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Autore Discussione: BERSANI -  (Letto 67579 volte)
Arlecchino
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« Risposta #105 inserito:: Novembre 08, 2016, 11:07:05 pm »

E’ semplice, per Bersani Renzi è un imbroglione. Fine della discussione
Il Noista   
Ripercorriamo tutta la storia fino all’accordo strappato da Cuperlo

“Arroganza e sudditanza”, insulta Pier Luigi Bersani: l’intervento di Matteo Renzi alla Leopolda non gli è molto piaciuto, ma non sa bene spiegarne il perché. Abituato ormai da un paio d’anni a cannoneggiare il segretario del suo partito e il governo espressione del suo partito, contestandone ogni scelta e ogni respiro e ogni provvedimento, Bersani ora s’atteggia a povera vittima, evoca come un Pigi Battista qualsiasi lo spettro dello stalinismo, rivendica il suo amore per la “Ditta” (difficile immaginare un’espressione più spettrale).

E allora, molto semplicemente e con molta pazienza, proviamo a ripercorrere la vicenda, e cerchiamo di capire non chi abbia ragione – non ce n’è bisogno – ma quanto alta sia ormai la percentuale di malafede in coloro che, dopo aver perso le elezioni, il Quirinale, palazzo Chigi e la segreteria del Pd, ora vorrebbero che Renzi li imitasse.

Che cosa è successo in queste ultime settimane? La minoranza guidata da Bersani, sebbene abbia votato sei volte la riforma costituzionale in Parlamento, ad un certo punto ha annunciato che avrebbe votato No al referendum se non fossero intervenute modifiche sensibili all’Italicum. Italicum che, com’è noto, non fa parte della riforma e non è oggetto del referendum; e che, com’è altrettanto noto, era già in vigore quando Bersani e Gotor votarono felicemente Sì alla riforma Boschi.

Anziché scoppiare a ridere di fronte al testacoda di Bersani, Renzi pazientemente ha convocato una riunione della Direzione del partito, si è detto disponibile a modificare profondamente la legge elettorale, ha promosso una commissione che mettesse le modifiche nero su bianco.

Bersani e Speranza si sono rifiutati di entrare nel gruppo di lavoro, Cuperlo invece ha accettato.

Sabato i lavori della commissione si sono conclusi con un accordo che accoglie tutte – TUTTE – le modifiche proposte dalla minoranza: premio “di governabilità” ridotto, niente ballottaggio, collegi uninominali, coalizioni anziché liste di partito, elezione diretta dei senatori.

Cuperlo, colpevole di credere al significato delle parole, si è detto soddisfatto. Bersani e i suoi amici sono invece insorti: “Dichiarazione di intenti estremamente fumosa e ambigua”, ha sentenziato l’acuto Gotor. E il brillante Speranza: “Se si vuole fare sul serio si fanno provvedimenti, non documenti”. “Quel foglietto – ha concluso sprezzante Bersani – per me vuol dire che Renzi vuole mantenere le mani libere. Su quel foglio c’è scritto ‘stai sereno’. Io non sto sereno e voto No.”

Finalmente una frase sincera: Bersani di Renzi non si fida. Lo considera un imbroglione.

Qualsiasi cosa dica, per lui non vale. I documenti sottoscritti dal vicesegretario del partito, dai due capigruppo e dal presidente sono carta straccia perché è Renzi il segretario. Ogni impegno assunto non ha alcun significato, se ad assumerlo è Renzi o qualcuno che lo frequenta.

La prima frase sincera di Bersani in molti anni è preziosa e va dunque ricordata: il No al referendum al fianco di grillini e leghisti, l’attacco sistematico al governo del Paese, la critica violenta al partito non sono una scelta politica, ma il frutto di un’alterazione umorale, di uno slittamento psicologico, di un disagio da andropausa: Renzi è un imbroglione e la sua parola non vale nulla. Fine della discussione.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/torniamo-a-spiegare-per-bersani-renzi-e-un-imbroglione-fine-della-discussione/
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« Risposta #106 inserito:: Novembre 14, 2016, 05:49:30 pm »

Bersani: sogno ancora un Pd unito ma il governo cambi rotta, giusto abbassare i toni
La lettera. L'ex leader democratico risponde a Ezio Mauro: "Dopo il referendum parta una discussione vera. La gufologia nega la questione sociale"


Di PIER LUIGI BERSANI
13 novembre 2016

Caro direttore, le ipotesi sensate diventano sogni, come scrive Ezio Mauro, quando il tempo si consuma. Da oltre un anno a questa parte se avessi avuto l'inedita occasione di essere seriamente e direttamente ascoltato avrei detto quel che andavo dicendo pubblicamente e che devo ripetere oggi. Aver messo in gioco il governo sui temi costituzionali ed elettorali ha acceso la miccia scoperchiando il vaso di Pandora delle tensioni accumulate in questi anni, non solo da noi. Al fondo, in realtà, c'è una enorme questione sociale mondiale e italiana che meriterebbe almeno di essere nominata e compresa, e non taciuta o negata dalla gufologia. Senza rimettere i piedi nella realtà non se ne viene fuori. Questo vale per la politica e vale per l'informazione.

Ciò che si può fare in superficie e nell'immediatezza di questi venti giorni è lavorare per raffreddare il clima ragionando responsabilmente sul dopo. Diciamo dunque assieme che sul referendum non è in gioco il governo. Diciamo al mondo che la riforma del senato è una vicenda italo-italiana e che non siamo né su un crinale né su un precipizio. Diciamo assieme che è ovvio e giusto che il Pd dia la sua indicazione di voto e che è altrettanto ovvia e giusta la libertà di ciascuno davanti a temi costituzionali. Il segretario potrà ben dire che spera di poter convincere i democratici che vogliono votare No, ma ovviamente ritiene che quelle realtà associative e quelle persone hanno piena cittadinanza nel Pd e nel centrosinistra.

Il dopo referendum per me è fatto di un Pd unito che si organizza per una discussione politica vera sui temi di fondo a partire dalla natura e dai compiti della sinistra nella fase di ripiegamento della globalizzazione e dell'insorgere di una nuova destra protezionista. Il dopo referendum per me è fatto di un governo che corregga la narrazione e l'agenda. È fatto di una impostazione politica sfidante verso i 5 Stelle e alternativa alla destra, da subito non accettando che questi si intestino la rappresentanza politica del No; anche perché il No esprime, in particolare nel rapporto inestricabile con la legge elettorale, una radicale questione democratica che non si risolve a parole ma a fatti. Cercare la governabilità in una concentrazione incontrollata del potere e in una drastica riduzione della rappresentanza è una strada sbagliata e pericolosa. Su ciascuno di questi punti sono intervenuto già molte volte e da tempo e potrei avanzare qualche idea di dettaglio piuttosto precisa, giusta o sbagliata che sia. Ma vorrei discuterne nel collettivo e non nei riti della comunicazione. La grande e radicale novità sarebbe infatti la disponibilità a una vera e onesta riflessione collettiva. Purtroppo un sogno, a cui tuttavia non rinuncio.

© Riproduzione riservata
13 novembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/11/13/news/pd_bersani-151897934/?ref=HRER1-1
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« Risposta #107 inserito:: Dicembre 29, 2016, 07:13:03 pm »

Carissimi,
da oggi potete leggere su Il campo delle idee, giornale online del Nens, il centro studi fondato da Vincenzo Visco e Pier Luigi Bersani, tra gli altri articoli, i dossier, le analisi e le statistiche economiche e sociali prodotti da istituti nazionali e internazionali, i seguenti titoli:
   
Il centrosinistra deve dare vita a una nuova piattaforma politica. La via seguita finora è sbagliata.

Ci siamo raccontati e accontentati di un racconto secondo il quale abbiamo fatto piccoli passi, ma sulla strada giusta. Non è così. La verità è che dobbiamo discutere e capire come fare passi in avanti su una strada diversa, un’altra strada, perché quella che abbiamo imboccato e continuiamo a seguire è sbagliata. Se il Pd e il campo progressista restano sul piano di un blairismo nato in altre fasi, rimasticato e ormai esausto, o se ci si mette sulla strada di un populismo a bassa intensità, si va a sbattere contro un muro. Le scorie lasciate dal ripiegamento della globalizzazione, la disunione europea, i problemi strutturali italiani impongono un ripensamento complessivo. Dobbiamo proporre protezione, ma con i valori della sinistra: riprendere in mano i diritti del lavoro; se non mettiamo più dignità e sicurezza nel mondo del lavoro, i consumi e gli investimenti non riprenderanno mai. Dobbiamo ridurre la forbice sociale, basandoci su due pilastri: fedeltà e progressività fiscale da un lato e welfare universalistico davanti ai bisogni essenziali. E un nuovo ciclo di investimenti pubblici per dare lavoro, in particolare sull'innovazione industriale e per la manutenzione straordinaria del Paese. Nella speranza di incontrare il vostro interesse, vi invitiamo a continuare a seguirci, a leggere i nostri articoli e i numerosi documenti, statistiche, analisi delle diverse istituzioni nazionali e internazionali.

Nell’invitarvi a continuare a seguirci e a sostenerci, vi ricordiamo che, altre agli articoli a lettura libera, ogni giorno il giornale online del Nens pubblica documenti, analisi, studi, statistiche e interventi di organismi nazionali e internazionali.

La Direzione del Nens

Da – il campo delle idee.
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« Risposta #108 inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:21:44 pm »

Pier Luigi Bersani: "Superiamo il renzismo, tre campi d'azione per cambiare il Pd"

L'Huffington Post  |  Di Redazione
Pubblicato: 29/12/2016 15:42 CET Aggiornato: 5 ore fa

Per il Pd è arrivato il momento di cambiare, o si andrà dritti contro un muro. “Blairismo rimasticato”, “rottamazione” e “giovanilismo” hanno fallito, è tempo di cambiare rotta. È un duro attacco ai principi cardine del renzismo il lungo articolo a firma di Pier Luigi Bersani apparso oggi su Il Campo delle Idee, giornale online dell’Associazione Nuova Economia Nuova Società, centro studi fondato dallo stesso Bersani insieme a Vincenzo Visco.

    "Una fase si è chiusa”, scrive l’ex segretario. “L'esigenza urgente e drammatica è di non arroccarsi e di aprire una discussione vera. Perché sarebbe sbagliato pensare solo ad aggiustamenti millimetrici, o che basti mettere una scorza di sinistra nel cocktail degli ultimi tre anni. Non basta. Né il Pd potrà riproporre idee come la rottamazione, o quella forma di giovanilismo un po’ futurista che ha contraddistinto l'ultima fase. Per il centrosinistra si impone una nuova piattaforma politica: guardiamo avanti".

Secondo Bersani, “solo con proposte di una sinistra di governo la sinistra sarà di nuovo competitiva. Se invece il Pd e insieme al Pd tutto il campo progressista restano sul piano di un blairismo rimasticato, e ormai esausto, o se si mettono sulla strada di un populismo a bassa intensità, si va a sbattere contro un muro”.

Per Bersani è necessario evitare che il malessere “venga interpretato solo dalla demagogia”. "Dobbiamo fare in modo che il problema che c'è, il malessere, non venga interpretato solo dalla demagogia. Non lo chiamo neppure più populismo. Sono i cattivi pensieri di una nuova forma di destra nascente. E possono essere guai, se non interviene il Pd, lo schieramento progressista, che è già in ritardo. Come? Io vedo tre campi di azione".

    “Il primo: riprendere in mano i diritti del lavoro. C’è poco da fare: se non mettiamo meno insicurezza, meno incertezza e meno precarietà nel lavoro; se prosegue l’umiliazione del lavoro; se non mettiamo più dignità e sicurezza nel mondo del lavoro, se tutto questo non accade, i consumi e gli investimenti non riprenderanno mai. Dobbiamo dirlo chiaro e forte.

    Secondo, cercare di ridurre la forbice sociale. Sono due i pilastri per riuscire in questa impresa: fedeltà e progressività fiscale da un lato; e, dall’altro, welfare universalistico davanti a bisogni essenziali della vita delle persone, a cominciare dalla salute. Anche questo dobbiamo dirlo chiaro e forte.

    Terzo campo di azione: il ruolo del settore pubblico, diretto e indiretto, negli investimenti. Finché si va avanti con crescite dello zero virgola non possiamo pensare che non vi sia uno sciopero del capitale, come è avvenuto negli ultimi anni. Se non c’è un orizzonte che consente di sperare in una crescita dei consumi, l’imprenditore i soldi se li tiene ben stretti. Quindi ci vuole un nuovo ciclo di investimenti pubblici diretti e indiretti, se vogliamo dare lavoro. Investimenti ben selezionati, perché devono essere orientati al lavoro, alla modernizzazione e al potenziamento dell’apparato economico”.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/29/pier-luigi-bersani-superare-renzismo_n_13879958.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #109 inserito:: Gennaio 03, 2017, 09:01:16 pm »

Bravo Bersani, guardiamo avanti

Pubblicato: 30/12/2016 17:27 CET Aggiornato: 30/12/2016 17:27 CET BERSANI
Il lungo articolo pubblicato da Pier Luigi Bersani sul giornale online del suo centro studi è importante, per almeno tre ragioni.

La prima: parla esplicitamente di campo progressista, cioè della necessità di una sinistra di governo che mandi in soffitta la vocazione all'autosufficienza con cui è nato il Partito democratico. Sono le stesse parole che utilizziamo noi e che indicano la possibilità e la necessità di un perimetro comune.

La seconda: non sono sufficienti, dice Bersani, aggiustamenti millimetrici rispetto al "blairismo rimasticato" di Renzi e del suo gruppo dirigente. Serve una nuova piattaforma programmatica che parta dai diritti del lavoro, da un nuovo sistema di welfare e dalla riduzione della forbice delle diseguaglianze, da un nuovo intervento dello Stato e del settore pubblico nell'economia. Si tratta di priorità del tutto condivisibili, coerenti con il Social Compact proposto in Parlamento dal gruppo di Sinistra italiana.

La terza ragione riassume le prime due: tali auspici muovono cioè in direzione opposta alla teoria e alla pratica del renzismo, nei confronti del quale non è possibile alcun atteggiamento mimetico. La sinistra a cui dobbiamo ridare forza è radicalmente alternativa al renzismo, per valori, ambizioni, programmi, stile (Bersani scrive di rottamazione e giovanilismo un po' futurista).

Delle due l'una, quindi: o siamo in grado di costruire, su questi presupposti, un campo progressista capace di governare e di dare finalmente risposte alla condizione sociale drammatica del nostro Paese; oppure abbiamo fallito l'appuntamento con la storia, piccola o grande che sia.

Il fallimento della costruzione di un campo progressista in discontinuità con gli errori degli ultimi anni conduce automaticamente a uno scenario horror: un Pd di Renzi e Marchionne subalterno vita natural durante ai paradigmi neo-liberali, una sinistra radicale irrilevante nel suo ennesimo cartellino elettorale, le destre o il Movimento Cinque Stelle al governo.

Non servono molte parole. Bisogna agire rapidamente nella direzione opportuna. I referendum proposti dalla Cgil sui voucher, l'articolo 18 e gli appalti sono il primo grande banco di prova per capire chi vuole voltare pagina e chi vuole rimanere indietro. Perché, caro Renzi, il 4 dicembre ha detto a tutti una cosa chiara: voi siete la conservazione, noi il (possibile) cambiamento.

Da - http://www.huffingtonpost.it/simone-oggionni/bravo-bersani-guardiamo-avanti_b_13895676.html
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« Risposta #110 inserito:: Febbraio 04, 2017, 05:38:22 pm »

Bersani: “Se Renzi forza e rifiuta il congresso, il Pd è finito: rifacciamo l’Ulivo”

Di F. Q. | 1 febbraio 2017

Aveva detto che dal Pd se ne sarebbe andato solo se l’avessero preso a calci. Ora quel momento sembra essere diventato più vicino. Dopo Massimo D’Alema e Nichi Vendola, dopo le proteste di Michele Emiliano e Enrico Rossi, ora tocca a Pierluigi Bersani: “Se Renzi forza – dice l’ex segretario del partito, rifiutando il Congresso e una qualunque altra forma di confronto e di contendibilità della linea politica e della leadership per andare al voto, è finito il Pd. E non nasce la cosa 3 di D’Alema, di Bersani o di altri, ma un soggetto ulivista, largo, plurale, democratico”. A chi chiede se un faccia a faccia con il leader gli basterebbe, Bersani risponde di non voler incontrare Renzi: “Parlo in pubblico. E mi piacerebbe farlo nel Pd, dove è preoccupante il restringimento degli spazi democratici”.

La distanza tra Bersani e Renzi resta su molte cose. Le riforme necessarie, le misure che servono alla ripresa economica e alla crescita. E anche la legge elettorale. Dice Bersani che “siamo passati in poche settimane da un sistema che era il record mondiale del maggioritario a un iper-proporzionale senza bussola, senza discutere”. Se si estende la legge elettorale della Camera al Senato si ha “una legge che garantisce l’ingovernabilità. Rende necessario un accordo con Berlusconi e neanche basta”. Per l’ex ministro “vanno tolti i capilista bloccati che portano a una Camera formata per il 70 per cento di nominati. E considero una provocazione allargare al Senato questo scempio. Possiamo discutere o no? E per favore: evitiamo le volgarità dei discorsi sulle seggiole. Io, Speranza, altri abbiamo dimostrato che noi ai posti semmai rinunciamo, in nome delle battaglie sui principi. È offensivo dire che vuole posti chi sta dicendo che bisogna abolire l’aberrazione dei nominati”.

E non c’entra nemmeno la vicenda dei vitalizi, evocata ieri Renzi. “E’ inaccettabile” quella frase, per Bersani. “Ci può star tutto nella vita, comprese le diverse opinioni, però se buttiamo anche a mare la dignità del Parlamento non si capisce dove andiamo. Non può insultare il Parlamento. I vitalizi non ci sono più dal 2012 e ci sono qui dentro deputati 30enni che non sono qui ad aspettare i 65 anni per avere qualche euro di contributi. Non so se siano bersaniani o renziani: oggi ne ho visto qualcuno che piangeva. Gente onesta, perbene, che fa la politica perché ci crede. Perché non si vive di solo pane. Il rispetto conta”.

Un ragionamento che finisce per coinvolgere, necessariamente, il governo Gentiloni, che sarebbe la vittima sacrificale delle elezioni anticipate. “Il governo deve governare. Gentiloni vuole governare? Un presidente del Consiglio giura sulla Costituzione, non facciamo vedere un autolicenziamento in streaming alla direzione del Pd” dice Bersani nell’intervista. Renzi “vuole andare al voto per evitare Congresso, manovra, referendum Cgil… La sconfitta, andando avanti così, non è evitabile. Napolitano ha ragione, ma io non dico che non si può votare prima della scadenza. Dico andiamoci con ordine, dopo Congresso e con una legge elettorale decente”.

Di F. Q. | 1 febbraio 2017

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/02/01/pd-bersani-se-renzi-forza-e-rifiuta-il-congresso-partito-finito-rifacciamo-lulivo/3359398/
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« Risposta #111 inserito:: Febbraio 04, 2017, 06:11:51 pm »

Pd, Bersani: "Penso ad Ulivo 4.0 non ad un revival".
Renzi: "Scissione non la capirebbe nessuno"
L'ex segretario dopo le polemiche spiega come immagina la nuova aggregazione a sinistra: "Se non si fa un congresso si faccia qualcosa che gli assomigli".
Il segretario dem al Tg1: "L'importante è che il giorno dopo si rispetti chi ha vinto"

02 febbraio 2017

ROMA - Un nuovo Ulivo, nuovo di zecca; un Ulivo 4.0 moderno e adatto ai tempi. Pierluigi Bersani comincia a spiegare cosa ha in mente quando chiede a Matteo Renzi di convocare il congresso o qualche altra forma di verifica interna al Pd, minacciando altrimenti di creare una 'cosa nuova'. E sulle elezioni è del parere di arrivare al 2018, ma prima deve esserci una discussione all'interno del Pd.

"Una scissione non la capirebbe nessuno", replica in serata Matteo Renzi al Tg1. "Comunque vadano le primarie o il congresso, l'importante è che il giorno dopo si rispetti chi ha vinto, altrimenti è l'anarchia", dice il segretario dem.

Bersani: "Ulivo 4.0, dalla sinistra radicale al civismo". "Quando dico Ulivo dico qualcosa che ha una solida cultura costituzionale e punta a mettere insieme la pluralità del centrosinistra. Non possiamo rassegnarci all'idea di un soggetto chiuso nel proprio campo", spiega a cronisti che lo assediano in Transatlantico a Montecitorio. "Serve una pluralità che vada dalla sinistra radicale al civismo. Poi le forme in cui questa idea si potrà realizzare la troveremo. L'Ulivo che ho in mente non è un revival del passato, è un Ulivo 4.0", dice l'ex segretario. Che in serata, dagli studi li La7, esclude che il ruolo di federatore possa essere ricoperto da Renzi.

Un progetto che dovrebbe coinvolgere tutti i prodiani che si sono schierati contro Renzi, pezzi di mondo cattolico popolare che non ha mai digerito l'ascesa dell'ex premier. Un settore che ha come portabandiera la presidente della commissione Antimafia Rosi Bindi che potrebbe allargarsi fino all'ex premier Enrico Letta che sta alla finestra a Parigi. Dalle parole di Bersani sembra anche di capire il progetto si potrebbe allargare anche al movimento che si sta raggruppando intorno a Massimo D'Alema e alla nascente Sinistra italiana che a fine mese celebrerà il suo congresso costituente a Rimini. Sbocco quasi scontato visto che nel 1995 fu proprio D'Alema ad investire politicamente su Romano Prodi e l'Ulivo e che la sinistra che si riunisce a Rimini ha sempre avuto un rapporto privilegiato con l'Ulivo.

Bersani, invece apparentemente glissa, sul ramoscello di pace lanciato ieri dal presidente del Pd Matteo Orfini che ha proposto di celebrare le primarie in caso di voto anticipato. "Su questo - scherza l'ex segretario - non penso niente". Però poi aggiunge che "in tutti i partiti che conosco io in Europa e nel mondo, quando si arriva alle viste della conclusione di un ciclo, si rende contendibile la linea politica. In casa Pd non possiamo arrivare a votare senza fare il punto. Se non si fa un congresso si faccia una cosa che assomigli a un congresso, che ci metta in condizione di discutere linea politica e leadership". E in serata, sempre a Piazzapulita, ha ribadito: "Io non so perché si precipiti il Paese al voto con sei mesi di anticipo. Quando si chiude un ciclo in tutto il mondo democratico i partiti rendono contendibile la linea politica. Io sono per il voto nel 2018: non tocca a me decidere ma il Pd si levi dalla testa che si possa andare alle elezioni senza aver fatto prima una discussione".

Anche Roberto Speranza vede di buon occhio la posizione di Orfini: "Ho letto positivamente l'apertura del presidente del partito - dice il deputato, uno dei leader della minoranza Pd - ma la strada maestra resta il congresso. Certo se ci sono le elezioni anticipate un problema si pone perché è impossibile andare alle elezioni politiche senza un confronto vero nel Pd".

La replica di Renzi. "E' importante che comunque vadano le primarie o il congresso, chi perde, il giorno dopo rispetti chi ha vinto. Perché altrimenti è l'anarchia", dice in serata al Tg1 il segretario del Pd Matteo Renzi, dopo aver escluso la possibilità di una scissione nel partito. "Va bene tutto per fare del Pd davvero un partito democratico", aggiunge.

Per quanto riguarda la data del voto, Renzi non si sbilancia: "Non so in che giorno si voterà, non tocca a me deciderlo, ma qualunque sia quel giorno è fondamentale che le forze politiche parlino delle esigenze delle persone. Discutiamo di disoccupazione, discutiamo di sicurezza, di banda larga e innovazione, del futuro dell'ambiente: così saremo credibili, altrimenti le elezioni sembreranno solo una caccia alle poltrone".

"Forse l'errore più grande (al referendum ndr) è stato quello di perdere di vista le esigenze dei cittadini normali e pensare alle dinamiche del Palazzo - spiega Renzi - Questo è forse l'insegnamento più grande del dopo-referendum: preoccuparsi molti più di ciò che accade ai cittadini e un pochino meno alle questioni interne al Palazzo. Dopo di che ci sono milioni di italiani che hanno votato sì e che hanno voglia di dare una mano affinché questo Paese sia più semplice e più bello e non ricada nei giochi della Prima Repubblica, come stiamo vedendo in queste ore".

"E' fondamentale - aggiunge il segretario Pd - che tutti diamo una mano al governo italiano quando va a Bruxelles a rappresentarci. Il governo deve sentire il sostegno e l'affetto di tutti gli italiani perchè gli italiani siano difesi e aiutati".

© Riproduzione riservata
02 febbraio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/02/02/news/bersani_pd_scissione-157422393/
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« Risposta #112 inserito:: Febbraio 13, 2017, 12:35:42 pm »

Pd, Bersani: "Congresso a giugno, legge elettorale e voto nel 2018"
L'ex segretario: "Che il governo governi, basta giochetti, affrontare i problemi, dalla manovra ai voucher"
08 febbraio 2017

L'ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani detta quello che secondo lui dovrebbe essere il timing del Pd e del governo da qui al 2018. Senza troppi giri di parole: "E' ora che tutti, dico tutti, dicano parole chiare: io sono per il voto nel 2018, perché il governo governi e da qui a giugno si faccia la legge elettorale e a giugno il congresso", dice Bersani, invitando così il vertice del Pd a fare chiarezza sulle tappe "altrimenti, se non rimettiamo i piedi a terra, i cittadini non capiscono e andiamo nei guai non solo politici ma anche economici e sociali". Quanto alla legge elettorale, per Bersani vanno tolti i capilista bloccati.

"Io, Franceschini, Orlando, Renzi, dobbiamo dire quando vogliamo andare a votare. Da quel momento metti in fila tutto: il governo, la legge elettorale, la manovra, il congresso, tutto. Si mette in ordine tutto. Altrimenti non si esce da questo circuito politico-mediatico e si incasina tutto". Se, come lui auspica, si decide di votare nel 2018, "ne deriva che il governo deve governare e ha una serie di cose da fare, si fanno le elezioni amministrative, si fa qualcosa sui voucher su cui c'è un referendum".

Oltre a ciò "a giugno parte il congresso Pd, che è la prima forza del Paese e deve fare il congresso in modo ordinato da qui a novembre. In una famiglia italiana normale, di cosa credete che si parli? Lavoro, redditi. Uno che guarda il nostro dibattito cosa credete che pensi di noi?" ha proseguito Bersani. "Abbiamo un Paese da governare, possiamo fare questi giochini qui? Ai cittadini sembra che stiamo in un sovramondo. Dobbiamo tornare con i piedi per terra e dire parole chiare, dire quando si vota e dire al Paese e all'Europa cosa si fa, serve un soprassalto di responsabilità".

E a chi come Renzi teme l'effetto che un anno di governo può avere sul rendimento del Pd in campagna elettorale, come fu per il Pd di Bersani al termine del governo Monti, il deputato Pd risponde: "Non è questo il problema. Qui bisogna mettersi tutti con una politica che parte dal Paese, dall'Italia, perché le tue fortune puoi farle solo se interpreti il Paese. Non esiste un destino del Pd a prescindere dal Paese".

Quaranta senatori del Pd della maggioranza e della minoranza interna hanno scritto un documento a sostegno del governo Gentiloni e per chiedere un rilancio del partito. "Sostenere il governo Gentiloni, nella pienezza dei suoi poteri; rimettere in piedi il Pd; lavorare a una legge elettorale omogenea per Camera e Senato; non concedere nulla alla pulsione antipolitica": queste,si legge, le priorità per i 40 senatori (Tronti, Albano, Amati, Angioni, Bianco, Borioli, Broglia, Capacchione, Cardinali, Chiti, Cirinnà, Corsini, D'Adda, Dalla Zuanna, De Biasi, Dirindin, Fabbri, Ferrara, Filippi, Fissore, G. Rossi, Giacobbe, Granaiola, Guerrieri, Idem, Lo Giudice, Manassero, Manconi, Martini, Mattesini, Micheloni, Puppato, Ranucci, Sangalli, Silvestro, Sonego, Tomaselli, Vaccari, Valentini, Zavoli). "Sentiamo il bisogno di dare un contributo e prendere una posizione nel dibattito politico", si legge nel documento. Per i firmatari occorre "un'azione combinata del governo e del partito" per affrontare tutte le problematiche, con in testa la "nuova questione sociale.

© Riproduzione riservata
08 febbraio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/02/08/news/bersani_pd_voto_congresso_legge_elettorale-157863282/?ref=HREC1-3
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« Risposta #113 inserito:: Febbraio 14, 2017, 05:23:40 pm »

Pd, Bersani: “La scissione è già avvenuta”
«Da Renzi ho visto solo dita negli occhi»

Pubblicato il 14/02/2017
Ultima modifica il 14/02/2017 alle ore 16:42

«Qui non è questione di calendario» del congresso, «quella è una tecnica. Qui il problema è se siamo il Pd o il Pdr, il Partito di Renzi. Io da Renzi non mi aspetto nulla, ma chi ha buonsenso ce lo metta. Perché siamo a un bivio molto serio». Lo dice Pier Luigi Bersani, in transatlantico alla Camera all’indomani della direzione. «La scissione è già avvenuta tra la nostra gente. E io mi chiedo come possiamo recuperare quella gente lì. Ma ieri ho visto solo dita negli occhi», aggiunge. 

Bersani lancia un appello a «chi è vicino a Renzi»: «Noi, come ogni partito normale, ce l’abbiamo un canale per discutere a fondo ed eventualmente correggere la linea politica o no? Chi ha buonsenso ce lo metta perché la questione è seria», dice.

«Serve una riflessione politica. Da Renzi non me l’aspetto, dopo averlo sentito ieri, ma da quelli che stanno attorno a lui me l’aspetto», aggiunge. Per Bersani «il congresso si deve tenere a giugno». «Diamoci - dice - un percorso ordinario. Facciamo il Congresso nei tempi ordinari, da qui a giugno mettiamoci alle spalle la legge elettorale, facciamo le amministrative, poi prepariamo bene il Congresso», osserva.

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« Risposta #114 inserito:: Aprile 28, 2017, 12:05:29 pm »

Bersani: “M5s forza di centro e argine alla deriva populista. Se vincono e chiedono un incontro? Io ci sarei”
L'ex segretario Pd in un colloquio riportato dal Corriere della Sera ha parlato con toni interessati alle dinamiche del Movimento 5 stelle.
Al tempo stesso ha anche escluso che la nuova formazione politica Mdp sarebbe pronta a sostenere a scatola chiusa eventuali "larghe intese contro i populismi".
Il vicesegretario dem Guerini: "E' confuso". Il grillino Bonafede: "Noi non facciamo accordi con nessuno"

Di F. Q. | 22 marzo 2017

 “M5s è la forza di centro dei tempi moderni”. E se vincesse alle prossime elezioni e chiedesse una diretta streaming per discutere di un ipotetico accordo? Pierluigi Bersani dice che “lui ci sarebbe. Sarebbe curioso rinunciare”. L’ex segretario Pd, ora primo tra i scissionisti del partito e fondatore di Mdp, in un colloquio con alcuni militanti durante un’iniziativa a Campobasso ha parlato del Movimento 5 stelle con toni moderati e soprattutto interessati a capire cosa sta succedendo sul fronte grillino. A riportare le parole che il deputato ha detto parlando con i suoi è il Corriere della Sera, nello stesso giorno in cui la Stampa pubblica una sua intervista in cui si rivolge direttamente al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni: “E’ l’ora che si emancipi da Renzi”, ha detto.

Il concetto espresso da Bersani, discutendo prima dal palco durante l’iniziativa e poi privatamente con gli attivisti, rivela a grandi linee le intenzioni della sua nuova formazione politica in vista delle elezioni. L’idea è quella di non sostenere delle eventuali “larghe intese contro i populismi”, cioè non allearsi con “questo Pd”, ma di non scartare a priori un dialogo con un eventuale M5s vincitore. Bersani ha però specificato di “non voler fare da raccordo delle forze populiste contro quelle che si definiscono responsabili”. “I 5 stelle tengono in stand-by il sistema”, ha detto Bersani secondo il Corriere nel suo ragionamento. “Ma se alle prossime elezioni, in assenza di un centrosinistra largo, s’indebolissero, arriverebbe una robaccia di destra”. Tanto che i grillini per Bersani sono il vero “argine alla deriva populista e nazionalista”. Poi ha spiegato: “Il Movimento sarà pure solipsista, ma va tenuto dentro il circuito democratico. D’altronde una forza che raccoglie al primo colpo il 25 per cento dei consensi non è un fenomeno transitorio. Anzi loro sono il partito di centro dei tempi moderni. Anche perché i moderati non sono come si prova a rappresentarli oggi. Eppoi i moderati incazzati non sono una novità”. L’ex segretario democratico ha anche detto che i 5 stelle, per mantenere intatta la loro identità, finiscono per non andare da nessuna parte. “Il problema”, ha continuato Bersani, “è che, volendo mantenere la loro diversità, i 5 stelle finiscono per bloccare il sistema. Lo tengono in stand-by, appunto, senza dar sbocco alle richieste di novità che provengono dal loro elettorato. A meno che…a meno che non si rivelasse davvero capace di coalizzare in Parlamento”. E quindi, appunto, se i grillini dovessero davvero vincere nelle urne e non avere la maggioranza assoluta, Bersani sarebbe pronto a ripetere la famosa diretta streaming del 2013. “Io ci sarei ancora, sarebbe curioso rinunciare. In modo speculare sarebbe quello che ho chiesto a loro 4 anni fa”.

Le parole di Bersani hanno fatto saltare sulla sedia più di un dirigente democratico. Tanto che a parlare per tutti è stato il vicesegretario Lorenzo Guerini: “Non voglio fare polemica su di una riflessione che mi pare abbastanza confusa. Il M5s più che un argine al populismo e alla demagogia è il populismo e la demagogia in questo Paese. Un’alleanza mi sembra una strategia abbastanza complicata da comprendere”. Bersani, fermato dai cronisti in Transatlantico, ha replicato: “Loro stanno dando benzina a Grillo, sono anni che danno benzina alla demagogia, io sto cercando di tirargliela via. Io confuso? Aspettiamo chiarezza dal Pd. Io ho a cuore l’Italia”.

I grillini, dal canto loro, hanno risposto ribadendo che loro non fanno alleanze. “Non voglio commentare l’opinione rispettabile di Bersani”, ha detto il deputato Alfonso Bonafede su RaiNews24. “Sottolineo soltanto che noi non facciamo accordi con nessuno, puntiamo al 40 per cento e, una volta al governo, faremo le nostre proposte che le altre forze politiche potranno votare alla luce del sole. Queste affermazioni ci fanno piacere se un giorno, con noi al governo, le altre forze politiche voteranno nostre proposte, come vuole la democrazia. Ma noi non facciamo né alleanze né tavoli all’interno dei palazzi, la democrazia è stupenda quando tutto si svolge alla luce del sole”, ha detto. Sul possibile appoggio della Lega ai singoli provvedimenti di un ipotetico governo Cinque stelle, Bonafede ha spiegato: “Non abbiamo questo tipo di preclusioni ideologiche, noi vogliamo agire nell’interesse dei cittadini”. E in merito alla descrizione fatta dall’ex segretario Pd – oggi in Mdp – del Movimento come forza politica di centro, Bonafede precisa: “Noi non abbiamo etichette, nel tempo ci hanno detto che eravamo di destra, di sinistra o di centro, ma noi lavoriamo per i cittadini mentre gli altri lavorano per dare un’etichetta ai 5 stelle in maniera fallimentare”.

Di F. Q. | 22 marzo 2017

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03/22/bersani-m5s-forza-di-centro-e-argine-alla-deriva-populista-se-vincono-e-chiedono-un-incontro-io-ci-sarei/3468122/
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« Risposta #115 inserito:: Maggio 22, 2017, 11:57:52 am »

Conferenza Art.1 Mdp. D'Alema: "Sinistra si ispiri a Francesco".
Bersani: "Coalizione? Col Pd, non con Renzi

L'ex premier dal palco milanese della tre giorni programmatica "Fondamenta": riferimento il Papa e non il finanziere "con il conto alle Cayman, la società off-shore a Malta, che poi magari dalla Leopolda ci spiega che cos'è la sinistra moderna. Quello è il renzismo"

20 maggio 2017

MILANO - Massimo D'Alema e Pier Luigi Bersani sono i protagonisti più attesi della seconda giornata di "Fondamenta", la tre giorni di lavori dedicati alla discussione politica e programmatica promossa da Articolo 1 -Mdp, dove tra panel e assemblee tematiche sfilano anche Enrico Rossi ed Emma Bonino, Arturo Scotto e Giuliano Pisapia, Guglielmo Epifani e Susanna Camusso. L'annunciato Ferruccio De Bortoli dà forfait per le polemiche seguite al nuovo caso Boschi-Banca Etruria scaturito dal suo libro. Ma è evidente che gli adepti della forza di sinistra nata con la scissione dal Pd aspettino da D'Alema e Bersani indicazioni sulle coordinate per inquadrare la direzione da intraprendere nella sua nuova sfida a una società globale. Con Walter Veltroni che, intervistato da Maria Latella, su SkyTG 24, invita a non affrontare "i temi del lavoro come si faceva nel 900: si può essere nostalgici ma quel mondo non c'è più".

Dal palco del Megawatt Court di Milano, D'Alema indica tra i nuovi riferimenti per una sinistra moderna papa Francesco. "Le grandi sfide di oggi non si vincono a livello nazionale - dice -. Occorre avere una sinistra che sia capace di avere come modello ideale un nuovo umanesimo, perché solo una nuova visione umanista può cambiare una globalizzazione che altrimenti produce conflitto". Di qui l'invito a trarre ispirazione "da Francesco, che dice che viviamo una sorta di terza guerra mondiale a pezzi, con una molteplicità conflitti, con la globalizzazione che ha portato sulla scena mondiale ingiustizie così profonde da mettere in discussione la stessa tenuta dei sistemi democratici, in un mondo in cui otto famiglie detengono le stesse ricchezze della metà più povera dell'umanità". E non prendere invece ad esempio il finanziere "con il conto alle Cayman, la società off-shore a Malta, che poi magari dal palco della Leopolda ci spiega che cos'è la sinistra moderna". Perché quello, scandisce D'Alema "è il renzismo".

"Noi siamo una piccola forza, siamo all'inizio del cammino - aggiunge D'Alema, rivolgendosi ai militanti di Mdp - . Ma ritengo che al di là della dimensione, bisogna avere l'ambizione di guardare lontano". Guardando lontano ma non troppo, dentro e fuori Mdp è aperto il dibattito sulle alleanze. A Milano D'Alema viene sollecitato al suo arrivo sulla possibilità di larghe intese dopo l'esito delle prossime politiche, dove prosegue nella sua invettiva contro il renzismo che non lascia molti spazi di interpretazione. "Non lo so, non sappiamo neanche quale sarà la legge elettorale - la sua risposta -. Ma a me sembra che una certa intesa fra Renzi e Berlusconi ci sia sempre stata. E sostanzialmente questa intesa è ancora operativa, a volte in modo sotterraneo a volte in modo aperto. Un'intesa che sostanzialmente ha caratterizzato tutta la politica renziana fin da quando Renzi andò a trovare Berlusconi ad Arcore". Quanto al governo Gentiloni, per D'Alema è sostanzialmente in continuità con l'operato dell'esecutivo Renzi, anche se "qualcosa hanno dovuto cambiare. Ad esempio sul Jobs Act, per timore del referendum della Cgil"

Sulle alleanze, Bersani va diretto ancor prima di salire sul palco di "Fondamenta". Disegnando davanti ai taccuini e ai microfoni dei giornalisti non lo scenario post-elettorale, ma un possibile cammino di Mdp verso l'urna delle politiche lungo il quale è piantato un paletto grande come un totem, che è anche la risposta all'apertura di Franceschini ai soli bersaniani di Mdp. "Mi stai chiedendo se sono d'accordo nel fare la coalizione nel centrosinistra, con un simbolo, con primarie per il candidato premier? Col Pd, non con Renzi, sì. Perché io penso che ci voglia una sinistra di governo". Per D'Alema, "se ci sarà un vero governo di centrosinistra, la prima cosa da fare è cambiare la Bossi-Fini. Questa legge, che nessun governo ha avuto il coraggio di rimuovere, è disastrosa per l'Italia e ha l'effetto di avere reso quasi impossibile l'immigrazione legale in Italia, perché pone condizioni irrealizzabili. Bisogna tornare alla legge Turco-Napolitano".

Critico, Bersani sul testo proposto dal Pd per la legge elettorale: "Il problema non è il maggioritario o no, è che questo è un maggioritario a geometrie variabili. E alla fine non c'è una maggioranza, ma ci sono le geometrie variabili. Se si vuole fare sul serio, si prenda il Mattarellum, punto. Vuol dire coalizione, simbolo e programma uguali in tutta Italia, con le primarie. Questo si chiama coalizione, l'altro si chiama trasformismo". Punto su cui D'Alema concorda alla lettera. "Questa legge elettorale permette il massimo dell'arbitrarietà e del trasformismo" è il suo giudizio sul testo proposto dal Pd, a margine dei lavori Mdp, "la penso come Bersani: una proposta molto confusa e anche rischiosa", in particolare l'elasticità delle coalizioni. "Una cosa molto diversa dalla legge Mattarella - osserva D'Alema - che aveva consentito la nascita dell'Ulivo".

Una volta sul palco, Bersani parte dal grande problema dell'Italia: la crescita. "In questi tre anni abbiamo raccontato che stavamo uscendo dai problemi. Questo ci costerà. Nell'epoca dei più bassi tassi di interesse della storia siamo riusciti ad aumentare debito e a diminuire gli investimenti. Siamo invece dentro ai problemi. Il lavoro è diventato più indebolito e ricattabile. I servizi sono diminuiti". E allora, prosegue Bersani, "qualche spunto sul nostro programma. Il lavoro lo danno gli investimenti non gli sgravi e il bonus. Gli assi degli investimenti sono l'innovazione in campo industriale e dei servizi e un grande piano di manutenzione del Paese sul territorio".

La "sinistra di governo può presentarsi nelle forme di un centrosinistra plurale nella politica e nei soggetti sociali, associativi e nei corpi intermedi. Le società complesse - ammonisce in conclusione Bersani, citando Gramsci - non le governi solo con il governo se non discuti e non crei pensiero, cultura, relazioni". Con stoccata finale e ironica a Veltroni per il richiamo, di cui si diceva all'inizio, sui "temi del lavoro non si possono affrontare come si faceva nel 900". "Grazie a Veltroni. Io sono per gli accordi che sindacato, Fiom compresa, hanno fatto con Ducati e Lamborghini con i tedeschi", accordi che "possono essere d'esempio. E parliamo della Germania di questo secolo, non del secolo scorso".

© Riproduzione riservata 20 maggio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/05/20/news/conferenza_programmatica_art_1_mdp-165916591/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P2-S1.6-T2
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« Risposta #116 inserito:: Giugno 08, 2017, 11:00:06 am »

INTERVISTA

"Il Pd è un sogno infranto, ma ora sono me stesso".
La Sinistra secondo Pier Luigi Bersani

L’addio 
alla 'Ditta'. Il rapporto con Renzi 'burattinaio'. 

La famiglia. Il futuro politico. Parla l’ex segretario del Partito Democratico a tre mesi dallo strappo e dalla fondazione, con Massimo D'Alema, del movimento Articolo 1 – Mdp

DI STEFANIA ROSSINI 
05 giugno 2017

Invitare Pier Luigi Bersani a parlare di emozioni è insieme semplice e impegnativo. Semplice perché l’uomo è disponibile a rivelare debolezze e cedimenti. Impegnativo perché ogni suo sentimento è incarnato nella politica, radicato in una storia collettiva e proiettato in una visione personale e irriducibile del mondo. A tre mesi dallo strappo definitivo che lo ha portato fuori dal Pd, partito che amava chiamare “ditta” tanto lo sentiva suo, fondatore con Massimo D’Alema e altri di un movimento (Articolo1-Mdp) non ancora sottoposto all’esame di realtà, alle prese con uno scenario politico in movimento, Bersani si mostra convinto della sua scelta e del consenso che potrà riscuotere.

Lo ammetta, Bersani, le manca il Pd.
«Eccome se mi manca! È il sogno infranto di un grande partito di centrosinistra. Ma almeno ora mi sento me stesso, libero di dire quello che penso».

Diceva: “Mi porteranno via con l’esercito”.
«Lo dicevo quando mi sentivo ancora a casa, ma ormai di quella casa erano caduti i muri portanti. Quando vedi che si imbarcano parole d’ordine della destra, che in una situazione sociale come la nostra si racconta al Paese che è arrivato il bel tempo, che persino dopo una sconfitta come quella del referendum, si ribadisce un’idea di comando solipsistico, allora ti scatta il mollone».

Che cosa scatta?
«Glielo spiego con un pensiero di Abramo Lincoln in cui mi sono imbattuto quando avevo 15 anni: “Così come non accetterò mai di essere servo, non acconsentirò mai a essere padrone. Questa è la mia idea di libertà”. Non ho mai fatto il padrone quando è toccato a me dirigere, non faccio il servo quando tocca ad altri».

Ha visto molti servi in giro?
«Ho visto cose che noi umani... Purtroppo il conformismo è dilagato soprattutto nella nuova generazione. Forse perché è meno temprata di noi vecchi, non spera più che il mondo possa cambiare e ha della politica un’idea di galleggiamento. Ma c’è un limite a tutto. Quando si è trattato di eleggere il presidente della Repubblica e vedevo tutti quei giovani che correvano al telefonino ad aspettare sms, a sbirciare Facebook, ho gridato: “Basta! Siete dei deputati, accidenti!”».

La maggioranza di quei giovani in Parlamento ce li ha portati lei.
«È vero, puntavo sulla freschezza e ho sottovalutato la mancanza di formazione. Del resto non mi metto a contare gli autogol che mi sono fatto!».

Gliene propongo uno. Perché nel 2012 concesse a Matteo Renzi le primarie che chiedeva soltanto lui?
«Perché altrimenti si sarebbe spaccato il Pd. Ne approfitto per raccontare una cosa che non ho mai detto. Ho fatto quella scelta, sulla quale erano quasi tutti contrari, motivandola con la generosità, con la voglia di sfidare Renzi sul campo. Tutto vero, ma c’era anche dell’altro».

Che altro?
«La sensazione che uno come Renzi avrebbe strappato la tessera, organizzato il seguito che già aveva, raccolto le firme e partecipato ugualmente alle primarie, dato che il nostro statuto lo permetteva. Allora sì che il Pd sarebbe finito. Io quella volta l’ho salvato».

E adesso si torna a votare, con una legge elettorale nuova. Che ne pensa?
«Puro avventurismo del potere. Se davvero succederà, arriverà qualche sorpresa dal Paese. Renzi ha la sindrome del burattinaio, ma gli elettori non hanno i fili sulla testa».

Sul vostro movimento i sondaggi non sembrano ottimisti.
«Se cent’anni fa avessero fatto un sondaggio sulla tavola degli elementi, avrebbero trovato il 66 per cento di tungsteno, il 32 di cadmio, il 20 di berillio e appena il 3 per cento di uranio. Ma la bomba atomica è stata fatta con l’uranio. I sondaggi non leggono la dinamica».

Da ragazzo lei aveva fondato una sezione di Avanguardia operaia, gruppo extraparlamentare a sinistra del Pci, oggi è di nuovo in un gruppo dissidente. Un lungo giro per ritornare al punto di partenza?
«Perché no? Si può anche ricominciare. Non vorrei però che mi fosse attribuito un gusto minoritario. A me piace il governo delle cose e credo di averlo dimostrato più volte come ministro. Ma oggi è necessario impedire che si finisca in braccio a una destra regressiva o a una demagogia inconcludente. Dopo di che le cose possono andare bene o male».

E se vanno male?
«Io ho in testa l’ultimo fotogramma di “Edipo re” di Pasolini con la frase “La vita finisce dove comincia”. Lui la intendeva in senso freudiano, ma se uno mette in conto che la vita politica finisce sempre con un dispiacere, anche a novant’anni, l’unico scampo è quello di essere fedele agli ideali della gioventù».

Pier Luigi Bersani: dai banchi di scuola all'addio al Pd

È aver sfiorato quel dispiacere che l’ha fatta ammalare, a pochi mesi dal suo fallimento nel costruire una maggioranza di governo?
«Molti l’hanno pensato, e invece il coccolone mi è venuto in un momento in cui stavo bene, sentivo di aver fatto tutto il possibile e avevo passato la merce a Enrico Letta. Questi malanni possono venire anche quando vai a comprare il giornale».

Ha avuto molta paura?
«Sentivo che era una faccenda seria, ma in quei momenti le cose sono più semplici di quel che si crede. Un po’ perché l’unica cosa che vuoi è che ti passi il dolore, un po’ perché ti senti protagonista di un fatto eccezionale e scatta il senso di te. Io ci ho aggiunto la deformazione professionale. Sull’ambulanza che mi portava da Piacenza a Parma, pensavo: “Se ci lascio le penne faccio pure la figura del pirla, perché sono stato io a decidere che il polo di neurochirurgia fosse a Parma e a Piacenza solo il pronto soccorso”».

Davvero non ha temuto di morire?
«Con la morte ho una certa confidenza. Ho letto tutto quel che se ne è scritto e, una volta, quando ero assessore regionale, ho anche tentato di farne il tema di un convegno, “La morte e il morire dal corteggiamento all’umanizzazione”: Cesare Musatti, Cesare Zavattini e Tonino Guerra avrebbero risposto alle domande del pubblico».

Perché non l’ha fatto?
«La giunta me l’ha bocciato. Tutta gente brava e sveglia, intendiamoci, ma con l’idea radicata dell’Emilia gaudente. E io, che avevo solo 28 anni, li volevo far pensare alla morte!».

Bersani, sbaglio a dire che lei è un sentimentale? L’abbiamo visto piangere in pubblico più di una volta.
«Eh sì, non ho difficoltà ad ammettere che mi commuovo spesso, anche per cose di consumo».

Al cinema, immagino.
«Di più ascoltando musica, specialmente le canzoni di Vasco, come “Stupendo”, dove c’è tutta la delusione della generazione del Sessantotto. Ma mi commuovo anche quando Tarantino in “Kill Bill”, dopo cinque ore di film fantastico, ci svela che la storia era semplicemente quella di una madre che voleva ritrovare sua figlia. Poi capita che Vespa mi faccia rivedere in tv, senza preavviso, i miei genitori morti da tempo. Come si può non piangere?».

Che rapporto ha avuto con loro?
«Conflittuale e di stima profonda. La mia era una famiglia rigorosa, cattolica che mi ha dato l’impronta dell’onestà, ma che non capiva la mia scelta politica. Fu l’Ulivo, con l’incontro pubblico tra comunisti e cattolici, a riconciliarci».

Invece lei che padre è stato?
«Purtroppo sempre lontano. Ho tenuto testardamente la famiglia ferma e ho fatto il pendolare. Dicono che quello che importa non è la quantità, ma la qualità del tempo. Balle! Ho due bravissime figlie, ma resta la sensazione di aver perso qualcosa».

Però, nonostante il pendolarismo, il suo matrimonio dura da decenni.
«Forse proprio grazie al pendolarismo. Andare, tornare, ritrovare sempre tua moglie e casa tua. E poi aiuta anche il paese, il sistema di reti corte, dove conosci tutti, dove se parli di un macellaio ti viene in mente la stessa persona».

Lo stesso macellaio... Andiamo verso una delle sue metafore?
«No, quelle sono più complesse. E sono vere, non ne ho mai inventata una. Vengono tutte dal popolo, si levigano nella sua saggezza. Le ascolto al bar, al supermercato, tra la gente, perché a me la gente piace davvero. Sa qual è la cosa che mi diverte di più?».

Sentiamo.
«Fare il popolare, sparare metafore sempliciotte e poi quando arriva il professore, il cardinale, l’imprenditore che ti guardano dall’alto, stupirli con qualche citazione in latino. Fargli sospettare che non sono né incolto né rozzo».

Non la lascio senza tornare un momento alla politica. La sinistra nel mondo appare ormai disarmata. Abbiamo Trump, May, Macron, nel nostro piccolo, Renzi. Che ne sarà di quella grande idea?
«La sinistra è un fiore di campo. Prima o poi passa qualcuno e la prende. È un’idea ineliminabile di comune dignità, come è ineliminabile l’idea di destra, basata sulla gerarchia. Bisogna solo stare attenti che quel fiore vada nel mazzo giusto».

© Riproduzione riservata 05 giugno 2017

Da - http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/06/05/news/la-sinistra-e-un-fiore-di-campo-1.303179?ref=RHRR-BE
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