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« inserito:: Settembre 26, 2008, 06:30:08 pm » |
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A Wall Street vincono i furbetti
di Enrico Pedemonte da New York
Il salvataggio delle Borse? Ha riempito le tasche degli speculatori. Sulla pelle dei contribuenti. è tutto il sistema della finanza Usa che va riformato. Parla il premio Nobel Joseph Stiglitz Wall Street è morta, titola il 'Wall Street Journal' in un editoriale destinato a fare storia, ma una vecchia volpe della Borsa come Nariman Behravesh, capo economista della Global Insight, dice che sono solo chiacchiere: "Tutto questo clamore farà spazio agli hedge fund e ai private equity. Dopo la scomparsa delle vecchie banche di investimento si creeranno due mercati con diversa velocità: da una parte le banche commerciali a cui si rivolgeranno i piccoli investitori, dall'altra gli hedge fund e i private equity, cioè un mercato senza regole rivolto ai ricchi e a quelli che vogliono rischiare...".
La dichiarazione di Behravesh esprime bene il clima di incertezza che si respira nel mondo della finanza. Il terremoto che ha scosso Wall Street arriva al crepuscolo dell'amministrazione Bush, in un clima elettorale incandescente, in un'economia sull'orlo della recessione. In meno di due settimane due grandi istituzioni come Fannie Mae e Freddy Mac sono state nazionalizzate, le cinque grandi banche di investimento sono sparite (fallite o assorbite dalle banche tradizionali), la prima delle società di assicurazione americane - la Aig -è stata salvata grazie a una gigantesca iniezione di denaro pubblico.
Alla fine l'amministrazione Bush ha dovuto proporre un'operazione da 750 miliardi di dollari per evitare che l'intero sistema finanziario crollasse come un castello di carte, oppresso da una valanga di mutui ormai senza valore che ha invaso i mercati e devastato i bilanci delle società finanziarie. E nessuno sa dire se questo immane sforzo da parte dell'amministrazione pubblica sarà sufficiente a tamponare una crisi in larga misura incompresa anche dagli addetti ai lavori.
Alla fine i miliardi di dollari finiti in questa epocale operazione di salvataggio saranno oltre mille, forse 2 mila. Ma molti pensano che le operazioni proposte dall'amministrazione Bush serviranno a salvare gli azionisti lasciando però intatto il Far West del sistema finanziario.
Joseph Stiglitz, docente alla Columbia University di New York e premio Nobel per l'Economia, è tra i più critici: "L'operazione di salvataggio orchestrata dal ministro del Tesoro Henry Paulson potrebbe risolversi in un colossale trasferimento di ricchezza dalle tasche dei contribuenti a quelle degli uomini di finanza", afferma nel corso di una lunga intervista a 'L'espresso': "I capi delle banche di investimento stanno stappando bottiglie di champagne perché pensano di avere finalmente trovato qualcuno così stupido da comprare i loro mutui senza valore a spese dei contribuenti".
La sede di Morgan StanleyStiglitz non lo dice, ma la sfiducia manifestata da molti esponenti democratici nei confronti di Paulson, che in un lungo braccio di ferro con il Congresso ha chiesto carta bianca per distribuire 750 miliardi di dollari al mondo finanziario, viene proprio dalla sua storia personale. Paulson ha lavorato per 32 anni alla Goldman Sachs e ne è stato presidente per sei anni, proprio nel periodo in cui le banche di investimento americane si inventavano gli incomprensibili strumenti finanziari che oggi stanno affossando l'economia. Molti pensano che non sia lui, nonostante la sua sapienza tecnica, l'uomo giusto per risanare Wall Street e cambiarne le regole.
D'altra parte questa crisi finanziaria esplode negli ultimi mesi di vita di un'amministrazione che ha creato un buco devastante nelle casse dello Stato. Stiglitz ha studiato a lungo il problema e ha appena pubblicato 'The Three Trillion Dollars War', un libro in cui sostiene che la guerra in Iraq è destinata a costare agli Stati Uniti 3 mila miliardi di dollari. Quando Bush divenne presidente, il debito federale Usa ammontava a circa 5.700 miliardi. Ma negli otto anni di Bush, prima la guerra in Iraq, poi il salvataggio delle società finanziarie hanno triplicato quella cifra, portandola a 15-16 mila miliardi di dollari. "Si tratta di undebito colossale destinato ad abbassare per un lungo periodo il nostro livello di vita".
Riandando indietro con la memoria, Stiglitz dice che uno dei grandi responsabili della crisi è stato il capo della Federal Reserve Alan Greenspan, scelto da Ronald Reagan per diffondere il mantra della deregolamentazione. Fu Greenspan a incoraggiare la diffusione dei mutui subprime, fu lui ad assicurare che la bolla immobiliare non esisteva, sempre lui a guardare dall'altra parte quando l'edificio della finanza cominciava a scricchiolare. "Poi arrivarono i tagli alle tasse di Bush, la guerra in Iraq che ha fatto salire il prezzo del petrolio e ha indebolito l'economia. Per rispondere alla crisi che incombeva, l'amministrazione Bush ha usato la politica monetaria, facendo scendere il valore del dollaro". Ma alla fine i nodi sono venuti al pettine. E adesso che cosa si può fare?
Le proposte avanzate da Stiglitz rivestono grande interesse perché lui viene indicato da più parti come uno dei probabili consiglieri di Barack Obama se questi salirà alla Casa Bianca. Secondo Stiglitz la finanza deve essere riformata in modo profondo: "Primo: bisogna impedire che i presidenti delle società finanziarie se ne vadano a casa con enormi bonus. Gli incentivi annuali hanno dimostrato di non funzionare perché spingono a rischi eccessivi a breve termine: meglio un sistema di premi quinquennali".
Il secondo punto debole del sistema, secondo il premio Nobel, è costituito dalle regole sulla concorrenza. Il campanello d'allarme più grave è scattato con la crisi della Aig, la più grande compagnia assicurativa americana: la Federal Reserve e il ministero del Tesoro hanno giustificato il salvataggio della società, costato 85 miliardi di dollari alle casse dello Stato, sostenendo che si trattava di un'azienda così grossa e importante che il suo fallimento avrebbe portato il sistema economico al collasso. Ma questa stessa dichiarazione, secondo Stiglitz, rappresenta un'ammissione di fallimento da parte delle autorità che regolano la concorrenza: se un'azienda è talmente grande da non poter fallire senza gravi rischi per la stabilità del sistema, allora quella azienda va spaccata, o regolamentata in modo molto rigido. E la stessa sorte dovrebbe toccare alle tre società che dominano il mercato delle carte di credito, che oggi campano su regole che soffocano la concorrenza.
Ma è la mancanza di trasparenza del sistema finanziario Usa il punto su cui Stiglitz concentra la sua polemica: "Sapevamo da sei mesi che era necessario salvare la Bear Stearns. Ma ancora oggi non sappiamo quanto sia alto il rischio del salvataggio, né quanto ci abbiano rimesso i contribuenti. E soprattutto non sapevamo che in quel modo stavamo in realtà dando soldi alla JP Morgan". Stiglitz propone di creare una 'commissione per la sicurezza dei prodotti finanziari' per accertare il grado di sicurezza di quello che le banche e i fondi pensioni vendono ai consumatori: "Ognuno può correre i rischi che vuole, ma deve conoscerli. Non si può giocare alla roulette con i soldi degli altri". Ma è sul- l'intero sistema regolatorio della finanza Usa il giudizio più pesante: "Abbiamo avuto la prova che il sistema non funziona né per l'economia, né per i contribuenti americani, né per il resto del mondo. Funziona solo per un piccolo gruppo di persone che si sono riempite le tasche".
(25 settembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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