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Autore Discussione: Tornano in Sicilia i figli dei boss scappati in Usa per sfuggire ai Corleonesi  (Letto 4286 volte)
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« inserito:: Luglio 12, 2007, 04:03:07 pm »

CRONACA

L'INCHIESTA. Tornano in Sicilia i figli dei boss scappati negli Usa per sfuggire ai Corleonesi.

E si riprendono il potere perduto

La riscoperta dell'America nuovo fronte di Cosa Nostra

DI ATTILIO BOLZONI e GIUSEPPE D'AVANZO


PALERMO - Chi è Frank Calì, e perché tutti lo cercano? Quel nome - il nome di un siculo-americano - ritorna ossessivamente nelle "parlate" degli uomini di Cosa Nostra. Lo fanno a Palermo, lo ripetono nel New Jersey, lo bisbigliano a Corleone. Di Frank sentiremo ancora parlare, giurateci. Eppure, al Dipartimento di Giustizia, Calì non appare mai nei report sulle cinque "grandi famiglie" di New York, i Gambino, i Bonanno, i Lucchese, i Genovese e i Colombo. Soltanto poche, quasi distratte, righe in un dossier dell'Fbi. Più o meno un "signor nessuno" che deve avere però un potere invisibile o ancora sconosciuto, se negli ultimi tre anni per lo meno una mezza dozzina di "delegazioni" di mafiosi siciliani lo hanno raggiunto dall'altra parte dell'Oceano per discutere di "affari". Ma di quali affari? E, soprattutto, di quale portata e per quali progetti?

Questa è la storia, o meglio il primo paragrafo di una storia che soltanto il tempo potrà scrivere. Vi si rintracciano indizi di un prepotente risveglio di Cosa Nostra dopo un muto decennio di ibernazione. La mafia sembra volersi liberare dall'arcaicità violenta dei Corleonesi per ritrovare dalla Sicilia - come in un passato glorioso - ruolo e protagonismo sulla scena internazionale. Nelle loro casseforti ci vogliono mettere soldi, molti soldi. Non vogliono più cadaveri per le strade o "picciotti" nelle galere. A che cosa sono serviti il sangue, le bombe contro lo Stato, gli ergastoli che hanno umiliato le famiglie? A niente. Ecco perché adesso tutti cercano Frank Calì.

Del "signor nessuno" si può dire subito - per quel pochissimo che se ne sa - che è un uomo di rispetto della Famiglia Gambino designato per trattare, con i Siciliani, la nuova avventura. Se sono buone le intuizioni degli investigatori, i mafiosi vogliono ritornare ad essere brokers nel mercato illegale/legale mondiale. Frank Calì serve a tutto questo. È "l'ambasciatore" americano.

Frank Calì ufficialmente è un imprenditore della Italian Food Distribution a New York. Da almeno tre anni, gli agenti dell'Fbi lo vedono intrattenersi con vecchi trafficanti della "Pizza Connection".

E con giovani rampolli delle Famiglie palermitane, nati però negli Stati Uniti. E con gli emissari di Bernardo Provenzano e Totò Riina, i Corleonesi. Un'agenda di incontri che mette insieme amici e nemici di antiche guerre e di mai dimenticati stermini, tutti a far la fila da Frank Calì. L'elenco è lungo. Da lui vanno in più occasioni Nicola Mandalà e Nicola Notaro della Famiglia di Villabate, Gianni Nicchi della Famiglia di Pagliarelli, Vincenzo Brusca della Famiglia di Torretta. Ma forse la traccia più rilevante per capire che cosa sta accadendo è nelle triangolazioni telefoniche tra le utenze di Calì e i cellulari degli uomini di Salvatore Lo Piccolo, ricercato da 27 anni, oggi al primo posto della lista dei latitanti dopo la cattura di Bernardo Provenzano.

Il suo "scacchiere diplomatico" non è stretto alla Sicilia. Un rapporto congiunto dell'Fbi e della Royal Canadian Mounted Police svela "i legami tra Frank Calì, Pietro Inzerillo e i membri del cartello criminale "Siderno" della 'ndrangheta". Alla sua corte ci sono proprio tutti, dunque. È la circostanza che spinge Fbi e Polizia criminale italiana a lavorare insieme, a scambiarsi informazioni e analisi come negli Anni Ottanta, quando Giovanni Falcone faceva squadra con il procuratore distrettuale Rudolph Giuliani. Si preparano a fronteggiare il nuovo piano di Cosa Nostra: la riscoperta dell'America. Con inaspettati protagonisti. Con nomi che, soltanto fino a qualche anno fa, a Palermo non si potevano nemmeno pronunciare.


***

Sono tornati gli Inzerillo. Erano stati massacrati dall'aprile del 1981 all'ottobre del 1983 dai Corleonesi. "Di questi qua - disse Totò Riina - non deve rimanere sulla faccia della terra nemmeno il seme". Morì Totuccio, il rispettato capo di Passo Rigano, e poi morì suo figlio Giuseppe. Morirono in ventuno. Fratelli e zii e nipoti e cugini. Molti scomparvero afferrati dalla "lupara bianca", un impero di 27 società di riciclaggio rimase senza padroni. La scia di sangue si interruppe soltanto con l'intercessione dei parenti di Cherry Hill. Uomini potenti. Allora i più potenti d'America come Charles Gambino. Trattarono una resa senza onore. La Commissione siciliana pretese che gli Inzerillo avrebbero avuta salva la vita a condizione che non tornassero più nell'Isola. Mai più. E' la regola che dettò la Cosa Nostra di Totò Riina. Allora fu nominato, e lo è ancora oggi, un "responsabile" del rispetto di quel patto. Si chiama Saruzzo Naimo. Ma le regole, in Cosa Nostra, esistono per essere violate e interpretate per gli amici e applicate per i nemici. Così alla spicciolata gli Inzerillo sono rientrati a Palermo. Abitano tutti nella loro borgata di nascita, a Passo di Rigano.

E' tornato Francesco Inzerillo, figlio di quel Pietro che l'Fbi e la polizia canadese "vedono" sempre con Frank Calì. E poi Tommaso Inzerillo, cugino di Totuccio e cognato di John Gambino, il figlio del vecchio Charles. E un altro Francesco, fratello di Totuccio. Espulso come "indesiderato" dagli Stati Uniti è tornato Rosario, un altro fratello di Totuccio. E' rientrato Giuseppe, figlio di Santo, ucciso e dissolto nell'acido solforico. Soprattutto è tornato l'unico figlio ancora vivo di Totuccio, Giovanni, nato a New York nel 1972, cittadino americano. A lui è toccato riaprire dopo venticinque anni la casa di via Castellana 346. Insieme a loro, sono riapparsi in città gli Spatola dell'Uditore, i Di Maggio di Torretta, i Bosco, i Di Maio, qualche Gambino. Insomma, quell'aristocrazia mafiosa che i contadini di Corleone avevano spazzato via con "tragedie", tradimenti, agguati. A Palermo gli Inzerillo hanno ricostituito la loro Famiglia. Con quale "autorizzazione"? Con quali appoggi? Con quali garanzie e impegni?

Se la questione è un enigma per gli investigatori, impensierisce ancora di più alcuni alleati palermitani dei Corleonesi che erano stati in prima fila, nella strage degli Inzerillo. La preoccupazione diventa apprensione quando, nei viaggi in America, scoprono che accanto a Frank Calì c'è sempre un Inzerillo. A New York come a Palermo, per uscire dall'isolamento e pensare finalmente alla grande, bisogna fare necessariamente i conti con "quelli là" e le loro influenti parentele d'Oltreoceano.


***

Nelle ultime intercettazioni ambientali - una vera miniera di inaspettate informazioni - "il discorso dell'America" è un tormentone tra i mafiosi. Riserva un punto di vista inedito su Cosa Nostra. Liquida ogni lettura convenzionale. Cosa Nostra non è il quieto monolite governato con i "pizzini" dalla furbizia contadina del vecchio Provenzano né è attraversata, come pure si è sostenuto, da una frattura territoriale e culturale. Da un lato, i contadini e i paesi di campagna. Dall'altra, i cittadini, la grande città, le borgate. E' invece un mondo smarrito e, al tempo stesso, eccitato dalle nuove opportunità. Ora, come per un riflesso condizionato, tentato di mettere mano alla pistola per eliminare ogni irritante contraddizione; ora convinto di dover cercare, senza sparare un colpo, compromessi per far valere la sola ragione che tutti può entusiasmare: fare i piccioli. Fare i soldi. Gli esiti della contesa sono del tutto imprevedibili. Nei prossimi mesi, la guerra ha la stessa possibilità di scoppiare quanto la pace. Chi lavora, con ostinazione paranoide, a una nuova contrapposizione si chiama Antonino Rotolo. E' il capomandamento di Pagliarelli. Basta ascoltare quali erano i suoi argomenti qualche giorno prima di finire in galera.

"Questi Inzerillo - dice Rotolo ai suoi - erano bambini e poi sono cresciuti, questi ora hanno trent'anni. Come possiamo, noi, stare sereni... Se ne devono andare. E poi uno, e poi l'altro e poi l'altro ancora... Devono starsene in America. Si devono rivolgere a Saruzzo (Naimo) e se vengono in Italia li ammazziamo tutti. Come possiamo stare, noi, sereni quando io per esempio - l'ho detto e lo ripeto - so di un tizio che dice a uno dei figli di Inzerillo: "Non ti preoccupare tempo e buon tempo non dura sempre un tempo"... Noialtri non è che possiamo dormire a sonno pieno perché nel momento che noi ci addormentiamo a sonno pieno, può essere pure che non ci risvegliamo più. Alzando la testa questi, le prime revolverate sono per noi. Vero è... Picciotti, non è finito niente. Gli Inzerillo, i morti, li hanno sempre davanti. Ci sono sempre le ricorrenze. Si siedono a tavola e manca questo e manca quello. Queste cose non le possiamo scordare. Questi se ne devono andare, punto e basta, non c'è Dio che li può aiutare... Ce ne dobbiamo liberare e così ci leviamo il pensiero... Per il bene di tutti, noi questo dobbiamo fare. L'avete capito o no che quello, Lo Piccolo, li utilizza già gli Inzerillo? Questa storia non finisce, non finirà mai...". Antonino Rotolo affronta con Alessandro Mannino, nipote prediletto di Totuccio Inzerillo, "il discorso dell'America". Senza giri di parole, in modo brusco.

Gli dice: "Tu sei il nipote di Totuccio Inzerillo il quale, con altri, senza ragione alcuna sono venuti a cercarci per ammazzarci, ma a loro nessuno gli aveva fatto niente. Ci hanno cercato e ci hanno trovato. Peggio per loro. Non siamo stati noi a cercarli. Così si è creata questa situazione di lutti e di carceri. La responsabilità è di tuo zio e compagni, se ci sono morti e se ci sono carcerati. Quindi io ti dico che non c'è differenza tra voi, che avete i morti, e le famiglie che hanno la gente in galera per sempre, perché sono morti vivi. Quindi, i tuoi parenti devono rimanere all'America, devono rimanere sempre reperibili. Ai tuoi parenti garanzie non ne può dare nessuno. I tuoi parenti se ne devono andare e ci devono fare solo sapere dove vanno perché noi li dobbiamo tenere sempre sotto controllo".


***

Anche Antonino Rotolo ha spedito a New York il suo fidato "messaggero", Gianni Nicchi, giovane e "sperto". Al rientro dalla missione, si fa raccontare e quel che ascolta non gli piace. Rotolo, se sono sincere le sue parole, non si fida delle promesse di Frank Calì. Crede che siano soltanto "chiacchiere" per restituire Palermo agli Inzerillo. I suoi sospetti lo isolano dentro Cosa Nostra. Salvatore Lo Piccolo - il suo competitore nelle borgate - ha già chiuso l'accordo con gli Americani. L'ago della bilancia è Provenzano. Però anche a Provenzano fa gola riallacciare i rapporti con i suoi antichi nemici e ritrovarseli dopo un quarto di secolo al suo fianco. Negli ultimi mesi della sua latitanza, finita l'11 aprile del 2006, mette in moto tutta la sua sapienza ambigua. In un rosario di "pizzini" inviati ai suoi, finge di non sapere che gli Inzerillo sono già tutti a Palermo. Minimizza la rilevanza di quel ritorno. Quando gli capita, consiglia di accoglierli "se vogliono passare il Natale con i loro parenti" o se devono scontare scampoli di pena in Italia, una volta espulsi dagli Stati Uniti. E' l'abituale inganno "corleonese". In realtà, il lavorio di mediazione con gli Americani è l'ultima grande fatica del Padrino di Corleone.

Da due anni, "il vecchio" si adopera per il recupero totale alle fortune di Cosa Nostra degli Inzerillo, soprattutto dei loro legami con la mafia americana. Nicola Mandalà è l'uomo più fidato dell'inner circle di Bernardo Provenzano. Lo aiuta a farsi operare alla prostata in una clinica di Marsiglia. Fa due viaggi a New York per incontrare Frank Calì e Pietro Inzerillo. E' possibile che Mandalà, generosamente finanziato con 40 mila dollari a trasferta, abbia fatto tutto questo senza un mandato di Provenzano? Un altro "contadino" di Corleone va in America. E' quel Bernardo Riina che sarà poi arrestato come "ultimo anello" che conduce i poliziotti nel rifugio di Montagna dei Cavalli. Bernardo Riina costituisce una società a New York insieme a suo figlio nel gennaio del 2006. Appena cento giorni prima della cattura del suo Padrino. E' il ponte lanciato dalla Sicilia all'America. E' un capovolgimento di schemi e di logiche dove i Corleonesi - dati per spacciati dopo l'arresto dei suoi rappresentanti più famosi - non solo non stanno abbandonando i posti di comando di Cosa Nostra ma, al contrario, provano a penetrare un altro mondo: gli Stati Uniti. Il personaggio chiave è, dunque, il nostro misteriosissimo Frank Calì che distribuisce Italian Food su tutta la costa atlantica. Ancora più misteriose, al momento, sono le occasioni economiche e finanziarie che le due mafie prevedono di cogliere insieme. Tempo e buon tempo non dura sempre un tempo. Cosa Nostra si prepara alla sua nuova stagione.

(12 luglio 2007) 

da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 13, 2007, 03:23:20 pm »

CRONACA

Cosa nostra vorrebbe occuparsi ancora del traffico internazionale, ma con un nuovo ruolo

Guarda verso gli Usa, ma non solo. Ha necessità di muovere denaro dove rende di più

"La mafia ha già fatto l'accordo sugli affari italo-americani"

Il procuratore nazionale Grasso "Intesa raggiunta tra le famiglie risolto il problema Inzerillo"

di ATTILIO BOLZONI e GIUSEPPE D'AVANZO
 

CHI è Frank Calì, e perché tutti lo cercano?"Posso solo dire che è un siculo-americano", risponde Pietro Grasso. Frank Calì è l'"ambasciatore" che sta trattando un nuovo "patto" tra la mafia americana e Cosa Nostra siciliana. Il suo nome, la sua trama, i suoi incontri sono gli indizi di una nuova stagione per l'organizzazione orfana di Bernardo Provenzano. È comprensibile che il procuratore nazionale antimafia non voglia e non possa dire di più. E tuttavia Pietro Grasso spiega in quest'intervista le ragioni del ritorno a Palermo degli Inzerillo, i mafiosi sterminati nella guerra con i Corleonesi; le fibrillazioni che ci sono state nelle "famiglie" e come sono state - per il momento - superate; che cosa accade e può accadere in Sicilia nei prossimi mesi. Con una conclusione: dentro Cosa Nostra c'è un accordo con i transfughi americani in vista di prospettive di investimenti comuni".

Procuratore, lunedì la commissione parlamentare antimafia sarà a Palermo proprio per capire come si sta organizzando Cosa Nostra dopo l'arresto di Bernardo Provenzano.
La commissione sarà certamente in grado sulla scorta delle informazioni che riceverà dai magistrati, prefetto, questore di ricostruire gli eventi e ricavarne analisi e strategie. La missione parlamentare si spingerà fino all'omicidio di Nicola Ingarao, avvenuto il 13 giugno scorso, il primo omicidio "pubblico" di mafia a Palermo, dopo quindici anni.

La morte di Ingarao ha fatto a dire a molti che Cosa Nostra è alla vigilia di una nuova guerra di mafia.
Opinione diffusa, ma non sono d'accordo. Prima di Ingarao, nel gennaio del 2006, scompare per "lupara bianca" Giovanni Bonanno, reggente di Resuttana. Le evidenze investigative in nostro possesso dimostrano che quel delitto è il risultato di una decisione condivisa da tutte le componenti di Cosa Nostra. Voglio dire che non sempre un omicidio annuncia un conflitto. Al contrario, l'eliminazione di un mafioso può anche liberare il campo per rendere possibile un'ampia intesa di "pace". Se quella presenza diventa un punto di resistenza o di contraddizione, l'omicidio in quel caso non è prodromo di un scontro. Anche la morte di Ingarao si potrebbe spiegare così.

Per quel che si è capito, oggi in Sicilia le opportunità di pace equivalgono alle probabilità di guerra. Molto, se non tutto, dipende da come sarà risolto il "discorso dell'America", il ritorno degli Inzerillo a Palermo. Sarà guerra o sarà pace? Accordo o conflitto?
Sicuramente le famiglie mafiose hanno trovato un accordo. Quel che era considerato il problema degli Inzerillo si è assolutamente risolto.

Quali sono i termini dell'accordo?
Non ne conosciamo i dettagli. Però abbiamo un riscontro concreto. Nel febbraio del 2006 il capomafia Salvatore Lo Piccolo invia un messaggio, un "pizzino", a Bernardo Provenzano. Vuole rassicurare il corleonese che a Palermo non ci sono più contrasti per gli Inzerillo. E questo è un fatto. Il lavoro a Palermo della commissione antimafia servirà anche a verificare se ci sono nuove risultanze e di conseguenza capire che cosa è avvenuto dopo la cattura di Provenzano e che cosa può accadere ancora. Ma una cosa sento di poterla dire. Dalle indagini, quell'accordo c'è e tiene. Al punto che, se fino alla fine del 2005 alcune "famiglie" palermitane pensavano di preparare una serie di omicidi, tutto questo non è più attuale.

Per quale motivo c'è stato un passo indietro?
"Dentro Cosa Nostra tutti hanno l'interesse a lavorare per l'unità dell'organizzazione nella convinzione che soltanto insieme possono garantirsi la continuità. Non vogliono più commettere gli errori del recente passato. Hanno compreso che se vogliono avere un futuro devono intendersi, trovare dei compromessi.

Ma sono compromessi per il governo del territorio o anche per intese economiche?
In questo momento, le famiglie di mafia sono alla ricerca di prospettive di pace e prospettive di investimento.

Guardano agli Stati Uniti? Gli Inzerillo, con le loro influenze Oltreoceano, sono indispensabili per questa strategia di arricchimento?
Sì, certamente guardano verso gli Stati Uniti, ma non solo in quella direzione. Cosa Nostra, diciamo così, si guarda intorno e ha la necessità di accumulare denaro, muoverlo là dove il rendimento può essere più favorevole. Nei mercati illegali, certo. Ma anche, se non soprattutto, in quelli legali dovunque offrano delle opportunità. Voglio fare un esempio. Sappiamo che Cosa Nostra vuole tornare a occuparsi del grande traffico internazionale di stupefacenti ma non con il ruolo e le funzioni del passato. Negli Anni Ottanta, in Sicilia sono state scoperte cinque raffinerie di eroina, quattro a Palermo e una vicino ad Alcamo. Ora lo stoccaggio degli stupefacenti si ipotizza che sia in Africa o nei Balcani. Non vogliono più prendersi questi rischi, i mafiosi. Troppo pericoloso fare ancora questo commercio.

Oggi i vertici dell'organizzazione non gestiscono in prima persona i traffici. O li delegano a figure minori o li consegnano, per così dire, in appalto ad altri clan, albanesi, nigeriani... Saranno questi ad andare incontro a venti anni di galera e più. I mafiosi di casa nostra si limitano a finanziare i carichi con carature e quote come nel contrabbando dei tabacchi degli Anni Cinquanta. Guadagneranno, nell'immediato, un po' di meno, ma il profitto è sicuro, protetto. Si può dire che abbiamo di fronte due canali, non coincidenti né sovrapponibili. In uno si muove il denaro. Nel secondo la droga. Il movimento del denaro non coincide nemmeno temporalmente con il movimento della droga. Ecco, Cosa Nostra oggi vuole entrare con tutto il suo peso nel circuito finanziario abbandonando ad altri il canale operativo.

È per realizzare questo progetto che i siciliani hanno bisogno degli Inzerillo e dei loro "cugini" del New Jersey?
Le "famiglie" americane non hanno più interesse a fare grossi traffici di stupefacenti. Hanno l'interesse a controllare attività legali. Se, per ipotesi, controllano le attività ufficiali e legali del porto di New York, perché avere addosso la Dea o l'Fbi per un commercio di droga con i colombiani?.

È dunque questo il know how che i siciliani vogliono copiare dai cugini?
Per fare certi investimenti, Cosa Nostra non si può più permettere di riciclare i suoi profitti in beni individuabili sul territorio, in immobili e terreni, come ha sempre fatto. Cerca nuove strade dovunque i ricavi del crimine possano diventare anonimi e puliti. La via verso gli Stati Uniti è solo una delle possibilità che si riserva. Secondo alcune indiscrezioni che non hanno trovato ancora un riscontro, ci sono "famiglie" che potrebbero investire somme importanti nella rete commerciale del centro di Manhattan. Ma non ci sono solo gli Stati Uniti. Loro vanno dove la ricchezza ingrassa in sicurezza.

Procuratore, lei ha detto che c'è accordo sugli Inzerillo e non prevede l'inizio di un'altra guerra di mafia. Però a Palermo, e secondo fonti qualificate, non si esclude che nei prossimi mesi ci possa essere anche un omicidio eccellente, come cinico mezzo per tagliare definitivamente i ponti con la generazione mafiosa che, in carcere, sconta gli ergastoli per le stragi. Qual è la sua opinione?
In teoria, le condizioni per un omicidio eccellente ci sono. Ma soltanto in teoria. Io non ci credo. L'omicidio eccellente a Palermo è sempre stato conservativo, è sempre stato utile a difendere lo status quo. Le sole notizie di una abrogazione dell'ergastolo o di una possibile revisione dei processi, già da sole, potrebbero far temere un ritorno in massa dei Corleonesi al punto da innescare una strategia che, attraverso un omicidio eccellente, attribuisca a costoro il mandato dell'assassinio. E quindi la loro definitiva "sepoltura" in carcere. Un'altra ipotesi potrebbe essere quella di un'autoproclamazione, attraverso un omicidio eccellente, di un nuovo vertice di Cosa Nostra, come dimostrazione di forza. Ma questa strategia di violenza credo che appartenga al passato di Cosa Nostra.

La mafia mi sembra consapevole dei danni che può subire per una sfida allo Stato. Non scivolerà un'altra volta in questa trappola. Vuole denaro e per fare denaro deve essere unita, cercare mediazioni, stringere accordi. È proprio quello che, secondo me, la mafia siciliana sta cercando di fare. Queste scelte sono omogenee e in sintonia con l'interesse verso gli americani. E, si sa, gli americani hanno molto disapprovato i Siciliani per le uccisioni di Falcone e Borsellino. Quelli pensano solo agli affari.

(13 luglio 2007) 

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