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Autore Discussione: CARLO SGORLON...  (Letto 4660 volte)
Admin
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« inserito:: Luglio 12, 2007, 04:17:58 pm »

Religione

Negli ultimi tempi sono apparsi anche libri fortemente anticristiani, come "Il codice da Vinci", oppure "Perché non possiamo dirci cristiani" del matematico Odifreddi, e un po' anche il "Gesù" di Augias e Pesce, per citare i più noti.

In questi libri ci si affanna a ridimensionare il cristianesimo, a mostrarne il carattere mitico, leggendario, e magari a farsene beffe nei modi più pesanti. Per tornare a forme più equilibrate di convivenza tra religione, politica e cultura, secondo me bisognerebbe fare alcune considerazioni preliminari, che per solito vengono dimenticate.

Nel Cristianesimo senza dubbio ci sono aspetti che hanno il volto del mito. Alcuni fatti narrati nei vangeli accettati dalla Chiesa o quelli apocrifi, contrastano radicalmente con le leggi della natura. Ci sono centinaia di libri su questo argomento. A me pare che continuare a scriverne, a insistere su di essi, con argomenti filologici, storici o, peggio ancora, satirici, sia una fatica mentale che non vale davvero la pena di essere sostenuta.

Chi è convinto che il versante dogmatico del cristianesimo sia mitico non ha bisogno di ulteriori dimostrazioni, come chi invece ha la fortuna di possedere la fede non sarà certo messo in crisi da dimostrazioni di natura scientifica, storicistica e filologica. Chi poi è persuaso che ai "miti" religiosi credano soltanto coloro che sono dotati di una mente irrazionale, o di scarsa penetrazione, s'inganna grandemente. Dante o Pascal, Rosmini o Ratzinger sono menti grandissime e misticheggianti le quali, per ragioni di struttura psichica, di cultura, di carattere, sono portati a credere e a razionalizzare ciò che ai non credenti pare soltanto mito. Ci sono poi molti che per il mito ebbero o hanno forte simpatia, anche quello religioso, ed assegnano ad esso un posto di assoluto rilievo nelle strutture culturali. Per esempio Mircea Eliade e tutta la sua scuola, o intellettuali filosofi come Elemire Zolla, o intellettuali coltissimi come Roberto Calasso e Pietro Citati. Innamorati del mito erano anche Giacomo Leopardi o Federico Fellini, il quale diceva: "Noi nulla sappiamo e tutto immaginiamo".

Il mito è un modo assolutamente naturale e spontaneo per colmare tanti spazi mentali che non sappiamo come riempire in altro modo. Il mito è anche una delle vie per recuperare il legame profondo con l'Essere, che la cultura moderna, la quale ha il gusto della dissacrazione, ha perduto. La coscienza profonda di appartenere all'Essere, e di essere stati da esso generati, è una forma di religiosità elementare, possibile a tutti, anche agli increduli, anche nella nostra epoca libertaria e antidogmatica.

È il panteismo, molto diverso dall'ateismo materialistico, che è diventato la vera metafisica del nostro tempo. Se si può capire, dunque, l'avversione alle "verità rivelate", non adatte alla temperie della cultura contemporanea, non si capisce invece il gusto della dissacrazione, dell'irrisione, dell'ironia antireligiosa nel suo complesso.

Quella di Odifreddi, ad esempio. Un forte sentimento di sacralità nei confronti dell'Essere nella sua totalità è estremamente utile, sia nel versante psicologico che in quello pragmatico. Chi lo possiede è validamente sostenuto, per esempio, nella difesa della natura e dei suoi equilibri, oggi paurosamente minacciati.

Privi del sentimento della sacralità, immersi in un ateismo rozzo e unicamente pratico, la maggior parte degli uomini moderni si smarrisce nella ricerca del denaro, del potere, del sesso, del successo, della mondanità, dell'orgia, e via dicendo.

Altro versante importante della religione (più o meno di tutte le religioni) è l'etica. C'è un'etica indù, una confuciana, una buddistica, una taoista, una cristiana, una scintoista, e così via. Solo nelle religioni non evolute, non sufficientemente storicizzate, sopravvivono fanatismi, superstizioni, intolleranze, l'istinto e eliminare chi la pensa diversamente, a combattere le guerre sante, a sentire che "Dio sta dalla loro parte". Nel cristianesimo forme di questo genere cominciarono ad essere eliminate già all'epoca dei lumi, ed ora sono pressoché scomparse. Perciò l'etica cristiana oggi va difesa con ogni risorsa. Non bisogna dimenticare che nelle anime semplici, spesso, l'etica si fonda sulla religione. Le morali autonome, il "tu devi" kantiano, sono caratteristiche di minoranze colte, dal pensiero forte. Perciò, prima di scrivere libri che irridono la religione e la dissacrano, bisognerebbe pensarci su parecchio, e vedere se vale la pena di farlo. Non deve accadere di buttar via l'acqua sporca col bambino dentro. Oggi lo spazio mentale rimasto vuoto nelle coscienze con la distruzione della religione tradizionale è occupato da costumi rabbrividenti, come la droga, la violenza di ogni tipo, la mancanza di rispetto sacrale per la persona e la vita umana. Per tutti questi motivi dunque il problema del rapporto tra cultura, politica e religione va rimeditato radicalmente.

Carlo Sgorlon
 
da gazzettino.quinordest.it

« Ultima modifica: Agosto 06, 2007, 11:09:55 am da Admin » Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Aprile 24, 2008, 09:13:58 am »

Quand'ero bambino, mille anni fa, ...
 
 
Quand'ero bambino, mille anni fa, e vivevo spesso in campagna con i nonni materni, se mi avessero detto che dopo molti decenni quello delle spazzature sarebbe diventato un problema di difficile soluzione, avrei riso di gusto. In campagna la questione non esisteva proprio. I rifiuti organici decomponibili venivano portati da ogni famiglia in fondo all'orto e gettati dentro una fossa quadrata, spesso delimitata da un muretto di cemento. Era il letamaio. Col tempo il materiale diventava una poltiglia azotata, usata per coltivare i campi e gli orti.

La tragicommedia

Gli oggetti che non servivano più in casa venivano dati ai robivecchi, che battevano le strade dei paesi con i loro tricicli pittoreschi. Erano oggetti di ferro, ossi, stracci, bottiglie, ottone, carta stagnola. La plastica non era ancora nemmeno stata inventata. Lo straccivendolo non solo liberava le case di una quantità di cose diventate inutili, ma spesso dava alle casalinghe qualche moneta di rame o di nichel, che esse tenevano nella tasca del grembiale per le loro piccole spese segrete.

Così di realizzava una raccolta differenziata spontanea: metalli, stracci, vetro, carta venivano riciclati, così come anche oggi dovrebbe avvenire, visto che i bisogni dell'umanità vanno aumentando, e v'è penuria di materie prime. Era un'ottima soluzione del problema, naturale e razionale insieme.

Nelle campagne non manca chi torna a pensare a sistemi di questo genere per il problema delle spazzature. Questo ovviamente sarebbe ancora possibile nei villaggi. Basterebbe un po' di fatica, di iniziativa e di buona volontà.

E nelle città? Nei grossi centri dove sorgono i condomini, e non ci sono né giardini, né cortili, né terreno adatto a queste soluzioni? Dove le spazzature vengono raccolte in sacchi di plastica e, bruciati, sviluppano diossina, e dunque costituiscono un problema in più? Qui bisogna per forza ricorrere alle discariche in attesa che le spazzature vengano distrutte nei grandi bruciatori inventati proprio per risolvere il problema.

Essi tra l'altro producono calore, e quindi energia elettrica.

Ma qui nascono problemi e conflitti con le popolazioni locali. Esse non vogliono le discariche perché puzzano, inquinano le falde d'acqua, richiamano fitti stormi di gabbiani e di corvi, eserciti pericolosi di topi. E non vogliono neppure i bruciatori perché sono convinte che sprigionino gas dannosi per la salute. Che fare allora? Non ho seguìto tutte le fasi minute della vicenda di tanti centri dove le spazzature si sono pericolosamente accumulate per le strade. Ma la mia impressione è che molte popolazioni abbiano scartato, con manifestazioni pesanti, a volte anche violente, tutte le soluzioni, tranne una, costosissima per l'erario italiano: quella cioè di caricare le spazzature sui treni e sulle navi, e di portarle in territori semideserti del Terzo Mondo, oppure in Germania, per seppellirle nelle miniere ormai inutilizzate, o eliminarle nei bruciatori efficientissimi del Nord-europa.

I tedeschi si fanno pagare, ovviamente, ed utilizzano il materiale di scarto per incenerirlo e produrre calore e quindi energia. Ma se questo è avvenuto nel passato, non può continuare ad avvenire. Di fronte al problema delle spazzature siamo tutti uguali, come di fronte alla legge. Ogni regione e ogni provincia dovrà risolvere il problema da sè. In fondo è una questione di giustizia, se non su base individuale, che non sarebbe possibile, almeno su base collettiva.

Non volere le discariche di qualunque tipo sul proprio territorio, perché creano incovenienti, non è che una forma di mentalità infantile, perché esse sono una necessità assoluta, e non si può fingere che non esista. Ovviamente vanno scelti per le discariche i luoghi più adatti, e dalla vicenda delle spazzature bisogna ad ogni costo tener lontane le organizzazioni malavitose, che cercano di trarre guadagni sporchi da ogni possibile affare. Del resto la tecnologia moderna ha ridotto al minimo gli inconvenienti prodotti dai bruciatori. Si può anzi dire che essi sono inesistenti. Infatti nel Nord dell'Europa ce ne sono perfino nel centro delle città.

Ed è veramente ora di finirla che minoranze di violenti nevrotici continuino a dire di no ad ogni pubblica iniziativa indispensabile per la comunità: no alla Tav, no ai rigassificatori, no alle linee aeree di alta tensione, no alle centrali atomiche, no ai bruciatori, no alle nuove autostrade o alle nuove ferrovie. Qui purtroppo bisogna dire che sono gli Stati troppo permissivi che hanno prodotto questa mentalità. Certe cose si debbono fare anche se comportano qualche inconveniente o qualche rischio. Se vogliamo i servizi, dobbiamo anche accettare i disagi che essi comportano. E poi ci sono rischi e rischi, la cui gravità non può essere giudicata dalle folle, ma soltanto dagli esperti,

C'è un rischio per le città che potrebbe essere subito e facilmente eliminato. È quello di permettere alle auto di accedere ai centri storici, per rendere un po' più inquinante le strade e ostacolare il trasporto pubblico. Purtroppo non ho mai visto un corteo di protesta per questo motivo. A tutti fa comodo andare in città con la propria automobile, anche se si tratta di una delle cose più dannose e inquinanti della modernità.

Riguardo alle discariche, ci sarebbe un'altra importante osservazione da fare. Esse potrebbero ridursi alla metà, se i prodotti venissero venduti in confezioni più semplici e più facili da aprire. Meno carta, meno cartone, meno sigilli, meno plastica, meno nastri, meno di tutto. Io ho spesso difficoltà ad aprire certe confezioni di prodotti qualsiasi, specialmente alimentari, senza usare le forbici o il coltello. Pare che tra i produttori e i gestori di discariche ci sia una sorta di patto diabolico, perché il materiale protettivo, che costa molto e serve a poco, sia il più complicato possibile. À quoi bon?

Carlo Sgorlon

da gazzettino.quinordest.it
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« Risposta #2 inserito:: Dicembre 26, 2009, 11:15:15 pm »

E' morto Carlo Sgorlon, cantore del Friuli


È morto a Udine il giorno di Natale lo scrittore Carlo Sgorlon. La notizia è riferita dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia e dal presidente Edouard Ballaman che ha espresso cordoglio per la scomparsa dello scrittore e narratore che ha legato la sua vita e la sua opera al mondo friulano.

I funerali di Sgorlon, che con i suoi libri ha vinto diversi premi, si svolgeranno martedì 29 dicembre nella chiesa di San Quirino a Udine. «Di lui - ha sottolineato Ballaman - ricordiamo il carattere affettuoso e schivo, il grande amore per la sua terra, gli oltre quaranta riconoscimenti nazionali e internazionali, su tutti i due premi Super Campiello e lo Strega. Mi piace però sottolineare la continua ricerca di nuove esperienze letterarie che hanno portato Sgorlon, in cinquant'anni di attività, a un continuo innovarsi nella tradizione.

"Lingua, sentimento, sacralità, spiritualismo, ritorno alla natura - ha concluso Ballaman - sono solo alcune delle strade percorse da Sgorlon nelle sue opere. Con la sua scomparsa perdiamo uno degli scrittori più profondi della nostra terra e un narratore unico grazie alla sua capacità di rappresentare il reale nel fantastico e viceversa".

Carlo Sgorlon, il popolare scrittore di saghe legate al suo Friuli e raccontate con quella vena di realismo magico che lo imparenta al grande autore sudamericano Garcia Marquez, da lui del resto tanto amato e difeso, era nato nel 1930 a Cassacco, paese di neanche 3.000 abitanti in provincia di Udine, che aveva lasciato per trasferirsi nel capoluogo.

Dopo gli studi alla Normale di Pisa e a Monaco di Baviera, ha insegnato lettere nell'Istituto tecnico Zanon di Udine.
Autore di grande successo, ha scritto decine di romanzi, di cui due in friulano; ha tradotto in italiano parecchie fiabe friulane; ha vinto i più importanti premi letterari, tra cui il Supercampiello (due volte, unico tra gli scrittori italiani contemporanei), lo Strega, il Nonino. È stato tradotto in varie lingue.

La sua narrativa, di tonalità epico-sacrale, è venuta creando via via una vera e propria epopea della sua terra. Nel suo ultimo libro, La penna d'oro edito da Morganti, Sgorlon ha raccontato senza veli, con ironia e disincanto, se stesso e i suoi rapporti con il mondo letterario, spesso difficili, confessando l'amarezza per il suo isolamento dagli altri scrittori e per non esser stato «ricambiato in forme piene e convinte» da quel Friuli a cui riconosceva la matrice della sua creatività, ma che avvertiva alquanto disattento nei suoi confronti.
Il motivo poi lo aveva scritto lui stesso a chiare note: «i friulani hanno molte doti, da me largamente rappresentate - aveva affermato - ma tra esse la magnanimità è molto rara».

26 dicembre 2009
da unita.it
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