Andrea ROMANO.

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Andrea Romano.

Il 25 aprile di Berlusconi


La posta in gioco di questo 25 aprile è la piena assimilazione democratica del berlusconismo. Perché qualunque sia la motivazione che spinge il Cavaliere a partecipare formalmente alla cerimonia di Onna, quella che si presenta oggi è l’occasione per completare l’istituzionalizzazione del fenomeno politico che nel bene e nel male ha impresso il suo marchio alla lunga transizione italiana. E dunque la possibilità di saldare quel divario tra consenso e legittimità che resiste al passare del tempo e al succedersi delle vittorie elettorali, privando da ben quindici anni il berlusconismo di un pieno riconoscimento democratico.

Come sappiamo, ciò è accaduto e continua ad accadere grazie all’effetto convergente sia delle pulsioni di autoesclusione ancora diffuse in campo berlusconiano (eco sempre più debole dell’originaria spinta ribellistica del 1994) sia della rappresentazione del berlusconismo come escrescenza barbarica e quindi estranea al perimetro della presentabilità democratica. Ma quest’ultima fonte di eccezionalismo è assai più resistente del sovversivismo proto-berlusconiano, che è andato declinando soprattutto in ques’ultima fase compassionevole e consensuale dell’egemonia del centrodestra. E si alimenta anche a canali simbolici estremamente raffinati, come lascia pensare il programma di un’iniziativa di valore come la Biennale Democrazia in corso in questi giorni a Torino.

Il cartellone presenta dibattiti e incontri di grande qualità, con relatori di primissimo livello provenienti dai più diversi ambienti accademici e intellettuali. Eppure manca del tutto la voce della cultura politica riconducibile al berlusconismo, mentre sono presenti studiosi che originano da ambiti diversi della destra post-MSI come Marco Tarchi e Alessandro Campi o intellettuali come Franco Cardini e Domenico Fisichella certamente di area conservatrice ma da tempo in conflitto con gli orientamenti politici prevalenti nel centrodestra. Tolti gli eretici e i post-missini, nel primo festival nazionale dedicato al tema davvero imponente della democrazia non si trova una sola voce che possa dirsi culturalmente se non ideologicamente berlusconiana. Segno della tenace difficoltà a riconoscere lo status di piena presentabilità democratica al fenomeno politico che ha raccolto e continua a raccogliere il consenso di almeno la metà degli elettori italiani.

La questione non ha niente a che fare con le regole del galateo bipartisan, ma chiama in causa l’immagine del berlusconismo che sopravvive nella nostra percezione pubblica. E la domanda che occorre farsi proprio oggi, in occasione del 25 aprile, non è tanto quale sia il fondamento politico della rappresentazione barbarica del berlusconismo. Ma piuttosto se tale rappresentazione sia utile alla buona salute della nostra democrazia, nel momento in cui il berlusconismo ha probabilmente raggiunto il massimo storico dei suoi livelli di consenso e di forza politica. L’idea che una parte rilevante se non maggioritaria del paese, dei suoi elettori e della sua società civile, continui a subire i postumi dell’originario stigma di illegittimità concorre a prolungare una transizione già patologicamente dilatata e indebolisce il terreno sul quale lo stesso centrosinistra dovrà prima o poi tornare a misurarsi per riconquistare la maggioranza degli italiani. Perché dovrà farlo riconoscendo piena legittimità non tanto a Berlusconi quanto agli elettori berlusconiani anche in termini simbolici, e dunque includendovi non solo le motivazioni “basse” che ne giustificherebbero il voto (il bisogno di sicurezza, l’insofferenza verso l’eccessivo carico fiscale, etc.) ma anche le ragioni più “alte” di appartenenza. Come può appunto essere il sentirsi pienamente parte di una comunità democratica che nel 25 aprile festeggia ritualmente la libertà di tutti e di ciascuno.

Walter Barberis, sulla Stampa di giovedì, ha lucidamente ricordato la distanza che separa l’invocazione inevitabilmente ingannevole di una “memoria condivisa” (laddove “la memoria è soggettiva, individuale, risultato di sguardi particolari che non possono essere modificati”) e l’urgenza di quel “grande bisogno di verità, di una storia plausibile” che possa “dare prospettiva al paese senza patteggiamenti pelosi su come ricordare il nostro passato”. Ecco, di fronte al gesto che oggi Silvio Berlusconi compierà ad Onna si avverte lo stesso bisogno di colmare con franchezza e verità la distanza che separa gli appelli inevitabilmente retorici alla “riconciliazione nazionale” e la sopravvivenza reale che una buona parte di noi continua a garantire al marchio antidemocratico sul volto del berlusconismo. Perché il Cavaliere, di certo anche per ragioni di opportunità, realizza un altro passo nella costruzione di quel suo nuovo personaggio consensuale al quale ha affidato una futura agenda politica che punta dritta al Quirinale. Ma coloro che berlusconiani non sono difficilmente potranno limitarsi a chiedergli esami del sangue e prove di purezza, coltivando l’illusione di una superiorità genetica che la gran parte dell’elettorato non ha alcuna intenzione di riconoscere. Mentre il paese continua a covare una frattura tra mandato elettorale e legittimità democratica dagli effetti tutt’altro che salutari. 

andrearomano.ilcannocchiale.it

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