalistiche, usciamo dalla Direzione più consapevoli della necessità di essere più uniti e solidali. Il Pd ha fatto un passo in avanti significativo... ».



Onorevole Fassino nessun problema di amalgama, quindi? Fusione perfettamente riuscita?
«Quelle parole sono state estrapolate da un ragionamento più generale. Chiunque abbia ascoltato D’Alema ha capito bene cosa intendesse dire durante l’intervento in Direzione. Erano chiarissimi, infatti, sia il riconoscimento che il Pd c’è, sia la sollecitazione a non considerarne esaurito il lavoro di costruzione. Il Pd ha alle spalle solo un anno di vita, ovvio che ci sia bisogno di farlo crescere»

C’è chi parla di progetto fallito, però...
«Non si torna indietro dalla strada del Pd. Questo partito, tuttavia, ha bisogno di consolidare le proprie radici, la propria organizzazione, la propria articolazione territoriale. L’edificio è stato costruito nei suoi muri portanti, adesso dobbiamo completarlo. A partire dalla campagna di adesione, che deve consentirci di dare al Pd una base associativa larga e certa. Non c’è nulla di eretico o destabilizzante nel sollecitare tutte le energie a mobilitarsi»

C’è un problema di leadership? Bersani guarda al congresso del partito...
«Non è utile, all’indomani della Direzione, evocare il tema della leadership. Veltroni è stato eletto da tre milioni e mezzo di cittadini, non credo che venti persone nel chiuso di una stanza possano rovesciare una legittimazione democratica così ampia. Quando abbiamo scelto Walter eravamo ben consapevoli che non stavamo nominando il direttore di una campagna elettorale. Ma un leader politico che, se avessimo vinto le elezioni, avrebbe presieduto il governo e se le avessimo perse, avrebbe guidato l’opposizione. Dovere di tutti noi è sostenere il segretario e creare le condizioni per un grado sempre maggiore di solidarietà, coesione e unità vere. Ciò che più irrita il nostro popolo è l’immagine di un gruppo dirigente che si divide. Dovere di ogni forza politica è mettere al primo posto il Paese, questo deve valere ancora di più per il Partito democratico».

Spesso non è così?
«La rappresentazione giornalistica e mediatica del nostro dibattito è spesso caricaturale. In Direzione, ad esempio, la discussione è stata vera e non formale. C’è stato, tra noi, un confronto politico di alto livello. Di questo, però, ai cittadini è arrivato molto poco. Ci si è tardati, al contrario, nella solita rappresentazione del duello D’Alema-Veltroni o nella presunta diatriba all’interno del gruppo dirigente. Al Pd viene fatto ogni giorno l’esame del sangue, eppure siamo l’unico partito che ha una vita democratica vera. Si cerca sempre la pagliuzza nel nostro occhio senza vedere mai la trave in quello altrui».

Ma il Pd era dentro la bufera: questione morale, sconfitta in Abruzzo...
«Anche per questo l’esito positivo della Direzione non era scontato. Merito innanzitutto della relazione di Veltroni che, da un lato ha raccolto molte delle riflessioni emerse nel dibattito delle scorse settimane, e dall’altro ha offerto al Paese una piattaforma economico-sociale e di riforme istituzionali, di profilo riformista, coerente con il Lingotto».

È emerso con chiarezza un deficit di partito, però...
«Gran parte del dibattito si è concentrato su questo punto. Un progetto per il Paese, infatti, ha bisogno di uno strumento adeguato per camminare. Il Pd, e la Direzione lo ha definitivamente chiarito, non è un movimento di opinione, né può assolvere alla funzione di somma di comitati elettorali. Il Pd vuole essere un partito vero. Non partiamo da zero: primarie, 8000 circoli, il consenso elettorale di un terzo del Paese, la stagione straordinaria delle feste, gli oltre due milioni del Circo Massimo. Il Pd c’è. E c’è, soprattutto, la nostra gente»

E la questione morale? Si parla di nuova tangentopoli...
«Da Napoli all'Abruzzo abbiamo avvertito, in questi mesi, l’allentamento della capacità della politica di far vivere nella propria azione quotidiana principi etici, spirito civico e priorità dell’interesse generale. Il Pd deve rappresentare fattore di innovazione anche nel rapporto tra cittadini e politica. Io non credo, tuttavia, che si possa parlare di questione morale nei termini come la si è posta negli anni di tangentopoli...»

Oggi cosa c’è di diverso?
«Allora vennero investiti direttamente i gruppi dirigenti centrali dei partiti che avevano in mano il Paese. Oggi questo non c’è. Nessun dirigente nazionale del Pd è stato investito dal benché minimo fatto che ne abbia ridotto la credibilità. Non c’è una questione morale neanche sul piano locale. Sono più di 60mila gli amministratori del Pd. Gestiscono oltre il 65% delle istituzioni locali italiane e lo fanno con dedizione, entusiasmo, sacrificio personale. A loro si deve gratitudine e rispetto».

E questo può bastare a ridurre l’allarme sulla questione morale?
«No. Le vicende di Napoli e dell’Abruzzo non riducono l’allarme. Sotto il profilo giudiziario non spetta ad un partito politico pronunciarsi. La magistratura, nella sua autonomia, deve fare luce, e noi vogliamo che lo faccia pienamente e il più rapidamente possibile. Ma un partito come il nostro deve sapere affrontare la dimensione che attiene ai principi. Ristabilendo regole, scontate fino a poco tempo fa, che oggi si sono offuscate... ».

A proposito del sindaco di Pescara, per lei o si dirige il Pd o si fa l’amministratore locale...
«Io credo che il principio di distinzione tra le funzioni dirigenti di partito e quelle istituzionali vada garantito. Non è una buona cosa che chi amministra sia o voglia essere anche segretario del Pd. Un sindaco non risponde soltanto a coloro che lo hanno eletto, ma a tutti i cittadini. E deve amministrare nell’interesse generale. Il segretario di un partito, obiettivamente, non può che essere invece portatore di un punto di vista della parte politica che è chiamato a rappresentare. Mi auguro, naturalmente, che nessuno degli addebiti mossi sia vero e che D'Alfonso venga scagionato. Non c’è dubbio, però, che l’impatto della vicenda che lo riguarda è stato più drammatico per il fatto che fosse segretario regionale del Pd, oltre che sindaco di Pescara. Credo che il partito debba marcare, a tutti i livelli, autonomia dalle istituzioni. Ma anche dai soggetti economici e finanziari e dal sistema dell’informazione. Costruendo il Partito democratico, cioè, noi abbiamo bisogno che si riaffermi il valore dell’autonomia della politica da tutti i centri di potere».


nandriolo@unita.it

23 dicembre 2008
da unita.it
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Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Dicembre 28, 2008, 11:43:21 pm »

«No alle riforme di Berlusconi: velleitarie e improbabili»

di Ninni Andriolo


Presidente D’Alema, l’Istat non è ottimista come Berlusconi: un milione di famiglie non ha i soldi per mangiare...
«La situazione è estremamente grave e io credo che bisogna mettere al centro una crisi sociale ed economica senza precedenti. Sono oltre tre milioni i precari che rischiano di non veder confermati i loro contratti. Di fronte a questa realtà il governo ha deliberatamente deciso di non far nulla... ».

Sacconi vuole la settimana corta...
«Si avanza qualche proposta anche ragionevole, ma siamo ai pannicelli caldi rispetto ai programmi imponenti di altri Paesi. Noi siamo agli appelli di Berlusconi al buon umore. Il governo è paralizzato dai contrasti e sottovaluta gravemente la situazione»

La crisi è stata al centro della direzione Pd di venerdì scorso...
«Veltroni ha indicato problemi e soluzioni. Mi pare un progetto importante quello di dedicare un punto di Pil a una grande manovra anti crisi fatta di misure sociali, sostegni allo sviluppo e investimenti. A queste proposte Berlusconi ha risposto lanciando improbabili e velleitarie riforme della Costituzione».

Annunci che non avranno seguito, quindi, quelli sul presidenzialismo?
«Faccio notare che pochi minuti dopo la dichiarazione del premier Bossi ha detto “non se ne parla neanche”. E, comunque, già 10 anni fa abbiamo tentato di fare una riforma delle istituzioni che prevedeva, tra le altre cose, l’elezione diretta del Capo dello Stato. Berlusconi, poi, si è tirato indietro».

Niente riforme condivise, quindi?
«Se si vuole affrontare con serietà il tema il punto di partenza è la bozza Violante. Da quel documento abbiamo preso le mosse per la proposta delle fondazioni, che rimane il testo più serio e condiviso per riforme costituzionali e legge elettorale».

Il governo annuncia per imminente la riforma della magistratura...
«Non c’è dubbio che in questo paese ci sia bisogno di una giustizia più veloce ed efficiente, ma le riforme prospettate da Berlusconi peggiorano i mali. Non credo, infatti, che la risposta sia nella separazione delle carriere, che porterebbe i pm a essere ancora di più un potere separato. Abbiamo bisogno, invece, che la cultura della giurisdizione orienti e spinga le procure a muoversi con efficacia, ma anche con senso della misura e saggezza. Le vicende di questi anni ci spingono alla fiducia, ma anche alla cautela. Sono troppi i casi in cui al clamore delle indagini fanno seguito proscioglimenti clandestini che non restituiscono alle persone e alle istituzioni alcun risarcimento per il danno subito».

Un rischio presente anche nelle inchieste di Napoli e Pescara?
«Spero si accerti che non sono stati commessi degli illeciti e che la magistratura, nello svolgimento sereno e indipendente del proprio lavoro, possa arrivare a queste conclusioni. E mi pare che, in qualche caso, si vada ridefinendo e ridimensionando la portata delle accuse. Anche per questo, prima di formulare un giudizio definitivo sulla politica, o sul Pd, vale la pena di attendere e valutare».

Ma non è evidente il venir meno di una tensione etica nella politica?
«Certo e io non lo sottovaluto affatto. Ma questo aspetto non può essere confuso con quello giudiziario. La reazione all’emergere di concezioni della politica assai discutibili non può essere affidata alle procure della Repubblica. L’unico rimedio, qui, è avere un partito vero. Un partito forte è in grado di sapere, nella gran parte dei casi, se un amministratore sotto inchiesta è una persona perbene oppure no. Perché lo conosce, ne segue il lavoro e lo giudica quotidianamente. Sa, cioè, se bisogna difenderlo o no, sempre in un rapporto corretto con i magistrati. Il venir meno di questa forma fondamentale di vita della democrazia alimenta solitudini e visioni personalistiche della politica. Anche per questo abbiamo iniziato a riflettere sulla primarizzazione della vita interna del Pd. Se perfino per fare il segretario di sezione devi farti la campagna elettorale, il rischio di sprofondare nella logica dei potentati personali diventa fortissimo».

Basta costruire il partito per evitare l’emergere di una questione morale, quindi?
«L’idea che il Pd sia travolto dalla questione morale non l’accetto. Oltre che con la costruzione del partito, all’emergere di casi di malcostume si deve rispondere con una radicale riforma della politica che dovrebbe partire, a mio giudizio, da una drastica riduzione del ceto politico, che ne aumenterebbe l’autorevolezza e che rafforzerebbe anche i poteri di controllo delle istituzioni».

Lei batte sul tasto del partito, la direzione ha dato un segnale chiaro...
«Abbiamo avuto una riflessione critica sul partito, ma al contrario ho letto ricostruzioni sconcertanti».

Lei ha parlato di amalgama mal riuscito...
«Le frasi vanno lette nel loro contesto. Walter per primo ha denunciato una situazione di difficoltà indicando come causa il correntismo. Io, condividendo la preoccupazione, ho detto che vedo più il rischio dell’anarchia e della frantumazione. Il correntismo sarebbe, a suo modo, un ordine discutibile ma un ordine. L’unico modo per amalgamare le forze è quello di fare un partito vero. Ma se a livello centrale e periferico si incontrano i dirigenti ex Ds da una parte e quelli ex Margherita dall’altra, riunioni che io non promuovo e alle quali non partecipo, debbo desumere che fin qui la fusione non è perfettamente riuscita. Spero che siamo alla vigilia di un’azione energica perché questi fenomeni non ci verifichino più».

Per Veltroni la fusione è avvenuta nel popolo del Pd...
«Non sono in disaccordo con lui. Ma un partito è anche fatto di gruppi dirigenti e questa fusione dobbiamo determinarla anche a quel livello».

E c’è molto da fare anche sul rinnovamento...
«Io ho già dato il buon esempio: non faccio parte di nessun organismo di partito e, quindi, non difendo posti che non ho. In questi mesi ho promosso 37 iniziative di livello nazionale e internazionale, seminari di grandissimo rilievo. Non avrei avuto il tempo per organizzare correnti. Ho un alibi: l’enorme mole di lavoro prodotto da un centro di cultura riformista come ItalianiEuropei. Acceleriamo il rinnovamento, comunque. E cerchiamo di mettere i giovani che hanno delle idee innovative in condizione di poter giocare la loro partita. Ma non usiamo questo tema strumentalmente in chiave di polemica tra noi coetanei che veniamo da una stessa generazione».

Si riavvia il Pd, quindi?
«La relazione di Veltroni ha offerto una base seria di discussione. C’è stato un dibattito vero. La Direzione ha rappresentato un passaggio positivo da cui ripartire. Adesso spetta al gruppo dirigente e al segretario unire tutte le forze perché lavorino insieme».


24 dicembre 2008
da unita.it
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