Lo stato dell’Unione
L’eredità (in)visibile di Obama
Di Massimo Gaggi
C on una misura notata da pochi che limita l’uso dei condizionatori d’aria, Barack Obama ha creato le premesse per ridurre dell’1% i consumi energetici americani. Altri cali arrivano dalle auto con le norme che obbligano i costruttori a produrre vetture capaci di raddoppiare la distanza percorsa con un litro di benzina. Così cominciano a cambiare i comportamenti degli americani. E per la prima volta, grazie anche alla maggiore estrazione di shale gas e alla chiusura delle centrali a carbone più inquinanti, negli Usa diminuiscono le emissioni che scaldano l’atmosfera e alterano il clima.
Non ci sono solo la riforma sanitaria, il dimezzamento dei disoccupati, il rilancio dell’economia e il salvataggio dell’industria dell’auto nell’eredità che Obama lascia all’America. Anche se i cittadini, che gli assegnano un basso indice di gradimento (poco superiore a quello di George W. Bush nel 2008, ma lontano dalla popolarità di Clinton e Reagan a fine mandato) non gliene danno atto, la presidenza del primo leader nero della storia Usa si lascia dietro i semi di un cambiamento che, dalla scuola alla finanza, sarà più profondo di quanto non appaia a prima vista.
Stanotte, pronunciando il settimo e ultimo Discorso sullo stato dell’Unione, Obama rivendicherà davanti al Congresso le cose fatte. E, nonostante le difficoltà e gli insuccessi in politica estera, presenterà un quadro ottimista del futuro del Paese per arginare la cupa narrativa dei candidati repubblicani alla Casa Bianca che parlano di un’America in declino.
Sul giudizio negativo dei cittadini pesano soprattutto la sensazione di un declino degli Usa per il loro minor peso geopolitico: un calo che è figlio della moltiplicazione dei conflitti, della rinuncia di Washington a continuare a fare il «gendarme del mondo» e dell’espansione apparentemente incontenibile dell’influenza dell’Isis. Accusato dai repubblicani di aver abbracciato un pacifismo rinunciatario e velleitario, Obama sostiene di aver fatto quello che poteva per mantenere alta la guardia senza riportare in guerra un’America esausta dopo 13 anni di conflitti in Iraq e Afghanistan. Così, aggiunge la Casa Bianca, abbiamo tenuto il Paese al riparo da attacchi terroristi: un argomento solo in apparenza indebolito dalla strage di San Bernardino, condotta da «cani sciolti», non da cellule attive dei grandi movimenti sovversivi come Al Qaeda o lo Stato Islamico.
Ma la maggior parte degli americani boccia Obama anche per quello che ha fatto all’interno: la destra lo condanna accusandolo di aver perseguito politiche dirigiste, ispirandosi a modelli
socialisti. La sinistra liberal lo considera, invece, un presidente che si è accontentato di una serie di mezze misure poco efficaci.
In realtà Obama ha fatto anche cose molto importanti. Che sono però difficili da presentare come tali sul piano della comunicazione. Quando, sei anni fa, l’allora ministero del Tesoro, Tim Geithner, gli disse che sarebbe passato alla storia come il presidente capace, dopo il crollo del 2008, di evitare all’America un’altra grande depressione, Obama replicò secco: Non mi basta». Ma le cose realizzate in una realtà che è sempre più complessa non sono nitide come le promesse elettorali di cambiamenti radicali fatte nel 2008. O come i programmi di Donald Trump, che vuole un muro al confine col Messico, o quelli del progressista Bernie Sanders che invece promette «college» gratuito per tutti i ragazzi americani.
Obama ha riformato Wall Street e il finanziamento dello studio, ma le nuove regole per il mercato finanziario sono giudicate da molti lacunose nonostante abbiano fin qui impedito il ripetersi di gravi crisi. In campo scolastico, poi, il presidente ha evitato la bancarotta di un’intera generazione di laureati schiacciati da un debito di studio troppo elevato, trasferendone gradualmente l’onere alla fiscalità generale. Mossa poco pubblicizzata per non farsi accusare di aver imposto un’altra tassa occulta ai contribuenti, ma che ha evitato un disastro sociale.
Forse, alla fine, il giudizio da rivedere sarà quello di un Obama gran comunicatore: Bill Clinton si vantò per anni di aver messo la museruola a «big tobacco», ma poi è stato Obama a regolare, in silenzio, l’industria del fumo. Mentre dei 90 miliardi federali spesi per decuplicare la produzione di energie alternative si parla quasi solo per denunciare un unico scandalo: quello di una società del solare, Solyndra, fallita dopo aver avuto 535 milioni di sussidi pubblici.
12 gennaio 2016 (modifica il 12 gennaio 2016 | 08:04)
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