LEGA e news su come condiziona il governo B.

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16/4/2008
 
I cattolici sul Carroccio
 
FRANCO GARELLI

 
Voto cattolico in libertà o voto cattolico ininfluente? Voto cattolico ormai cristallizzato (tra destra e sinistra) o voto cattolico capace di dar vita in prospettiva a nuove aggregazioni? Attorno a interrogativi come questi si può costruire una prima analisi del risultato elettorale riferito alle sorti di un’area sociale che si considera importante o decisiva per le dinamiche pubbliche.

Da vari anni il pluralismo delle scelte politiche è un tratto del cattolicesimo italiano, con una quota di soggetti che l’ha praticato da sempre, mentre la gerarchia l’ha riconosciuto ufficialmente soltanto dopo la crisi acuta della Dc, a seguito di Tangentopoli e dintorni. Da allora lo slogan prevalente è che la Chiesa non dà indicazioni politiche e che i cattolici possono votare per partiti o schieramenti diversi, a patto che essi non siano contrari alla fede e ai valori «cattolici». È la teoria - più volte ribadita - del voto libero, ma non indifferente.

Ma non ci volevano certo queste elezioni per confermare che il mondo cattolico vota ormai in libertà. Piuttosto, ciò che emerso dalle urne due giorni fa offre al riguardo ben altre e più interessanti indicazioni.

Anzitutto che il successo elettorale della Lega nel Nord Italia sia in parte dovuto ad un mondo cattolico che trova nelle visioni e nel linguaggio del Carroccio vari motivi di assonanza e di convergenza. Il processo iniziato vent’anni fa nel Veneto bianco sta contagiando altre Regioni del Nord, in mancanza di risposte diverse. Chi ben conosce la provincia settentrionale conferma l’impressione che la Lega abbia calamitato il voto di non pochi cattolici, non soltanto di quelli tiepidi, ma anche dei più attivi e convinti, che frequentano con assiduità gli ambienti religiosi. Si tratta di un mondo che non ama i grandi cambiamenti, preoccupato di un cambio di scenari che minaccino le conquiste personali e famigliari realizzate nel tempo. Non tutto questo voto può essere considerato conservatore o razzista o così etnocentrico da guardare ai diversi come ad un nemico. Ma è indubbio che l’aumento degli immigrati stranieri, la crescita dell’Islam, la paura dell’impoverimento, la crisi del ceto medio, la facciano da padrona in una popolazione che difende anzitutto gli equilibri locali e che chiede di affrontare con gradualità il nuovo che avanza. La voce della protesta, un linguaggio concreto, il richiamo ad un «senso del noi» che offre appartenenza, possono aver fatto ulteriore breccia in un mondo cattolico portato - dalla sua vocazione moderata - a enfatizzare la questione dell’ordine pubblico e dell’integrità locale.

La seconda indicazione di queste elezioni è il debole peso del voto identitario cattolico. Mi riferisco al successo limitato del partito di Casini, che ha puntato a mobilitare la gente non soltanto con una proposta centrista e moderata, ma soprattutto proponendosi come una casa naturale per quanti (i cattolici in particolare) intendono difendere e promuovere il ruolo pubblico della religione. In particolare, però, non ha funzionato il richiamo di Pezzotta, che intendeva mietere il grano di una mobilitazione cattolica di popolo come quella del Family Day. Parte del mondo cattolico si coinvolge e scalda i muscoli in eventi para-religiosi come questi, ma essi non hanno una valenza politica, non sono luoghi o serbatoi di mobilitazione politica. Chi prende parte a questi avvenimenti può ritenere che i valori cari ai cattolici (vita, famiglia, bioetica, educazione, ecc.) siano meglio promossi o rappresentati più dai partiti del centro-destra che da nuove e incerte formazioni politiche orientate a creare nuove aggregazioni.

Il voto identitario cattolico, poi, sembra di debole peso anche in quel centro-sinistra che non è stato in grado di far breccia sui cattolici moderati politicamente incerti o delusi dal modello di Berlusconi. Nel Pd non mancano certo dei cattolici «ultras», ma essi si mescolano a gruppi di cattolici aperti sui temi della laicità, convinti del vantaggio pluralistico di convivere oggi con altre sensibilità culturali e politiche.

È stato detto che Veltroni ha perso la sinistra, ma anche il centro; e che l’asse Berlusconi-Fini si è spostato troppo a destra per permettere ad ampie quote di cattolici di riconoscersi nella loro linea politica. In questo scenario si può prevedere la nascita (dopo tanti anni) di un figlio della Balena bianca, capace di alterare gli attuali equilibri? Il centro politico può alimentarsi in futuro di cattolici insoddisfatti sia dello stile politico di Berlusconi, sia di un Pd che relega i cattolici ad una componente un po’ in sottotono del centro-sinistra? Nell’attuale bipolarismo rafforzato questa eventualità appare remota. Il tutto comunque dipende da quanto i cattolici dei due schieramenti si sentano a proprio agio nelle rispettive «case»; e dalla capacità di un centro cattolico di innovare la scena con un grande progetto politico. Come sempre, cercasi un leader, disperatamente.
 
da lastampa.it

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16/4/2008
 
Lega di governo
 
 ANDREA ROMANO
 

C’è un partito che nell’ultimo decennio ha governato un quarto del Paese, ha prodotto una classe dirigente spesso giovane e competente ed è persino riuscito a sopravvivere alle proprie cattive maniere. Quel partito è la Lega e potrebbe diventare il motore riformatore del governo Berlusconi, se solo arriverà a completare il cammino di trasformazione avviato in questi anni. Dietro lo schermo del cabaret celtico e delle grida di secessione, Umberto Bossi è riuscito a dare solidità ad un movimento politico ormai lontano dalla rappresentazione zotica e valligiana a cui troppe volte ci siamo affidati.

Sempre più simile ad una Democrazia cristiana del Nord anche per la dimensione dei consensi che raccoglie in tre grandi regioni (e giustamente Stefano Folli rimandava ieri sul Sole-24 Ore all’esempio della Csu bavarese), la Lega si compone di anime diverse e conflittuali che Bossi ha tenuto insieme con un mix tra pugno di ferro, mitologia della resurrezione e scuola di buona amministrazione locale.

Ha tenuto la componente chiassosa e razzista insieme con quella pragmatica e moderata guidata da Roberto Maroni, i reduci della Guardia Padana accanto alla schiera dei circa duecento sindaci in gran parte quarantenni, la vecchia guardia insurrezionale insieme con il gruppo parlamentare più giovane della legislatura appena conclusa. Un partito che nel corso degli anni si è fatto sempre più articolato, presentandosi in molte realtà con il volto rassicurante di giovani preparati (come quello del leader piemontese Roberto Cota) che da domani potranno avere ancora più spazio nell’agone nazionale. La Lega è dunque approdata allo status di forza responsabile di governo?

Dipenderà da come verranno espresse in Parlamento e metabolizzate dalla nuova stagione berlusconiana le domande che vengono dal suo elettorato, anch’esse molto diverse dal passato. Se queste elezioni hanno brutalmente semplificato il quadro parlamentare, il voto leghista è portatore di una ulteriore carica di semplificazione politica. Filtrate dalla stagione del governo debole e dell’antipolitica, le sue richieste si sono fatte più concrete e meno sovversive. Quali servizi e quali infrastrutture per le tasse che paghiamo? Chi risponde dei fallimenti della burocrazia e dell’amministrazione pubblica? Chi difende i miei interessi di cittadino?

Domande crude, lontane dalla correttezza politica e dal bon ton consociativo in cui si sono impantanati i progetti riformatori dell’ultimo quindicennio (compreso l’ultimo governo Berlusconi). Domande alimentate da una voracità democratica e radicale a cui la leadership della Lega dovrà rispondere: accantonando definitivamente il teatro secessionista che l’ha resa celebre e traducendo in concreti atti politici la richiesta di innovazione che viene dal suo elettorato. Nonostante la semplificazione parlamentare, la nuova maggioranza di governo contiene al proprio interno idee assai diverse sull’opportunità e la profondità delle riforme da introdurre nel Paese. Tra lo statalismo di An e il liberismo spesso solo propagandistico di Forza Italia, la Lega potrebbe rivelarsi il reagente indispensabile ad una vera stagione di rinnovamento. In fondo è quello che chiede il suo elettorato, nel quale si sono trasferiti consensi provenienti da tradizioni politiche anche molto distanti (come ci racconta il voto operaio che Bossi ha raccolto in misura assai più rilevante che in passato). Come accade in politica, quei consensi non sono per sempre e potrebbero facilmente volatilizzarsi se la Lega scegliesse la strada antica e priva di sbocchi del folklore invece di quella suggerita dai nuovi «spiriti animali» che le hanno restituito forza e visibilità.

 
da lastampa.it

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POLITICA

I FLUSSI ELETTORALI. Il travaso anche verso il Pdl

La Lega prende a tutti i partiti.

Di Pietro raccoglie ovunque

Sinistra Arcobaleno un voto su due al Pd

Statico il voto di Berlusconi e Fini che però portano a casa l'80% del voto del 2006

di SILVIO BUZZANCA


 ROMA - La sinistra si è liquefatta nelle urne e più o meno metà dei suoi voti sono finiti nel carniere di Walter Veltroni e Antonio Di Pietro. E qualche cosa ha raccolto il Pdl di Silvio Berlusconi. I dati arrivano da una prima ricerca condotta da Consortium per Rai e Sky sui flussi elettorali. E i numeri non lasciano dubbi su dove sono finiti i voti che Bertinotti, Diliberto e Pecoraro Scanio avevano nel 2006. Il 40, 3 per cento dei voti di Rifondazione è passato al Pd. E il 6,3 per cento ha preso la via dell'Italia dei Valori. Il totale fa 46,9 per cento. Ancora più alto il dato che riguarda il Pdci. Il 48,1 per cento dei voti è finito a Veltroni e il 6,4 per cento a Di Pietro. Complessivamente si tratta del 55,5 per cento dei consensi dei comunisti italiani. Infine i Verdi. Al Pd è andato il 45,1 per cento e all'Idv l'11,3 per cento. La somma fa 56,4 per cento.

Secondo Piepoli, è rimasto fedele a Bertinotti il 38,4 degli elettori, a Diliberto il 20 per cento e a Pecoraro Scanio il 24,8 per cento. Ma ci sono voti migrati persino verso Berlusconi. Il 5,1 per cento dei rifondaroli, il 5,6 per cento dei comunisti e addirittura l'8 per cento dei verdi il 13 aprile ha scelto il Cavaliere. Infine, il tracollo è completato dal flusso di voti in uscita che si è diretto a sinistra. Marco Ferrando e il Partito comunista dei lavoratori hanno portato via solo lo 0,4 per cento a Rifondazione e l'1 per cento ai Verdi. Ma hanno "succhiato" l'11 per cento al partito di Diliberto. Sinistra Critica di Franco Turigliatto ha portato via il 5,4 per cento a Bertinotti, il 3,8 a Diliberto e il 2 per cento agli ambientalisti.

Questi i calcoli di Consortium dei voti in uscita dalla Sinistra Arcobaleno. Quelli sui voti in entrata gli fanno dire che siamo di fronte ad un Pdl "conservatore", un Pd "statico", un Di Pietro "raccattatore" e una Lega "vampira". E l'Udc, invece può essere definita "rimescolatrice". In concreto vuol dire che il 26 per cento dei voti di Di Pietro sono di elettori che lo avevano votato nel 2006. Il 36,3 per cento arriva invece da elettori che avevano votato l'Ulivo. Il 4,8 per cento aveva votato Forza Italia e il 3,5 per cento An. Un 6,4 per cento dichiara di avere votato nel 2006 Rifondazione e il 2,2 i Verdi. Insomma l'ex pm riceve contributi un po' da tutti.

Il Pd presenta invece un nucleo "forte" del 63,9 per cento che conferma la scelta fatta nel 2006. Il 6,6 per cento è composto da elettori in arrivo da Rifondazione, il 2,2 viene dal Pdci, l'1,5 dai Verdi. Di Pietro cede invece solo l'1,6 per cento. E l'1,7 viene da chi nel 2006 aveva scelto la Rosa nel Pugno. Come se gli elettori radicali avessero accolto in gran parte l'appello di Pannella a votare Pd.

Questo apporto radicale sarebbe dietro anche al grande rimescolamento al centro. Il partito di Casini, infatti, avrebbe incassato il 13,6 per cento di voti da ex elettori ulivisti. Rifugiatisi da Casini forse per paura del "laicismo " radicale. Ma i centristi hanno portato via voti anche a Forza Italia, il 15,5 per cento, e ad An, il 7,2 per cento. E per completare la rivoluzione dell'elettorato centrista bisogna sottolineare che solo il 34,4 per cento del voto Udc arriva da elettori centristi del 2006. Infine Casini si è portato a casa un 2,4 per cento di voti da elettori orfani di Mastella.

Grande movimento anche fra gli elettori leghisti. Le indagini dell'Istituto Cattaneo dicono che Forza Italia e An hanno perso circa 800 mila nel Nord. Un dato confermato dagli studi di Piepoli. Nel bottino di Bossi il 30,3 per cento arriva da elettori che nel 2006 aveva votato Berlusconi e Fini: il 18,9 da Forza Italia e l'11,4 da An. Dati, come gli altri, sottostimati di uno o due punti, perché il 5,5 per cento del campione non ha dichiarato per chi ha votato. A dimostrazione della mobilità del voto leghista c'è da notare che solo il 45,4 per cento de risultato di è una conferma del voto del 2006. E ne conto un 2,9 per cento arriva da elettori ulivisti del 2006. Alla mobilità leghista corrisponde la fedeltà, la staticità del voto del Pdl. Quasi l'80 per cento del voto del Pdl è una conferma del 2006. In percentuale il 62 per cento proviene da elettori che nel 2006 avevano scelto il Cavaliere. E il 17,1 dei finiani.


(17 aprile 2008)

da repubblica.it

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17/4/2008 (7:13) - IL PRIMO VERTICE

Ministri, Bossi incalza Berlusconi

Il Senatur preme: «Parlano i numeri»

Il Cavaliere: verso scelte impopolari


ROMA
Umberto Bossi ha ammesso a Montecitorio che nel vertice di ieri del centrodestra non si è combinato «niente». In effetti, uno dei momenti di tensione durante il vertice è stato quando la Lega ha reclamato 4 ministeri. «Parlano i numeri delle elezioni», hanno spiegato al Cavaliere gli esponenti leghisti.
Unica subordinata, la possibile rinuncia di Roberto Formigoni alla presidenza della Lombardia, che aprirebbe le porte a una candidatura leghista al Pirellone e ridimensionerebbe le richieste del partito di Bossi. Anche Alleanza nazionale non ha gradito la posizione leghista, visto che uno stesso numero di ministeri dovrebbe toccare ad An. Dal partito di Fini si immagina invece che al Carroccio possano spettare 3 ministeri, di cui uno di peso, e un posto di vicepremier.

Per Silvio Berlusconi serve, comunque, un effettivo rinnovamento. «Ci saranno momenti difficili e servirà- ha detto - un forte rinnovamento per fare quelle riforme necessarie al Paese. Alcune di queste avranno anche caratteri di impopolarità». Berlusconi, durante una conferenza stampa a via del Plebiscito, non ha nascosto la possibilità che il suo Governo possa assumere decisioni «impopolari», per risanare la situazione economica.

da lastampa.it

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17/4/2008 (14:0) - IL DOPO ELEZIONI - IL CAVALIERE AL LAVORO SULLA SQUADRA DI GOVERNO

Ministri, Bossi sfida Berlusconi: "Basta con i vertici, subito i nomi"
 
Il Carroccio polemico con gli alleati: «Noi parliamo solo con Berlusconi».

Il Cavaliere: «Non c'è nessuna lite».

Ed è scontro Pd-Pdl sul dopo-Frattini


ROMA
Che non fosse solo una insoddisfazione "tattica" si era capito già ieri. Umberto Bossi lo aveva detto a chiare lettere, lasciando la Capitale: il vertice del Pdl sulla squadra di governo si è rivelato inutile. E non bastano le rassicurazioni di Silvio Berlusconi a placare gli animi nella Lega.
I paletti della Lega
Forte del successo elettorale e di fatto "titolare" dei destini del futuro governo, il Carroccio butta sul tavolo le sue condizioni. Federalismo e sicurezza, questi i temi indicati come priorità dalla segreteria politica di via Bellerio. E soprattutto l’intenzione di rafforzare il rapporto privilegiato con il leader del Pdl. «Per quanto riguarda la Lega Nord, le prossime riunioni saranno tenute solo con Silvio Berlusconi», si legge nella nota diffusa al termine della riunione. Al Cavaliere la Lega chiede di proporre la squadra dei ministri al più presto.

Il Cavaliere: nessun litigio
Alleanza nazionale tiene bassi i toni. «Con chi altri se non con Berlusconi, che rappresenta tutto il Popolo della libertà e che sarà il futuro presidente del Consiglio, dovrebbero parlare i leghisti?», è la replica di Andrea Ronchi alla sparata del Carroccio. Da An, intanto, arriva la conferma che Gianfranco Fini sarà il prossimo presidente della Camera: «Probabilmente sì», ammette le stesso leader di An. Ma la presa di posizione di via Bellerio arriva dopo che Berlusconi aveva assicurato che non c’è nessun dissidio nella formazione del governo. «Non è vero che nel vertice di ieri abbiamo litigato. Si è svolta una riunione assolutamente positiva e di grande soddisfazione. Mi è stato dato il mandato per quanto riguarda la preparazione della squadra dei ministri», aveva detto.

«Linguaggio paradossale»
Quanto a Bossi che si lamenta del fatto che non si è «combinato niente», il Cavaliere attribuisce quelle frasi al «linguaggio paradossale, iperbolico e metaforico» del Senatùr. E spiega: «Lui riteneva che l’incontro fosse basato sui nomi dei ministri, mentre io non avevo questa intenzione, perchè aspettavo ancora di vedere i sessanta di tutta la squadra e di calibrare competenze, esperienze e presenze di copertura del territorio». «Credo infatti - insiste il leader del Pdl - sia giusto presentare una squadra equilibrata e distribuita sul territorio in modo che nessuna regione venga esclusa questo è un lavoro che sto facendo con i miei collaboratori. Ho detto ai miei alleati che quando avrò pronta la squadra ci ritroveremo e loro mi faranno le loro osservazioni».

«Parleremo solo con Berlusconi»
La "questione padana" si intreccia con la formazione del nuovo governo. In ballo, oltre alla rappresentanza della Lega a Palazzo Chigi, anche il futuro della regione Lombardia, legato appunto alla permanenza di Roberto Formigoni al Pirellone. È anche sotto questa luce che vanno lette le posizioni della Lega. «Dopo l’inutile vertice romano -si legge nella nota- la segreteria ha deciso che, per quanto riguarda la Lega Nord, le prossime riunioni saranno tenute solo con il leader del Popolo della Libertà, Silvio Berlusconi. La segreteria politica ha ribadito che la Lega Nord ha ricevuto l’imperativo mandato dagli elettori di risolvere le questioni legate al federalismo e alla sicurezza. Pertanto, visto lo straordinario risultato ottenuto su questi due temi, non è possibile derogare dall’assoluto rispetto dello stesso».

Castelli frena: «Dalla Lega nessun malumore»
«Il momento nel Paese è talmente grave che è necessario -avverte il Carroccio- vengano prese decisioni rapidissime. È pertanto utile nell’interesse di tutti, pur nel rispetto delle prerogative del presidente della Repubblica, che il presidente del Consiglio in pectore, Silvio Berlusconi, proponga, così come vuole la Costituzione, nel più breve tempo possibile la composizione del governo». La palla passa quindi a Berlusconi. Anche Gianfranco Rotondi sposa la linea della Lega. «Bossi ha ragione: ci siamo fidati di Berlusconi, non servono nè vertici, nè comitati, nè commissioni che fanno gli esamini. Ognuno con la propria forza ha messo i propri destini nelle mani di Silvio. Faccia le sue scelte e siamo sicuri -garantisce il leader della Dca- che saranno giuste». La Lega Nord, spiega Roberto Castelli, non nutre alcun «malumore: abbiamo semplicemente sottolineato quella che riteniamo una questione politica».

Il nodo della presidenza della regione Lombardia
Il nervo scoperto resta la futura poltrona di governatore della Lombardia. Il candidato in pectore della Lega è lo stesso Castelli che si dice convinto che «Formigoni rimarrà in regione». Nella partita entra anche l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, lanciato dall’azzurro Maurizio Lupi. «Albertini è autorevole, e il Pdl -glissa Castelli- ha preso tanti voti». «Diciamo -spiega ancora Castelli- che c’è una partita aperta su varie questioni, ma io continuo a pensare che Formigoni rimarrà in regione. Quindi -sottolinea l’ex guardasigilli- si sta parlando di una questione virtuale». Anche Gianfranco Fini guarda con distacco la candidatura Albertini: «I problemi si pongono quando sono reali», si limita a dire il leader di An.

Scontro Pd-Pdl sulla sostituzione di Frattini
Intanto è scontro su chi dovrà nominare il sostituto di Franco Frattini (destinato ad un incarico di governo) alla Commissione europea. Silvio Berlusconi rivendica al prossimo governo la scelta: «Sarà il nuovo governo a nominare il nuovo commissario che lo sostituirà», dice il Cavaliere. E Fini dà dei «disperati» alla sinistra che si «inventa» gli argomenti di polemica anche quando non ce ne sono. «Frattini -spiega il leader di An- è ancora lì e decide lui quando lascia... Se il 29 non fa il deputato resta commissario e non c’è nessuno da nominare. Se poi invece farà il ministro, vuol dire che c’è un governo in carica e deciderà il governo». Ma Veltroni chiede una «decisione condivisa». Pare invece chiuso il caso del presunto incontro tra Berlusconi e Walter Veltroni. Incontro smentito da entrambi: «Non ho incontrato Veltroni nè ieri nè nei giorni scorsi», taglia corto Berlusconi. Anche il leader del Pd smentisce: non c’è stato «nè un incontro e nè una conversazione telefonica. È una balla spaziale».

da lastampa.it

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