TAVOLO delle PROPOSTE e NOTE per il GRUPPO.
Admin:
Mammamaria,
tessere e iscritti al PD ancora non ci sono.
Abbiamo un cartoncino e un diploma da "fondatori" che è cosa diversa.
O mi sbaglio?
ciao
gianni.
mammamaria:
No ggianni... qui abbiamo le tessere! Abbiamo iniziato la campagna di tesseramento da un paio di mesi: c'è uno storico vecchio comunista del posto che sta facendo porta a porta, andando dai vecchi iscritti ai DS, vecchie Margherite, coloro che hanno partecipato alle primarie ma non hanno mai ritirato il certificato e simpatizzanti!
E la campagna ha lo scopo oltre che di inserirsi maggiormente nel territorio, anche di finanziare il partito. Che ha diverse spese,tra cui quelle di affitto per un capannone che ospita le feste dell'unità e la sede del partito. Locali che sono andati tutti alla fondazione che è nata con lo scopo di gestire i beni mobili ed immobili dei partiti di origine. Locali che potrebbero essere tranquillamente dati in affitto ad altri.
Admin:
Quindi tessere del circolo non del PD nazionale.
ciao
gianni
paolav:
io di tessere non ne voglio sapere.
e le regole e lo statuto il pd e i suoi circoli se li scrivono da soli, per quanto mi riguarda.
questo per me è fondamentale.
ciao
paola
Admin:
Poco welfare: in Italia cresce l'infelicità
Alessia Grossi
Gli italiani sono infinitamente meno felici degli svedesi o dei Finlandesi. Nella classifica stilata dall'Ilo, International Labour Office, infatti, su 95 paesi l'Italia arriva terzultima in quanto a felicità percepita dagli individui, seguita solo dagli Stati Uniti e dalla Grecia. Ai primi posti, invece, i paesi scandinavi.
Questo è solo uno dei dati «allarmanti» indicati dal «Rapporto sullo stato sociale 2008» stilato da un gruppo di studiosi ed esperti di welfare state, stato sociale, appunto, a cura di Felice Roberto Pizzuti presentato mercoledì in un convegno a l'Universtità La Sapienza di Roma.
Il Rapporto, appuntamento stabile dedicato a queste problematiche, per il 2008 porta un sottotitolo eloquente: «Il tendenziale slittamento dei rischi sociali dalla collettività all'individuo» che è anche l'argomento chiave di quest'anno.
Questo slittamento, tiene a precisare Pizzuti nella presentazione del rapporto, non è certo prerogativa del nostro paese. Anche nel resto dell'Europa i rischi econimico sociali sono sempre meno socialmente divisi. Questo perché «la spesa sociale comunitaria» nonostante gli obiettivi di Lisbona, che «rimettevano al centro delle politiche quella sociale», dal 2005 l'Ue «si è concentrata di nuovo sugli obiettivi della crescita e dell'occupazione» a scapito di quelli sociali. Insomma, anche in Europa si spende più per la crescita che per gli aiuti sociali.
Ma a confronto degli altri paesi la situazione italiana è quasi la peggiore. Il nostro paese, infatti, impiega nella spesa pubblica solo il 25,5 per cento del Prodotto interno lordo, sotto la media europea del 26,7 per cento che comprende però la Svezia che spende il 30,9 per cento del suo Pil per la spesa sociale.
Solo per fare un esempio «paradigmatico» la sintesi del curatore del rapporto parte dalle riforme pensionistiche.
Senza entrare nei dettagli tecnici basta dare uno sguardo alla spesa sociale italiana per le pensioni per farsi l'idea che - come è scritto nel rapporto - «gli oneri derivanti dall'invecchiamento della popolazione sono accollati esclusivamente ai pensionati, i cui redditi - però - sono destinati a ridursi progressivamente». E se siamo destinati a diventare una popolazione sempre più vecchia, i giovani certamente non stanno meglio. Lavoratori parasubordinati. questo significa che i pensionati non saranno comunque in grado di reggere le coperture necessarie per dare la pensione ai giovani.
Ma prima di arrivare al lavoro, gli italiani devono fare i conti con l'istruzione.
L'Italia per il capitolo istruzione della spesa pubblica spende solo lo 0,8 per cento, un po' di più solo della Romania e al di sotto della media europea che è dell'1,1 per cento. Questo ha come effetto che «mentre nella media dell'Unione il 23 per cento della popolazione tra i 25 e i 64 anni è laureata, in Italia lo è solo il 13 per cento, solo Malta e Romania hanno meno cittadini laureati di noi. E da qui è facile arrivare all'indagine Ocse sui risultati disastrosi ottenuti dagli studenti quindicenni italiani nei test a confronto di quelli degli altri paesi. Ma anche in questo caso, a proposito di squilibri sociali, i ragazzi del Nord Est sono meglio formati di quelli del Sud. Questo - dice il Rapporto - è l'effetto «di forti disomogeneità e di un dualismo territoriale» della spesa pubblica. E per finire l'Italia è anche il paese in cui «un figlio di un laureato ha una probabilità di laurearsi doppia rispetto al figlio di un diplomato e quadrupla rispetto al figlio di chi ha conseguito solo il diploma della scuola media».
La disuguaglianza è un altro dei dati del rapporto che mette in crisi il sistema di Welfare italiano.
Non solo l'Italia è sopra la media europea per le «persone a rischio di povertà» con il 20 per cento della popolazione a rischio contro il 16 per cento dell'Ue. Ma, se «nella media europea il quinto della popolazione più ricca ha un reddito cinque volte maggiore di quello del quinto della popolazione più povera. L'Italia è al di sopra della media con cinque e mezzo». Tra le misure indicate dal rapporto per «intervenire a sostegno del reddito ci sono i "redditi di base", le politiche di reddito minimo garantito». In questo campo «nell'ultimo secolo- indica la relazione - quasi tutti i sistemi di Welfare si sono dotati di misure di sostegno al reddito». Fuori da queste misure solo la Grecia e l'Italia. Di contro in Danimarca e Lussemburgo prevedono una «soglia di reddito minimo che per un single supera i 1000 euro mensili» che in Danimarca arriva a 3333 euro per una coppia di due figli: «pari ad allo stipendio di un professore universitario italiano» conclude Pizzuti.
Ultimi vengono gli immigrati.
Ultimi con una contraddizione. Dice il Rapporto che «pur in presenza di bassi tassi d'occupazione interna, la domanda di lavoratori stranieri - da occupare con retribuzioni e tutele ridotte, per svolgere mansioni comunque scartate dalla popolazione nazionale - è andata crescendo, anche se spesso è accompagnata da atteggiamenti contraddittoriamente ostili verso il loro ingresso e la loro inclusione sociale». Insomma, impieghiamo lavoratori extracomunitari che - spiega il Rapporto, «per il 71 per cento è impiegato in aziende, mentre il 24 per cento svolge lavoro domestico fungendo da «welfare parallelo», ma poi non li vogliamo far entrare in Italia.
Per non parlare dei minori stranieri. Vanno a scuola. Dal 2000 al 2006 gli iscritti al sistema scolastico, infatti, sono saliti da 147.000 a 501.000. Ma contemporaneamente - scrive nero su bianco il rapporto - «la promozione di politiche sociali è stata molto scarsa» di contro ai «maggiori stanziamenti per le politiche di contrasto all'immigrazione».
«Bisogna accontentarsi della card sulla povertà?- domanda provocatoriamente la segretaria confederale della Cgil Morena Piccinini intervenuta alla presentazione del Rapporto. «Non sarebbe il caso invece di parlare dei tagli della manovra finanziaria del Governo che taglia le risorse per la spesa pubblica per pagare l'Ici?».
«Quello di cui l'Italia ha bisogno - conclude la Piccinini - è la garanzia di equità sociale».
Pubblicato il: 02.07.08
Modificato il: 02.07.08 alle ore 15.53
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