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Autore Discussione: SALVINI  (Letto 20464 volte)
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« inserito:: Luglio 13, 2008, 06:17:42 pm »

«Dopo le liti sulla giustizia è necessario riallacciare il dialogo sul federalismo»

Bossi: la sinistra mi cerca? Io ci sto

Sulle riforme avanti senza paura

Il leader della Lega: lo scambio tra lodo e blocca-processi c'è stato, la politica è così



DAL NOSTRO INVIATO

GALLIVARE (Svezia) — «Bisogna riallacciare il dialogo sulle riforme per il federalismo. Non è facile, visto il livello a cui sono arrivate le liti sulla giustizia. Ma è necessario. Per quest'obiettivo mi metterò al lavoro già la prossima settimana». Di segnali ne sono arrivati più di uno. Da Massimo D'Alema. Da Walter Veltroni. Messaggio chiave: ritornare al clima di inizio legislatura. Umberto Bossi raccoglie e rilancia. L'apertura arriva da Gallivare, estremo Nord della Svezia. La Padania sta dominando il campionato di calcio per nazioni non riconosciute. Ieri quarta vittoria consecutiva. Oggi la finale. Il ministro per le Riforme alloggia nel castello- resort di Fjallnas. Segue le partite. Per pranzo una spaghettata in campeggio, tra i tifosi arrivati in camper dalla Lombardia. Di politica parla a tarda notte. Qui, vicino al Circolo polare artico, in estate non viene mai buio. Il Senatùr contempla il paesaggio e sorride: «Dal sole delle Alpi al sole di mezzanotte».

D'Alema dice che bisogna recuperare lo spirito «costituente » di inizio legislatura. «Condivido». Sarà possibile?
«La sinistra ha invitato me e Tremonti a uno dei suoi prossimi appuntamenti. È già un fatto positivo».
Da dove si riparte?
«Dopo il voto avevamo costruito buone relazioni. Poi il dibattito si è spostato sulla magistratura ed è saltato tutto ».
Berlusconi sarà disponibile?
«Anche lui era partito col piede giusto, con i processi si sono chiusi tutti i canali. Ma bisogna assolutamente ricominciare a parlarsi».
Quali sono le difficoltà?
«Quando si arriva a un livello di scontro come quello degli ultimi tempi è arduo trovare la chiave per riallacciare il discorso».
È fiducioso?
«Il fatto che ci abbiano invitati è già qualcosa, significa che c'è una qualche volontà di portare acqua allo stesso mulino».
Chi cercherà come interlocutore?
«Non mi tiro indietro di fronte a nessuno. Non ho alcuna paura di chi lavora per il federalismo, da qualunque parte venga».
Su che base dovrebbe riaprirsi il dialogo?
«L'importante è condividere l'obiettivo, poi si va a trattare ».
Lei però dovrà presentare il progetto di legge sul federalismo.
«Si parte dal progetto Lombardia. L'80 per cento dell'Iva e il 15 per cento dell'Irpef devono rimanere alle Regioni».
E i meccanismi di solidarietà? Qualcuno ha già bollato come impraticabile quella strada.
«In base a quelle quote bisogna sviluppare un'analisi economica e prevedere aiuti per le Regioni più deboli. Ma quando la Lombardia parla deve essere ascoltata».
Un passo indietro. Il dialogo si è rotto sulla giustizia, cosa cambia con il lodo Alfano?
«Mi sembra che ora la legge blocca-processi non si voglia più fare. La sinistra dice che è la dimostrazione che serviva solo a Berlusconi. Rispondo che le cause le affronterà comunque, più tardi. Su questo punto il Cavaliere ha ragione. È il principio che conta. Se chi governa viene coinvolto di continuo in polemiche, in parte anche giuste, diventa difficile guidare il Paese ».
Ma allora si dà ragione alla tesi dello «scambio» tra blocca-processi e lodo Alfano?
«In politica qualche scambio c'è per forza, altrimenti siamo alla guerra».
Altro elemento di polemica: le donne e il Cavaliere, dal ministro Carfagna all'annunciatrice Rai Sanjust.
«Se sei simpatico alle donne prendi più voti. La Lega riceve consensi grazie al rapporto con la sua gente. Berlusconi invece lavora di più sull'immagine, viene dalla televisione e fatalmente fa gioco su quegli ambienti e su quelle qualità».
Cosa pensa degli insulti al ministro Carfagna?
«Con lei condivido alcuni uffici del mio ministero, lo faccio volentieri. Soprattutto perché il Paese è in un momento di estremo pericolo per i conti e per l'economia. Bisogna risparmiare». In che ambiti?
«Oggi tutti, legittimamente, hanno qualcosa da chiedere al governo. Ma non possiamo permetterci di sbracare con la spesa. Per governare in questa fase serve il pugno di ferro, e Tremonti ce l'ha».

Gianni Santucci
13 luglio 2008

da corriere.it

« Ultima modifica: Aprile 15, 2018, 12:04:07 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 24, 2008, 10:20:59 am »

Già in passato il Senatùr aveva fatto ricorso alla metafora delle doppiette

«Federalismo o diamo olio ai fucili»

Nuova provocazione di Umberto Bossi: «Questa volta la riforma la portiamo a casa, altrimenti...»
 
 
MILANO - Per il federalismo è la volta buona. Ne è convinto il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, che intervenendo all'inaugurazione di una nuova sede del proprio partito a Laveno Mombello (Varese) è tornato a richiamare l'immagine del fucile che già in passato gli aveva procurato parecchie critiche.

«MOMENTO STORICO» - «E’ un momento storico - ha detto in particolare il segretario del Carroccio -, quello per il federalismo è un cammino difficile ma questa volta riusciremo a portarlo a casa sennò ognuno cominci ad oliare il fucile a casa. Ne abbiamo piene le scatole di lavorare e pagare, ma chi la dura la vince».

I PRECEDENTI - In passato Bossi aveva parlato di 300 mila uomini armati pronti a seguirlo per marciare su Roma e anche di proiettili che valgono 300 lire, in riferimento ad alcune inchieste che la magistratura stava conducendo sul movimento. Non solo: in un'altra occasione, ai tempi del secondo governo Berlusconi, aveva anche detto di voler sentire il rombo del cannone, quello delle navi militari chiamate a presidiare le coste contro i continui sbarchi di immigrati. Nell'agosto del 2007, invece, era all'opposizione e parlando della politica fiscale del governo Prodi aveva detto: «Finora gli è andata bene. Noi padani pagavamo e non abbiamo mai tirato fuori il fucile, ma c'è sempre una prima volta». Poi, in occasione delle ultime elezioni politiche Bossi aveva fatto ricorso alla metafora della doppietta: «Guardate che queste elezioni potrebbero finire con la necessità di imbracciare il fucile e di andare a prendere queste carogne» aveva detto a pochi giorni dal voto, polemizzando sulla scheda elettorale a suo dire fatta apposta per indurre alla confusione. E anche dopo la vittoria elettorale del Pdl il Senatùr non aveva resistito alla tentazione di ricorrere all'immagine delle canne lunghe: «Questa è l' ultima occasione: o si fanno le riforme o scoppia un casino. Se la sinistra vuole scendere in piazza abbiamo trecentomila uomini, trecentomila martiri pronti a battersi. E non scherziamo... mica siam quattro gatti. Verrebbero giù anche dalle montagne. E verrebbero con i fucili, che son sempre caldi».


22 novembre 2008(ultima modifica: 23 novembre 2008)
da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Novembre 24, 2008, 10:23:32 am »

Lista immigrati candida egiziano a sindaco di Padova
 
 
 PADOVA (23 novembre) - Ha 52 anni, vive in Italia da 40, è egiziano ed è stato candidato per la carica di sindaco di Padova dalla Lista autonoma immigrati per le libertà, appoggiata dal centrodestra. Mohamed Ahmed, ristoratore, conduttore televisivo, ha ispirato tra l'altro la prima ronda multietnica italiana.

La nuova lista che lo sostiene ha una componente maggioritaria italoromena. «I romeni che hanno diritto al voto - afferma il medico romeno Dimitru Ilinca - sono circa 7mila, attualmente solo un centinaio di loro è iscritto alle liste elettorali del Comune, ma nei prossimi mesi partirà una grande campagna informativa». Complessivamente, riferiscono le testate locali, gli stranieri a Padova sono in tutto circa 9mila. «Vogliamo - ha detto da parte sua l'avv.Matteo Cavatton per Alleanza Nazionale - che l'integrazione parta da una rappresentanza istituzionale».

da ilmessaggero.it
 
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« Risposta #3 inserito:: Dicembre 14, 2008, 12:22:38 pm »

Il capo leghista: «Condivido assolutamente l'appello di Napolitano: lui è saggio»

«Silvio? Saltati i nervi. Noi trattiamo»

Bossi sulla giustizia: non si può cambiare una cosa così con una sola parte politica
 
 
CESANO MADERNO (Milano) — «Non puoi cambiare una cosa come la giustizia con una sola parte politica». Umberto Bossi il mediatore, Umberto Bossi il pontiere, lo dichiara senza esitazioni: basta scontri, le riforme non possono che essere condivise. Persino quella sulla Giustizia, che nel Pdl di osservanza azzurra è il più delicato dei temi. Il capo del Carroccio è ormai entrato completamente nei panni di uomo del dialogo che ha cominciato a indossare sul finire dell'estate. Sa bene che il federalismo fiscale potrebbe subire ritardi serissimi con un'opposizione messa di traverso. E sa che, peggio ancora, sull'altrettanto importante federalismo istituzionale— che dovrebbe incominciare il suo iter dopo le feste — il Partito democratico potrebbe addirittura trascinare il Paese a un referendum che non soltanto suscita nel Carroccio gli amarissimi fantasmi del 2006. Ma potrebbe, in caso di nuova bocciatura, archiviare per sempre il sogno del Senato delle Regioni e degli altri temi di riforma costituzionale cari ai padani. E così, Umberto Bossi risponde senza esitazioni alla domanda sull'appello del presidente della Repubblica a rispettare la Costituzione: «Lo condivido assolutamente». E aggiunge: «Giorgio Napolitano è saggio». In un umidissimo pomeriggio invernale, il gran capo leghista sceglie l'incontro con il presidente del Gran Consiglio del Canton Ticino, Norman Gobbi, per avvisare i naviganti. Del resto, Bossi è convinto che Berlusconi il suo no al dialogo con l'opposizione lo abbia «detto così... senza crederci veramente». Il fatto è, spiega il leader padano, che «a volte saltano i nervi. Quando tutti i giorni ti sparano addosso, a te e magari anche alla tua famiglia, può succedere. Ma non credo che Berlusconi pensi davvero quel che ha detto». L'afflato dialogante di Umberto bossi ha comunque una ragione pragmatica assai: «Sapete? Il federalismo è fermo. Si è bloccato la settimana scorsa nella commissione del Senato ». E se l'iter si è interrotto, aggiunge Bossi, è «perché Berlusconi ha sparato sull'opposizione ». Bossi lo ammette apertamente, come prima non aveva mai fatto: «Diciamo la verità: noi in questo periodo abbiamo sempre cucito con la sinistra, non abbiamo mai smesso di discutere e di tenere aperto il canale».

Senonché, allarga le braccia «Berlusconi l'altro giorno ha detto "mai con questa opposizione". Era meglio stare un po' più cauti ». Perché «loro hanno preso la palla al balzo: se Berlusconi dice questo, allora chiudiamo anche noi». Nel senso, spiega Bossi, che «al Senato le opposizioni hanno un potere enorme. Ciascun emendamento può essere discusso per non so quanto tempo». Il risultato, per la Lega, sarebbe tragico: «Rischiamo di fermare tutto per dei mesi». Su un tema che già richiederà parecchi anni prima di andare a regime. E dunque, non c'è un'altra strada: «La Lega — annuncia il senatùr — continuerà a cucire, ricucire e cucire ancora». Ma in questi giorni un altro tema disturba il capo leghista: la campagna per l'abolizione delle Province. Sull'argomento, Bossi torna tranciante: «Chi non vuole le Province mira alla cementificazione. Vuole soltanto avere le mani libere sui piani regolatori. Ma la Lega è una forza di territorio e difenderà il territorio». Ma è l'unico spunto polemico: anche il segretario leghista nasce incendiario e poi diventa pompiere? «Quando sono entrato per la prima volta in Senato — ride lui — me lo avevano pronosticato».

Marco Cremonesi
14 dicembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #4 inserito:: Dicembre 30, 2008, 09:55:50 am »

L'INTERVISTA

E Bossi: Tonino? Penso alla sua sofferenza

Il capo leghista: «Di Pietro si muove bene. Certe volte esagera ma è preparato e conosce la magistratura»
 
 
PONTE DI LEGNO (Brescia) — «La prima cosa che mi è venuta in mente è la grande sofferenza che deve aver provato quell’uomo lì». Umberto Bossi contempla le fiamme del gran camino che riscalda la sala dell’Aquila a Castelpoggio, il castello di Bruno Caparini immerso nella neve dell’alta Val Camonica. Di sottofondo, si sente lo scrosciare dell’Oglio appena nato. «Quell’uomo lì» è Antonio Di Pietro, il leader dell’Italia dei valori, il cui figlio Cristiano è coinvolto nell’inchiesta napoletana su Alfredo Romeo.

Ha davvero pensato al dolore di Di Pietro?
«Ma sì. Uno passa la vita a costruirsi una faccia. E poi... mai, io credo, si sarebbe aspettato che il casino gli sarebbe scoppiato in casa, per un figlio ».

Cristiano Di Pietro ha dato le dimissioni dal partito paterno.
«Beh, erano quasi inevitabili... ».

Qualcuno a volte la paragona a Di Pietro. Linguaggio diretto, distanza dalla «casta», il rivolgersi agli elettori senza troppi giri di parole...
«Io ho un altro progetto».

Delle volte, sembra comunque che lei abbia una certa stima per il leader Idv.
«Di Pietro si muove bene, un piccolo partito solo facendosi vedere cresce in forza e in voti. Certo, dato che è costretto ad attaccare sempre, delle volte Di Pietro esagera. Però, è anche preparato: conosce la magistratura, sa quel che è necessario dire e sa quali tasti toccare per farsi capire».

Fin troppo, secondo qualcuno. C’è chi immagina sia il regista della raffica di inchieste che stanno tormentando il Pd.
«Io non credo. Se lei mi chiede come mai venga fuori tutto questo adesso, non so rispondere. Certo, la sinistra prima poteva fare tutto, ora sembra che le vada tutto storto».

Altri sostengono che le inchieste siano un altolà al Pd contro possibili accordi con la maggioranza sulla Giustizia.
«Ma che mi vuol far dire?».

Berlusconi ha detto di averla convinta sulla necessità di vietare le intercettazioni anche per i reati contro la pubblica amministrazione.
«Convinto... non so. Però Berlusconi non ha tutti i torti, dice cose che fanno riflettere. Non possiamo più avere magistrati che, attraverso le intercettazioni, buttano la rete per procacciarsi il processo. Devono prima ricevere la segnalazione di un reato dalla polizia giudiziaria. Altrimenti, anche fatti che non hanno nulla di penale, vengono utilizzati a fini politici ».

In che senso?
«Prenda le amanti, i comportamenti privati. Vengon fuori, ed è fango su una persona. Questo è un obiettivo politico, non un’altra cosa. E poi, la gente non vuole le intercettazioni, pensa che quel che deve pagare in termini di privacy sia troppo rispetto all’obiettivo».

Negli ultimi mesi, si è avuta la sensazione che ci fosse qualche incomprensione tra lei e Tremonti.
«Giulio Tremonti è un amico. Certo, forse è più facile essergli amico quando non è ministro. Ma è una persona di una saggezza straordinaria. E vede molto più lontano di tutti gli altri. È una fortuna che lui abbia tenuto ben chiusi i cordoni della borsa, altrimenti oggi non avremmo potuto pagare le casse integrazioni e i provvedimenti straordinari per l’economia».

E Mariastella Gelmini? Lei era stato abbastanza secco nei suoi confronti.
«Sì, ma devo dire che si è molto raddrizzata. È stata brava, ha fatto cose importanti: soprattutto ha fatto capire che si può cambiare anche quel che sembrava intoccabile. Dare questa sensazione, è un segno politico fondamentale».

Marco Cremonesi
30 dicembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #5 inserito:: Maggio 09, 2009, 10:23:37 pm »

Parlano i militari delle motovedette italiane che hanno riportato in Libia i migranti

Solo un giovane del Mali è riuscito a nascondersi ed è sbarcato a Lampedusa: "Miracolato"

"Ho eseguito gli ordini ma mi vergogno

Quei disperati ci chiedevano aiuto"


dal nostro inviato FRANCESCO VIVIANO


 LAMPEDUSA - "È l'ordine più infame che abbia mai eseguito. Non ci ho dormito, al solo pensiero di quei disgraziati", dice uno degli esecutori del "respingimento". "Dopo aver capito di essere stati riportati in Libia - aggiunge - ci urlavano: "Fratelli aiutateci". Ma non potevamo fare nulla, gli ordini erano quelli di accompagnarli in Libia e l'abbiamo fatto. Non racconterò ai miei figli quello che ho fatto, me ne vergogno".

Parlano i militari delle motovedette italiane - quella della Guardia di Finanza, la "Gf 106" e quella della Capitaneria di porto, la "Cpp 282" - appena rientrati dalla missione rimpatrio. Sono stati loro a riportare in Libia oltre 200 extracomunitari, tra i quali 40 donne (3 incinte) e 3 bambini, dopo averli soccorsi mercoledì scorso nel Canale di Sicilia. Un "successo", lo ha definito il ministro Maroni, che finanzieri e marinai delle due motovedette non condividono anche se hanno eseguito quegli ordini. Niente nomi naturalmente, i marinai delle due motovedette rischierebbero quanto meno una punizione se non peggio. Ma molti non nascondono il loro sdegno per quello che hanno vissuto e dovuto fare. "Eravamo impegnati in altre operazioni - dicono fiamme gialle e marinai della capitaneria - poi improvvisamente è arrivato l'ordine di andare a soccorrere quelle tre imbarcazioni, di trasbordarli sulle nostre motovedette e di riportarli in Libia".

Non è stato facile, a bordo di quelle carrette del mare c'erano donne incinte, tre bambini e tutti gli altri che avevano tentato di raggiungere Lampedusa. "Molti stavano male, alcuni avevano delle gravi ustioni, le donne incinte erano quelle che ci preoccupavano di più, ma non potevamo fare nulla, gli ordini erano quelli e li abbiamo eseguiti. Quando li abbiamo presi a bordo dai tre barconi ci hanno ringraziato per averli salvati. In quel momento, sapendo che dovevamo respingerli, il cuore mi è diventato piccolo piccolo. Non potevo dirgli che li stavamo portando di nuovo nell'inferno dal quale erano scappatati a rischio della vita".

A bordo hanno anche pregato Dio ed Allah che li aveva risparmiati dal deserto, dalle torture e dalla difficile navigazione verso Lampedusa. Ma si sbagliavano, Roma aveva deciso che dovevano essere rispediti in Libia. "Nessuno di loro lo aveva capito, ci chiedevano come mai impiegavamo tanto tempo per arrivare a Lampedusa, rispondevamo dicendo bugie, rassicurandoli".

La bugia non è durata molto, poco prima dell'alba qualcuno ha notato che le luci che vedevano da lontano non erano quelle di Lampedusa ma quelle di Tripoli. Alla fine i marinai italiani sono stati costretti a spiegare: "Non è stato facile dire a tutta quella gente che li avevamo riportati da dove erano partiti. Erano stanchi, avevano navigato con i barconi per cinque giorni, senza cibo e senza acqua. Non hanno avuto la forza di ribellarsi, piangevano, le donne si stringevano i loro figli al petto e dai loro occhi uscivano lacrime di disperazione".

Lo sbarco a Tripoli è avvenuto poco dopo le sette del mattino: "Vederli scendere ci ha ferito tantissimo. Ci gridavano: "Fratelli italiani aiutateci, non ci abbandonate"". Li hanno dovuti abbandonare, invece, li hanno lasciati al porto di Tripoli dove c'erano i militari libici che li aspettavano. Sulla banchina c'erano anche i volontari delle organizzazioni umanitarie del Cir e dell'Onu, ma non hanno potuto far nulla, si sono limitati a contare quei disperati che a fatica, scendevano dalla passerelle delle motovedette per tornare nell'inferno dal quale erano scappati. Le donne sono state separate dagli uomini e portati in "centri d'accoglienza" vicino Tripoli. Non si sa che fine faranno.

Solo uno è riuscito a sfuggire al rimpatrio. Un ventenne del Mali che aveva intuito cosa stava succedendo a bordo e si era nascosto sotto un telone. Ha messo la testa fuori solo quando la motovedetta della Finanza è attraccata a Lampedusa, ha aspettato che a bordo non ci fosse più nessuno e poi è sceso anche lui. È stato rintracciato mentre passeggiava nelle strade dell'isola ed ha subito confessato. Adesso si trova nel centro della base Loran di Lampedusa. Un miracolato.

(9 maggio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #6 inserito:: Giugno 19, 2014, 12:21:26 am »

Politica

Lega Nord: il mostro c'è solo se conviene
Ora che il presunto assassino di Yara sarebbe un bergamasco doc, il Carroccio appare silenzioso. Ma all'inizio tuonava quando l'omicida sembrava essere un ragazzo marocchino. Non è la prima volta. Da Novi Ligure in poi, in molti casi i leghisti hanno cavalcato casi di cronaca nera per dare la colpa agli immigrati. Salvo poi tacere quando si è scoperto che gli autori erano italiani

di Paolo Fantauzzi e Francesca Sironi
18 giugno 2014

 “Ieri un ‘matto’, che girava nudo per Milano, ha ucciso e ferito senza nessun motivo. Non sarebbe il caso di riaprire delle strutture dove accogliere, curare e controllare i malati di mente?”. Su Facebook il segretario della Lega nord Matteo Salvini mostra comprensione nei confronti di Davide Frigatti, responsabile dell’accoltellamento di tre passanti a Cinisello Balsamo, uno deceduto e due ricoverati in gravi condizioni.

Eppure lo stesso “garantismo” il Carroccio (e Salvini in persona) non sembrano averlo mostrato quando casi di cronaca nera hanno coinvolto cittadini non italiani. Al contrario, ogni delitto compiuto da un extracomunitario (vero o supposto che fosse) è stato quasi sempre il pretesto per campagne politiche sul tema dell’immigrazione. A cominciare dal caso di Adam Kabobo, il ghanese che lo scorso anno uccise tre passanti a picconate a Milano e al quale Salvini augurava di 'marcire in prigione'.
Così il segretario della Lega Nord sulla mancata richiesta dell'ergastolo ai danni Adam Kabobo, il ghanese che l'11 maggio del 2013 uccise a colpi di piccone tre passanti a Milano. Il pm Isidoro Palma ha chiesto una condanna a vent'anni di reclusione.      
   
Discorso simile per il caso di Yara Gambirasio, che nei giorni scorsi ha portato al fermo di Massimo Giuseppe Bossetti. Il 5 dicembre 2010, ad esempio, quando il marocchino Mohammed Fikri fu stato appena fermato quale sospettato dell’omicidio, l’europarlamentare Mario Borghezio apparve sicuro della sua colpevolezza. Tanto da tuonare sulla necessità di «raccogliere le impronte digitali» perché era evidente la «necessità di introdurre un'aggravante per i reati commessi dai clandestini». Una posizione isolata? Non proprio, visto che lo stesso Matteo Salvini si diceva convinto che - a prescindere dalla nazionalità del colpevole - se era vero che «queste cose succedevano anche prima che arrivassero gli immigrati, da quando ci sono così tanti irregolari succedono di più».

Insomma, la colpa era dei danni prodotti dall’“immigrazione incontrollata” e perché «c' è un senso di impunità». E siccome «Brembate è una città tranquilla e ospitale dove episodi del genere non si ricordano negli ultimi anni e se si verificano adesso un motivo ci sarà». Parole cui fa da contraltare il silenzio di questi giorni.

NOVI LIGURE
La fretta di incolpare gli immigrati non è arrivata solo per Yara. Un altro esempio clamoroso di uso strumentale della cronaca risale al febbraio del 2001. Delitto di Novi Ligure. Erika, quella che poi si scoprirà aver ucciso col fidanzatino adolescente madre e fratello, incolpa all'inizio due presunti ladri slavi. Albanesi, probabilmente.

Occasione ghiotta per la Lega Nord, che organizza subito una fiaccolata in nome della sicurezza. In un'interrogazione immediata il parlamentare Mario Borghezio ricorda una donna stuprata pochi giorni prima chiedendo al ministro dell'Interno se non si ritiene «necessaria e urgente un'azione coordinata interforze per individuare e sradicare dalla zona le bande criminali di extracomunitari clandestini che attualmente vi spadroneggiano pressoché indisturbati, con misure efficaci ed effettive di espulsione».

Criticato da tutti gli esponenti politici dopo il riconoscimento di Erika e Omar come gli autori del massacro, Borghezio non arretrò di un passo: «Citare la criminalità albanese ed extracomunitaria è un riflesso condizionato naturale di fronte al reiterarsi di episodi che hanno creato una grande paura» disse, e ancora: «Queste mie affermazioni sono la conferma che vi è una grande preoccupazione e averle citate non è nient'altro che la riprova, la dimostrazione che queste bande criminali sono troppo libere di agire».

Borghezio non fu solo. Il clima anti-immigrati che si era creato lo ha ricordato in una recente intervista a Il Secolo XIX anche Mario Lovelli (Pd) che nel 2001 era sindaco di Novi: «Per la città furono giorni traumatici, c’è voluto tempo per metabolizzare la tragedia. Ricordo il giorno dopo il delitto, la reazione strumentale della Lega Nord e di Forza Italia, quando non si conosceva ancora la verità. C’era stato un consiglio Comunale infuocato, molti esponenti del centrodestra chiedevano di usare la mano pesante contro gli immigrati clandestini: si pensava che gli assassini fossero extracomunitari»

I ROM DEL FALSO STUPRO
Di tono simile le dichiarazioni lasciate da un esponente leghista dopo la denuncia, da parte di una ragazzina torinese di 16 anni, di uno stupro ad opera di alcuni rom. La violenza si rivelò poi falsa, un'invenzione, ma nel frattempo una spedizione punitiva andò a incendiare le abitazioni del campo nomadi della Continassa, alla periferia di Torino.

In quei giorni Davide Cavallotto dichiarava: «A Torino l'emergenza rom è diventata ormai una piaga sociale. C'è voluto un episodio deprecabile come l'incendio doloso di un campo nomadi per capire che ormai la misura è colma. La politica deve mettere da parte l'ipocrisia e iniziare a fare i conti con l'impossibilità di una convivenza civile fra chi vive nella legalità e paga le tasse e chi rifiuta ogni forma d'integrazione e si macchia di reati restando impunito anche di fronte alla legge».

LA CAMIONETTA ASSALTATA
«Varese, ASSALTO a un furgone della POLIZIA per far scappare un detenuto ALBANESE. Primi effetti bastardi dell'infame legge SVUOTA CARCERI». Così commentava a caldo sempre Matteo Salvini la notizia di un furgoncino della Penitenziaria preso d'assalto a Gallarate, in provincia di Varese. Poi si venne a sapere che il detenuto evaso grazie alla sparatoria era Domenico Cutrì. «Per me poteva essere anche Finlandese», cerca di minimizzare allora Salvini, messo di fronte all'errore: «Cambia poco: lo svuota carceri resta una boiata».

© Riproduzione riservata 18 giugno 2014

Da - http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/06/18/news/lega-nord-il-mostro-c-e-ma-solo-se-fa-comodo-1.169837?ref=HRBZ-1
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« Risposta #7 inserito:: Dicembre 17, 2014, 05:41:17 pm »

Febbre antieuropea l’Ue si può sciogliere ma poi dove andiamo?
Attaccare l’Unione garantisce facili consensi, ma non risolve le difficoltà dei cittadini. Per far crescere economia e lavoro, in un mondo globalizzato, serve un doppio sforzo: negli Stati nazionali e nelle istituzioni comunitarie

Di Enzo Moavero Milanesi

In Europa, sale la temperatura. Sale con riguardo all’economia, perché la situazione generale non evolve come si sperava (perfino la Germania cresce poco), aumentano le asimmetrie fra i Paesi, ci sono nuovi segnali allarmanti (pensiamo alla Grecia). Sale nei rapporti politici, per la contrapposizione che caratterizza le relazioni fra alcuni leader; una contrapposizione che eufemisticamente si potrebbe definire «vivace». Questo è il tipo di contesto più difficile per l’Unione europea, il cui collante base è — da sempre — costituito dalla volontà di cooperare, di convergere: senza la quale, progredire e stare insieme diventa molto complicato. È davvero un peccato che questa situazione si sia accentuata durante i sei mesi della presidenza italiana che sta concludendosi.

All’Unione, nel corso di oltre 60 anni, sono state delegate rilevanti competenze, che prima spettavano ai governi nazionali. Ricordiamoci che gli Stati membri non hanno ceduto sovranità a un’entità estranea, bensì hanno deciso di trasferirla a un’entità comune, della quale condividono la guida. Il suo buon funzionamento dipende dalla capacità di dialogo e dal rispetto delle regole, adottate volontariamente da tutti. Entrambi gli ingredienti sono necessari. Solo il valore delle idee e la capacità di convincere gli altri — con i toni giusti, cercando e trovando un’intesa — consente di innovare le opzioni politiche e di modificare le norme o di applicarle, interpretandole correttamente. Al contrario, le continue tensioni determinano irrigidimenti reciproci, stalli e derive che sarebbe un grave errore sottovalutare.

La crisi economica globale ha messo a repentaglio il sistema dell’euro. La bancarotta di alcuni Stati, per il dissesto dei loro conti pubblici, si è rivelata un evento possibile. Il disagio sociale e la povertà sono drammaticamente aumentati. L’interdipendenza fra le economie dei vari Paesi ha contagiato e depresso anche quelli meno dissestati. Le aspettative dei cittadini nei rispettivi governi e nelle istituzioni dell’Unione sono rimaste deluse. Tuttavia, in un mondo dove i protagonisti sono diventati i modelli statali di notevoli dimensioni economiche, territoriali e demografiche (come Usa, Cina, Russia, India, Brasile), è arduo credere che gli europei possano trovare valide soluzioni rinchiudendosi nel rispettivo angusto ambito nazionale. Al di là di un dubbio impatto immediato, quale sarebbe la prospettiva futura? Criticare l’Unione è facile: è molto complessa e appare lontana, condizionata sempre da «altri». Certamente va migliorata: ma demolire è, spesso, più facile che costruire.

Pur essendo fondata su trattati dalla durata indeterminata, l’Unione europea non è affatto indissolubile. Si può sciogliere, e uno Stato può liberamente uscirne. È bene esserne consci, quale che sia il proprio pensiero al riguardo. Indulgere in polemiche, sebbene sembri spesso popolare, non aiuta a risolvere le reali difficoltà. Del pari, non giovano i dibattiti astratti; anche dare la precedenza a una revisione degli assetti costituzionali dell’Unione è un obiettivo fuorviante, considerata la grande diversità fra le attuali visioni e sensibilità. La vera urgenza, vicina alle preoccupazioni di noi tutti, riguarda l’economia e l’occupazione, perché dobbiamo ritrovare la fiducia nel nostro futuro. Non basta la sola azione della Banca centrale europea, comunque limitata alla politica monetaria e — per giunta — sottoposta a un giudizio di legittimità davanti alla Corte di giustizia Ue.

Possiamo pretendere dai governi degli Stati e dalle istituzioni comuni di concretizzare, con seri vincoli di risultato, quell’agenda europea i cui due cardini sono noti da tempo. Da un lato, investimenti pubblici, soprattutto europei, che mobilitino anche quelli privati, perseguendo uno sviluppo sostenibile (economico, sociale e ambientale). E dall’altro, incisive riforme strutturali in tutti i Paesi, per modernizzarli, salvaguardare i capisaldi del modello sociale europeo, riacquistare competitività, semplificare la vita dei cittadini e delle imprese.

L’Italia e gli altri Stati membri dell’Unione hanno la possibilità di risorgere se si muovono insieme, con atti immediati e concreti, iniziative efficaci e ove utile, proposte innovative realizzabili. Non è quello che fecero all’indomani del disastro delle due guerre mondiali, innescando un lungo periodo di crescita e diffusione del benessere collettivo?

16 dicembre 2014 | 09:49
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/14_dicembre_16/febbre-antieuropea-l-ue-si-puo-sciogliere-ma-poi-dove-andiamo-9a6414b8-84fb-11e4-bef0-810da32228c1.shtml
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« Risposta #8 inserito:: Giugno 06, 2015, 05:21:51 pm »

Lega, Salvini e le frasi choc: “Va dove lo porta il sondaggio”.
I segreti dell’unico partito che vince: tv, facebook e salamella
Il Carroccio è l'unica forza politica che incrementa il proprio bacino elettorale. Qual è la ricetta? Temi urlati e scorretti, la continua distinzione tra amici e nemici, il mix tra messaggi semplici sui social network e parole d'ordine nelle feste di paese.
L'analisi della comunicazione del leader nell'ebook "#ilMilitante"

di F. Q. | 6 giugno 2015

È Salvini il degno erede di Berlusconi? A giudicare dall’avanzata della Lega Nord nel centro Italia verrebbe da dire di sì. Le Regionali del 31 maggio hanno consegnato al Paese una geografia politica profondamente mutata, con un Carroccio che ha letteralmente cannibalizzato i voti di Forza Italia, riducendo al lumicino quella che un tempo era una spietata macchina da consensi. Non solo il partito guidato da Matteo Salvini è riuscito ad imporsi come prima forza del centrodestra in territori che non erano mai stati generosi con il simbolo dello spadone, ma è anche l’unico che, dati alla mano, sia uscito rafforzato dalla tornata elettorale. La Lega, grazie soprattutto all’avanzata nelle regioni rosse, si è messa in tasca un robusto saldo positivo (+402mila voti rispetto alle politiche del 2013, +256mila rispetto alle europee dello scorso anno). Un dato che assume ancora più corpo se si pensa al contesto di generale disaffezione al voto in cui è maturato. Così la Lega incassa e gli altri lasciano sul terreno tonnellate di consensi.
Temi urlati e scorretti, capaci di solleticare l’immaginario dell’elettorato più frustrato da una contemporaneità che lascia sempre meno spazio alla ragione

Ma dove nasce questo risultato? Il merito è ascrivibile in larga misura al frontman, Matteo Salvini, alla sua comunicazione diretta e senza mezzi toni. Un successo che arriva dalle felpe. Dalle parole scandite nelle piazze. Dagli scontri accesi con gli oppositori. Dai temi stessi scelti come terreno di battaglia con gli avversari. Temi urlati e scorretti, capaci di solleticare l’immaginario dell’elettorato più frustrato da una contemporaneità che lascia sempre meno spazio alla ragione e chiede soluzioni a portata di mano. Così contro i campi Rom si evocano le ruspe, contro i clandestini l’affondamento delle navi e via di questo passo. Un messaggio radicalizzato e spinto al limite che interpreta lo spirito del momento. La ricetta è semplice e replicabile: il leader si infila nella polemica giusta al momento giusto, la cavalca e riesce a trarne il massimo vantaggio. “A Salvini  piace insomma trasformarsi ed esibire i muscoli - si legge nell’ebook Matteo Salvini #ilMilitante scritto dal giornalista del ilfattoquotidiano.it Alessandro Madron insieme a Alessandro Franzi (Ansa) – Da comunista ad amico dell’estrema destra. Da indipendentista a nazionalista. E come ogni leader ha bisogno di un palcoscenico”. Secondo i due “esperti di Carroccio” “c’è chi dice, parafrasando il celebre titolo di un libro di Susanna Tamaro, che lui va non dove lo porta il cuore ma il sondaggio del momento. O, da un altro punto di vista, lui va dove lo porta il suo fiuto politico che ricorda molto quello di Bossi. Chiunque osservi le sue acrobazie all’insegna del politicamente scorretto gli dà atto di saper fare bene una cosa soprattutto: vendere se stesso e la sua merce politica dove occorre, quando conviene e nella quantità che chiede il suo pubblico. Tutte le idee collezionate in oltre vent’anni di attività politica si traducono in un uso massiccio di parole d’ordine schierate con nettezza. Che mobilitano e danno scandalo allo stesso tempo. O di qua o di là, appunto. Non si potrebbe dunque spiegare l’ascesa politica del giovane leader della Lega se non si mette la sua storia di militante sul palcoscenico – reale e virtuale – che calca quotidianamente davanti agli occhi degli italiani”.

Nel libro Madron e Franzi, oltre alla ricostruzione biografica del leader che ha resuscitato la Lega, cerca di analizzare  in maniera critica, concreta e compiuta – e liberandosi dal pregiudizio – i modi e i contenuti della comunicazione salviniana, vera chiave di lettura del suo successo elettorale. Un leader apparentemente senza qualità, senza esperienza e senza meriti particolari, che è riuscito a resuscitare la Lega, partito dato per morto dai più, che oggi, dopo aver cambiato pelle, incarna le ambizioni della destra italiana meglio di qualunque altra forza politica. Le parole d’ordine del Salvini-pensiero girano tutte intorno alla “distinzione tra amici e nemici. Nessuna via di mezzo”. Insomma, con lui o contro di lui. Parole che “non si comprenderebbero abbastanza senza i toni scelti per propagandarle”. È infatti “con frasi dure, sconvenienti e scioccanti che il leader della Lega rende visibile questa netta divisione fra amici e nemici. L’Unione Europea? È ‘il quarto Reich, i nuovi nazisti’. O è anche, in altre occasioni, ‘l’Unione sovietica europea’, la dittatura tecnocratica”.

In questo solco si innestano anche i toni usati per parlare di altri temi, come l’immigrazione di massa e le politiche d’accoglienza. È qui che “Salvini dà il meglio o il peggio di sé”. Nell’analisi de #ilMilitante si ricorda: “Quando nel canale di Sicilia, il 19 aprile del 2015, un barcone si è rovesciato in mare provocando più di 700 vittime, ha attaccato il governo non appena erano iniziati i soccorsi: ‘Altri morti sulle coscienze dei falsi buonisti, di Renzi e Alfano’, premier e ministro dell’Interno. “Bisogna fare un blocco navale internazionale subito, per bloccare le partenze”. ‘Un raccapricciante cinismo’, l’ha definito il leader di Sel, Nichi Vendola. Il partito del premier Renzi ha dato a Salvini dello ‘sciacallo’”. A lui non sembra importare. Anzi, più lo attaccano, più si rafforza. E allora alla provocazione aggiunge provocazione: Salvini veicola i toni forti in ogni modo e con ogni mezzo. È proverbiale la sua massiccia presenza mediatica, ma non si limita a questo. Ci sono anche i comizi, le feste della Lega, gli appuntamenti tradizionali durante i quali incontra la base e rinverdisce quel rapporto fatto di pane e salamelle. Il quadro però non sarebbe completo senza considerare l’aspetto più caratteristico della sua comunicazione: l’uso compulsivo ma tecnicamente efficace dei social network, Facebook su tutti. “È da li che ha lanciato frasi scandalose come quella di non far attraccare i barconi dei migranti a Lampedusa o quelle contro gli avversari politici da prendere “a calci nel culo”. Dichiarazioni fatte con slang giovanile e l’aria scanzonata da bravo ragazzo che, propagate dal pubblico, diventano scazzottata tra fazioni rivali, fino a raccogliere gli sfoghi più viscerali”.
“Su Facebook un terzo degli italiani si collegano ogni giorno: spesso persone che non sanno di avere Internet ma usano i social network, magari dal telefonino: l’Italia è quella del 20% di analfabeti funzionali che formano l’opinione ascoltando messaggi semplici”

E a questo proposito ne #ilMilitante è stato raccolto il punto di vista di Stefano Epifani, docente di social media management all’università La Sapienza di Roma, che spiega che “il nostro è un Paese di periferie e di piccoli comuni. Su Facebook ci sono 20 milioni di persone, un terzo della popolazione italiana che si collega quotidianamente. Spesso si tratta di persone che non sanno di avere Internet ma usano i social network, magari dal telefonino: l’Italia è questa, è quella del 20% di analfabeti funzionali che formano la propria opinione guardando un video e ascoltando messaggi semplici. E queste sono le persone che Salvini intercetta meglio: se il suo target fosse un altro, farebbe discorsi diversi”.

Insomma, Salvini arriva sempre diretto e limpido: “La sua strategia comunicativa trova successo nell’offrire messaggi brevi e comprensibili a tutti. Colpisce dove deve colpire. È quello che gli serve, anche se poi questo genere di messaggi raramente finisce in profondità ma resta sulla superficie dello slogan”. Ed è forse proprio questa superficialità del messaggio la cifra più marcata dell’agire salviniano. Una modalità comunicativa che, in un’epoca di crisi economica e ideologica, riesce a fare breccia nell’immaginario di una platea sempre più vasta. E dopo il voto del 31 maggio la teoria è stata confermata dalla prova delle urne.

di F. Q. | 6 giugno 2015

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/06/lega-salvini-e-le-frasi-choc-va-dove-lo-porta-il-sondaggio-i-segreti-dellunico-partito-che-vince-tv-facebook-e-salamella/1741047/
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« Risposta #9 inserito:: Giugno 06, 2015, 05:37:15 pm »

Saronno, la nuova base di Salvini tra “terroni” e migranti: “Ruspa, ruspa, ruspa”

Per comprendere il successo di Matteo Salvini alle elezioni non servono analisti e politologi. Bastano due ore a passeggiare in un mercato di provincia. A Saronno, dove il leader del Carroccio è andato per sostenere il ballottaggio del candidato leghista, si scoprono i volti e gli accenti della sua nuova base. Non ci sono più gli anziani in canottiera che vivevano nel “mito celodurista” di Umberto Bossi. Oggi a chiedergli i selfie e a stringergli la mano sono signore di mezza età, che fanno la fila per dargli un bacio e per tributargli tutti gli onori del caso. Sono ambulanti meridionali che fanno a gara per una foto dietro al banco del pesce per regalargli un’albicocca. Sono immigrati regolari che si scattano una foto da mostrare in famiglia commentando “mia figlia sarà invidiosa, lei ti ama” o, ancora: “Dal vivo è meglio che in tv”. Una base popolare, che se ne infischia del politicamente corretto, che comprende i suoi slogan semplici e li condivide, in un carnevale di battute, sorrisi, strette di mano e incitazioni: “Mi raccomando Mattè, ruspa, ruspa ruspa” 

Di Alessandro Madron
3 giugno 2015

Da - http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/06/03/saronno-nuova-base-di-salvini-tra-terroni-e-migranti-ruspa-ruspa-ruspa/379376/
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« Risposta #10 inserito:: Febbraio 28, 2018, 11:19:31 pm »

Salvini e il giuramento sul Vangelo: "Le critiche della Cei non mi sfiorano".
Il segretario e candidato premier del Carroccio ironizza con i conduttori di Circo Massimo: "Se qualcuno preferisce impegnarsi sul Corano...".
E su possibili alleanze assicura: "Né con Renzi né con Di Maio".
Attacco all'ad di Ferrovie: "Mazzoncini si dovrebbe dimettere"

28 febbraio 2018

"Non torneranno né il fascismo né il comunismo né il nazismo, in Italia ci sarà la democrazia a prescindere da chi vincerà le elezioni". Il leader della Lega e candidato premier Matteo Salvini battibecca con i conduttori di Circo Massimo, Jean Paul Bellotto e Massimo Giannini, in onda su Radio Capital a proposito della Lega che 'strizza l'occhio' a CasaPound. "Io sono qui, se vi piace parlare di nazisti, razzisti e marziani...", ironizza il segretario e candidato premier della Lega.
 
"La coalizione c'è e ha un programma. Non siamo i Pooh che si devono riunire così i fan sono contenti. C'è un programma su pensioni, cultura eccetera. Domani ci incontreremo per fare la summa finale di impressioni e emozioni. Sono stato felice di aver fatto migliaia di migliaia di chilometri", dice Salvini a proposito della chiusura della campagna elettorale, domani a Roma, insieme a Meloni e Berlusconi. "Io adoro la gente vera. La tv? sono scelte", aggiunge.

"Per il duello in tv io ho detto quando volete e dove volete non solo con Renzi, ma anche con Grasso, Di Maio; qualcuno ha detto no", spiega Salvini. "Renzi - prosegue - mi ha invitato una sera in cui avevo mille persone a Bologna. Ho preferito rispettarle piuttosto che andare a Porta a Porta". "Il Pd - sottolinea - ha preso la Toscana e l'Emilia come una riserva indiana dove schierare Lorenzin, Casini. Perderà".

· IL PREMIER
"Per quanto riguarda il premier chi ci ascolta sa che avrà due opzioni: se vuole Tajani, sceglie Berlusconi. Se vuole Salvini, sceglie la Lega", spiega il leader del Carroccio. 'Se firmo un impegno lo mantengo - aggiunge - quindi chi prede un consenso in più esprime il presidente del Consiglio. Sono straconvinto, non solo per i sondaggi ma per la sensazione che ho, che la gente voglia rimettermi alla prova. Mi sto preparando'.
 
"Berlusconi vuole fare il premier fra un anno? Se ne parlerà nel 2023, visto che vinceremo le elezioni e governeremo cinque anni", sottolinea Salvini che assicura: "Prima di Pasqua presenteremo il governo di centrodestra".
 
· IL GIURAMENTO SUL VANGELO
"Non mi sento minimamente sfiorato", dice poi detto Salvini a proposito delle critiche di monsignor Galantino (segretario della Cei che ieri ha tuonato contro gli sciacalli della politica? ndr) per il profilo della campagna elettorale e del giuramento sul Vangelo fatto durante un comizio dal segretario della Lega. "Ci sono in Italia tante persone, cattolici e non, che fanno volontariato ma chiedono regole e limiti, e di accogliere un numero sufficiente di migranti per poterli aiutare davvero". "Sciacallaggio politico? Con Renzi, Boldrini, Bonino che fanno comizi in chiesa? Mi spiace se qualcuno si è offeso ma ho fatto un gesto col cuore. Poi, se qualcuno preferisce impegnarsi sul Corano o su altro - ironizza Salvini - io però vado orgoglioso di una tradizione che qualcuno ha negato in Europa".
 
· NESSUNA ALLEANZA
"Né con Renzi né con Di Maio". Matteo Salvini sintetizza così l'impossibilità, assicura, di un asse tra Lega e M5s, o Pd, come esito delle elezioni per la formazione di un governo. Il leader della Lega sottolinea che "c'è un'idea di Italia completamente diversa tra noi e M5s. Io - ironizza riferendosi all'iniziativa del candidato presidente del Consiglio di M5s - non mando liste di ministri a caso a Mattarella prima del voto degli italiani. Tutti sanno che l'unica coalizione che può avere i numeri per governare è il centrodestra - ha aggiunto - La gente, per intendersi, non vuole soldi per stare a casa ma lavorare e noi vogliamo ridurre le tasse a chi offre lavoro".
 
· LA PRESIDENZA DELLE CAMERE
Per quanto riguarda la possibilità di affidare la presidenza delle Camere a esponenti delle opposizioni, Salvini spiega che è un'ipotesi, vista dal centrodestra, alla quale "non abbiamo neanche lontanamente ragionato". Tuttavia, osserva il segretario del Carroccio, "bisogna vedere chi propongono".
 
Dunque non porte chiuse in linea di principio, ma la considerazione che si sta parlando di "ruoli di garanzia, e poi abbiamo visto con Boldrini e Grasso quanto fossero super partes, perchè se ti candidi con la sinistra estrema vuol dire che hai svolto il tuo compito con una certa impostazione". Comunque, osserva ancora il leader della Lega, "non dico no a niente e nessuno ma ora la mia priorità è pensare a chi sarà ministro dell'Agricoltura o per i disabili rispetto a chi farà il presidente delle Camere".
 
· ATTACCO ALLE FERROVIE
Mentre i treni arrancano tra gli snodi gelati, Ferrovie starebbe assumendo in grande stile pescando tra "parenti di politici e di ministri in carica", denuncia il leader della Lega. "L'amministratore delegato di Ferrovie (Renato Mazzoncini ndr) si dovrebbe dimettere - dice Salvini - ma soprattutto chi lo ha scelto, cioè Renzi. Mi risulta stiano facendo infornate di assunzioni in Ferrovie a pochi giorni dal voto. Mettiamola così: se fosse vero che sono in corso numerose assunzioni anche di parenti di politici, ministri in carica, non sarebbe un bel segnale. Provate ad approfondire".
 
· CASO FABIO FAZIO
Salvini dice di considerare archiviato il 'caso Fazio' ("invita tutti alla sua trasmissione, tutti meno uno, eppure fa servizio pubblico, ben pagato, ma sai che mi interessa di Fazio. C'è chi gli piace, a me non mi invita ma me ne farò una ragione"), e il tema conflitto di interessi per Berlusconi ("ora, dopo che il Pd ha governato sette anni senza curarsene?") ma conferma che "la macchina Rai va sistemata e valorizzata".
 
"Ci sono tantissimi interni - rileva il candidato premier della Lega - che sono stati messi all'angolo perché non sono 'amici di' o 'figli di', né si possono appaltare all'esterno produzioni, programmazione, scelte editoriali. Non puoi farlo con il denaro pubblico, appaltare ai privati. La Rai avrebbe una missione pubblica da restituire al pubblico".

© Riproduzione riservata 28 febbraio 2018

Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni2018/2018/02/28/news/salvini_e_il_giuramento_sul_vangelo_le_critiche_della_cei_non_mi_sfiorano_-189974091/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S2.5-T1
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« Risposta #11 inserito:: Marzo 29, 2018, 06:21:05 pm »

Governo, Salvini avverte: "Il prossimo premier sarà indicato dal centrodestra"

Il leader leghista lancio un messaggio sulla guida del prossimo governo.

Mentre Giorgetti stoppa il reddito di cittadinanza: "Va declinato in altro modo".

Sempre alta la tensione nel centrodestra. Brunetta: "Salvini ha il 17 per cento, da solo è subalterno a Di Maio"

25 marzo 2018

Matteo Salvini non lascia passare neppure 24 ore dall'elezione dei presidenti di Camera e Senato. E sui social, a metà giornata, lancia il suo messaggio: "Il prossimo premier sarà indicato dal centrodestra". Dopo il difficile armistizio con Forza Italia, mentre dilagano i malumori degli azzurri nei suoi confronti, il destinatario del post su Fb e Twitter è innanzitutto il possibile nuovo alleato: Luigi Di Maio. "Nel rispetto di tutti, il prossimo premier non potrà che essere indicato dal centrodestra, la coalizione che ha preso più voti e che anche ieri ha dimostrato compattezza, intelligenza e rispetto degli elettori", scrive. E ribadisce che il programma c'è già: "Via legge Fornero e spesometro, giù tasse e accise, taglio degli sprechi e spese inutili, riforma della scuola e della giustizia, legittima difesa, revisione dei trattati europei, rilancio dell'agricoltura e della pesca italiane, ministero per i disabili, pace fiscale fra cittadini ed Equitalia, autonomia e federalismo, espulsione dei clandestini e controllo dei confini. Noi siamo pronti, voi ci siete".
Nel rispetto di tutto e di tutti, il prossimo Premier non potrà che essere indicato dal centrodestra, la coalizione che ha preso più voti e che anche ieri ha dimostrato compattezza, intelligenza e rispetto degli elettori.
Noi siamo pronti, voi ci siete???

Messaggio recapitato? Se qualcuno avesse ancora bisogno di chiarimenti, ecco arrivare la dichiarazione di Giancarlo Giorgetti, fedelissimo di Salvini. "In Parlamento c'è tanta gente eletta nei collegi uninominali che magari ha messo qualche cosa di suo, degli amministratori locali, persone che possono condividere quello che sarà il programma che Salvini proporrà per il governo. Immagino sarà incaricato". Insomma, Palazzo Chigi spetta a Salvini. Ai Cinquestelle arriva un messaggio anche sul programma: "Il reddito di cittadinanza vediamo se possiamo declinarlo in un altro modo". Certo, se si trattasse di "una misura universalistica" per "sostituire la pensione o una reversibilità", aggiunge, allora "non ha assolutamente senso". Invece, "se è un qualche cosa che orienti o incentivi la ricerca del lavoro", dice il deputato della Lega, allora "può essere valutato".

Di sicuro le tensioni nel centrodestra non sono sopite. E Brunetta, che ieri ha fatto sapere di voler rinunciare all'incarico di capogruppo forzista, parla di un rischio di subalternità di Salvini nei confronti di Di Maio: "Io continuo a dire che il centrodestra ha leadership plurali. O queste leadership riescono a fare sintesi e allora il centrodestra è forte. Se non riescono a fare sintesi il centrodestra non esiste più. Esiste solo Salvini, ma Salvini ha solo il 17%, e cioè è totalmente subalterno al Movimento Cinquestelle". La strada per Palazzo Chigi, insomma, è ancora tutta in salita.

Ospite di In mezz'ora in più, il segretario reggente del Pd Maurizio Martina sottolinea come l'intesa tra Centrodestra e M5s sulle presidenze delle Camere rappresenti "un fatto politico nuovo", indicativo di quanto potrebbe succedere anche a livello di esecutivo. "Non mi si dica - dice Martina - che la partita delle scelte dei presidenti di Camera e Senato è distinta dal governo. Lo dicano ai loro elettori, Lega e M5s: c'è un disegno complessivo".

Quanto al Pd, in questa partita "noi ascolteremo le indicazioni del presidente Mattarella - chiarisce ancora il segretario reggente -, ma non voglio anticipare scenari che non mi competono. Non voglio neanche lontanamente strattonare il Capo dello Stato; e saremo con lui nella valutazione dello scenario. Calma". "Non spetta a noi ora - ribadisce - indicare una via. Saremo rispettosi di quello che il presidente della Repubblica dirà, ma l'onere di indicare una prospettiva al Paese uscendo dalla propaganda spetta a chi ha vinto. Da parte nostra è un atto di responsabilità. Se non saranno in grado di garantire una prospettiva, dovremo lavorare sodo e mettere a disposizione la nostra forza per il Paese. Ma oggi si deve rendere evidente che c'è chi sposta l'asse programmatico rispetto alle promesse fatte prima del 4 marzo".

© Riproduzione riservata 25 marzo 2018

Da - http://www.repubblica.it/politica/2018/03/25/news/governo_lega_salvini_brunetta_giorgetti-192211261/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P3-S1.8-T2
« Ultima modifica: Aprile 01, 2018, 07:58:30 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #12 inserito:: Aprile 01, 2018, 07:59:16 pm »

ANTICIPAZIONE

Chi c'è dietro Matteo Salvini? Dagli amici russi ai riciclati del Sud

I trasformisti che riempiono le liste da Roma in giù. E gli uomini e le aziende che si avvantaggiano dell'alleanza con Putin.

L'inchiesta dell'Espresso in edicola da domenica 11 febbraio svela i legami pericolosi del Carroccio

DI GIOVANNI TIZIAN E STEFANO VERGINE
09 febbraio 2018

Legami pericolosi. L'ombra del Cremlino a Est, quella delle clientele e degli impresentabili al Sud. Matteo Salvini ha rivoluzionato così il partito dopo aver archiviato le stagioni di Bossi e Maroni. Un Carroccio al verde, sostiene il leader che studia da premier. E per questo alla costante ricerca di finanziatori. Ma anche una Lega che insegue il colpaccio sotto Roma per sancire la trasformazione in partito nazionale. E che per farlo ha imbarcato di tutto. A ricostruire la rete di persone e interessi che si muove dietro il nuovo Carroccio è una dettagliata inchiesta dell'Espresso in edicola da domenica 11 febbraio.

Matteo il russo
Si parte dalla Russia: delle simpatie per Putin, Salvini infatti non ne ha mai fatto mistero. L'ufficiale di collegamento si chiama Sergey Zheleznyak, 47 anni, delegato del Cremlino ai rapporti con i partiti europei. È lui l'uomo che per conto di Vladimir Putin ha sancito l'alleanza ufficiale con Matteo Salvini lo scorso marzo a Mosca. Un patto raggiunto dopo quattro anni di corteggiamenti, visite, prove di fedeltà.

Gianluca Savoini è, invece, il delegato italiano a mantenere i rapporti con la Russia. Ex giornalista de La Padania, 54 anni, per qualche tempo suo portavoce personale, per raccogliere imprese-amiche Salvini ha scelto proprio lui, che vanta parecchie conoscenze nel mondo russo, e negli ultimi anni si è recato di continuo nella Federazione. Insieme ad altri leghisti ha creato l'associazione Lombardia-Russia, il cui presidente onorario è Aleksey Komov, dell'associazione ultracattolica World Congress of Families, responsabile internazionale della Commissione per la Famiglia del Patriarcato ortodosso di Mosca e grande amico dell'oligarca Konstantin Malofeev, già molto attivo nei rapporti tra il Cremlino e i francesi del Front National.

L'appoggio più visibile in Italia Salvini lo ha trovato però in una organizzazione russa. La sede è a Palazzo Santacroce, un elegante edificio barocco nel centro di Roma, a due passi dal ministero della Giustizia. Si chiama Rossotrudnicestvo, in italiano Centro Russo di Scienza e Cultura, controllato dal ministero degli Esteri.

Anton Shekhovtsov, politologo che insegna in Austria all'Institute for Human Sciences, è uno dei massimi esperti delle relazioni fra Mosca e i movimenti politici europei. Secondo Shekhovtsov, Rossotrudnichestvo è oggi «il maggior strumento usato dalla Russia per esercitare soft power in Paesi stranieri», presente in almeno 25 nazioni e con 600 dipendenti all'attivo. Una rete politico-diplomatica che può contare sui generosi fondi del Cremlino.
Tutti i nomi e le aziende che collegano la Russia alla Lega li trovate sull'Espresso in edicola da domenica 11 febbraio

Cosa c'è dietro la felpa di Matteo Salvini, il leader che sta trasformando la Lega, da Padana a Sovranista? Nell'inchiesta di copertina firmata da Giovanni Tizian e Stefano Vergine, tutti i legami pericolosi del Carroccio. Trasformisti e impresentabili, per conquistare il Sud. E uomini legati a Putin per riempire le casse. Domenica in edicola con Repubblica

La Lega va al Sud
Negli stessi anni in cui tesseva la rete di rapporti per sfondare il fronte russo, la truppa leghista si è data da fare anche per mutare pelle in politica interna. Dall'indipendentismo al nazionalismo. Per farlo è stato necessario trasformare la Lega in un partito presente in ogni regione, anche al Sud. Con il movimento Noi con Salvini, il leader del Carroccio, ha gettato le basi per contare sempre di più a livello nazionale, il collante che ha legato Palermo a Milano, Reggio Calabria a Varese è la guerra totale all'immigrazione.

Il primo banco di prova sono state le Regionali siciliane, dove insieme a Fratelli d'Italia ha ottenuto il 5,6 per cento. Un risultato che ha aperto per la prima volta le porte dell'Assemblea regionale a un deputato leghista. Non esattamente un volto nuovo, bensì un riciclato dei vecchi partiti della clientela democristiana. E già indagato.

Non l'unico trasformista in Sicilia. Il segretario nazionale di Noi con Salvini e responsabile della Lega sicula è Angelo Attaguile. Suo padre Gioacchino è stato sottosegretario e ministro nei governi Rumor e Colombo, lui, democristiano da una vita, è legatissimo a Raffaele Lombardo, l'ex presidente di Regione condannato in appello per voto di scambio. Attaguile si è speso molto per la causa, al punto da mettere a disposizione, come racconta L'Espresso, l'abitazione romana di via Cesi dove risulta tuttora registrata la sede del movimento incubatore della Lega nazionale.

In Calabria, invece, Salvini ha puntato sulla destra sociale, sovranista. Con lui, infatti, si è schierato l'ex governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, condannato per abuso e falso e sotto inchiesta della procura antimafia di Reggio Calabria. Non sarà candidato per evitare imbarazzi al capo leghista, ma non ha rinunciato a infilare in lista sue pedine. È, invece, in lizza per un posto da deputato Domenico Furgiuele, segretario della Lega-Noi con Salvini in Calabria. Suo suocero è un imprenditore con i beni sotto sequestro dall'antimafia. E non solo.
L'inchiesta sui riciclati confluiti nel partito di Salvini nell'inchiesta dell'Espresso in edicola da domenica 11 febbraio

© Riproduzione riservata 09 febbraio 2018

Da - http://espresso.repubblica.it/inchieste/2018/02/09/news/matteo-salvini-russia-riciclati-1.318144
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« Risposta #13 inserito:: Aprile 04, 2018, 12:40:09 pm »

Esclusivo: i conti segreti di Matteo Salvini
Milioni investiti illegalmente. E la onlus Più voci per incassare i soldi dei finanziatori.
Ecco cosa nasconde la Lega.
L'inchiesta in edicola domenica 1 aprile

DI GIOVANNI TIZIAN E STEFANO VERGINE
30 marzo 2018

Dov’è finito il tesoro della Lega? Dove sono spariti i 48 milioni di euro che il tribunale di Genova vorrebbe mettere sotto sequestro dopo la condanna di Bossi per truffa ai danni dello Stato? Da mesi i giudici di Genova sono a caccia di quei denari. Finora sui conti del Carroccio sono stati però rinvenuti poco più di 2 milioni. E gli altri? «Oggi sul conto corrente della Lega nazionale abbiamo 15 mila euro», ha detto lo scorso 3 gennaio Matteo Salvini, l'aspirante premier, l'uomo che vuole l'incarico di governo e che non perde occasione per ricordare come il suo partito sia senza un quattrino.

Alcuni documenti bancari, tuttavia, aiutano a comprendere meglio che fine ha fatto la ricchezza leghista. Facendo emergere un fatto inedito: sia sotto la gestione di Roberto Maroni, sia in seguito sotto quella di Salvini, parecchi milioni sono stati investiti illegalmente. Una legge del 2012 vieta infatti ai partiti politici di scommettere i propri denari su strumenti finanziari diversi dai titoli di Stato dei Paesi dell’Unione europea. Il partito che si batte contro «l’Europa serva di banche e multinazionali» (copyright di Salvini) ha cercato di guadagnare soldi comprando le obbligazioni di alcune delle più famose banche e multinazionali.

L'inchiesta sui milioni nascosti dall'uomo che vuole diventare premier in copertina sul nuovo numero
Ma c'è di più. In questa trama finanziaria si ritaglia un ruolo anche un'associazione finora sconosciuta. Si chiama Più voci. Una onlus come tante, ma di area leghista. Con una particolarità: è usata dalla Lega per ricevere finanziamenti dalle aziende, denari girati subito dopo a società controllate dal partito.

L'associazione è stata creata da tre commercialisti fedelissimi a Salvini nell’ottobre del 2015, nel pieno del processo per truffa contro Umberto Bossi e l'ex tesoriere Francesco Belsito. Non ha un sito web, né sembra attiva nel dibattito pubblico. Di certo, però, su quel conto corrente hanno lasciato traccia lauti bonifici.

Chi ha finanziato la sconosciuta Più voci? L'Espresso, in edicola da domenica 1 aprile, pubblicherà i nomi delle aziende e degli imprenditori (insospettabili leghisti) che hanno offerto il loro contributo alla Lega sovranista di Salvini.

Alle domande de L’Espresso, il partito guidato da Salvini ha preferito non rispondere. Ha commentato, invece, chi ha versato parte dei contributi sul conto della onlus.

Matteo Salvini è uno dei nuovi potenti di questo paese. Ma quali sono i suoi rapporti con il mondo economico? L'Espresso di questa settimana ha voluto indagare sui conti segreti del leader leghista, sui milioni investiti in modo illegale e sulla onlus usata per sfuggire ai giudici. L'inchiesta esclusiva su quello che non dice l'uomo che vuole l'incarico di governo. Inoltre sul giornale anche la graphic novel di Mauro Biani e Carlo Gubitosa e un racconto su Roma firmato dal grande scrittore Hanif Kureishi. Il tutto sull'Espresso in edicola da domenica 1 aprile
   
© Riproduzione riservata 30 marzo 2018

Da - http://espresso.repubblica.it/inchieste/2018/03/28/news/i-conti-segreti-di-matteo-salvini-1.320080?ref=HEF_RULLO
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« Risposta #14 inserito:: Aprile 16, 2018, 11:43:23 am »

La Casa Bianca al futuro governo: “Non togliete le sanzioni a Mosca”

Parla Volker, inviato dell’amministrazione Trump in Ucraina. “La Lega sbaglia, le misure europee vanno casomai rafforzate”

Pubblicato il 16/04/2018 - Ultima modifica il 16/04/2018 alle ore 07:34

PAOLO MASTROLILLI
INVIATO A NEW YORK

«L’Italia non può togliere le sanzioni alla Russia senza subire gravi conseguenze». Con queste parole Kurt Volker, inviato speciale dell’amministrazione Trump per l’Ucraina, non intende lanciare un avvertimento, ma sottolineare un dato di fatto: «Sono misure europee, non italiane. Non rispettarle provocherebbe prima di tutto un problema con Bruxelles».

Entriamo nel dettaglio. Le elezioni del 4 marzo sono state vinte dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega. Matteo Salvini, che potrebbe diventare il prossimo premier italiano, ha detto che se andasse a Palazzo Chigi toglierebbe le sanzioni a Mosca. Quale sarebbe l’impatto, se l’Italia rompesse il fronte occidentale? 

«Mettiamo la questione nel contesto. La Russia non ha rispettato l’obbligo di applicare l’accordo di Minsk e ristabilire la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, dove è in corso una guerra in cui la gente muore. Poi ha fatto altre cose, come l’attacco con i gas nervini in Gran Bretagna. In questo quadro, togliere le sanzioni sarebbe esattamente il segnale sbagliato da dare. Dobbiamo garantire che le sanzioni restino in vigore, e magari vengano rafforzate, a causa delle azioni russe. Il secondo elemento da notare è che non sono solo misure italiane, ma europee. L’Ue si è accordata sul quadro e il contenuto delle sanzioni: se l’Italia non le applicasse avrebbe un problema prima di tutto con Bruxelles. Ciò mi rende ottimista, nonostante le posizioni prese dalla Lega, perché sul piano pratico l’Italia non può togliere le misure senza che ci siano gravi conseguenze».

Negli ultimi tempi sono state denunciate molte interferenze russe nei processi politici occidentali, incluse le elezioni italiane. Liberarsi delle sanzioni è una motivazione di questi attacchi? 

«Credo di sì, ma dobbiamo chiarire il contesto. La Russia sta cercando prima di tutto di creare caos e confusione. Vuole che la gente dubiti dei fatti che vede con i propri occhi, promuovendo una realtà alternativa. Sta cercando di favorire movimenti divisivi anti europei, anti immigrazione, anti legalità. Appoggia gruppi di estrema destra, estrema sinistra, o nazionalisti, per indebolire l’Occidente e le sue politiche. In questo quadro, certamente vuole che le sanzioni vengano tolte, e appoggia qualunque movimento prometta di farlo».

Cosa chiede agli alleati europei e della Nato, per aiutarla a raggiungere una pace stabile in Ucraina? 

«Prima di tutto tenere le sanzioni in vigore, e considerare di incrementarle, se la Russia continua sulla strada attuale. Noi le abbiamo rafforzate, varando misure contro persone molto vicine al presidente Putin: sarebbe molto utile vedere che la Ue si unisse a noi. Secondo, ribadire la volontà di contribuire ad una forza di pace con mandato Onu, per facilitare l’applicazione dell’accordo di Minsk. Credo ci sia una forte disponibilità di molti Paesi europei a partecipare e sostenere questa idea, tenendola sul tavolo affinché i russi sappiano che c’è una via praticabile per mettere fine a questo conflitto, se lo vogliono. Terzo, ribadire il rifiuto del riconoscimento della presunta annessione della Crimea. Per ogni Paese europeo dovrebbe essere inaccettabile che un altro Paese si annetta un territorio con la forza».

Il gasdotto Nord Stream 2, che collega la Russia alla Germania aggirando l’Ucraina, deve andare avanti o essere sospeso? 

«La seconda opzione. Nord Stream 2 rafforza la dipendenza europea dal gas russo. La prima cosa da fare è assicurare la diversità nella fornitura del gas all’Europa, in modo che non ci sia più una condizione di bisogno da Mosca. Il gas russo può essere parte della fornitura, ma insieme ad altri attori internazionali. E deve essere basato sui prezzi di mercato, non sulla dipendenza e dominanza. Al momento la situazione non è questa, perciò la questione del transito dall’Ucraina deve essere affrontata prima di tutto, come ha detto la stessa cancelliera tedesca Merkel. Poi bisogna proseguire lo sviluppo e l’accesso a fonti di rifornimento non russe, cioè americane, norvegesi, africane, del Qatar. Una varietà di fonti devono essere sviluppate, per non creare la dipendenza dalla Russia».

L’attacco lanciato alla Siria per l’uso delle armi chimiche è anche un segnale alla Russia. Perché è importante che il fronte occidentale sia unito su questo punto? 

«Il sostegno politico è fondamentale, molto, molto importante. Lo scopo non è colpire la Siria o provocare un conflitto con la Russia, ma fermare l’uso delle armi chimiche e porre le basi per la fine del conflitto. È importante che la Russia veda come non si tratta solo di un’azione o un obiettivo americano, ma di un ampio fronte di Paesi, la comunità democratica, gli alleati Nato. Dobbiamo domandare insieme che Mosca si comporti correttamente, non continui a tollerare l’uso delle armi chimiche da parte di Assad, e favorisca la risoluzione del conflitto».

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