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Autore Discussione: Paolo Biondani e Marco Damilano. Forza impunità  (Letto 2548 volte)
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« inserito:: Dicembre 11, 2008, 06:38:34 pm »

Forza impunità

di Paolo Biondani e Marco Damilano


Modificare la Costituzione. Limitare i poteri dei pm. Aumentare il controllo sul Csm. Regolare le intercettazioni. Così Berlusconi vuole chiudere la partita con la giustizia e l'informazione  La Corte di Cassazione a RomaAccomodati sulle poltroncine bianche hanno dialogato per due ore alla luce del sole, come amano dire, anzi dei riflettori: quelli di 'Porta a Porta'. Da una parte, il ministro della Giustizia del governo Berlusconi, Angelino Alfano il giovane, sicuro che lo scontro tra i giudici di Salerno e quelli di Catanzaro abbia gettato "un'onta di scarsa credibilità sulla magistratura", rendendo "inevitabile" la riforma della giustizia. Dall'altra parte, l'ex presidente della Camera Luciano Violante, d'accordo con il ministro: "I poteri dei pm sono eccessivi, vanno riportati nella norma". Violante non ha nessun incarico formale nel partito di Walter Veltroni, non compare neppure tra i 120 nomi della direzione. Eppure sulla giustizia è lui a dare la linea nel Pd. È lui l'interlocutore invocato dall'avvocato Niccolò Ghedini, l'uomo chiave del Pdl, per una riforma della Costituzione da votare insieme con l'opposizione per chiudere definitivamente i conti con magistratura e informazione, i contropoteri in uno Stato democratico.

La grande partita. Il grande gioco. "La grande occasione", la definisce Carlo Federico Grosso, "per giungere finalmente laddove, finora, non sono riusciti affondi decisivi". 'La grande occasione' era anche il titolo del libro di Massimo D'Alema dedicato alla Bicamerale sulle riforme. Sono passati dieci anni da quell'esperienza fallimentare, ma da lì si deve ripartire, precisa lo stesso ex premier: "La riforma della giustizia, unita alle altre riforme istituzionali, rappresenta il grande patto che la politica dovrebbe essere in grado di scrivere per migliorare la qualità di vita dei cittadini".

Una riforma con tre caposaldi, nei piani del governo: modificare il sistema di nomina del Consiglio superiore della magistratura, aumentando il numero dei membri politici e affidandone la nomina al capo dello Stato, che oggi è Giorgio Napolitano ma domani chissà, e dividerlo in due sezioni, una per la magistratura inquirente e una per quella requirente; separare le carriere dei magistrati e ridurre il controllo dei pm sulla polizia giudiziaria; indebolire, per non dire annullare, il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, lasciando al governo il compito di decidere a quali reati gli uffici giudiziari dovranno dare le priorità. Un pacchetto che, insieme alla legge sulle intercettazioni discussa alla Camera, con il carcere per i giornalisti che pubblicano le telefonate e all'idea di istituire una commissione di inchiesta parlamentare sulla stagione di Mani pulite, un controprocesso dei politici sui giudici, si presenta come un vero finale di partita. Con quale posta in gioco?

"C'è un terribile intreccio di progetti micidiali", lancia l'allarme il procuratore aggiunto di Torino Bruno Tinti: "La classe dirigente sta cercando la complicità di una parte dell'opposizione, della magistratura e dello stesso Csm per far passare riforme esiziali per il sistema democratico. La vera posta in gioco è l'assoggettamento dei pubblici ministeri al governo e quindi la tenuta del sistema democratico. La separazione delle carriere, dei Csm e magari degli ascensori, viene giustificata con l'esigenza di avere giudici imparziali rispetto ai pm. Ma questa è una palla macroscopica. Applicando la stessa logica, bisognerebbe separare tutte le carriere: gip, gup, tribunale, appello, Cassazione... Invece dei giudici di grado diverso non parla mai nessuno. Perché l'unico problema di questa classe politica è il pm che indaga".

Altri due magistrati di generazioni diverse arrivano alle stesse conclusioni. "C'è una parte della politica, oggi trasversale, che è indifferente al controllo di legalità", avverte il procuratore Giancarlo Caselli: "Per i cittadini il problema è l'interminabile durata dei processi, ma di questo gran parte della politica non parla. Invece di riformare la giustizia, si progetta di riformare i magistrati. È in gioco la qualità della nostra democrazia".

"In uno Stato democratico il controllo di legalità sul potere politico ed economico è una funzione essenziale", concorda il pm Giuseppe Cascini, segretario generale dell'Associazione nazionale magistrati: "Con la crisi il problema è ancora più forte: chi difende i cittadini dalla criminalità economica? Il ministro Tremonti annuncia che i banchieri che sbagliano andranno in galera. Ma alcune leggi del suo governo vanno nella direzione opposta: la sostanziale abolizione del falso in bilancio, l'abbattimento dei termini di prescrizione".

Non è solo l'ennesimo capitolo della sfida del Cavaliere contro la magistratura che terremota la politica italiana da 15 anni. Sul tavolo, questa volta, c'è l'ipotesi di una riforma che riscriva la Costituzione, più volte annunciata dal ministro Alfano, l'arma da fine del mondo finora mai usata, su cui scivolò la Bicamerale presieduta da D'Alema. Per la maggioranza berlusconiana quello che sta succedendo in questi giorni è il momento giusto tanto atteso, da cogliere al volo, ora che il Pd è in difficoltà, per via delle inchieste che lo colpiscono in città simbolo come Firenze e Napoli, e che la magistratura appare dilaniata dalle guerre intestine, vedi lo scontro tra Salerno e Catanzaro.

Il partito anti-toghe, dominante in Forza Italia, quello che parte da Berlusconi e arriva alla coppia Alfano-Ghedini, procede in apparenza compatto: "Meglio l'accordo con l'opposizione, ma se non c'è, andiamo avanti lo stesso". Il testo della riforma costituzionale, annunciato da mesi, potrebbe arrivare giusto in tempo per la campagna elettorale di primavera, amministrative e europee: ottimo per mettere in imbarazzo il Pd, che finirebbe stretto tra la concorrenza di Antonio Di Pietro e le inchieste giudiziarie nelle città che hanno fatto esplodere la questione morale anche nel partito di Veltroni. "La nostra disponibilità è seria", giura il ministro Gianfranco Rotondi: "Per disgrazia del Pd nella magistratura c'è ancora una componente residuale che fa politica militante e vive ogni riforma come un'aggressione. È quello che rende la riforma della giustizia fin troppo tardiva: purtroppo, temo, non c'è più niente da fare, è quasi impossibile evitare che i giudici facciano politica. Ma dobbiamo andare avanti senza farci condizionare. E il Pd deve dirci quale linea intende seguire".

Angelino AlfanoAnche la maggioranza è divisa, però: l'anima leghista vorrebbe andare avanti più speditamente con il federalismo; An, per bocca del presidente della Camera Gianfranco Fini, reclama riforme condivise con il Pd ma senza ultimatum, senza prendere o lasciare. E dal presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno (An) arriva una pioggia di distinguo: "Sono un tecnico, non un politico: qualsiasi limitazione all'indipendenza della magistratura mi terrorizzerebbe. Sono favorevole alla separazione delle carriere perché avvantaggerebbe la stessa credibilità dei giudici, ma finché farò politica continuerò a difendere il principio costituzionale di obbligatorietà dell'azione penale". Anche sulla legge sulle intercettazioni, di cui è relatrice a Montecitorio, la Bongiorno ha qualcosa da obiettare: "Mi opporrò a qualsiasi provvedimento che miri a escludere questo fondamentale mezzo di prova per la corruzione e gli altri reati contro la pubblica amministrazione. La maggioranza dei parlamentari di An e della Lega sono sulla stessa linea, è chiaro che Berlusconi ha una posizione molto diversa...". E infatti il Cavaliere non è per nulla soddisfatto del testo che sta uscendo dalla commissione, troppo morbido, e già annuncia modifiche. Anche se i magistrati in prima linea denunciano le norme che strozzano i tempi delle intercettazioni fino a rendere di fatto impossibili le indagini. E tra le toghe c'è chi punta il dito sulla debolezza del Csm. "Sono sconvolto dall'atteggiamento che il Consiglio ha tenuto su Salerno e Catanzaro", attacca il procuratore Tinti: "È passata la linea del padre che, vedendo i figli che litigano, prende a ceffoni tutti indistintamente".

Nel Pd attendono le prossime mosse della maggioranza. "Sono sei mesi che parlano di riforma e non ne abbiamo visto l'ombra", si dichiara scettico Felice Casson, ex magistrato impegnato in inchieste delicate, oggi capogruppo del Pd nella commissione Giustizia del Senato, pronto a fissare alcuni paletti nella disponibilità al dialogo del Pd: "Dare maggiori poteri alla polizia giudiziaria significa tagliare le unghie ai pubblici ministeri. Ci sono magistrati che all'epoca del terrorismo rosso o nero sono stati messi fuori strada dalle forzature delle varie polizie, non possiamo accettare che le indagini dipendano dal governo, di qualsiasi colore esso sia. In Portogallo la riforma ha trasformato i pm in un corpo chiuso di super-poliziotti che pensano solo al risultato, esattamente il contrario del garantismo". Casson rappresenta l'area del Pd che si riconosce nella segreteria Veltroni, insieme al ministro-ombra Lanfranco Tenaglia: sì al dialogo sulla giustizia, no a qualsiasi riforma che tocchi la Costituzione. Ma la geografia interna al partito, al solito, è molto più complicata: c'è una corrente convinta che bisogna andare molto più rapidamente verso l'accordo con la destra. "Dobbiamo rompere con il dipietrismo presente anche tra di noi, riconoscere gli eccessi del giustizialismo del passato e partecipare alla riforma", si lancia il deputato del Pd Pierluigi Mantini che in politica ha esordito proprio come seguace di Di Pietro. Un'ala che dopo i casi di Napoli e Firenze spinge per uno strappo con la linea tradizionale di vicinanza alla magistratura. Quella che tuona contro il "cortocircuito politico-mediatico-giudiziario", come ha fatto in televisione il sindaco di Firenze Leonardo Domenici, con insolito linguaggio berlusconiano, "tipico di chi vuole strumentalmente delegittimare un'inchiesta", ammette Casson. Quella su cui conta il ministro Alfano per la sua grande riforma: "L'Udc e D'Alema che si sono mostrati pronti a una riforma della giustizia perché la considerano urgente". Ecco raccontato dal titolare di via Arenula il fronte che potrebbe cogliere la grande occasione: il Pdl, i centristi di Pier Ferdinando Casini, i dalemiani. Con il solo Di Pietro a opporsi e la Lega pronta a resuscitare la proposta di far eleggere i magistrati direttamente dal popolo.

Nel Pd Violante è il battitore libero, il più esplicito sulla necessità di trovare l'accordo con la maggioranza berlusconiana. Anche a costo di sfidare l'ira degli ex colleghi. Perfino Caselli prende le distanze dal suo vecchio amico: "Sono in magistratura da 40 anni, ho vissuto i tempi della separatezza totale tra magistratura e forze di polizia. Senza polemica, Violante dovrebbe ricordare, perché ne faceva parte, il primo pool di giudici istruttori, che fu creato per combattere le Brigate rosse. Si indagava insieme alle forze di polizia, mangiando lo stesso pane amaro, sotto il coordinamento dei magistrati inquirenti. E i risultati mi sembrano innegabili. Lo stesso metodo di lavoro è continuato nei pool antimafia e poi con la lotta alla corruzione. Non pretendo la luna, ma almeno che sia mantenuto l'attuale equilibrio tra poteri". "Ci sono scelte che si inquadrano in percorsi personali più o meno discutibili", conclude il pm Cascini, riferito a Violante:"E c'è un'opposizione che sembra andare a rimorchio di un'agenda politica dettata dal governo. Manca la capacità di proporre al Paese un'idea di giustizia alternativa a quella di Berlusconi".

Ma forse non c'è molta voglia di cercare un'alternativa: allo scontro finale contro la magistratura buona parte della classe politica sembra avere un'esigenza in comune, che va oltre distinzioni ormai datate, destra e sinistra. La chiamavano impunità.

(11 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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