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Autore Discussione: Pancho Pardi Se il Pd sceglie di suicidarsi  (Letto 2726 volte)
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« inserito:: Dicembre 27, 2008, 09:40:39 am »

24.12.08 - Se il Pd sceglie di suicidarsi

Forse è ormai tardi per commentare il risultato elettorale dell’Abruzzo, ma la sequenza degli scandali di argomento urbanistico diffusi in varie regioni lo fa restare tema d’attualità. E purtroppo con qualche temibile proiezione verso il futuro.
Dopo la vicenda Del Turco, indipendentemente dal suo aspetto giudiziario, era impossibile per il centrosinistra vincere in Abruzzo. Allo stesso modo, ma in misura ancora maggiore, era stato impossibile vincere in Campania nelle ultime elezioni politiche: Bassolino e le montagne di spazzatura avevano precluso ogni speranza.
In Abruzzo, la battaglia elettorale è stata combattuta con grande intensità solo da Italia dei Valori. Tutti i testimoni attendibili raccontano che il Partito Democratico si è impegnato solo in parte. Molti pensano che la parte che ha dosato al minimo le sue forze l’abbia fatto con lo scopo di indebolire Veltroni. Ma anche senza immaginare retroscena maliziosi, resta il fatto di un risultato micidiale. Il 15 % di IdV è assai lusinghiero per il partito ma non compensa il 20 % del PD, catastrofico per la coalizione.
Il suggello sul risultato l’ha posto, il giorno dopo il voto, l’incriminazione del sindaco di Pescara, che era stato peraltro uno dei candidati più accreditati per la presidenza regionale prima che la coalizione scegliesse Costantini. Immaginiamo solo come sarebbe stata commentata la situazione abruzzese se al posto del deputato di IdV fosse stato candidato il sindaco di Pescara. La cui situazione giudiziaria ora alleggerita non comporta certo una rivalutazione politica della sua eventuale candidatura.
Ma la brutalità del risultato non solo non invita al silenzio ma addirittura scatena i sostenitori della scelta più autolesionista per il centrosinistra. C’è una varietà di posizioni che sostengono, con argomenti e obbiettivi diversi, la cosiddetta vocazione maggioritaria. Questa richiederebbe da parte del PD la scelta di andare da solo, necessaria per manifestare appieno tutta la sua natura riformista, sfigurata dall’alleanza con IdV. Ora sarebbe crudele infierire sulla base del voto abruzzese. Dove possa arrivare da solo il PD partendo dal 20 % dei suffragi lo vede ognuno da sé: non gli basterebbe nemmeno raddoppiarli, prospettiva ben lontana dalla sua portata.
Ma Follini propone al PD di lasciare IdV e allearsi stabilmente con l’Udc. Cosa che in Abruzzo significa aggiungere al 20 il 5%. Ecco, dopo aver aggiunto una cognata o un cugino, bisognerebbe raddoppiare il 25 per arrivare al 50 %, più uno, necessario a vincere. E sul piano nazionale? Al confronto con l’Abruzzo, qui Follini ha minori difficoltà, anche se non è semplice oggi valutare la somma delle due forze che vuole unire. Il PD oggi è dato dai sondaggi intorno al 28 % ma con un po’ di fiducia – e considerando, con un potente sforzo di volontà, ininfluenti le altre vicende giudiziarie in Campania, Basilicata, Toscana - si potrebbe assumere il 33 % raggiunto nelle ultime elezioni e sommarvi l’incerta percentuale nazionale dell’Udc: sempre meglio che in Abruzzo ma sempre al di sotto del 40 %. Una quota con cui non è possibile vincere in un sistema bipolare.
E’ inevitabile chiedersi: per quale motivo l’alleanza con l’Udc sarebbe preferibile a quella con IdV? Senza dubbio meno efficace sotto il profilo dei numeri, che in democrazia qualcosa contano, dovrebbe almeno essere assai più persuasiva dal punto di vista politico, quindi additare una prospettiva, magari meno a portata di mano, ma più suscettibile di ampliamenti futuri. Ma quale prospettiva può garantire l’alleanza con l’Udc se non la deriva verso un centrismo asfittico e per di più velleitario dato che tutto il lato destro del centro è saldamente presidiato dal centrodestra e dal suo monopolio mediatico?
Tuttavia Follini propone almeno un’alleanza. Nega la validità per il PD della scelta solitaria e invita a un rapporto per ora ben poco invitante dal punto di vista della percentuale ma, nelle sue intenzioni, dinamico nel futuro.
Ci sono invece i sostenitori della scelta solitaria presa sul serio, come unica via di uscita dalla situazione attuale. Il primo autore di questa scuola era lo stesso Veltroni, al quale però tutti i sostenitori della vocazione maggioritaria rimproverano fin dall’inizio scarsa coerenza per avervi rinunciato a favore dell’alleanza con IdV. Oggi, tutti costoro – con larga varietà di accenti ma con una intesa di fondo, che corrisponde alla presenza sulle pagine del Corriere e in parte di Repubblica – insistono sulla necessità per il PD di andare solo davvero, rinunciando ad alleanze che appaiono loro debilitanti. Nessuno di loro sa e vuole spiegare per quale alchimia un PD in calo, o al massimo stazionario, dovrebbe riguadagnare consensi solo perché rinuncia all’alleanza con IdV che porta alla coalizione il beneficio di un aumento dei consensi. E in ogni caso chi sostiene che il PD da solo può raggiungere la maggioranza dovrebbe almeno indicare quale parte dell’elettorato, che ora gli nega il voto, sarebbe indotto a premiare la sua solitudine.
Di fronte alla mancanza di una spiegazione razionale, qui si deve in realtà immaginare un nuovo regno della speranza. Una speranza moltiplicata, come la fede, dalla durezza degli ostacoli. Tanto più ardua la difficoltà, tanto più grande il merito. Così non solo si sopravanza di un balzo la terribile prospettiva di salire dal 28, o dal 33, sopra al 50 % con un partito senza alleati. Ma addirittura si ritiene la meta realistica per un partito che ora deve fronteggiare una crisi a tutti i livelli e che vede destituita di credibilità una porzione non piccola di quella classe dirigente nelle assemblee elettive regionali, provinciali e comunali, che era stata un giorno la sua forza originaria e diffusa.
Invece oggi appare sempre più chiaro come la connessione tra politica, amministrazione, gestione del territorio e affari rappresenti il comune terreno di coltura di una sterminata rete di conflitti d’interesse. Ciò forse aiuta a spiegare perché il centrosinistra sia stato sempre così refrattario a legiferare sul tema, anche quando ne aveva piena facoltà. Ed è un tremendo contrappasso che oggi solo il centrosinistra, nella sua parte cospicua impersonata dal PD, sia chiamato a rappresentare sulla scena pubblica tutte le tare possibili di quella rete di conflitti, quando il suo massimo esponente assiste dall’alto – incontaminato perché ormai sciolto dal vincolo delle leggi, trionfante e con la mente al Quirinale – alla macerazione dell’avversario che non ha saputo e voluto fermarlo quando poteva.
Si tocca qui con mano quanto pesi l’inerzia, l’irresolutezza, la sottovalutazione del pericolo, la mancanza di volontà nell’affrontarlo, che il centrosinistra ha manifestato negli ultimi quindici anni. Ma oggi, più che la rassegna ormai accertata degli errori commessi, preme un interrogativo che ha qualcosa di angoscioso: come può un partito indebolito, indeciso sulla strada da prendere, e con una classe dirigente scossa fin dalle sue fondamenta, rifiutare il contributo delle forze che avevano da tempo esercitato la lotta che lui non ha voluto e saputo fare?
In realtà chi pensa che il PD debba camminare senza alleati ritiene che esso debba competere sullo stesso terreno del centrodestra. E infatti si sprecano gli inviti ai colloqui su tutti i temi scottanti. Il PD collabori a una riforma della giustizia che limiti la magistratura nel controllo di legalità sull’operato della politica. Proponga una sua versione di rafforzamento del potere esecutivo accompagnato da qualche dolciastra compensazione per le diminuite potestà del Parlamento. Consideri con favore la scomparsa, possibilmente definitiva, della rappresentanza politica degli elettori di sinistra. Appoggi il ridimensionamento delle organizzazioni sindacali e si adatti alla crescente e irresistibile precarietà di quasi tutti i lavori. Acconsenta a privatizzare i beni comuni. E infine rinunci a incidere sul monopolio dell’informazione del presidente del consiglio e magari si adatti, in nome della pacificazione, a farlo salire alla massima carica dello stato. E chissà che così non si apra una nuova stagione di opportunità…
Certo, per questa prospettiva, non c’è davvero bisogno di alleanze. E soprattutto le alleanze non sarebbero nemmeno immaginabili con chi in questi anni ha promosso e accompagnato le lotte del protagonismo civile. Ma, sulla soglia di una scelta fatale, consideri il PD che se questa è la vocazione maggioritaria essa garantirà un eterno destino di minoranza. Minoranza impotente di fronte al dominio spettrale di un soggetto che non era eleggibile e che in qualsiasi democrazia sarebbe incompatibile con l’esercizio del potere politico.

Pancho Pardi

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