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Autore Discussione: Maria Teresa MELI  (Letto 51718 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Maggio 11, 2013, 05:38:32 pm »

I renziani contrari alla linea «soft» del capo: «Non dovrebbe trascurare così il partito»

D'Alema e i (finti) veti sul candidato

Ma la partita vera si gioca a ottobre

L'sms dell'ex premier: qualsiasi cosa deciderai, avrai il mio sostegno.

Renzi, timori per l'asse Letta-Bersani-Franceschini


ROMA - È tutto rinviato. Ma non a data da destinarsi. A ottobre. Lì si decideranno le sorti del Partito democratico. E anche quelle del governo. Non sotterrano l'ascia di guerra, i maggiorenti del Pd, ma la depongono per un po'. Per quel che basta per arrivare al redde rationem, che ormai è inevitabile. Oggi non saranno rose e fiori, però neanche guerre. Semplicemente, ognuno prenderà posizione, in vista del dopo. Per alcuni sarà dopo Congresso, per altri dopo governo, per tutti una prova che non si può evitare.

Le parole che accompagnano il Pd in questi giorni complicati non sono esattamente beneauguranti: «Epifani? È come far tornare Mazzone sulla panchina della Roma», dice qualche dirigente di fede giallorossa. Ma anche il più importante dei tifosi del Pd, ossia Massimo D'Alema, non storce un baffo e non alza un sopracciglio. Benché sia arrabbiato perché dall'entourage di Franceschini lo hanno dipinto come vinto e sfatto. Hanno addirittura detto che aveva posto un veto su Epifani, che si è dovuto rimangiare. La storia è un po' diversa. Quel veto c'era quando per la prima volta si parlò dell'ex leader sindacale come segretario. Era un escamotage di Bersani e dei suoi per evitare il congresso, la resa dei conti interna, e, soprattutto, per scongiurare la prospettiva di dover ridare indietro tutte le poltrone importanti.

Ma quando si è capito che l'ex segretario aveva mollato l'osso e il piano, D'Alema non ha avuto problemi a mandare il suo sms a Epifani: «So che stanno inventando storie che riguardano miei veti su di te, sappi che non è vero e sappi che qualsiasi cosa tu deciderai di fare avrai il mio sostegno». L'ex presidente del Consiglio attribuisce a Franceschini la colpa di queste indiscrezioni messe ad arte in giro. Già, perché il giochetto sarebbe questo: dipingere l'esito dell'affanno Pd come la nascita di un asse Letta-Bersani-Franceschini a cui, ovviamente, soccomberebbero sia D'Alema che Renzi. E non importa che i due la pensino molto diversamente: quel che conta è dimostrare che c'è chi ha vinto e chi ha perso, e che nella seconda categoria ci sono quelli che, per un motivo o per l'altro, potrebbero far traballare il governo. È così? Non è così? Difficile sapere la verità in questo Pd dove ognuno gioca contro l'altro. Ma una traccia c'è. Non di verità: una traccia di come il Pd sta vivendo questo connubio complicato con il governo. È di nuovo Franceschini il protagonista, suo malgrado. Ma è a lui che gli ex Ds imputano questa versione light della conventio ad excludendum, che taglia le unghie a Gianni Cuperlo, mette in difficoltà D'Alema e lascia tutta la sinistra in affanno e in difficoltà.

Questa volta il protagonista - involontario - è Veltroni. Il suo «uomo», Marco Minniti, dovrebbe prendere la delega per i Servizi. Anzi, sarebbe più corretto scrivere che avrebbe dovuto prendere, perché la storia becca una curva e non riesce a tenere il passo. Enrico Letta chiama Minniti e gli promette: «Aspetta qualche giorno e ti darò la delega ai Servizi». Di giorni ne passano tanti e non si sa più niente. Gianni Letta ha chiesto per conto di Silvio Berlusconi che quella delega vada a Gianni De Gennaro. Letta - Enrico - non si fa più sentire con Minniti. Franceschini invece fa sapere che il governo non ha gradito l'intervista di Veltroni al Corriere e che quindi il veltroniano Minniti potrebbe aver perso la sua buona occasione. Sarà anche questo un conto da regolare al Congresso prossimo venturo.

Chi sembra che non abbia nessuna voglia di chiedere o trattare in vista di quell'appuntamento è Matteo Renzi: «In teoria ora dovrei fare l'incazzato, chiedere, pretendere e accusare, ma non voglio fare il Pierino, quello che dice sempre di no, per me non c'è nessun problema, facessero quello che vogliono». I renziani, o almeno la maggior parte di loro, ossia quelli che non rispondono al rito fiorentino stretto, non sono d'accordo. Pensano che il capo non debba trascurare il partito. Lui, per ora, da quell'orecchio non ci sente, ma chissà che di qui a ottobre non cambi idea.

Maria Teresa Meli

11 maggio 2013 | 7:47© RIPRODUZIONE RISERVATA

DA - http://www.corriere.it/politica/13_maggio_11/dalema-e-i-finti-veti-su-Epifani_8366471c-b9fb-11e2-b7cc-15817aa8a464.shtml
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« Risposta #31 inserito:: Giugno 09, 2013, 10:38:34 am »

L'incontro

Letta e Renzi, patto sul «tandem»

Enrico vede bene Matteo segretario, la premiership viene dopo.

Il fattore Zingaretti


ROMA - Beffe, burle e sberleffi, quando non erano guerre, scontri e conflitti: da (quasi) sempre sono questi i rapporti tra fiorentini e pisani. Fino a oggi, almeno. Ossia fino alla nascita di questo strano tandem di marca Pd e di origine Dc composto da Enrico Letta e Matteo Renzi.


La vulgata politica vuole che i due siano amici-nemici, come da copione prestampato della sinistra. Ma non è proprio così. O, meglio, la storia è un po' più complicata di così. Enrico dice di Matteo: «Sarebbe un ottimo segretario». Matteo dice di Enrico: «È un amico e ho fiducia in lui». Nessuno, anche in casa democratica, crede che dicano - e facciano - sul serio. Nessuno, salvo chi li conosce bene e sa che entrambi, abbeveratisi al tardo democristianesimo, non mentono. Perché Letta ritiene veramente che sia meglio avere Renzi segretario, piuttosto che grillo parlante, sempre pronto a riprendere il governo: «Sbaglia chi pensa che la sua elezione farebbe fibrillare l'esecutivo come fu con Veltroni e Prodi. Anzi, un'assunzione di responsabilità da parte di Matteo sarebbe auspicabile», è il ritornello che il presidente del Consiglio ama ripetere ai fedelissimi. «Enrico è sincero quando dice che esaurita questa esperienza non intende ricandidarsi a premier, anche perché oggettivamente sarebbe complicato per il Pd andare alle elezioni con il capo del governo delle larghe intese», assicura il sindaco di Firenze ai suoi.
Che Renzi non abbia come faro quello di provocare la caduta del governo, ma che sia invece intenzionato a capire fino a dove può arrivare l'attuale esecutivo e che cosa possa fare per rendere più semplice la competizione del futuro, lo ha capito anche il Pdl. Ne ha avuto la prova provata Angelino Alfano, qualche sera fa, quando ha incontrato il medesimo a cena dal presidente dell'Eni Giuseppe Recchi. Sì, anche il vicepremier ha compreso che l'idea berlusconiana di spingere il Pd in un angolo, giocando sul dissidio Letta-Renzi è fallace e non efficace. Il fatto che caratterialmente siano così distanti, istituzionale il premier, movimentista il sindaco, potrebbe non essere foriero di divisioni. «Siamo due persone diverse, che anche per questo sono complementari. Ci rispettiamo e ci aiutiamo», spiega Letta. E Renzi chiarisce: «Davanti a un panino mangiato in fretta e furia, il giorno in cui Napolitano ha scelto Enrico, ci siamo scambiati una promessa: io avrei aiutato lui e viceversa. Se la premiership fosse toccata a me avrei voluto Enrico come segretario, e ora potrei fare io il leader del partito, mentre lui è a palazzo Chigi». E se Renzi ha un'idea del Pd che dovrà essere, differente da quella di Letta, non importa. «Altro che partito liquido: di più!», scherza sempre con i suoi il sindaco.


Che Renzi voglia palazzo Chigi dopo le prossime elezioni non è un mistero per nessuno. Che Letta sogni invece un posto in Europa, e, più precisamente la presidenza della commissione Ue, lo sanno tutti, il primo cittadino di Firenze in testa. Che i due, nonostante le differenze caratteriali, vadano d'accordo è quindi un fatto assodato. E dopodomani, a Firenze, quando si incontreranno, cercheranno di farlo capire ad amici e avversari, a tifosi e nemici, tramite un'operazione mediatica di cui hanno bisogno entrambi. Ed è proprio per questo che i nemici dell'accordo Letta-Renzi sono tanti. In prima fila, dicono i sostenitori del sindaco, c'è Dario Franceschini. Lui, al contrario del premier e del primo cittadino di Firenze, non avrebbe parte in commedia, dopo le elezioni. Poi c'è Pier Luigi Bersani, che ha ancora il dente avvelenato. Insomma, c'è una parte del Pd che non si rassegna al patto tra il sindaco e il premier e cerca di mettere in difficoltà Renzi. E infatti è stato negato un posto al Copasir al fedelissimo Luca Lotti, nonostante Renzi lo avesse chiesto. Il che ha provocato non poche tensioni, tanto che il sindaco ieri è arrivato a minacciare di far saltare il banco ritirando lo stesso Lotti dalla segreteria del partito. Il fronte anti-Renzi è dunque agguerrito e ha un unico vero candidato alla segreteria da contrapporre al rottamatore: Nicola Zingaretti.

Il «governatore» del Lazio non scopre ancora le sue carte, ma l'uscita di ieri, contro il correntismo del Pd, al quale, secondo lui, si è acconciato anche Renzi, è più che indicativa. Zingaretti potrebbe ottenere anche i consensi dei non allineati del Pd (che sono tanti).
Il sindaco lo sa, e aspetta settembre prima di decidere se candidarsi o meno alla segreteria.

Fino ad allora il Pd ballerà... e non sarà una danza di società.

Maria Teresa Meli

7 giugno 2013 | 8:04© RIPRODUZIONE RISERVATA

da -
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« Risposta #32 inserito:: Luglio 07, 2013, 11:32:35 am »

Dietro le quinte - «Mi conoscono poco, io decido da solo»

I sospetti del sindaco: vogliono mandarmi in Europa

«Pronto a candidarmi se il leader lo sceglie la gente»


ROMA - «Avete presente la haka dei maori che gli All Blacks cantano prima delle loro partite di rugby? Ebbene siamo nella fase in cui ci fanno la haka per intimidirci, ma non ci dicono quando inizia la partita, né con quali modalità»: è questa la battuta, più amara che ironica, che circola tra i renziani in attesa della commissione per le regole del congresso.

Certo, immaginarsi Bersani, D'Alema o Franceschini nei panni dei rugbisti neozelandesi è impresa improba, ma un po' per sdrammatizzare, un po' perché in guerra si ritengono sul serio, i sostenitori del sindaco ricorrono alla metafora della haka. Lui medesimo, Renzi Matteo, usa altri toni e altri linguaggi. Si è stufato un bel po' di come tanti maggiorenti del Pd lo trattino. E si sfoga con amici e confidenti. Certo, però, di una cosa: che se Epifani domani dovesse dare una data certa e regole che consentano a tutti di votare alle primarie lui mollerebbe gli ormeggi: «Se domani decidono che può votare per il segretario chi ha sempre votato, cioè gli elettori, e fissano una data, non ci sono dubbi: io mi candido un minuto dopo». Traduzione: il sindaco potrebbe scendere in pista già domani o, al massimo, dopodomani. «E poi voglio vedere che succede», è il suo ritornello.

Ma il fatto è che Renzi non è sicuro non tanto di candidarsi, quanto di poterlo fare. Teme gli ostacoli che stanno disseminando sul suo cammino. E con i fedelissimi ragiona così: «D'Alema è arrabbiato con me perché vorrebbe che io gli dicessi "sì buana, sì buana". Lui vuole che io vada in Europa, per... diciamo... fare un'esperienza internazionale. Così mi si tolgono di torno per un po'. Mi dicono: "Vieni qui che ti diamo lo zuccherino... così poi potrai fare il premier". Pensano che io sia così accecato dalla voglia di andare a Palazzo Chigi da accettare le loro proposte. Ma mi conoscono poco. Io decido per i cavoli miei. Se le primarie sono aperte mi candido, sennó riprovo a fare il sindaco che è un mestiere che mi piace molto. Anche se loro non mi vorrebbero nemmeno a Firenze per un altro mandato, mi vogliono in Europa, lontano. Ma io piuttosto faccio il professore all'Istituto universitario europeo, che è una cosa seria, sempre che lì accettino il mio english».

Renzi è fra l'arrabbiato e il faceto in questi giorni. Lo spettacolo della riunione del correntone non lo ha preoccupato,anzi: «Bersani che propone di fare il Pd dopo averlo disfatto...». Piuttosto, a impensierirlo è il fatto che si continui a pensare di mandare il Congresso per le lunghe, o di cambiarne le regole: «Stanno preparando un pacchetto per farmi fuori», spiega Renzi ai suoi in questo weekend che precede la riunione della commissione per le regole. Quella riunione in cui,stando ad alcuni, Guglielmo Epifani dovrebbe convocare il congresso a fine novembre. Peccato che questo non sia così scontato, a detta dello stesso segretario: «Sarà difficile fare le assise entro quel mese, perciò non le abbiamo ancora fissate, del resto non abbiamo scelto nemmeno le modalità, anche perché le due cose - tempi e regole - sono legate. Comunque io penso che sia sempre più difficile immaginare di non fare delle primarie aperte sulla scelta finale del segretario».

Renzi, però, continua a non fidarsi troppo, perché non è la prima volta che si è sentito fregato dai maggiorenti del suo partito e perché gli è stato detto in tutte le salse di lasciare stare la ditta. E così il sindaco di Firenze confida ai suoi: «Il primo tentativo è quello di far slittare il congresso con la scusa che disturberebbe il governo. Il secondo è quello di far eleggere il segretario dagli iscritti. Ci pensano in molti: D'Alema, Franceschini, Bersani. Loro sanno che a queste condizioni io non mi candiderei e puntano su Epifani che tranquillizza tutti. Già, il premier secondo loro non deve essere scelto dall'elettorato, non sia mai, ma dal Partito con la P maiuscola».

Sì, Renzi continua a non fidarsi, eppure domani la Commissione per le regole potrebbe riservargli una sorpresa. E in questo caso domani o martedì il sindaco potrebbe scendere ufficialmente in campo.

Maria Teresa Meli

7 luglio 2013 | 9:41© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_luglio_07/i-sospetti-del-sindaco-vogliono-mandarmi-in-europa-maria-teresa-meli_a803a278-e6be-11e2-a870-69831ea32195.shtml
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« Risposta #33 inserito:: Luglio 13, 2013, 10:34:08 am »

Retroscena

Il tour tra i leader europei, poi l'annuncio Renzi, sfida «obbligata» per la segreteria

Il sindaco teme lo slittamento del congresso.

I consigli di Veltroni sul partito


ROMA - Nel Pd, affannato e ancora vincolato all'alleanza con Silvio Berlusconi, si aspetta il prossimo tormentone.
Non è che ci sia da attendere troppo. Già la prossima settimana andrà in scena l'ennesimo dramma democrat. Questa volta il pomo della discordia è la mozione dei grillini che prevede l'abolizione della tranche di luglio del finanziamento pubblico ai partiti. Su questa battaglia Matteo Renzi ed Enrico Letta sono uniti. Chiedono entrambi chiarezza e invocano tutti e due lo stop a questo sistema. Perciò Epifani e Bersani, che pure sono contrari all'abolizione tout court dell'attuale legge, hanno cercato il compromesso.

Il messaggio a Renzi è stato spedito direttamente dal capogruppo alla Camera Roberto Speranza: «Troviamo una posizione univoca, non possiamo dividerci su questo». Il sindaco di Firenze è stato chiaro nella risposta che ha affidato ai suoi: «Io non voglio destabilizzare niente, non ne ho la minima intenzione, però non potete chiedermi rinvii dell'abolizione del finanziamento o soluzioni pasticciate. Per carità, sono prontissimo a preparare un documento di tutto il Pd, ma prima voglio leggerlo bene, voglio che su questo ci sia la massima chiarezza». E poi, con i suoi Renzi è stato più esplicito: «Su questo tema dobbiamo continuare a incalzare il partito, non dobbiamo lasciar andare la presa, perché è un tema troppo importante».
Insomma, Renzi sa bene che nel Pd c'è ancora chi vorrebbe metterlo alle strette e isolarlo, ma sa anche che ogni qual volta i maggiorenti del partito danno l'impressione di volerlo ingabbiare la sua popolarità sale. Per questa ragione tranquillizza i suoi, preoccupati per il pressing della maggioranza interna che li accusa di voler far cadere il governo Letta: «Figuriamoci, non è per quello che facciamo noi che l'esecutivo va avanti o cade. Può procedere solo se sbroglia nodi e offre soluzioni e comunque nel nostro gruppo non c'è nessuno, a cominciare da me, che vuole contrastare Letta. Dopodiché, se la nomenklatura del Pd è convinta di salvare se stessa isolando me, chi se ne importa».

Tanta apparente flemma nasconde però una preoccupazione. E cioè che il governo vada avanti per altri due anni, come ha lasciato intendere ieri lo stesso Letta. Fino al 2014 e oltre. In questo caso è chiaro che Renzi dovrebbe giocarsi tutto sul piatto della segreteria del partito, anche se dalle parti di Largo del Nazareno continua a spirare vento di rinvio. Perché, come dice un autorevole dirigente bersaniano: «Se la situazione politica si complica noi non possiamo certo tenere il congresso del partito in autunno. Sarà inevitabile farlo slittare all'inverno inoltrato».
Quello del rinvio è un pericolo reale, di cui Renzi ha contezza. Il sindaco di Firenze conosce i sondaggi di Berlusconi, quelli che rivelano come il centrodestra sia condannato a perdere nel caso in cui il primo cittadino del capoluogo toscano capeggiasse lo schieramento di centrosinistra.
Stando a quelle rilevazioni il fronte guidato dal Pd vincerebbe sia alla Camera che al Senato. Vittoria piena, insomma. Ed è per questo, secondo Renzi e i suoi, che Berlusconi farà di tutto pur di non provocare la caduta del governo. Ed è sempre per questo che, vista la possibilità di un dilatarsi ulteriore dei tempi, il sindaco rottamatore deve giocare per forza la partita della segreteria.

Glielo ha detto anche Walter Veltroni che pare non abbia apprezzato affatto che i suoi si siano uniti a Bersani ed Epifani nel tentativo di isolare Renzi. «Non puoi non avere dietro il partito, altrimenti non riuscirai a fare niente».
Lezione che, a quanto pare, Renzi ha mandato giù a memoria. Perciò da qualche tempo in qua i sondaggi lo confortano ma non gli bastano. Il 59 per cento degli italiani, stando all'ultimo sondaggio Swg lo vorrebbe come leader, mentre solo il 33 ha fiducia nell'attuale governo.
Enrico Letta ha maggior appeal dell'esecutivo da lui guidato, perché veleggia intorno al 46 per cento, ma è tuttora sotto il sindaco di Firenze che, pure, nelle ultime settimane ha perso punti. Il che, vedendo come si muove in questi giorni, non deve preoccuparlo oltre misura. Tant'è vero che ha programmato una serie di viaggi nelle capitali europee per accreditarsi con i governanti della Ue (la prima visita data all'altro ieri).
Una decisione che la dice lunga sulle sue future intenzioni: lo dirà quando lo dirà, ma, di fatto, il tormentone «Renzi si candida o non si candida», è già finito. Renzi si candida. E tutto nel Pd prenderà il via dal quel momento .

13 luglio 2013 | 7:30
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Maria Teresa Meli

da - http://www.corriere.it/politica/13_luglio_13/renzi-toru-europa-annuncio_13b46418-eb7d-11e2-8187-31118fc65ff2.shtml
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« Risposta #34 inserito:: Dicembre 11, 2013, 10:27:09 am »

Primarie pd

Dagli incarichi ai costi: la rivoluzione nel partito
Il sindaco dà sei mesi a Letta per le riforme: «La mia sarà una segreteria a costo zero»

ROMA - Arriva Matteo Renzi, forte di un risultato netto che più netto non si può, e sarà rivoluzione anche al Nazareno. «La mia sarà una segreteria a costo zero», anticipa il sindaco ai fedelissimi e spiega il perché: «Noi dobbiamo fare politica per favorire la vita dei cittadini non per sottrar loro i soldi». Il che significa che chi starà in segreteria non prenderà indennità o rimborsi dal partito, ma si accontenterà del proprio stipendio, quale che sia il suo ruolo: parlamentare, amministratore locale, professore universitario o intellettuale.

Il coordinatore di questo organismo dirigente sarà il fido Luca Lotti, braccio destro e sinistro del neo segretario. Poi ci saranno molte donne. Tra cui la deputata Silvia Fregolent. E Debora Serracchiani, a cui dovrebbero andare gli Enti Locali, a meno che, alla fine, non si preferisca affidarle la presidenza dell’Assemblea nazionale, il ruolo, per intendersi, che fu di Rosy Bindi. Lorenzo Guerini, il deputato che per Renzi ha seguito le trattative per i regolamenti congressuali, dovrebbe fare il tesoriere. Antonio Funiciello, attuale responsabile della Comunicazione, resterebbe in segreteria, sebbene potrebbe ricevere un altro incarico. E sempre in segreteria dovrebbero entrare anche il coordinatore della campagna delle primarie Stefano Bonaccini e il presidente della provincia di Pesaro Matteo Ricci. Quindi ci sarà qualche nome ad «effetto», che con la politica non ha nulla a che vedere. «Sulla segreteria, comunque, non tratto con nessuno», avverte Renzi. Nemmeno con gli alleati, ossia con Franceschini e Fassino, tanto per fare due nomi: «Sono io che mi sono candidato a segretario, sono io che ci ho messo la faccia».

Strutture meno costose, dunque, e, soprattutto, più snelle. Il che significa che Renzi smantellerà i forum e gli innumerevoli dipartimenti messi in piedi da Bersani, con relativi stipendi e segreterie. Al loro posto, dei responsabili di rete che riuniranno sindaci, assessori ed esperti del settore su ogni materia che verrà di volta in volta affrontata. Sempre a costo zero, naturalmente. Non solo, «gli iscritti verranno consultati» sulle questioni principali: «Sennò per quale motivo lo abbiamo fatto a fare l’albo degli elettori? Almeno in questo modo lo usiamo».

L’appello agli elettori delle primarie sarà il modo in cui Renzi sfuggirà all’abbraccio degli oligarchi, che cercheranno di logorarlo. Bersaniani e dalemiani stanno già preparando una corrente organizzata. Vorrebbero coinvolgere nell’operazione anche i «giovani turchi», i quali, però, hanno risposto di no e cercano un abboccamento con i renziani, perché preferirebbero non tornare dai «padri» con cui hanno rotto. Sempre per il capitolo «riduzione delle spese», appena si sarà fatta un’idea più chiara, Renzi sposterà il Pd dal Nazareno: è una sede troppo costosa. Si parla di via Tomacelli, ma non c’è ancora niente di certo.

La rivoluzione di Renzi, però, non riguarderà solo il partito, naturalmente. Quello che deve dire a Letta, in realtà, il segretario lo ha già spiegato al diretto interessato proprio in questi gorni. E glielo ripeterà, perché è a lui che vuole parlare, non ad Alfano, che continua a non volere tenere da conto: «Enrico, siamo tutti nella stessa barca, noi del Pd e il governo. O si rema o si affonda. Anche perché se continuiamo ad andare avanti così, con il governo che non fa granché, si limita agli annunci e e poi preferisce i rinvii, le larghe intese le fanno Beppe Grillo e Silvio Berlusconi».

«Per questo motivo - e qui ecco che il sindaco detta l’agenda del Partito democratico al governo e al Parlamento - dobbiamo arrivare alle Europee di maggio avendo approvato alla Camera la riforma elettorale, e questo è affar nostro e non dell’esecutivo. Quindi bisognerà approvare un pacchetto di tagli ai costi della politica, anche quello prima delle Europee, e, sempre per quella scadenza, l’abolizione del Senato dovrà essere passata in prima lettura sia alla Camera che a palazzo Madama. E non sto parlando di quel fumoso progetto di Quagliariello, ma di trasformare il Senato nella Camera delle Autonomie locali, con i presidenti delle regioni e i sindaci che non prendono nessuna indennità». Non basta. Prima di quella data il segretario vuole anche che sia presentato un «piano rivoluzionario per il lavoro», che si occupi «dei 7 milioni di non garantiti».

Ecco, queste sono le condizioni, perché «il Pd finora ha avuto molta pazienza e adesso vuole avere molto coraggio, e lo deve avere pure il governo sennò non si va da nessuna parte».

09 dicembre 2013
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Da - Maria Teresa Melihttp://www.corriere.it/politica/13_dicembre_09/dagli-incarichi-costi-rivoluzione-partito-e9606c36-609b-11e3-afd4-40bf4f69b5f9.shtml
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« Risposta #35 inserito:: Dicembre 24, 2013, 06:44:27 pm »

Il retroscena - La tattica sulle regole del voto
Renzi non si fida di Alfano e Berlusconi
E teme di non controllare i «suoi» parlamentari
I dubbi sui veri obiettivi del Cavaliere.
Sullo sfondo la riforma della legge elettorale, che potrebbe puntare a indebolirlo

    ROMA - Matteo Renzi non si fida. Non di Alfano e tanto meno di Berlusconi. «Tutti e due - è il convincimento del segretario del Pd - stanno utilizzando la legge elettorale per fare i loro giochi rispetto al governo. Il vicepremier perché vuole protrarre la legislatura il più a lungo possibile per paura di andare alle elezioni. L’altro perché pensa di utilizzare questa storia per andare alle elezioni a maggio. E noi non dobbiamo restare incastrati in questi giochini perché vogliamo cambiare il sistema sul serio».

Già, adesso il timore di Renzi e del suo entourage è che, alla fine della festa, sia Alfano che Berlusconi vogliano tenersi questa legge elettorale. Il primo per timore che, appena cambiata, si vada dritti alle urne, lasciando il Ncd a metà del guado e con pochi consensi. Il secondo perché andando al voto con il proporzionale rimarrebbe comunque determinante per i giochi politici futuri e schiaccerebbe Alfano.

Ma c’è un altro dubbio, ancora peggiore, che assilla in questi giorni Renzi: il rapporto con i gruppi parlamentari del Pd. I quali, com’è noto, sono stati creati a immagine e somiglianza della maggioranza bersaniana. È vero che Matteo Orfini dice che per quanto lo riguarda «tentare di fregare il segretario, come da tradizione, sarebbe una stupidaggine perché equivarrebbe a fregare tutta la baracca del Pd». Ma tra gli avversari interni del leader è uno dei pochi a pensarla così. I bersaniani non nascondono le loro intenzioni. O, almeno, faticano sempre di più a farlo. Alfredo D’Attorre spiega ai giornalisti un tipo di riforma che non sembra quella immaginata da Renzi. Poi a qualche compagno di partito dice: «Comunque, vanno lette bene le motivazioni della sentenza della Corte costituzionale prima di decidere».

Sì, il dispositivo della Consulta è un altro appiglio per chi vuole evitare che il segretario faccia un blitz sulla riforma elettorale. C’è chi dice nel Transatlantico di Montecitorio che la sentenza della Corte potrebbe delimitare la legge elettorale che verrà, insomma, metterle dei paletti. E c’è chi lo spera. Soprattutto tra chi punta a impedire a Renzi di raggiungere il suo obiettivo: dimostrare di mantenere la parola data e mandare in porto alla Camera la riforma elettorale entro la fine di gennaio, al massimo nella prima settimana di febbraio, non oltre.

Se Renzi non centrasse questo obiettivo non farebbe certamente una bella figura. Per questa ragione guarda con apprensione all’«ostruzionismo strisciante» non solo del Nuovo centrodestra, ma anche del fronte bersaniano. Nonché di una fetta degli ex popolari, che sembrano esprimersi non troppo diversamente da Angelino Alfano. Beppe Fioroni, per esempio, sottolinea con forza che occorre andare avanti sulla strada di un nuovo sistema, ma aggiunge una postilla di non poco conto: «Che senso ha fare la riforma elettorale adesso se poi dobbiamo approvare un sistema improntato sul monocameralismo? Significherebbe dover rimettere mano subito dopo alla legge».

E, nel frattempo, in quel pezzo del Pd che vorrebbe frenare il segretario si sta pensando di unificare alcune proposte di legge in materia di riforma elettorale per valorizzare le preferenze e indebolire il premio di maggioranza. Si tratta di progetti che potrebbero avere il via libera anche del Nuovo centrodestra, il che, naturalmente, metterebbe in difficoltà il segretario.

Il leader del Pd, infatti, non intende veramente strappare con la maggioranza, ma vuole allargarne il perimetro, che è cosa diversa. Piuttosto, sono i renziani a temere che il vero obiettivo dei bersaniani sia proprio quello di accollare al leader del Pd la colpa dello strappo, inducendolo a farlo con il loro «ostruzionismo strisciante», e addossandogli a quel punto la responsabilità della rottura della maggioranza e della caduta del governo.

Insomma, quella elettorale può trasformarsi per il segretario in una materia incandescente, anche perché alla Camera sulla riforma si può votare a scrutinio segreto. Per questo c’è chi gli suggerisce - finora inascoltato - di procedere spedito sul Mattarellum senza scorporo. Ma Renzi è convinto che ci voglia troppo tempo per ridisegnare i collegi.

22 dicembre 2013
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Maria Teresa Meli

Da - http://www.corriere.it/politica/13_dicembre_22/renzi-non-si-fida-alfano-berlusconi-teme-non-controllare-suoi-parlamentari-06e42b32-6adb-11e3-b22c-371c0c3b83cf.shtml
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« Risposta #36 inserito:: Gennaio 19, 2014, 06:03:10 pm »

La strategia

«Io mi sto giocando tutto», la partita del sindaco e la distanza con il premier
La diplomazia del segretario: «L’accordo è davvero a un passo»

ROMA - Squilla il cellulare di Matteo Renzi. Una, due, tre volte. Risquilla. Dall’altra parte c’è Enrico Letta che vuole sapere come è andata. Il segretario del Pd non risponde. Deve parlare con Alfano. Per la verità ha avuto una telefonata con il leader del Nuovo centrodestra anche prima dell’incontro con Silvio Berlusconi, però c’è una seconda puntata. Il sindaco di Firenze spiega ai suoi che il vicepremier è preoccupato e quindi molto disponibile. Forse lo vedrà oggi per chiudere definitivamente. Renzi chiama anche il Quirinale, per spiegare nei dettagli i passi avanti fatti con Berlusconi. «È tutto molto delicato», dice poi ai suoi.

Talmente delicato che il leader del Pd non sente il bisogno di un colloquio con il presidente del Consiglio subito dopo l’incontro con il Cavaliere. Solo alle nove di sera il sindaco risponde a un sms del premier che non è riuscito a contattarlo e che vuole sapere come sia andata perché è all’oscuro delle trattative finali. Renzi dice a Letta di non intervenire e di starsene da parte: il momento è troppo delicato ed è meglio che l’inquilino di Palazzo Chigi, che non ha seguito la mediazione, non intervenga e lasci giocare i protagonisti della trattativa. Del resto, Renzi lo ha detto mille volte, anche in passato: «Il governo non si occupi della materia elettorale, perché spetta ai partiti». E in effetti così è. Il segretario sta facendo più parti in commedia, pur di arrivare al risultato finale. «Non mi importa del rimpasto, non mi interessano i diverbi nei partiti. So che mi sto giocando tutto: la faccia e anche la testa. Ma l’accordo per la nascita della Terza Repubblica è a un passo e non possiamo sprecare questa occasione».

Perciò in questa fase preferisce parlare con Alfano o con il Cavaliere, che con Letta. L’accordo è praticamente fatto e non vuole interferenze esterne. Né vuole ascoltare le proposte di rimpasto o le offerte per un patto che duri lo spazio di un anno. Ora, spiega, la priorità è Berlusconi. Non perché il Cavaliere lo abbia affascinato. Tutt’altro. Ma perché è solo tramite lui che si può «cambiare il sistema elettorale e mandare in porto l’abolizione del Senato e la modifica del Titolo quinto della Costituzione». Ma Renzi non fa nessuna concessione a Berlusconi. Il quale, accolto da Lorenzo Guerini, che è diventato il plenipotenziario del segretario in «terra romana», appena si accomoda sul divano, proprio sotto una foto di Bob Kennedy, tenta di andare al sodo: «Allora, caro Matteo, quando mandiamo a casa questo governo?». Ma il segretario del Partito democratico da quell’orecchio mostra di non volerci sentire: «Così cominciamo malissimo, mi vuoi mettere in difficoltà? Il governo non è in discussione». Della serie, mettiamo i puntini sulle i. E Renzi ha talmente tanta fretta di metterli che alla fine dell’incontro con il leader di Forza Italia pone un’ulteriore condizione. Chiede che Berlusconi nel videomessaggio dica pubblicamente - e palesemente - «sì» alle altre riforme. A quelle costituzionali, che abbisognano di un anno di tempo e che fugano i dubbi sulla possibilità di un accordo tra il sindaco e Berlusconi che punti a staccare la spina anzitempo alla legislatura.

Il leader di Forza Italia mantiene la parola data, anche perché, come confesserà poco più tardi: «Renzi è troppo simpatico. È veramente nuovo». Ma l’uomo nuovo non vuole farsi impaniare nelle logiche vecchie. Per questo, dopo l’incontro parla il minimo indispensabile. Eppure sa bene che Berlusconi questa volta non potrà rovesciare il tavolo, per il semplice fatto che finora era un «intoccabile» e lo sarà di nuovo se straccia l’accordo con Renzi. Come sa, perché lo ripete più volte ai suoi, che Alfano è «disponibile» al confronto e alla mediazione.

Certo, ci sono i bersaniani che insistono, fanno pressioni e minacciano divisioni, ma non è che gli incutano un grande timore. Sono meno della metà del 18 per cento che alle primarie ha votato in suo favore. E non hanno nemmeno una sponda a sinistra. Basta sentir parlare Nichi Vendola: «Io l’accordo lo farò con Renzi, uomo nuovo e simpatico, frutto della Terza Repubblica. Non lo faccio certo con Fassina o Cuperlo che mi propongono il Letta bis. E questa sarebbe la sinistra del Partito democratico? Siamo messi veramente bene».

E infatti Renzi non sembra temerli in vista della direzione di domani: «So che siamo a uno snodo decisivo ma so anche che o chiudiamo adesso o non chiudiamo mai più. Del resto, so anche che posso farlo solo io. L’unico legittimato da un voto popolare a trattare persino con Berlusconi».
Già, perché, come notano i renziani, gli altri interlocutori del segretario non hanno ricevuto la legittimazione popolare da un voto. Né Alfano, né Letta. «Perciò - spiega Renzi ai suoi - vado avanti e chi la dura la vince» .

19 gennaio 2014
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Maria Teresa Meli

Da - http://www.corriere.it/politica/14_gennaio_19/io-mi-sto-giocando-tutto-partita-decisiva-sindaco-distanza-il-premier-086c4564-80db-11e3-a1c3-05b99f5e9b32.shtml
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« Risposta #37 inserito:: Gennaio 29, 2014, 05:03:11 pm »

Il retroscena -

La soddisfazione dopo l’incontro con i deputati: sì da tutti, anche da Cuperlo
Legge elettorale, Renzi e il gioco al rialzo nelle trattative: meglio fallire che restare fermi
E sul no serale del leader di FI: fa parte del gioco delle trattative


ROMA - Gli amici gli avevano detto di evitare gli azzardi. I fedelissimi gli avevano suggerito di non presentarsi alla riunione dei deputati pd della commissione Affari costituzionali della Camera. E lui? Lui ha ascoltato, sorriso. E fatto, come sempre di testa sua. Cioè si è presentato alla riunione del gruppo del Partito democratico. Ha avuto ragione: «Dicevano che io non controllavo il gruppo? Che è successo? Tutti mi hanno detto sì, persino Cuperlo. Niente emendamenti che rompevano le scatole. In compenso Forza Italia che aveva accettato la soglia al 38 per cento ora con Berlusconi ha bloccato tutto, ma fa parte del gioco delle trattative», è un sindaco di Firenze felice della prova di forza eseguita e vinta quello che a sera chiacchiera con i suoi e non sembra dare troppa importanza ai problemi con FI.

IL JOBS ACT- Renzi è un Frecciarossa, che si ferma, a mala pena, a Roma, giusto perché non potrebbe fare altrimenti. E mentre è lì nella capitale e vede Denis Verdini e Angelino Alfano (in tempi separati e ognuno a quattr’occhi), avverte i democratici che la direzione che aspettavano per il 30 gennaio sarà invece per il 6 febbraio. Peccato se Enrico Letta e il suo governo perderanno altro tempo per preparare l’ «Impegno 2014» ma prima di quella data il Partito democratico non è in grado di fare il punto della situazione. E infatti l’ordine del giorno della riunione, negli sms che arrivano a tutti i parlamentari e ai componenti del parlamentino del Pd recita così: «Patto di coalizione, più varie ed eventuali». Il Jobs act è sparito di nuovo. Non c’è più, con buona pace di chi era convinto che fosse quello l’oggetto della riunione. Quello è un programma che va bene per «una campagna elettorale», dice uno dei fedelissimi del sindaco di Firenze, non un «compromesso al ribasso per trattare con Alfano, Lupi, Quagliariello e Giovanardi». Tradotto dal politichese all’italiano: il Jobs act sarà materia di campagna elettorale in vista delle elezioni europee, non materia di scambio con il Nuovo centrodestra per una mediazione qualsiasi che, magari, preveda un rimpastino.

«LETTA PENSI AL GOVERNO»- «Non è quello il mio obiettivo», spiega il segretario del Pd, che aggiunge: «Io a Letta non chiedo nemmeno uno sgabello, neanche ora che De Girolamo si è dimessa». E ancora, sempre ai fedelissimi: «Su queste cose decida lui. Gliel’ho già detto molte volte: lo scontro politico continuo con me è controproducente. Per il governo e per la legislatura, più che per il Pd e per me. Credo che lui ormai abbia capito che se gli consiglio di occuparsi del governo lo dico per il suo bene. Non è che l’esecutivo vada alla grande e noi del Pd vogliamo che invece faccia delle cose, che vada avanti, che non si impantani definitivamente nella palude italiana come il resto della politica». Del resto, quello che pensa dell’esecutivo guidato da Enrico Letta, Matteo Renzi lo ha detto più e più volte: « Io non sono e non voglio essere un ostacolo per Letta. Anzi, penso che grazie a me e a chi mi ha sostenuto in questo confronto sulle riforme abbia dimostrato quanto sia facile passare dalle parole ai fatti. È esattamente quello che si chiede a Letta: andare avanti, lasciando da una parte le chiacchiere, ed esercitandosi sui fatti concreti».

RISCHIA TUTTO MA NON STA FERMO- Ma Renzi è conscio che la sua operazione è quanto mai rischiosa? Nel Pd, come si diceva, i suoi nemici non sono pochi, anche se la maggior parte preferisce offrire il sorriso al coltello. Ma quando qualcuno gli chiede come va, Renzi ostenta sicurezza e tranquillità: «La riforma va avanti, e mi pare che vada abbastanza spedita». Tutta questa ostentazione di sicurezza non convince i suoi avversari, ma l’uomo è fatto così. È più forte di lui: «Preferisco rischiare anche il fallimento, piuttosto che stare fermo nella palude. I contraccolpi ci saranno di sicuro e me li aspetto. Si serviranno di ogni mezzo e proveranno qualsiasi cosa per stopparmi. Ma se credono che io mi logori di qui al 2015 si sbagliano di grosso, possono aspettare... e avranno delle amare delusioni. A me portano bene tutti quelli che gufano sul mio insuccesso e sul mio logoramento». E ancora. «Il tentativo è sempre lo stesso. Ormai sono diventati monotoni. Non riusciranno a fermarmi, se lo mettano in testa. Non pensavano che io incontrassi Berlusconi al Nazareno e io l’ho incontrato, non si aspettavano che nel giro di poche settimane trovassi un accordo per le riforme elettorali e io l’ho trovato...». Insomma, è sempre quella che il vice capogruppo del Senato del Pd, Giorgio Tonini, definisce la «mossa del cavallo», la sortita che premia il sindaco di Firenze e spiazza i suoi avversari interni. Tanto lui, ancora una volta, è pronto a giocare l’arma finale: «Niente riforma, niente legislatura, dunque voto».

28 gennaio 2014
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Maria Teresa Meli

Da - http://www.corriere.it/politica/14_gennaio_28/segretario-gioco-rialzo-d513b308-87e4-11e3-bbc9-00f424b3d399.shtml
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« Risposta #38 inserito:: Febbraio 03, 2014, 04:42:13 pm »

CENTROSINISTRA, LE SCELTE

Renzi avvisa Letta: ci vuole una svolta
Il segretario chiede al premier azioni di governo più incisive: «Enrico casca male se pensa di tirare a campare con un rimpasto»

Matteo Renzi si rifiuta di essere messo in mezzo nel gioco del governo che non va. Dicono i suoi: sono soprattutto i lettiani e il Ncd a «praticare questo sport» per giustificare le difficoltà dell’esecutivo. Il sindaco di Firenze ribadisce ai compagni di partito che lui non sta facendo altro che aspettare di capire come intenda muoversi il premier: «Io mi sto impegnando sul fronte delle riforme, senza contare il fatto che sto conducendo il partito dentro il Pse e che sto lavorando a un progetto ampio e complesso come il «Jobs act», Letta dovrebbe occuparsi del governo. E con questo non intendo parlare del rimpasto ma dell’azione del governo. Però non vedo muoversi niente...».

Politichese - Tradotto dal politichese al «renzese» in presa diretta: «Se Enrico pensa di risolvere la situazione mettendo qualcuno dei miei dentro il governo, facendo qualche aggiustamento di programma e continuando a tirare a campare, casca male. Ci vuole una svolta. Bisogna cambiare verso anche lì. Lo avete sentito quello che ha detto Squinzi? È un campanello d’allarme da non sottovalutare».

Insomma, anche il segretario del Pd sembra far parte di quella sempre più vasta schiera di esponenti del mondo della politica, dell’economia e dell’impresa che vorrebbero dall’esecutivo uno scatto di reni: Letta dovrebbe battere un colpo, è il leit motiv del leader. Che sembra veramente preoccupato per l’immobilismo del governo: «Devono avere più coraggio, perché se continuano così non si va da nessuna parte». Tra l’altro il sindaco di Firenze non sembra condividere l’ottimismo del premier sull’uscita dell’Italia dalla crisi. Anzi, a suo giudizio, se si procede con il metodo del «vivacchiare» si rischia di mancare l’appuntamento con l’eventuale ripresa quando mai sarà. E questo sarebbe un errore imperdonabile per la classe politica italiana, perché getterebbe il Paese nel baratro.

Impensierito - Renzi è impensierito da questa difficoltà del premier di andare avanti con maggiore vigore, così come ha sollecitato anche ieri Prodi dalle colonne del Corriere . «Io - ha spiegato agli amici il segretario del Pd - ho detto a Enrico che non voglio fargli le scarpe, mi sono candidato a sindaco e ho avviato un processo di riforme anche costituzionali che prevede almeno un anno prima di andare in porto e che quindi scavalca la finestra elettorale di quest’anno. Insomma, ho fatto di tutto per tranquillizzarlo, ora però è necessario che il governo agisca con maggior coraggio, esattamente come ha fatto il nostro partito. In fondo anche io, con la storia delle riforme, ho corso il rischio di bruciarmi. E lui?».

I pericoli - Secondo certi pd, nel voto segreto alla Camera il segretario potrebbe correre ancora qualche pericolo su alcuni emendamenti. Su quello sulle preferenze, per esempio, sussurra qualcuno. Ma su quel fronte Renzi sembra abbastanza tranquillo, come spiegava già giorni fa ad alcuni compagni di partito: «Alfano mi ha assicurato che per loro quella è solo una battaglia di bandiera».

Dunque, sono altre le preoccupazioni di Renzi: anche secondo il segretario del Pd, come per Prodi e Squinzi, il governo dovrebbe essere assai meno timido e agire con ben maggiore incisività. Ed è proprio per questo che, quando sarà il momento, il sindaco sfodererà un’agenda che sarà difficile prendere sotto gamba. Né lo si potrà allettare, come fanno ancora alcuni, con il sogno della poltrona di Palazzo Chigi, da conquistare senza le elezioni: «È un tema - dice il segretario - che non è all’ordine del giorno. So che c’è chi ne parla. Non io, che ho sempre detto che non voglio scorciatoie ma prove elettorali».

L’agenda - E il sogno di «dettare», nel frattempo, l’agenda al governo, quello no che Renzi non lo ha abbandonato. Sul piatto metterà la questione del lavoro, anzi, dei lavori. E altre più spinose. Una delicata per Saccomanni: la richiesta dei cinque miliardi fuori dal patto di Stabilità per la ristrutturazione degli edifici scolastici. Le altre due difficili da digerire per il Nuovo centrodestra: la revisione radicale della «Bossi-Fini» e la questione delle unioni civili. Due punti «non più rinviabili», secondo il segretario del Pd. E infatti il responsabile del settore in segreteria, Davide Faraone, ha il mandato di continuare a lavorarci proprio in questi giorni. Se Alfano e Letta pensavano di risolvere la pratica «governo» senza troppi problemi, dovranno ricredersi.

03 febbraio 2014
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Maria Teresa Meli

Da - http://www.corriere.it/politica/14_febbraio_03/renzi-avvisa-letta-ci-vuole-svolta-30b9896c-8ca9-11e3-b3eb-24c163fe5e21.shtml
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« Risposta #39 inserito:: Febbraio 09, 2014, 05:26:09 pm »

I leader avverte: non seguiremo un governo in declino
Renzi stringe i tempi ma esclude la staffetta
L’idea che la vittoria alle urne sia a portata di mano

ROMA - Matteo Renzi è pronto per tornare nella sua Firenze dopo la direzione del Pd. Ha giusto il tempo di scambiare qualche osservazione con i fedelissimi prima di prendere il treno: «Con Enrico non ho calcato la mano volutamente. Il suo discorso ha imbarazzato tanti nella riunione. Io ho preferito lasciar stare. Gli ho solo dato i quindici giorni. Decidesse lui che cosa vuole fare: o opta per un colpo d’ala o si trascina avanti in questo modo. Ma il Pd in questo caso non seguirà le sorti declinanti del governo».

Il sindaco sa che si è giunti al momento della verità. Davanti al parlamentino del Pd si è lasciato tutte le strade aperte: voto anticipato, staffetta a Palazzo Chigi, proseguimento della legislatura con Letta. Quest’ultima opzione, però, ha la data di scadenza: «Lo schema era quello di un percorso di diciotto mesi. Dieci ne sono passati. Ne mancano otto».

Ma di questo ieri sera, dopo la riunione, il segretario preferiva non parlare. Era tutto proiettato su un altro scenario futuro: «Diciamoci la verità, qui o si rompe tutto, e le riforme, purtroppo, saltano, e quindi si va alle elezioni, oppure riusciamo a rivoltare l’Italia come un calzino e facciamo quello di cui l’Italia ha bisogno». Ma veramente, in questo secondo caso, il sindaco di Firenze pensa che sia possibile raggiungere il traguardo con Letta? «È tutto nelle sue mani - confida agli amici - finora il suo governo si è rivelato inadeguato, questa è la realtà dei fatti, ma potrebbe prendere coraggio e compiere una svolta. Altrimenti è chiaro che non si va da nessuna parte». In questo caso, a dire il vero, c’è qualcuno che da qualche «parte» potrebbe anche andarci. E non è Letta, bensì Renzi.

Quel Renzi che ha fissato per il 20 febbraio la direzione in cui il Pd discuterà del governo. E ne deciderà anche le sorti. Per uno di quei curiosi, ma frequenti casi del destino, quella riunione si terrà all’indomani dell’incontro tra il presidente del Consiglio e il leader di Confindustria Giorgio Squinzi, che, ieri, a Radio 24, ha lasciato intendere a Giovanni Minoli di aver deciso di abbandonare l’inquilino di Palazzo Chigi al suo destino: «O si presenterà con le bisacce piene o...». O il presidente di Confindustria chiederà al capo dello Stato di non sostenere più questo governo. E qui arrivano le complicazioni per Renzi. Perché Giorgio Napolitano non vuole «un vuoto politico» in questa fase e perché ormai sono molti i soggetti - tra politici, imprenditori, esponenti del mondo della finanza e dell’economia - che chiedono al segretario del Partito democratico di prendere il posto di Letta.

Il sindaco di Firenze ritiene che sarebbe «un errore» e sa bene che i precedenti in materia non giocano in suo favore. Un esempio per tutti: Massimo D’Alema. Come sa che se andasse alle elezioni in tempi relativamente brevi avrebbe la vittoria a portata di mano. Con la riforma elettorale, secondo quasi tutti i sondaggi, il centrosinistra governerebbe senza dover scendere a patti con nessuno. E, comunque, alla peggio, anche con il sistema frutto della sentenza della Consulta il Pd avrebbe un notevole pacchetto di consensi e Renzi potrebbe vestire i panni della Merkel in una grande coalizione.

Ma il segretario del Pd sa anche che «resistere» al pressing forsennato che viene fatto nei suoi confronti è sempre più difficile. «Il tema non è il mio ingresso a Palazzo Chigi, chi se ne importa, non voglio farmi ingabbiare, risucchiare dalla palude e voglio stare lontano da certa gentaccia», confessa lui agli amici fiorentini. E aggiunge: «Non sono un bischero e non voglio che gli altri mi facciano bischero». Ma anche Renzi, che non si tira indietro di fronte alle decisioni difficili, sa che sarebbe complicato per lui respingere certe profferte. L’uomo che vuole «chiarezza» e che la chiederà a Letta il 20 febbraio, potrebbe essere costretto a doverla esprimere lui. Con un sì o con un no che potrebbero cambiare le sue sorti e quelle della politica italiana.

07 febbraio 2014
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Maria Teresa Meli

Da - http://www.corriere.it/politica/14_febbraio_07/renzi-stringe-tempi-ma-esclude-staffetta-362cfcd0-8fc4-11e3-b53f-05c5f8d49c92.shtml
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« Risposta #40 inserito:: Febbraio 14, 2014, 06:36:04 pm »

Governo al bivio
La tattica di Renzi per la direzione
«Niente provocazioni, tanto Letta si dimette»
Summit nella notte coi suoi: «La storia è esaurita, il partito è con me»

 ROMA - Nell’ultimo summit, a sera tarda, quello ristretto, con Speranza, Zanda, Franceschini e Renzi si decide la linea finale: non raccogliamo le provocazioni di Letta, tanto domani si dimette. Perciò il segretario ieri ha preferito tacere ufficialmente. E far dire al suo portavoce Guerini: «In Direzione non ci sarà nessun duello. Il contributo offerto dal premier sarà oggetto di una discussione responsabile e approfondita, così come sarà fatto per quanto riguarda l’operato del governo».

Ma questa è l’ufficialità. Con i suoi, naturalmente, Renzi è ben più esplicito: «La storia si è esaurita, non ci sono più le condizioni per andare avanti. Questo governo rischia di essere una zavorra per l’Italia». Già, con i fedelissimi il sindaco di Firenze è netto e lascia pochi spazi ai dubbi. «Il partito è compatto con me», spiega il segretario. Sì, perché la minoranza gli ha fatto sapere che sarà con lui, oggi in Direzione. L’unico nodo da sciogliere è se sia meglio votare la relazione del segretario o un ordine del giorno, che formalmente spersonalizzerebbe lo scontro tra il leader e il premier. Ma la sostanza non cambia. Seppure in maniera garbata, sottolineando la bontà di alcune parti del programma di Letta («Tra l’altro - osserva il segretario - ha preso pari pari il Jobs act, le mie proposte sulla scuola, lo ius soli...».), si dirà che però ci vogliono «un’altra fase» e «altri protagonisti». Insomma, è necessaria «una discontinuità».

Di fatto, sarà una sorta di sfiducia a Letta, ma molto molto soft, per evitare nuovi scontri e conflitti. E i renziani sono convinti che dopo quel pronunciamento il presidente del Consiglio andrà al Colle, anche se c’è chi dice che invece insisterà per un passaggio parlamentare. Ma in casi come questi, è chiaro, i dubbi e i sospetti si affollano. Al Nazareno c’è addirittura chi sospetta che Letta voglia creare una sorta di «Asinello», come fece Parisi dopo che D’Alema prese il posto di Prodi. Un Asinello di centro, però, con i «Popolari per l’Italia» e Ncd. Il segretario non ci crede, invece. E comunque tira dritto per la sua strada. Non gli fanno paura nemmeno i sondaggi anti staffetta che i lettiani twittano da giorni: «I leader devono leggerli i sondaggi, non seguirli. Se io li avessi seguiti sarei rimasto presidente della provincia di Firenze. Non mi fanno paura, vedrete che la gente si dimenticherà questa storia». Qualcuno dei suoi gli chiede come. E lui risponde lesto: «Ho intenzione di fare due o tre cose esplosive nei primissimi mesi del governo, due tre cose importantissime. La staffetta non se la ricorderà più nessuno. Si dimenticheranno tutti del cambio tra me e Letta. Alla gente interessa l’occupazione, la crisi economica...».

È già entrato nella parte, il segretario del Partito democratico. Nel pomeriggio ha un lungo colloquio con il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, poi parla con gli alleati di governo. Ma la giornata di ieri, per Renzi, è stata piena anche di tensione. E pensare che in mattinata, dopo un’ora di scambio di insulti con il presidente del Consiglio, il segretario del Pd riteneva di aver trovato una sorta di compromesso con l’inquilino di Palazzo Chigi. Così, almeno ha raccontato ai suoi: «Non è andata malaccio, ci siamo lasciati con l’idea di individuare un percorso, lui mi ha dato dei consigli, mi ha anche detto quali provvedimenti, secondo lui, andavano portati avanti comunque, mi ha lasciato intendere che si dimetterà». Poi, ecco che da Palazzo Chigi fanno filtrare che il colloquio è andato male. A quel punto il sindaco di Firenze si arrabbia non poco: «Se è così, allora rimanesse pure lì, e noi andiamo alle elezioni a ottobre, pure con il “Consultellum”, se non ci fanno fare la riforma elettorale. Se pensa che facendo questi giochetti io mi ritragga, si sbaglia, io vado avanti».

In serata, poi, dopo aver sentito una parte della conferenza stampa del premier, il segretario è ancora più imbufalito. Prima si sfoga con i suoi: «Perché non lo ha tirato fuori prima questo “Impegno Italia”? Perché lo ha fatto solo adesso, mentre per settimane l’unica cosa che mi ha proposto è stato un rimpastino, quando io gli ho ripetuto mille volte che delle poltrone non mi frega niente? Non ci credeva?». Mano mano la rabbia è montata. Tanto che quando il leader doveva andare alla riunione con alcuni rappresentanti degli enti locali del Pd si è fatta irrefrenabile. Prima ha fatto una telefonata concitata: «Capito che cosa è successo? Avevamo siglato un patto e lui ha fatto l’opposto e ha scelto il muro contro muro. Come ci si può comportare così slealmente?». Poi, nella riunione, ha dato sfogo a tutta la sua rabbia: «Ha detto una cosa e ne ha fatta un’altra, si deve dimettere! Sapete che c’è? Domani (oggi per chi legge n.d.r.) vado in Direzione e dico che andiamo a votare!». Il sindaco è furioso. Graziano Delrio lo allontana cercando di calmarlo. Fassino fa altrettanto. Qualche ora più tardi la decisione: non raccogliamo provocazioni, optiamo per la linea soft e così lo facciamo dimettere e acceleriamo la pratica. L’obiettivo, infatti, è di arrivare in Parlamento per la fiducia martedì o mercoledì al massimo.

13 febbraio 2014
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Maria Teresa Meli

Da - http://www.corriere.it/politica/14_febbraio_13/tattica-renzi-la-direzione-niente-provocazioni-tanto-si-dimette-3e4da9e0-9470-11e3-af50-9dc536a34228.shtml
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« Risposta #41 inserito:: Febbraio 14, 2014, 06:38:49 pm »

MINISTRI E GIURAMENTO

La corsa del segretario, il gelo con Palazzo Chigi
Anche se al governo, resterebbe capo del partito
Nella squadra uscirebbe ridimensionato Ncd

ROMA - L’altro ieri diceva: «Ho già i numeri». Intendendo per tali, ovviamente, quelli necessari per passare in Parlamento. Il giorno dopo era ancora più ottimista. Quando Bruno Tabacci si è presentato al Nazareno per discutere con lui, si è trovato di fronte un Matteo Renzi disteso e, almeno all’apparenza, sicuro: «È fatta. C’è un unico, vero, problema: come garantire un’uscita di scena onorevole a Enrico Letta». Il leader del Centro democratico ha sorriso e ha offerto il suo suggerimento: «Noi democristiani in questi casi risolvevamo la questione con l’offerta del ministero degli Esteri». Il segretario del Pd ha contraccambiato il sorriso ma non ha lasciato capire come intenda risolvere quella che per lui e per il partito intero sta diventando una vera e propria grana.

SFIDUCIA RECIPROCA - Certo, l’iniziativa non può prenderla lui, anche se le diplomazie del leader e del premier, soffocate le rispettive tifoserie, stanno lavorando per un incontro da tenersi stamattina presto, perché i rapporti tra il sindaco di Firenze e l’inquilino di Palazzo Chigi sono a dir poco pessimi. Letta ritiene «inaffidabile» Renzi. Il quale, a sua volta, lo giudica «inidoneo» a fare il premier. Insomma, le cose stanno così. Difficile che possano cambiare. Ma è pure assai improbabile che si arrivi veramente allo scontro tra i due in Direzione. Anche perché, proprio in vista dell’assemblea del parlamentino del Partito democratico, è stato preparato un ordine del giorno da mettere in votazione e che avrebbe la stragrande maggioranza dei voti in cui si propone la nascita di un nuovo e solido governo in grado di accompagnare la stagione delle riforme. Prima di arrivare a tanto, dunque, si troverà una soluzione. Alla democristiana o meno.

LA VELOCITA’ E’ TUTTO - Nel frattempo Renzi sa che la sua unica alleata è la velocità con cui si muove. Perciò ha preso in contropiede Letta e prima che il presidente del Consiglio potesse lanciare un appello ai parlamentari del Partito democratico per cercare di uscire dall’angolo li ha riuniti ieri mattina e li ha convinti quasi tutti. Solo i bersaniani di stretta osservanza, come Nico Stumpo, diffidano ancora delle mosse del leader e sembrano aver capito che l’idea di mandarlo a Palazzo Chigi per toglierlo dal partito non è stata una grande mossa, dal momento che Renzi, se dovesse diventare premier, manterrebbe anche la carica di segretario. Al Nazareno ci sarebbe un vice, probabilmente Lorenzo Guerini, come reggente.
Ma è al governo, adesso, che il sindaco pensa già. Meditando di bruciare le tappe. Lui vorrebbe addirittura arrivare al giuramento domenica sera, lunedì al massimo.

LA NUOVA SQUADRA - La squadra dei ministri, nella sua testa, l’ha già pronta. Il Nuovo centrodestra uscirà ridimensionato: niente più Interno e Infrastrutture. Non ci sarà più un vicepremier. Vi saranno personalità che non hanno a che fare con la politica e dei dicasteri «verranno accorpati per consentire il risparmio di alcune centinaia di milioni». Circolano già addirittura i primi nomi dei possibili ministri. L’Interno andrebbe a Graziano Delrio. Nella compagine governativa entrerebbe anche l’amministratore delegato di Luxottica Andrea Guerra, che di Renzi è buon amico e il cui nome il sindaco di Firenze aveva suggerito anche a Letta, quando doveva mettere in piedi il suo esecutivo nell’aprile scorso. Potrebbe essere lui il ministro dell’Economia. Ma per quel dicastero si fanno anche altri due nomi: quelli di Lorenzo Bini Smaghi e di Pier Carlo Padoan. C’è ancora un altro nome che circola e che non dispiace a buona parte dei gruppi parlamentari di Sel, anche se è ovvio che, almeno in un primo momento, semmai il governo Renzi dovesse vedere la luce, il partito di Vendola non gli voterebbe la fiducia. Si tratta del nome dell’ex ministro della Coesione territoriale Fabrizio Barca.

LE ALLEANZE - Ci saranno anche dei politici, naturalmente, ma sarà essenzialmente il governo di Renzi, non un governo legato alle contingenze delle ristrette intese, piuttosto l’inizio del nuovo corso politico che il segretario del Pd intende intraprendere con la coalizione che verrà. Ossia quella del futuro, che non avrà certo al suo interno il Nuovo centrodestra, bensì Sel e, forse, anche alcuni ex grillini. Per questo lungo la strada della legislatura cercherà di infittire i rapporti con questi gruppi. Nello schema che vede Renzi a Palazzo Chigi, comunque, il leader del Pd si candiderebbe anche alle Europee, per cercare di trascinare il Pd.

Ma se tutto questo non dovesse accadere? Pazienza, dice lui, «l’obiettivo non è decidere le carriere, coltivare il proprio orticello, ma disegnare quale deve essere il progetto per portare gli italiani fuori dalla crisi».

12 febbraio 2014
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Maria Teresa Meli

Da -http://www.corriere.it/politica/14_febbraio_12/corsa-segretario-gelo-palazzo-chigi-43396a32-93b4-11e3-84f1-d7c36ce692b4.shtml
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« Risposta #42 inserito:: Febbraio 22, 2014, 08:05:48 am »

Il retroscena del colloquio con Grillo: «se fossi stato solo segretario sarei saltato sul tavolo»
Renzi a confronto con Napolitano sui ruoli chiave
Il premier incaricato ai suoi: ci chiedono continuità sull’Economia

Giornata di riunioni, colloqui e tensioni, quella di ieri, per Matteo Renzi. Il culmine, all’apparenza, è stato l’incontro con Beppe Grillo, che è andato in diretta streaming. Alla fine il segretario si è detto «soddisfatto di come è andata». «Ha fatto una figuraccia quando ha detto “io non sono democratico” - ha spiegato dopo ai suoi -. Lì mi ha fatto un gran regalo. E secondo me tanti dei suoi sono rimasti male per il suo comportamento». In compenso l’atteggiamento di Renzi è stato più che flemmatico: «Se fossi stato il segretario del Pd e basta - confessa il leader del Partito democratico - gli saltavo sul tavolo, ma da presidente incaricato dovevo restare sereno e ci sono riuscito». Prima c’era stato il vis à vis con Berlusconi. Sul piatto, le riforme e la possibilità di legarle alla prossima istituzionale: la scelta condivisa di un nuovo presidente della Repubblica.

L’appuntamento più atteso - Ma è stato quello con il capo dello Stato l’appuntamento più atteso. E anche il più difficile. Si è trattato di quello che in politichese si potrebbe definire un incontro «franco». Matteo Renzi e Giorgio Napolitano hanno ingaggiato un braccio di ferro su alcune caselle chiave del governo. E nell’incontro il presidente della Repubblica ha avuto modo di ricordare al segretario del Pd che, come vuole la Costituzione, spetta anche a lui la nomina dei ministri. Tanto per far capire al leader del Partito democratico che non poteva fare di testa sua. Non sull’Economia, almeno, che è uno dei dicasteri più importanti.

L’Europa ci guarda - Renzi l’ha raccontata così ai fedelissimi, dopo quell’interminabile e faticosissimo colloquio: «Napolitano mi ha spiegato che alcuni partner europei sono molto esigenti con l’Italia e vogliono che il nostro Paese si presenti con le carte in regola. Il nostro credito dipende da quello. Perciò, secondo lui, il ministro dell’Economia deve rappresentare la stabilità e anche la continuità. E deve essere una persona in grado di dialogare con personaggi come la Merkel». Insomma, per dirla povera, il capo dello Stato continua a preferire l’idea di un tecnico a via XX Settembre. Mentre il segretario del Partito democratico, fosse per lui, opterebbe per un «profilo più politico». Ma su questo punto nel colloquio, a quanto pare, avrebbe dovuto aprire la porta al cedimento. Sebbene su un punto sia stato fermissimo: no alla riconferma di Saccomanni. Comunque, «su una cosa non ci piove: deve essere chiaro sin dall’inizio che il ministro dell’Economia deve collaborare con me».

L’ottimismo non manca - Però, sarà l’ottimismo che a Renzi non difetta mai, o sarà la necessità di ostentare un buon grado di sicurezza anche con i suoi, fatto sta che il leader del Partito democratico con i fedelissimi non ha detto che l’incontro è andato male, sebbene in realtà non siano stati sciolti tutti i nodi: «Siamo entrati molto nel merito dei diversi problemi e vi dirò che ho ricavato una sensazione molto positiva dall’atteggiamento del presidente».

Le nubi - Anche sul governo, nonostante le difficoltà non manchino, e le tensioni rimangano, Renzi vede allontanarsi le nubi. E infatti spiega ai fedelissimi: «Diciamoci la verità, Alfano non pone nessun ostacolo insormontabile. Non lo ha mai posto nemmeno sul ministero dell’Economia. I problemi non vengono da Angelino: è lui che ne ha con Berlusconi. Lascerò sfogare tutti per un’altra giornata e poi tirerò le somme. Tanto ogni partito sa che questo è l’ultimo governo della legislatura, quindi nessuno penserà di far saltare il tavolo in aria per andare alle elezioni».

Il quadro - E ancora, sempre improntato all’ottimismo: «Il quadro complessivo del governo è sempre più chiaro». Il premier incaricato lo ha analizzato a lungo con il suo braccio destro e sinistro Graziano Delrio, l’uomo che occupa un posto chiave nella strategia renziana: «Siamo molto avanti con il lavoro, sebbene ci sia ancora qualche nodo da sciogliere. Io sarei pronto a fare il governo anche prima di sabato, ma preferisco prendermi qualche giorno in più per preparare un discorso programmatico serio e rigoroso in vista di lunedì prossimo».

La sfilza dei “no” - Dell’inizio traballante della sua avventura di cui qualcuno dei suoi si preoccupa, lui fa mostra di interessarsi ma solo fino a un certo punto. Tutta la sfilza di no ricevuti anche dagli amici che ha demoralizzato una parte dei suoi fedelissimi non sembra aver spento l’entusiasmo del segretario del Partito democratico: «La gente non bada a queste cose. La gente bada alle cose concrete. Si aspetta da noi i fatti. Il che significa che appena il governo si mette in moto dobbiamo conseguire dei risultati in tempi rapidi. E per ottenere questo obiettivo ci vuole coraggio. Molto coraggio». E, forse, commenta un deputato pd, «anche una buona dose di incoscienza che chissà se il Renzi versione istituzionale avrà ancora».

20 febbraio 2014
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Maria Teresa Meli

Da - http://www.corriere.it/politica/14_febbraio_20/renzi-confronto-napolitano-ruoli-chiave-b51f4528-99f3-11e3-b054-e71649f9da68.shtml
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« Risposta #43 inserito:: Febbraio 24, 2014, 06:49:29 pm »

La svolta

Il premier punta ai tagli alla spesa «Agire prima dello tsunami»
L’obiettivo: giù le tasse sul lavoro. «Conviene un governo di legislatura, i soldi non si trovano con la pressione fiscale»

ROMA - Matteo Renzi non è abituato a tanti giri di parole, né a prenderla alla lontana. Lui, i problemi, in genere, li prende di petto, se non altro perché così li sbriga prima. O, quanto meno, si fa un’idea di quello che potrebbe accadere e si prepara a recuperare i danni o ad arginarli: «Soldi in cassa non ce ne stanno, è inutile che ci prendiamo in giro. E i risultati della spending review rischiano di arrivare tardi rispetto alla data che ci chiedeva l’Europa».

LE RIFORME - L’uomo è fatto così, non accuserebbe mai direttamente Enrico Letta di aver tardato e di non aver rispettato i tempi dettati dell’Europa, anche se così è, e se questo rinvio secondo il premier si abbatterà sul suo governo e non su quello precedente. Però non vuole deflettere dal suo obiettivo. Si è dato delle scadenze, di cui ha avuto modo di parlare con Pier Carlo Padoan solo velocemente per telefono, e vuole arrivare fino in fondo. Con i suoi Renzi non riesce a nascondere la verità. Non può far finta che la situazione ereditata dal governo precedente non esista. «Perché dovrei fare un esercizio di masochismo puro?», è la domanda provocatoria che si rivolge in questi giorni e che, soprattutto, rivolge a quelle corporazioni che non ha mai amato e con cui, prima o poi, sarà costretto a confrontarsi. I soldi, secondo il presidente del Consiglio «non si trovano certo aumentando la pressione fiscale». E il fatto che Padoan «non sia un rigorista» non gli dispiace affatto. I fondi, secondo il premier, bisogna trovarli dalle «riforme che l’Europa ci chiede». Anzi, che «ci ha già chiesto e di fronte alle quali non «possiamo più indugiare». Solo quelle che ci daranno «l’energia per andare avanti, altrimenti...». Altrimenti il rischio è che tutta l’imprenditoria italiana si ritiri e si allontani. «Perciò - dice e ridice Renzi - bisogna fare presto, prima che arrivi lo tsunami. Questa è la ragione per cui dobbiamo fare sul serio».

GLI OBIETTIVI - Il presidente del Consiglio ha due obiettivi chiari in mente: «Abbassare le tasse sul lavoro e contenere la spesa pubblica. Anzi, se è possibile abbatterla». Perché questo è, non da ora, un pallino del segretario del Pd, a cui sta lavorando alacremente, cercando di convincere anche la sparuta compagine lettiana, per far capire al popolo del Partito democratico come la pensa, rassicurare l’alleato sulle sorti dello scrutinio elettorale e della sua legislatura. «Io - confida li premier ai fedelissimi - penso sul serio che un governo di legislatura ci convenga. E non lo dico per prassi, per rassicurare gli alleati come quelli del Nuovo centrodestra o per assicurarmi dei voti in Parlamento».

GOVERNO DI LEGISLATURA - E ancora: «Io penso sul serio che sia necessario un governo di legislatura. Prima non si poteva fare perché eravamo di fronte a un esecutivo paralizzato per tanti motivi, con un premier inidoneo, non per colpa sua, con una compagine che riusciva ad andare avanti, e che procedeva solo se galleggiava e se non muoveva niente. Per noi è l’esatto contrario. E quindi o acceleriamo subito, o sono guai. Noi non solo possiamo, ma dobbiamo». Parola, anzi, parole di presidente del Consiglio. E nella mente di Renzi sono tante le rivoluzioni da fare. Una per tutte. Da pronunciare sottovoce per non creare il panico: sostituire i direttori generali dei ministeri, i responsabili delle strutture burocratiche. «Bisognerà sostituirne un bel po’», dicono i renziani. «Letta non lo ha fatto e non poteva farlo», mormora il presidente del Consiglio. Il suo non è un atto d’accusa. Piuttosto una constatazione. «Banale», dicono i suoi e aggiungono: «Ma essenziale, perché non abbiamo tempo da perdere e nel puzzle delle spese da ridurre c’è anche questo tassello». Per dirla alla Renzi «tutto è indispensabile pur di arrivare a maggio con la riduzione delle spese e quindi con la possibilità di ridurre le tasse».

23 febbraio 2014 (modifica il 24 febbraio 2014)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Maria Teresa Meli

Da - http://www.corriere.it/politica/14_febbraio_23/premier-punta-tagli-spesa-agire-prima-tsunami-9de696d0-9c5b-11e3-bf70-ea8899950404.shtml
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« Risposta #44 inserito:: Febbraio 26, 2014, 05:39:23 pm »

GLI SCENARI

Le maggioranze variabili del leader
Ma la vera insidia oggi è nel suo Pd
Calderoli: «Matteo Renzi è sottilmente eversivo»

ROMA - «Sono un presidente del Consiglio del Partito democratico: in aula al Senato l’ho detto chiaramente, nel governo precedente questo non era così chiaro», Matteo Renzi scherza con qualche parlamentare amico. Scherza sì, ma mica tanto. È un’ulteriore conferma del fatto che il suo non è un «Letta bis», che la sua è tutta un’altra storia. E tra un po’ se ne accorgeranno anche i compagni di viaggio del premier con le mani in tasca e l’eloquio che non convince i senatori perché è rivolto alle orecchie di quegli italiani che lo seguono in diretta tv.

ALFANO SI SIEDE AL POSTO DI PADOAN - Se ne renderà conto Alfano che si accaparra un posto accanto al premier. Nella scenografia renziana quella poltrona era riservata a Padoan. Così non è stato. Però questo non basta perché il Nuovo centrodestra possa cantare vittoria, anche se, senz’altro, lo farà. Già, perché il presidente del Consiglio sa quante e quali insidie si possono nascondere in Parlamento e per questo ha deciso di adottare una tattica che lo metta al riparo il più possibile da ricatti, imboscate e veti incrociati. Anche perché è conscio che il primo partito da cui deve guardarsi le spalle è proprio il suo. In questo senso l’assemblea dei senatori del Pd, ieri mattina, è stata significativa. Mario Tronti si è buttato su un ritratto psicoanalitico del «personaggio Renzi» e della sua «supponenza». Quel che resta dei bersaniani, come Miguel Gotor, ha dichiarato: «Voterò la fiducia solo per disciplina di partito». Il civatiano Corradino Mineo, per non essere da meno, ci ha tenuto a precisare che la sua, invece, è «una fiducia con data di scadenza incorporata». E l’ex sindaco di Brescia, Corsini, «en passant» ha notato che Renzi «non conosce la differenza tra una riunione di un consiglio comunale e un’assemblea del Senato».
Ma in fondo, questo è solo colore.
Le citazioni di Renzi da Fatima alla Cinquetti
LA BATTAGLIA DELLA RIFORMA ELETTORALE - La battaglia vera sarà un’altra. E quella di folkloristico avrà assai poco. Si giocherà a breve. Non a palazzo Madama. Bensì alla Camera dei deputati. Sul terreno della riforma elettorale. Sì, perché chi credeva che quella battaglia fosse chiusa, si sbagliava di grosso. Francesco Boccia, lettiano, nonché presidente della Commissione Bilancio di Montecitorio, intervistato da Alessandra Sardoni per Omnibus, lo ha lasciato capire chiaramente: «Riprenderemo la bandiera delle preferenze». Insomma, il presidente del Consiglio vorrebbe portare a casa la riforma entro i primi dieci giorni di marzo per due ragioni. Innanzitutto, perché è stata la prima promessa che ha fatto agli italiani, quando non aveva ancora varcato il portone di palazzo Chigi ed era solo segretario del Pd. Poi perché è sulla revisione del Consultellum che si basa la possibilità di mantenere la cosiddetta doppia maggioranza con Forza Italia, una maggioranza istituzionale, che però gli serve a non dipendere dal Nuovo centrodestra. Solo così, infatti, il presidente del Consiglio potrebbe condurre i giochi come li ha sempre condotti: dando lui il «la» al governo, menando lui le danze.

IL FORNO A SINISTRA - «Governare significa anche decidere e decidere, significa prendersi le responsabilità in prima persona, pagandone il prezzo se si sbaglia»: è il convincimento dell’ancora per poco sindaco di Firenze. Per quanto lo riguarda ha già «trattato abbastanza» con Alfano e alleati vari: tanto è certo che essendo il suo «l’ultimo governo di questa legislatura» nessuno proverà a far saltare il tavolo dell’esecutivo. Ma non basta. Renzi ha pronto anche un terzo forno, non si sa mai quello con Forza Italia, per le bizze di Berlusconi, si chiudesse. È quello a sinistra. Non si è ancora aperto. Ma non è un caso che il premier non abbia nemmeno tentato di spaccare Sel, che pure in Parlamento è divisa tra i filo-governativi e i duri e puri. Non è un pezzo della sinistra che vuole, ma la vuole tutta intera, in vista dell’alleanza (elettorale) che verrà e delle convergenze parlamentari contingenti che potranno essere (ius soli, unioni civili). È un terzo forno, una terza possibilità di non vincolarsi mani e piedi agli alleati di governo. E di giocare, come ha sempre fatto, a modo suo.

25 febbraio 2014
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Maria Teresa Meli

Da - http://www.corriere.it/politica/14_febbraio_25/maggioranze-variabili-leader-ma-vera-insidia-oggi-suo-pd-e197dd2e-9de3-11e3-a9d3-2158120702e4.shtml
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