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Autore Discussione: MODELLI / LA TESI DI UN GRANDE STUDIOSO Inganno liberista  (Letto 3071 volte)
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« inserito:: Agosto 04, 2007, 09:24:03 pm »

ECONOMIA

MODELLI / LA TESI DI UN GRANDE STUDIOSO

Inganno liberista
di Gigi Riva


Il mercato puro è un'ideologia. Per governare la globalizzazione serve il coraggio della politica
colloquio con Jean-Paul Fitoussi 

Esistono forse degli Stati liberisti nel mondo? La domanda è retorica e la risposta che si dà Jean-Paul Fitoussi, professore di economia all'Istituto di studi politici di Parigi, consigliere del presidente Nicolas Sarkozy nonostante una documentata e convinta militanza a sinistra, è: "No, non esistono.
Nemmeno gli Stati Uniti lo sono". Per lui è del tutto naturale quindi che Peter Mandelson, commissario europeo al Commercio, proponga di utilizzare strumenti per proteggere dai fondi esteri i settori strategici del Vecchio Continente. Semmai ci si arriva tardi, quando lui da tempo (e i suoi scritti lo dimostrano) reclamava certe misure. Allarga, e di molto, il concetto di "settori strategici" nei quali la politica dovrebbe incidere e riprendersi un primato a discapito dei tecnocrati.

Professor Fitoussi, sembrerebbe, la sua, un'analisi che va contro una parola tanto di moda come 'globalizzazione'.

"Globalizzazione non significa un mercato unico a livello mondiale. Perché la globalizzazione accade in un mondo che è popolato da Stati-nazione, i quali hanno una funzione che determina la loro legittimità: la protezione. Protezione delle popolazioni e anche delle industrie".

La accuseranno di protezionismo.

"Protezione e protezionismo sono due cose molto diverse. La protezione è una strategia diretta verso il benessere delle popolazioni. Il protezionismo è una strategia non cooperativa che ha per motore l'idea di guadagnare sugli altri. È una forma di guerra economica".

Facciamo un esempio concreto di protezione.

"La protezione sociale è una forma di salvaguardia della gente davanti all'esterno, non risponde ad alcun criterio di mercato. Un secondo esempio ancora più chiaro. C'è la spesa pubblica per l'educazione, l'insegnamento superiore e la ricerca. Questa spesa è un modo indiretto per finanziare le imprese, dando loro una forza lavoro più competente. Se l'impresa dovesse pagarsi la ricerca, il costo sarebbe di molto superiore. Dunque, riceve una forma di sussidio pagata dalla comunità".

Quali sono i settori da proteggere?

"Quelli strategici per l'indipendenza del Paese. Si cita sempre la difesa, ovvio. Ma io penso anche all'elettricità, all'energia, e qui l'intervento di protezione deve essere a livello europeo. Un'altra necessità è quella di proteggere i trasporti, non a caso dovunque le ferrovie sono in mano al pubblico. Vanno insomma garantiti i servizi di interesse generale".

Altro?

"La telefonia deve essere protetta. Per questioni di delicatezza e sicurezza. In Francia si sono accorti che non conviene a chi è al governo usare i Blackberry perché i dati sensibili vengono letti in Canada".

Le banche?

"Anche quelle vanno protette a livello europeo. A livello nazionale possono fare cartello, ma a livello europeo vanno protette. Le banche hanno almeno due funzioni fondamentali. Primo: finanziare il disavanzo pubblico che è importante e non può dipendere dall'esterno. Secondo, finanziare imprese nazionali ed europee. Se una banca non ha interessi verso l'Europa e ha l'idea strategica di favorire gli americani o i cinesi non finanzierà imprese europee o lo farà a un tasso più alto".

Fine dell'elenco?

"No. Bisogna aggiungere la sanità, l'educazione. E non voglio dimenticare l'agricoltura, perché siamo in un mondo che non è disegnato per essere cooperativo. E se non abbiamo autonomia alimentare finiremo per essere dipendenti da chi controlla il cibo".

Dal suo ragionamento risulta che per lei l'Europa, in certi settori, si deve comportare come uno Stato-nazione. Cosa che, politicamente, ancora non è.

"Come un 'quasi Stato-nazione' per essere precisi. E quando parlo di Europa penso all'area euro. La moneta è l'attributo principale di uno Stato".

Poi ci sarebbero la difesa e la politica estera.

"E speriamo di arrivarci al più presto ad attribuirle all'Europa. In questo momento abbiamo dei 'quasi Stati-nazione' e un 'quasi Stato europeo'. Dobbiamo scegliere se essere carne o pesce".

Perché un liberista come Mandelson oggi si arrende alla protezione?

"Per due motivi. Anzitutto la pressione politica degli Stati nazionali che gli hanno grosso modo detto: le tue dottrine sono belle in un manuale di insegnamento, ma ci si scontra con la realtà. Gli Stati Uniti proteggono l'industria dell'acciaio e l'agricoltura, non vendono i porti ai cinesi per motivi strategici e il presidente ha dalla sua la legge che gli permette di impedire certe transazioni commerciali. E poi perché Mandelson è intelligente: quando ha scoperto la distanza tra la teoria e la pratica è diventato molto più pragmatico. Lo Stato liberista è una contraddizione in termini. Perché se ci fosse lo dovremmo immaginare senza un governo. Non esiste nei fatti. Esistono Stati più o meno liberisti, ma nessuno liberista e basta".

Perché gli Stati nazionali hanno cominciato a fare pressioni sulla Commissione?

"Perché l'Europa non vuole più essere guidata da tecnocrati. Il significato profondo dell'essere guidati da tecnocrati è che le elezioni non servono a nulla, non si è indipendenti e non funziona la democrazia".

I tecnocrati hanno tenuto il primato per molti anni.

"Io credevo si sarebbe arrivati a una resa dei conti prima della moneta unica. Invece si è perso molto tempo. E ora siamo nei guai perché l'Europa è governata da 27 paesi, fatto che conduce spesso alla paralisi".

Il mini-trattato di Sarkozy può aiutare?

"Sì, ma aiutano di più le azioni concrete dei governi, le volontà della Merkel, di Sarkozy e di Prodi sommate assieme. Non solo la Cina, anche noi possiamo, ad esempio, avere una politica di cambio. Questo è un tema irrisolto ed è tremendo sentire qualcuno proclamare: io sono il guardiano della moneta. Salvo poi che la conseguenza è il fallimento del progetto Airbus. Avevamo dimenticato che l'indipendenza deve essere unita alla responsabilità".

Abbiamo, come Europa, la reale forza di gestire la globalizzazione?

"Siamo, insieme, la seconda potenza del mondo dopo gli Usa. Siamo abbastanza grandi per avere politiche intelligenti e contrastare le politiche che non ci piacciono, siano esse della Cina, della Russia o dei paesi arabi. Certo, per usare la potenza ci vuole la politica".

da espressonline
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