ILVO DIAMANTI -

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POLITICA

LE MAPPE.

Per orientare le scelte i temi "etici" contano molto meno di questioni come tutela dei salari e sicurezza

Tra marchi nuovi e antipolitica elettori confusi al supermarket

Risultato scontato? Anche nel 2006 sembrava così ma Berlusconi mancò la vittoria per un soffio

 di ILVO DIAMANTI


Le elezioni del prossimo 13-14 aprile hanno un favorito, ma non un vincitore predestinato. Lo suggeriscono i dati del sondaggio condotto da Demos-Eurisko per Repubblica nei giorni scorsi, a cui fa riferimento questo Atlante politico. Il Pdl è davanti al Pd: 41% a 35%. Sei punti. Un distacco chiaro, che si conferma se si considerano le liste apparentate. La Lega e Mpa, da un lato. Dall'altro, Di Pietro e i Radicali (che confluiranno nel Pd, senza marchio).

Su queste basi l'esito della prossima consultazione non può ritenersi scontato. Impossibile dimenticare la lezione di Silvio Berlusconi. Esattamente due anni fa, i sondaggi dei principali istituti demoscopici attribuivano alla Cdl lo stesso svantaggio. Valutavano, per questo, impossibile la rimonta. Berlusconi ha smentito tutti. Le previsioni dei sondaggi e i suoi stessi alleati, che non credevano possibile risalire. In poco più di un mese ha annullato il distacco. Ha perso alla Camera per una manciata di voti, mentre al Senato è stato "tradito" dai collegi esteri.

Oggi, peraltro, la situazione è più incerta e fluida, rispetto a due anni fa. Gli elettori si muovono un po' confusi. Come consumatori in un mercato che propone prodotti nuovi e diversi. Perché le principali etichette di partito sono pressoché scomparse. Sostituite da altri marchi. In tempi troppo rapidi per non generare disorientamento. Non è facile neppure capire come reagiranno, molti elettori, di fronte all'eclissi - o alla definitiva rimozione - del proprio simbolo di riferimento.

1. Si assiste, comunque, a una forte polarizzazione, che, fin qui, ha premiato i due principali soggetti politici, sorti negli ultimi mesi. Pdl e Pd: insieme aggregano circa tre elettori su quattro. Più della Dc e del Pci, ai tempi della prima Repubblica. Sembra, cioè, che gli elettori si siano abituati a votare in modo "maggioritario", nonostante la logica proporzionale dell'attuale legge elettorale. Simmetricamente, gli altri partiti, ancora numerosi, si contendono un settore di mercato elettorale molto limitato. E' interessante, tuttavia, osservare la capacità d'attrazione espressa dai partiti di centro. L'Udc è stimata intorno al 6%. La Rosa bianca all'1%. Riuniti sotto una sola bandiera potrebbero superare la soglia di sbarramento sia alla Camera che al Senato.

Invece, la Sinistra Arcobaleno rivela, per ora, un basso grado di attrazione. D'altronde, l'analisi dei flussi di voto rispetto al 2006, suggerisce che solo il 40% degli elettori dei partiti che hanno dato vita alla "cosa rossa" oggi voterebbero per la Sinistra Arcobaleno. Mentre un terzo di loro si sarebbero già spostati sul Pd. Anche il Pdl, d'altronde, dimostra una notevole capacità di attrazione, che gli permette di guadagnare circa il 4% rispetto al risultato dei partiti fondatori nel 2006. Tutte le altre formazioni raccolgono frazioni di elettori molto esigue. Nessuna pare in grado di arrivare in Parlamento, in assenza di apparentamenti dell'ultimo minuto. Fra le novità, la Lista per la vita, promossa da Giuliano Ferrara, raccoglie pochi decimali.

Il peso assunto dall'Udc, in queste stime elettorali, spinge a destra gli elettori del Pdl. Tanto che il Pd, sull'altro versante, appare più vicino al Centro, e quindi all'Udc. I cui sostenitori, d'altronde, dividono le loro simpatie in modo equilibrato fra i due "oligopolisti" del mercato elettorale. Ciò potrebbe costituire un rischio per l'Udc se, com'è probabile, la campagna elettorale si polarizzasse ulteriormente. Allora, la logica del "voto utile" potrebbe spingere una parte dei suoi elettori verso i partiti più forti. Per questo, la possibilità dell'Udc di consolidare il suo peso elettorale dipende dalla capacità di esprimere "protesta" più che "moderazione". Intercettando la delusione nei confronti del maggioritario bipolare della seconda Repubblica.

2. L'incertezza di questa fase è confermata dal sostanziale equilibrio dei consensi nei confronti dei due principali leader. Se dovessero scegliere il premier, per elezione diretta, fra Berlusconi e Veltroni, gli elettori si dividerebbero in modo pressoché uguale. Anche così si spiega la convergenza di strategie fra i due "avversari". All'insegna della personalizzazione e del reciproco riconoscimento. Da un lato, Veltroni conta di sfruttare il proprio appeal personale per bilanciare lo svantaggio prodotto dall'orientamento politico. Dall'altro, Berlusconi è convinto che il vantaggio del Pdl sia sufficiente a garantirgli il successo, mentre sfrutta la propria immagine per coagulare un elettorato, comunque, fluido e composito. Dubitiamo, tuttavia, che il clima della campagna elettorale rimarrà disteso e civile fino al voto. Soprattutto se l'incertezza dell'esito dovesse crescere ulteriormente. Come, d'altronde suggeriscono altri segnali, particolarmente importanti per decifrare l'orientamento degli elettori italiani.

3. Il voto dei cattolici, anzitutto, che negli ultimi anni si era spostato decisamente a centrodestra, oggi appare più equilibrato. Fra i cattolici praticanti, in particolare, si osserva una distribuzione proporzionata al peso dei partiti. Con un sovrappiù per l'Udc. La cui presenza autonoma sul mercato elettorale pare aver "secolarizzato" il Pdl. Mentre le polemiche accese nel Pd, sul tema, fin qui non sembrano aver prodotto particolari effetti. (Anche se, al momento del sondaggio, l'accordo con i Radicali non era ancora stato siglato).

4. D'altronde, i temi "etici" che hanno agitato il dibattito pubblico negli ultimi mesi (in particolare modo l'aborto), comparativamente, in questa campagna elettorale contano molto poco, nella percezione degli elettori. Mentre, tra i cittadini, è massima l'importanza assunta dai problemi economici legati alla vita quotidiana: reddito familiare e costo della vita. Insieme alla sicurezza.

5. C'è, infine, la questione dell'antipolitica. Quel vento ostile verso i partiti e le istituzioni, che ha soffiato impetuoso, negli ultimi mesi. Chi immagina che il clima elettorale abbia inibito quel sentimento si sbaglia. Ne è prova il consenso di cui gode Beppe Grillo, verso il quale esprime fiducia il 55% degli elettori. Lo testimonia, ancora, l'atteggiamento verso i partiti: tutti uguali, secondo tre elettori su quattro. Si tratta di sentimenti trasversali. Diffusi in tutti gli elettorati. In particolare nella base di due partiti: la Lega Nord e l'IdV di Di Pietro. Tuttavia, la sfiducia nei partiti e la simpatia per l'alfiere del V-Day non sembrano alimentare "astensione": dalla politica e dal voto. Infatti, anche se lamenta che tutti i partiti sono uguali, gran parte degli elettori si schiera: sceglie un partito. Ciò conferma che l'antipolitica costituisce, per molti versi, un sentimento "politico". E' un modo per incalzare i partiti. Per spingerli a rinnovarsi. A moralizzare i comportamenti.

Questo Atlante politico, dunque, tratteggia un'Italia fluida e instabile. Alla ricerca di una nuova geografia elettorale. Ancora incerta e un po' disorientata, perché il paesaggio politico è cambiato e sta ancora cambiando. L'esito del prossimo 13 aprile non è ancora scritto. A chi lo profetizza, rammentiamo che dal 1994 ad oggi tutte elezioni - tutte - hanno spiazzato, a volte sovvertito le previsioni. E che, dal 1996 fino al 2006, tutte le elezioni - tutte - si sono risolte per pochi punti. Talora: frazioni di punto.

C'è da dubitare che questa volta le cose andranno diversamente.

(25 febbraio 2008)

da repubblica.it

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Stampa Sondaggi faziosi, comunisti e casinisti
 

Berlusconi si è molto risentito, nei giorni scorsi, contro il PD e i giornali di sinistra. I quali farebbero, a suo avviso, informazione scorretta perché presentano sondaggi diversi da quelli di cui lui, personalmente, dispone. Che lui personalmente commissiona, visiona e divulga. E i sondaggi che Berlusconi personalmente commissiona, visiona e divulga danno il PdL sopra il PD di 10 punti percentuali. Non 6, come invece indicano i sondaggi artefatti commissionati dal PD e dai giornali di sinistra. (Sospettiamo che in questo giudizio c'entri, in qualche misura, l'Atlante Politico che abbiamo pubblicato su "la Repubblica" lunedì scorso).

In effetti, tutti sanno che Berlusconi non ha mai bluffato, con i sondaggi. Non li ha mai usati come strumenti di campagna elettorale, come profezie che si autoavverano. In fondo, due anni fa, ha avuto ragione lui. I suoi sondaggi "personali", commissionati a una nota agenzia americana, davano la CdL in parità già a metà febbraio. Quando tutti gli altri, invece, la stimavano in svantaggio di 5-6 punti. Come oggi il PD.

Effettivamente, due mesi dopo, fu sostanziale pareggio. Aveva ragione lui, quindi. Ne siamo davvero certi? Aveva ragione lui? Oppure quel sondaggio "profetizzava" ciò che sarebbe avvenuto due mesi dopo? Anche grazie all'incertezza che avrebbe suscitato, riaprendo una competizione considerata, dagli elettori, già chiusa? Chissà... Certo che, dopo il voto, il Cavaliere continuò a polemizzare duramente con gli alleati. Che non gli avevano creduto e non l'avevano sostenuto. (Magari per scelta consapevole). Aveva rimontato da solo, sostenne. Bastava una settimana di campagna elettorale, qualche trasmissione ancora: avrebbe completato la rimonta e realizzato il sorpasso.

Curiosa recriminazione, visto che i "suoi" sondaggi avevano registrato il pareggio due mesi prima del voto. Evidentemente il suo attivismo feroce nelle ultime settimane di marzo, compresa la grande performance all'assemblea degli industriali di Vicenza, l'ultimo faccia-a-faccia televisivo con Prodi, a pochi giorni dal voto (quando aveva scandito: "E infine toglieremo l'ICI. E forse anche la tassa dei rifiuti"). Non gli avevano fatto recuperare nulla. Ma, perfino, perdere qualcosa. In fondo era sul pari già due mesi prima...

Così, nei giorni scorsi, si è indignato. Perché i "suoi" sondaggi lo danno in vantaggio di dieci punti, non di 6 e mezzo. Il che genera, comunque, qualche dubbio. Visto che sabato scorso, al convegno degli amici di Giovanardi, usciti dall'Udc per confluire del PdL, Berlusconi aveva sostenuto che il vantaggio del PdL era di "12 punti". Due punti persi in due giorni. Il rischio è che, fra un paio di settimane, le stime del Cavaliere decretino il pareggio...

Il problema è che il Cavaliere interpreta sempre in modo creativo i "suoi" sondaggi. Che nel 1994 stimavano FI al 30%. Ottenne il 20%, ma pazienza: vinse egualmente. Nel 1996 assicuravano il successo del Polo delle Libertà. Si affermò l'Ulivo. Ma, sappiamo, a volte sbagliano gli elettori, non i (suoi) sondaggi. Nel 2001, invece, prevedevano il trionfo della CdL sull'Ulivo. Con oltre 10 punti percentuali di vantaggio.

Vinse sul serio. Ma con un punto in più, alla Camera.
Non importa. Perché il "senno di poi", nei sondaggi, non conta. Importa il "senno di prima". Le stime in tempi di campagna elettorale. Perché, effettivamente, entrano in campagna elettorale. Condizionano i sentimenti e gli atteggiamenti. Così oggi il Cavaliere si irrita se i sondaggi lasciano intendere che la partita è ancora aperta. Se fanno dubitare agli elettori che "la festa appena cominciata è già finita". Meglio discutere subito dei ministeri e degli incarichi istituzionali, così non perdiamo tempo... Per cui impone la verità dei "suoi" sondaggi. Contro tutti gli altri. Tutti. Non solo quelli del PD e dei giornali della sinistra. Perché Ipsos attribuisce al PD (e ai suoi alleati) 7 punti in più del PD (e liste collegate). Lo stesso, SWG. Peraltro, il Corriere della Sera aveva proposto, nei giorni scorsi, stime elettorali di Demoskopea che davano ragione al Cavaliere: 9 punti di vantaggio per il PdL. Ma la nuova rilevazione di Demoskopea per Sky Tg 24, di oggi, si allinea a sua volta: 7 punti di distacco.

Infine, vediamo il sondaggio di "fiducia" a cui fa riferimento il Cavaliere. La direttrice di Euromedia Research rivela in esclusiva al quotidiano on-line "Affari Italiani" che il distacco fra i due maggiori competitors è "compreso tra gli 8 e i 10 punti percentuali, in quanto è tra il 44 e il 46% la coalizione che indica Berlusconi premier e tra il 36 e il 38% quella che indica Veltroni" ("Affari Italiani", Martedì 26.02.2008, 14:32). Insomma: fra 10 e "8 punti". A metà: tra i sondaggi del Pd e quelli "personali" - nell'interpretazione "personale" - di Berlusconi.

Il problema è che i sondaggi non pre-vedono: vedono e misurano il presente. O, almeno, ci provano. Chi meglio, chi peggio. Possono servire a rilevare la distribuzione dei consensi in un determinato momento. Indicare quanti e chi sono gli incerti. Cosa pensano, cosa potrebbero decidere in seguito. Ma poi, alla fine, contano le elezioni. E, da qui alle elezioni, contano i comportamenti degli attori politici. La campagna elettorale. I media. Naturalmente, gli attori politici e la campagna elettorale occupano principalmente i media. Inoltre, i sondaggi contribuiscono allo spettacolo della campagna elettorale. Quindi, a definire e a modificare l'opinione pubblica. Per cui, quando sono resi pubblici, diventano - anzi, sono - strumenti di campagna elettorale. Indipendentemente dalla volontà e dalla qualità. Per questo suscitano tanta attenzione e tanta reazione. Rischiano di apparire profezie che si auto-avverano.

Berlusconi lo sa bene. Ne è stato, dal 1994, l'interprete più creativo. I sondaggi come forma di "pre-visione". Un modo per orientare "preventivamente" la "visione" e quindi le scelte degli elettori. Per questo è insofferente verso i dilettanti che pretendono di sfidarlo sullo stesso terreno. Verso gli analisti e gli istituti demoscopici che pensano, poverini, che i sondaggi servano solo a "vedere". No. Servono a "pre-vedere". Per cui vanno contrastati, se offrono "pre-visioni" moleste. Sgradevoli e sgradite. Se insinuano il dubbio che la partita non sia ancora chiusa. Se mobilitano gli elettori delusi e scoraggiati. Incerti se votare. Perché, al contrario di due anni fa, sono perlopiù di centrosinistra. Ma lo irritano, soprattutto, se ipotizzano che l'UdC (e la Rosa Bianca) non siano ancora scomparsi. Che abbiano ancora uno spazio elettorale. Anche il 6-7% - stimato dai sondaggi di sinistra e dai complici - è troppo. Perché si tratta di voti sottratti al PdL. L'unico bacino da cui il PdL possa ancora attingere. (A destra è rimasto poco). I suoi sondaggi non lo pre-vedono. In altri termini: alle elezioni "dovrà" ridursi a metà. E Casini sparire del tutto. Per cui, chi oggi vede e pre-vede diversamente: o è in malafede o è un comunista. Pardon: un "casinista".

(27 febbraio 2008)

da repubblica.it

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POLITICA MAPPE

Il voto all'ombra del muro di Arcore

ILVO DIAMANTI


Colpisce la dimensione dell'incertezza fra gli elettori, in questa fase. Non perché si tratti di un fenomeno nuovo. Anzi. Ma le proporzioni, questa volta, sono inusuali. Superiori al passato recente e, a maggior ragione, di quello più lontano.

Colpisce. Visto che il paradosso dell'elettore incerto, in Italia, è che alla fine vota come sempre. Un elettore fedele che, nel profondo dell'animo, vorrebbe tradire. In Italia, infatti, a dispetto delle apparenze, il grado di stabilità elettorale è molto, molto elevato. Dal punto di vista territoriale ciò è evidente e sorprendente, se confrontiamo le ventisette province in cui i partiti hanno conseguito le performance più elevate nel 2006 e nel 1996.

A dieci anni di distanza: due su tre coincidono, per An, FI e Rifondazione; tre su quattro per la Lega e l'Ulivo. Quattro su cinque, se consideriamo le liste riunite nelle due coalizioni: Unione e Cdl. In altri termini: l'elettorato italiano continua ad essere "congelato" da appartenenze e fratture di lungo periodo. A cui altre, di nuove, si sono aggiunte. L'antiberlusconismo accanto all'anticomunismo. Le stesse indicazioni, peraltro, si ricavano se si valutano i comportamenti degli individui a livello elettorale. La ricerca condotta da Itanes ("Dov'è la vittoria?", Il Mulino, 2006) sottolinea come, alle elezioni del 2006, il tasso di "fedeltà" degli elettori delle due coalizioni sia molto elevato: il 92% nella Cdl e il 94% nell'Ulivo. I limitati spostamenti fra le due coalizioni, peraltro, si compensano.

Il mercato elettorale in Italia, quindi, continua ad essere stabile, diviso in due grandi bacini, largamente indipendenti. E il movimento elettorale avviene, in larghissima misura, tra formazioni politiche della stessa coalizione. Ma soprattutto fra voto e non voto. Si spiega così il risultato di due anni fa. Fino a poche settimane dal voto i sondaggi attribuivano al centrosinistra 5-6 punti percentuali di vantaggio. Dietro a cui si celavano, perlopiù, elettori di centrodestra, delusi dal governo Berlusconi. Incerti. Ma, in cuor loro, disposti a votare. Come prima. Come sempre. Contro i comunisti e per Berlusconi. Attendevano una "spinta". Berlusconi li assecondò. Indossando, nelle ultime settimane di campagna elettorale, i panni del Caimano.

Dunque, l'incertezza non è una novità, ma una costante dell'orientamento elettorale in Italia. A cui corrisponde un comportamento prevalentemente stabile. Il confronto con le precedenti elezioni, però, suggerisce alcune importanti novità, che vanno oltre l'ampiezza degli incerti. Peraltro, molto rilevante: oltre il 40% degli elettori.

1. L'incertezza, anzitutto, in questa occasione è alimentata dal mutamento dell'offerta politica. Come nel 1994. Sono cambiati i partiti. Le etichette. I nomi. Al tempo stesso, è cambiata la meccanica della competizione. Non è più bipolare. Oppone, invece, partiti. Nelle intenzioni dei due soggetti politici maggiori, è bipartitica. E bi-personale. Fra Pd e Pdl. Fra Veltroni e Berlusconi. Il grado di incertezza maggiore, per questo, si rileva fra gli elettori di centro e di sinistra. Fra quanti, nel 2006, avevano votato per l'Udc e per le formazioni che hanno dato vita alla Sinistra Arcobaleno. "Disorientati" perché il loro partito ha cambiato orizzonte. Uscito dall'orbita di Berlusconi, l'Udc. Dall'intesa con l'Ulivo e con Prodi, i partiti di sinistra. I quali, peraltro, hanno un problema ulteriore. La riconoscibilità, visto che hanno rinunciato alla loro specifica etichetta "partigiana" (Rc, Pdci, Verdi), per costruire, insieme, un soggetto politico con un nuovo marchio (Sa). Non ancora noto (né, forse, gradito) a tutti. Elettori incerti perché incerta è divenuta la posizione del loro riferimento politico.

2. Gli elettori sono "incerti" anche perché turbati e disturbati dal dubbio: votare in base all'identità o all'utilità. Scegliere il partito più vicino oppure quello che può vincere le elezioni, conquistando il premio di maggioranza previsto dalla legge.

3. L'incertezza è accentuata dall'eclissi della frattura fra antiberlusconismo e anticomunismo. I "postcomunisti" oggi sono entrati in una aggregazione nuova, che ha perfino rinunciato all'iconografia e ai richiami del comunismo. Liberando il Pd da una eredità ormai sgradita. Berlusconi, in questa fase, ha rinunciato al berlusconismo. Pd e Pdl, Veltroni e Berlusconi, peraltro, hanno evitato, fin qui, lo scontro, preferendo il confronto. Mimano una competizione di tipo presidenzialista. Rigorosamente a due. Per rafforzarsi reciprocamente ed escludere gli altri concorrenti.

4. L'incertezza, infine, è alimentata, come nel recente passato, dalla "delusione" nei confronti del governo. E colpisce, quindi, soprattutto gli elettori che nel 2006 avevano votato per l'Unione. In modo simmetrico e inverso rispetto a quanto era avvenuto due anni fa.
Questi aspetti spiegano non solo l'ampiezza, anomala, dell'incertezza, in questa fase. Ma anche le differenze che segnano le strategie degli attori politici in questa campagna elettorale, rispetto alla precedente.

a) Berlusconi è contrastato. Non può fare il "caimano". Prendersela con i comunisti e con la sinistra. Non solo perché oggi di fronte ha i democratici. Mentre i comunisti e la sinistra stanno "più in là". Ma, soprattutto, perché non ha interesse ad accendere troppo la campagna elettorale. Per timore di "mobilitare" gli elettori delusi, che oggi stanno, in larga parte, a centrosinistra. Fatica, inoltre, a sfruttare il principale argomento che gli fornisce consenso: la sfiducia nel governo Prodi. Perché di fronte, oggi, c'è un leader diverso: Veltroni. Il quale ha fatto del "nuovo" un marchio personale. Per questo il Cavaliere e il Pdl parlano, con insistenza, del "Pd di Prodi". Tuttavia, non è un'operazione facile. Perché il Pd, oggi, è un partito personalizzato, al servizio di Veltroni. Perché Berlusconi stesso evita lo scontro diretto con Veltroni. Lo accusa, semmai, di copiargli i programmi. E invita, anzi, gli elettori a scegliere fra loro due. Berlusconi o Veltroni. Perché oggi il vero nemico per Berlusconi non è il comunismo, ma il "casinismo". La sfida vera, per lui, è contro Casini e l'Udc. I principali freni alla sua crescita elettorale. Per questo insiste nel definire "inutile" il voto a questi "piccoli partiti". Anzi: un sostegno alla sinistra.

b) Veltroni, parallelamente, ha il problema di evitare una campagna retrospettiva. Sfuggire al passato. (In qualche modo: a Prodi). I suoi messaggi, per questo, evocano il "nuovo". Il "futuro". Incitano a non camminare con la testa "voltata indietro". A "guardare avanti". In sintesi: a scivolare da sinistra per avvicinarsi al centro. Il vero terreno di battaglia, oggi. Per entrambi i partiti "nuovi". Per i due candidati Presidenti.

Il problema per Veltroni è di fondare una proposta credibile, un'identità convincente: sfuggendo al passato. Perché le idee senza tradizioni sono volatili. Navi senza ancore.

I problemi per Berlusconi, tuttavia, sembrano più complicati. Oggi è il favorito. Dispone di un vantaggio significativo. Per cui agisce con prudenza. Per non scuotere i delusi e gli incerti. I quali, se abbandonassero l'inerzia, voterebbero per gli altri. Allo stesso tempo, una campagna sottotraccia, moderata come quella che sta conducendo, rischia di regalare spazio al detestato Casini, a Tabacci e alle formazioni di centro.

L'incertezza elettorale di questa fase, però, solleva una questione sostanziale, di grande rilievo non solo per il risultato delle prossime elezioni, ma per il futuro della nostra democrazia.

Se Berlusconi rinunciasse al berlusconismo - e Veltroni all'antiberlusconismo. Si sfalderebbero le fedeltà e le paure che impediscono all'incertezza di produrre cambiamento di voto. Cadesse il muro di Arcore, dopo quello di Berlino: assisteremmo a un grande disgelo.

(2 marzo 2008)

da repubblica.it

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POLITICA

SONDAGGIO DEMOS

Nell'ex Ulivo e nell'Udc, gli incerti che decideranno la partita

di ILVO DIAMANTI


IL SONDAGGIO proposto dall'Atlante politico di Demos per la Repubblica delinea un orientamento elettorale coerente, ma, al tempo stesso, più fluido rispetto alle scorse settimane. La distanza fra il Pdl e il Pd è immutata. Circa 5 punti percentuali, a favore del Pdl.
Si allarga a 6,7 punti considerando i partiti "apparentati" (grazie al contributo della Lega).

Tuttavia, i due partiti maggiori arretrano un poco. Insieme, il loro peso sul totale degli elettori passa dal 76% al 73%. Se ne avvantaggiano, in parte, le liste che, fino a poche settimane fa, erano alleate mentre ora sono concorrenti. La Sinistra Arcobaleno, da un lato. L'Udc e la Destra, dall'altro. In parte, però, il calo subito dai due partiti principali favorisce gli alleati: l'Italia dei valori e la Lega.

Le ragioni di questa ripresa, per quanto limitata, della "concorrenza" sul mercato elettorale sono diverse.
1. Anzitutto, la presentazione delle liste e il conseguente avvio ufficiale della campagna hanno reso visibile la presenza di altri partiti, oltre ai due principali. Ciò ha allargato la "dispersione" delle scelte, rendendo la competizione un po' più "proporzionale". E'come se i consumatori del (super) mercato elettorale cominciassero a prendere confidenza con i nuovi prodotti.

2. Il calo dei partiti maggiori è, inoltre, dettato dalle difficoltà incontrate nella costruzione delle liste, nel tentativo di attrarre i settori di mercato elettorale più diversi. E, in particolare, i più critici. Così, il Pd ha candidato Massimo Calearo, imprenditore del Nordest, orientato a destra: per intercettare i voti degli imprenditori del Nordest, (largamente) orientati a destra. Mentre il Pdl ha "reclutato" Giuseppe Ciarrapico, noto imprenditore romano, nostalgico e un po' fascista: per drenare i voti romani e nostalgici attratti dalla Destra di Storace. Per conquistare al Senato una regione determinante come il Lazio, dove Ciarrapico pubblica numerose testate locali.
Ha, inoltre, sollevato malumori la collezione di candidati come etichette simboliche. I giovani e le giovani: di varia cultura e professione.
Possibilmente, di bell'aspetto. Per non parlar degli operai. Veri.
Sopravvissuti alle stragi nei luoghi di lavoro.
Ma, soprattutto, all'estinzione della specie.
Quanto al Pd, l'accordo con i radicali ne ha allargato i confini identitari. Ha, inoltre, "incluso" una base di elettori limitata, ma coerente e fedele. Creando, tuttavia, disagio e disaffezione presso l'elettorato cattolico.

3. Il minor grado di polarizzazione, peraltro, è favorito dalla ridotta intensità del confronto fra Pdl e Pd. Almeno, fino a una settimana fa. Il Pdl, in particolare, ha concentrato la polemica sull'Udc. Offrendole visibilità e identità. Anche per questo, sabato scorso, a Milano, Berlusconi ha effettuato uno "strappo" rispetto al profilo basso tenuto fino ad allora. Stracciando - letteralmente - il programma del Pd. Non solo perché sopraffatto dal suo "spirito caimano". Anche per indicare apertamente l'avversario. L'unico, vero "antagonista". Il Pd di Prodi, che Veltroni - l'illusionista - vorrebbe occultare. D'altronde, una campagna così soft, questo dibattito "politicamente corretto", rischiano di indurre gli elettori a votare in libertà, sfuggendo alla logica (secondo alcuni, al "ricatto") del "voto utile". Ma, nella fattispecie, danneggiano principalmente il Pdl. Il cui vantaggio dal Pd resta ampio. Ma non incolmabile.

Veltroni, infatti, continua a tenere testa a Berlusconi, nel confronto diretto. Fra i candidati premier, è quello che riscuote maggior fiducia fra gli elettori. La campagna elettorale, fino ad oggi, pare non averne usurato l'immagine.
Inoltre, il peso degli incerti resta molto alto. Oltre un terzo degli elettori. Tra essi, la quota maggiore è costituita da elettori che due anni fa avevano votato per l'Ulivo. Tentati, in larga misura, dall'astensione.
Incerto, peraltro, è il 30% di quanti nel 2006 avevano scelto l'Udc.

Questi dati suggeriscono che, prima del voto, molto può ancora succedere.
Ma indica anche i due diversi problemi, a cui i partiti maggiori dedicheranno la loro campagna.
Per il Pd: l'area della disaffezione e dell'astensione, in cui staziona un settore molto ampio di elettori di centrosinistra.

Per il Pdl: l'elettorato orientato verso l'Udc (ampio, ma anche molto incerto) e quello attratto dalla Destra (delimitato, ma territorialmente concentrato e in sensibile crescita, nelle ultime settimane).
Per questo riteniamo che la campagna elettorale, nelle prossime settimane, sia destinata ad accendersi, assumendo toni più aspri.
Soprattutto per iniziativa di Berlusconi, che, quando si muove in modo educato e felpato, come in questa fase, appare un po' legato.

Sicuramente più a disagio di Veltroni. Uno specialista nel recitare la parte del "buono". Mentre il Cavaliere dà il meglio di sé quando può liberare il suo "animal spirit". Guardare dritto negli occhi l'elettore. Il "suo" elettore. Dargli del tu.
Parlargli in modo diretto. Da imprenditore a imprenditore, da operaio a operaio, da ottimista a ottimista, da casalinga a casalinga. Da anticomunista ad anticomunista. D'altronde, il Cavaliere, ha già "strappato" rispetto allo stile ovattato delle settimane scorse. Non vuole sorprese. E sembra disposto a risvegliare l'antiberlusconismo. Che potrebbe convincere gli incerti di centrosinistra a "votare". In modo "utile": per il Pd.

Erigendo di nuovo il muro di Arcore, però, Berlusconi rivolgerebbe agli elettori orientati a votare per l'Udc e per la Destra un messaggio esplicito.
Non c'è alternativa possibile, fra il Pdl e la sinistra.
Naturalmente, potremmo sbagliare. La campagna potrebbe riprendere come prima - noiosa e politicamente corretta. Soprattutto se, come dicono i sondaggi commissionati da Berlusconi, la partita fosse davvero chiusa e senza speranza per gli avversari. In questo caso, non ci sarebbe motivo di alzare la voce, spaventare i moderati, gridare al lupo e al comunista. Né di tuonare - ogni giorno - contro i sondaggi taroccati (quelli degli altri).

Per quel che ci riguarda, per rispondere alle polemiche sull'argomento (sollevate non solo da Berlusconi), preferiamo ricorrere alle parole dell'Uomo Comune disegnato da Altan, qualche giorno fa, sulla prima della Repubblica.
Alla richiesta di un sondaggista, intenzionato a intervistarlo, reagisce: "Sì. Ma l'avverto che alla mia risposta non ci credo". Perché i sondaggi non prevedono il futuro. Al massimo il presente. Non anticipano le decisioni degli elettori. Ma solo le intenzioni.


(13 marzo 2008)

da repubblica.it

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POLITICA MAPPE

Alla destra del padre

di ILVO DIAMANTI


FRA Chiesa e politica il rapporto, da qualche anno, è più complesso e conflittuale. Soprattutto da quando è divenuto Papa Joseph Ratzinger. Attento a marcare i confini dell'identità cattolica, in modo costante.

Nella difesa della famiglia, della vita, nel rapporto fra scienza e morale. Per questo è interessante capire in che misura la "questione cattolica" si rifletta sull'orientamento degli elettori, in vista del voto del 13-14 aprile. Il sondaggio condotto da Demos per "la Repubblica" suggerisce che le polemiche degli ultimi mesi non abbiano provocato fratture evidenti negli atteggiamenti dei cittadini.

La fiducia nei confronti di Papa Benedetto XVI è sullo stesso livello di un anno fa. Anzi: è salita un poco. (Oggi è espressa da oltre il 55% degli italiani. Giovanni Paolo II era 20 punti sopra. Ma è difficile mettere a confronto un Papa-teologo con un Papa-pastore, icona della sofferenza).

Il credito attribuito alla Chiesa: è calato lievemente, negli ultimi due anni (anch'esso si è attestato intorno al 55%), ma è risalito rispetto allo scorso novembre.
L'insegnamento della Chiesa, inoltre, continua ad essere considerato importante, per la morale e per la vita delle persone. Ma si tratta di un riferimento. Che gli individui interpretano e praticano in modo autonomo, in base alla propria coscienza. Ciò conferma la religiosità flessibile degli italiani. Che trattano Dio in modo "relativo". Attribuendogli, però, uno spazio centrale nella loro vita. Nel loro orizzonte di valori. Lo vediamo anche nel rapporto con la politica. Da cui, secondo la maggioranza degli intervistati, la Chiesa dovrebbe tenersi fuori. Limitandosi a intervenire sulle questioni che riguardano da vicino la religione. Gran parte degli italiani ritiene, inoltre, che gli uomini politici si facciano influenzare troppo dalla Chiesa.

Tuttavia, è diffusa anche la convinzione che, oggi, l'intervento ecclesiastico non sia eccessivo. Nell'ambito politico e legislativo. Nell'ambito scientifico e medico. Sui temi stessi che riguardano la vita e la morte. Tutte le materie che tante polemiche hanno sollevato, negli ultimi mesi. Insomma, la Chiesa non dovrebbe "fare politica". Però, secondo gran parte degli italiani, oggi ciò non avviene. L'intervento del Pontefice e dei vescovi su temi di rilievo sociale e morale non è considerato uno "sconfinamento". Se non presso un settore rilevante, ma, comunque, minoritario della società (fra il 26% e il 37%).

Nella realtà, però, gli effetti delle posizioni assunte della gerarchia cattolica si colgono, evidenti, sugli orientamenti dei cittadini. Il 45% degli italiani si dice contrario al riconoscimento delle coppie di fatto, oggetto di due diversi progetti del governo dell'Unione, mai tradotti in legge (ma era il 34% nel 2006 e il 41% un anno fa). Una minoranza, ma molto ampia.
Cresciuta, nel corso degli ultimi anni. Così come è ampia anche la "minoranza" contraria all'eutanasia (anche in questo caso, 45%: un anno fa era il 41%).

Molto più ridotta è, invece, la componente degli italiani (30%) che ritengono giusto modificare l'attuale legge sull'aborto in senso più restrittivo. Le ragioni che hanno imposto questi temi all'attenzione dell'opinione pubblica, contribuendo a modificarne gli atteggiamenti, però, non vanno ridotti alla sola azione della Chiesa. Altri soggetti hanno contribuito a imporli all'agenda politica e dei partiti. (Lo ha ben chiarito Sandro Magister, sull'"Espresso"). Comitati, media, leader d'opinione. In molti casi laici. Come "Il Foglio" e Giuliano Ferrara. Inoltre, gli stessi partiti. Il centrodestra, ad esempio, ne ha fatto un argomento per marcare le distanze dal centrosinistra; e per allargarne le divisioni interne.

Anche per questi motivi il voto dei cattolici si distribuisce in modo diseguale, fra i partiti. Certo, è finita l'epoca della Dc, che ne attraeva una larghissima maggioranza (lo ha rammentato ieri anche Piero Ignazi, sul Sole 24 Ore). Ma è finita anche la fase (1994-2001) in cui i cattolici votavano in modo proporzionale, tra gli schieramenti. Alle elezioni del 2006, infatti, la maggioranza dei cattolici (praticanti) ha votato per il centrodestra. Circa sei su dieci. Oggi, alla vigilia delle elezioni, la tendenza sembra confermata e, in qualche misura, accentuata. Anche se l'offerta politica è cambiata, con la formazione di due nuovi, grandi partiti. Infatti, meno di un terzo dei cattolici praticanti vota per i partiti che sostengono Veltroni (Pd e Idv), oltre metà per i partiti che candidano Berlusconi (Pdl, Lega e Mpa). Allo svantaggio del Pd e degli alleati contribuisce, come abbiamo detto, l'eredità dei conflitti "etici" degli ultimi anni. Ma conta, in qualche misura, anche l'ingresso, nelle liste del Pd, dei radicali. Ritenuti - dagli elettori - "i più lontani dai valori cattolici". Per quanto abbiano rinunciato al simbolo di partito: la loro identità culturale è troppo marcata. Non hanno bisogno di etichette per ribadirla.

Tuttavia, anche questa "risacca" del voto cattolico, scivolato dal Pd, avviene in modo inerziale. Senza fratture. D'altronde, in questa campagna elettorale, il rapporto con la Chiesa, gli stessi temi etici sono rimasti sullo sfondo. Affidati alla rappresentanza di soggetti politici caratterizzati. Come la "Lista per la vita" di Giuliano Ferrara. Il fatto è che i cattolici (praticanti) oggi - nella società italiana, ma anche nei maggiori partiti - sono una minoranza. Influente, ma comunque una minoranza. Per questo i partiti preferiscono evocarne le domande. Ma senza enfatizzarle. Per evitare divisioni, che si riprodurrebbero anche al loro interno. La Chiesa stessa non ha interesse a fare campagna elettorale a sostegno di una specifica forza politica. Vista la presenza trasversale dei cattolici, nei principali partiti. Preferisce attendere. Per esercitare la sua influenza sul dibattito politico e sul processo legislativo. Dopo il voto.

D'altronde, altri sono i problemi che attirano l'attenzione degli elettori, in questa fase. Le retribuzioni, la disoccupazione, le tasse. La sicurezza. In una lista di dieci tematiche da affrontare, gli italiani pongono "la tutela della vita, contro l'aborto" al nono posto (2,8%). La "difesa dell'identità religiosa" al decimo (2,7%). Fra i cattolici praticanti, questi due obiettivi di valore ottengono maggiore attenzione (li segnala circa il 3,5% degli intervistati). Ma restano, comunque, gli ultimi della lista. Il che, ovviamente, non ne svaluta il significato. Ma la rilevanza "congiunturale", in quanto temi da spendere in questa campagna elettorale. Che non sembra attraversata da una nuova, lacerante "questione cattolica". Ma, sin qui, da questioni e divinità minori. D'altra parte, in tempi come questi, bisogna accontentarsi.

(17 marzo 2008)
 
da repubblica.it

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