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Autore Discussione: Massimo GRAMELLINI.  (Letto 332042 volte)
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« Risposta #585 inserito:: Aprile 04, 2014, 04:40:51 pm »

02/04/2014
Massimo GRAMELLINI

La soffiata che i munifici clienti delle baby prostitute di Roma potrebbero cavarsela con una semplice multa offre golose opportunità alla parte più esuberante del Paese. In cosa consiste il patteggiamento, se non in una tassa dilazionabile in comode rate? Chi ha pagato per fare sesso con una ragazzina eviterà la galera e soprattutto la gogna mediatica versando altri soldi, stavolta allo Stato. Un principio che già si applica agli evasori fiscali con qualche variazione: lì si paga qualcosa per non avere pagato, negli anni, molto di più. Ma se davvero anche il fiorente filone della prostituzione minorile si adeguerà al vangelo nazionale che ha sostituito il perdono con il condono e la logica retributiva con quella contributiva, a un delinquente danaroso risulterà praticamente impossibile finire in carcere o almeno sui giornali. Il settore degli abusi edilizi è già saldamente sotto controllo. Di quello fiscale si è detto e anche nei campi promettenti della contraffazione alimentare, sanitaria e ambientale le garanzie di impunità in cambio di una piccola mancia risultano di giorno in giorno più affidabili.

Magari è sempre andata così e le cattedrali sono state costruite con i contributi di peccatori pentiti e recidivi. A maggiore ragione non posso tacere un’ingiustizia palese. Qui l’unico benestante e presunto «nipotomane» che rischia di finire ai servizi sociali, peraltro per una banale faccenda di tasse non pagate, è l’uomo che con un patteggiamento come si deve ci risanerebbe in un colpo solo il debito pubblico.

Da - http://lastampa.it/2014/04/02/cultura/opinioni/buongiorno/palpeggia-patteggia-sBToE3GfD7sswA4ykX21hI/pagina.html
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« Risposta #586 inserito:: Aprile 06, 2014, 05:47:04 pm »

05/04/2014
Massimo GRAMELLINI

Lo Stato italiano non attraversa un periodo di particolare popolarità, almeno tra gli italiani. Se in Veneto tentano di buttarlo giù con un trattore travestito, in Campania è lui che cerca disperatamente di farsi notare, servendosi persino di un’autobotte. Succede a Casal di Principe, area di infiltrazioni tossiche nel terreno e camorristiche nel consiglio comunale. Quest’ultimo è stato sciolto a fine febbraio e sostituito da una commissione prefettizia. Ma si sa come sono i commissari prefettizi: dei patrioti inguaribili. Appreso che l’intera periferia dell’abitato si dissetava da pozzi inquinati, hanno spedito in perlustrazione un avamposto della presenza statale: un’autobotte gonfia di acqua potabile. Si immaginavano, gli illusi, che la popolazione sarebbe accorsa in massa intorno al totem unitario per attingere la sostanza vitale in un turbinio di bacinelle, damigiane e secchi colorati. Qual è stata la loro sorpresa alla scoperta che invece non si avvicinava nessuno. Non gli anziani, abitudinari o fatalisti. E nemmeno i giovani, altrettanto diffidenti ma sicuramente più dinamici, al punto da avere risolto da tempo il problema della sete con un dedalo di allacci abusivi alla rete idrica. Così ogni tre giorni l’autobotte repubblicana – respinta come un corpo estraneo, anzi straniero – tornava mestamente nelle retrovie per scaricare il suo contenuto prezioso dentro le fogne. Allo Stato non è rimasto che arrendersi, sospendendo un servizio costoso e soprattutto vano.

In questa storia ci sono così tante metafore del nostro Paese che corro a ubriacarmi alla prima autobotte.

Da - http://lastampa.it/2014/04/05/cultura/opinioni/buongiorno/autobotte-da-orbi-Lt8BN28gWQ2w3JnJfJJT3I/pagina.html
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« Risposta #587 inserito:: Aprile 06, 2014, 05:48:19 pm »

04/04/2014

Vent’anni fa, proprio in queste ore, Kurt Cobain finiva di scrivere la lettera che fu poi ritrovata tra i fiori, accanto al cadavere. Per chi non lo sapesse, Kurt Cobain è stato un musicista, forse l’ultimo per il quale si possa spendere la definizione abusata di genio. Ha inventato suoni che prima non esistevano. E qualunque anima raminga si imbatta nella sua chitarra o nella sua voce graffiata si troverà a pensare: eccomi a casa. Aveva ventisette anni, quando scrisse la lettera. Ventisette anni, una moglie e una figlia amatissime, eppure indirizzò la missiva a Boddah, l’amico immaginario che aveva riempito la sua infanzia solitaria di figlio di divorziati. Nel messaggio di congedo gli rivelò di non riuscire più a provare nessuna emozione. E di amare troppo il genere umano, tanto da sentirsi «fottutamente triste». Succede agli spiriti esageratamente sensibili che raggiungono vibrazioni d’amore così alte da risultare insostenibili. 

Di questa lettera si cita sempre la penultima frase. Là dove Cobain, riprendendo il verso di una canzone di Neil Young, sostiene che è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente. In realtà a spegnersi più o meno lentamente è solo il corpo (il suo era tormentato da un’ulcera). L’anima non si spegne né brucia. Ma mi guardo bene dall’entrare in polemica con un genio. Preferisco ricordarlo con le sue ultime e sottaciute parole: peace, love, Empathy - pace, amore, Empatia - l’ultima delle quali sottolineata e in maiuscolo. Vent’anni dopo non ne ho ancora trovate di migliori.

Da - http://lastampa.it/2014/04/04/cultura/opinioni/buongiorno/lettera-a-boddah-CRaYlpcVsvUXSBomm16WFO/pagina.html
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« Risposta #588 inserito:: Aprile 09, 2014, 06:26:17 pm »

08/04/2014
Massimo GRAMELLNI

Chissà se sarà andata effettivamente come raccontano i giornali inglesi. Se davvero Anne, un’insegnante in pensione di 89 anni, ha posto fine ai suoi giorni in una clinica svizzera che pratica il suicidio assistito perché non sopportava i ritmi e gli oggetti della vita moderna: davanti alla scelta tra adattarsi all’uso dei telefonini o morire, avrebbe optato senza esitazioni per la busta numero 2. 

Riassunta così, sembra un’esagerazione. L’avvento della società dei computer potrà gettare nel panico un sessantenne incapace di riciclarsi. Ma un anziano di più lungo corso ha il diritto e forse persino il dovere di infischiarsene. Sprofondato in poltrona davanti a un buon libro o a un televisore privo di satellite, può concedersi il lusso di non usare le e-mail e di non andare al fast food, senza per questo sentirsi un disadattato. Ma pure ammettendo che Anne fosse una vecchietta originale, il messaggio di protesta, o di resa, che il suo gesto vorrebbe trasmetterci mi sembra sbagliato. La nostalgia è una consolazione, non una spiegazione. Da millenni i vecchi se ne vanno con l’intimo convincimento di essere stati l’ultima generazione sana dell’umanità. La vita era più bella e più giusta prima: quando loro erano ancora pieni di sogni e di energie. In realtà non rimpiangono il mondo antico, ma la giovinezza perduta. Le nipoti di Anne invecchieranno rimpiangendo il mondo che a lei faceva tanto ribrezzo.

Da - http://lastampa.it/2014/04/08/cultura/opinioni/buongiorno/le-nipoti-di-anne-ndgxmAr4LzqRBdDqucI5LJ/pagina.html
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« Risposta #589 inserito:: Aprile 11, 2014, 11:28:42 pm »

11/04/2014

Sulla prima pagina di lunedì scorso Luca Ricolfi ci ha raccontato la sua ultima peripezia burocratica: aveva chiesto all’Inps alcuni dati storici sulla cassa integrazione in Italia e l’ente pensionistico, affabile come sempre, gli aveva risposto in ritardo, con un preventivo di 732 euro per un servizio che a un impiegato fornito di computer avrebbe richiesto pochi secondi di lavoro.

Gli ingenui lettori di Ricolfi si aspettavano dall’Inps una lettera di smentita oppure di scuse. Invece, dai bastioni del palazzo presidiato a lungo dal prode Mastrapasqua, esemplare raro di corpo umano con più incarichi che cellule, non si è levato alcun grido di dolore. Anzi, a precisa domanda, ci si è sentiti opporre un silenzio orgoglioso. 

Saranno i giornali che non fanno più paura, direte voi. Ma un trattamento analogo viene riservato ogni settimana ai mammasantissima della tivù, da Report alle Iene.
Le loro denunce spietate e circostanziate tolgono il sonno a noi telespettatori, ma non ai diretti interessati, che ormai non si prendono più nemmeno la briga di querelare. Le accuse ai burocrati di Stato rimbalzano contro un muro di indifferenza. Maleducazione? Forse. Senso di impunità. Può darsi. Ma ogni tanto mi assale il sospetto che nessuno si faccia avanti perché in un ente pubblico nessuno si sente davvero responsabile di qualcosa. Proprio perché lavora in un posto che è di tutti, il dirigente statale (con rare eccezioni) pensa che a rispondere debba essere sempre qualcun altro. E, al riparo di codicilli e regolamenti, finisce per rispondere soltanto a sé.

Da - http://lastampa.it/2014/04/11/cultura/opinioni/buongiorno/muro-di-comma-3OJ69jPqYK2QBId1SAkVhN/pagina.html
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« Risposta #590 inserito:: Aprile 11, 2014, 11:42:17 pm »

10/04/2014
Donne dentro

Considerando che il ciclonico Renzi ha appena messo cinque donne capolista alle Europee. Che otto ministri su sedici sono donne, alcune anche piuttosto sveglie. Che tra le prossime nomine nei grandi enti ci sarà per la prima volta almeno una donna. Che il capo della Germania e quindi dell’Europa è una donna: prevenuta nei nostri confronti come un birraio di Monaco, ma pur sempre una donna. Che il capo francese del Fondo Monetario è una donna: supponente e snob come un certo tipo di maschio francese, ma pur sempre una donna. Che la star mediatica del momento è una cantante donna, anzi di più: una cantante suora. Che in America il presidente con gli attributi è Michelle, una donna, e dopo di lei quasi certamente lo sarà Hillary, una donna. Che a leggere romanzi e a credere nel futuro sono rimaste le donne. Che a laurearsi meglio e lamentarsi di meno sono le donne. Che a prendere la vita con serietà senza mai perdere la leggerezza sono le donne (non tutte, ma tante). Che il crollo dei muri etici - come il divieto di fecondazione eterologa annullato ieri dalla Corte Costituzionale - è una missione inarrestabile delle donne. 

Ecco, considerando tutto questo e molto altro ancora, noi maschi siamo chiamati a compiere un gesto coraggioso e al tempo stesso indifferibile, pena la nostra rapida estinzione per sopraggiunta inutilità. Cambiare sesso (interiormente, s’intende). 

Da - http://lastampa.it/2014/04/10/cultura/opinioni/buongiorno/donne-dentro-aJzKBDIdsb9IKukFHb1v5M/pagina.html
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« Risposta #591 inserito:: Aprile 12, 2014, 10:44:12 am »

12/04/2014
Marcello, come here

Massimo GRAMELLINI

Chi l’avrebbe detto? Alla vigilia della sentenza definitiva, poi: quella che rischiava di condannarlo per mafia a sette anni di reclusione. Ma chi avrebbe mai potuto immaginare che un uomo così distinto e di buone letture preferisse vivere i suoi ultimi anni in un villone esotico da latitante piuttosto che dietro le inferriate di un carcere da lestofante? L’improvvisa scomparsa di Marcello Dell’Utri ci lascia esterrefatti. E più di noi ha lasciato esterrefatti i magistrati che si erano rifiutati per ben due volte di negargli il diritto d’espatrio. Per non parlare del ministro Gruviera Alfano: lui aveva visto qualcuno dirigersi di buona lena verso il confine, ma pensava fosse un dissidente kazako. 

Il destino di Dell’Utri resta avvolto nel mistero. Che lo abbiano rapito gli alieni per mescolare il suo Dna a quello di Marlon Brando e riprodurre don Vito Corleone in provetta? È possibile. Come è possibile che Dell’Utri sia semplicemente uscito a fare due passi e abbia smarrito il telefonino: chiunque incontrasse un signore con la coppola a forma di biscione e un’edizione rarissima dei Diari veramente apocrifi di Mussolini sotto l’ascella è pregato di avvertire la polizia: qualunque polizia, tranne quella italiana, altrimenti c’è il rischio che al telefono risponda il Gruviera e saremmo daccapo. Al momento l’ipotesi più accreditata è che si trovi a Beirut, in attesa del badante messogli a disposizione dai servizi sociali: un certo Silvio Berlusconi. 

Da - http://lastampa.it/2014/04/12/cultura/opinioni/buongiorno/marcello-come-here-en9EYS5BZGVKr6OpXuwSVN/pagina.html
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« Risposta #592 inserito:: Aprile 25, 2014, 06:31:29 pm »

24/04/2014

Massimo Gramellini

Il segreto? Leggerezza, e un po’ di bagnomaria

Questa è la raccolta dei corsivi che da quindici anni scrivo in fondo alla prima pagina del giornale con cui felicemente convivo: La Stampa. 

Col prode Guglielmo Cutolo, che li ha riletti tutti e forse non si riprenderà mai completamente, ne abbiamo selezionati trecentosessantacinque. Come i giorni di un almanacco dove i sorrisi si alternano ai sospiri e gli scatti di indignazione agli sberleffi, lasciando sempre una finestrella aperta per i sogni di passaggio che avessero voglia di entrare. Abbiamo distribuito i corsivi con il criterio più semplice: anno per anno, ma togliendo loro la data, così che ogni capitolo sia simile agli appunti sparsi di un taccuino, sia pure connessi tra loro da un filo di complicità che il lettore non tarderà a trovare. 

Oltre che il nome della rubrica, Buongiorno, il titolo del libro tira in ballo niente meno che la magia. Declino qualsiasi responsabilità. Quando l’editore me lo ha proposto, mi è parso piuttosto bello e presuntuoso. In realtà ottimista. Auspica che le parole possano ancora creare dei piccoli miracoli nella vita di chi le incontra. Ma per me che ogni giorno le rimesto dentro il calderone, tentando di dare loro una forma che mi assomigli, le parole restano un mistero. Le protagoniste di un rito. 

Tutti i giorni – mai prima della sette di sera, più spesso tra le nove e le dieci – dopo avere sfiancato colleghi e amici riguardo alla scelta e al taglio dell’argomento, scompaio nella mia stanza, mi inietto nelle cuffie un album rock preferibilmente degli U2 e incomincio a scrivere, pervaso da una sensazione incomprensibile di sicurezza. Fin dall’infanzia, la scrittura è l’unico gesto quotidiano che riesca a trasmettermi serenità. Nella vita privata rimango un timido che sconfina nell’imbranataggine. In televisione mi agito e mangio le parole. Ma ogni sera, appena infilo la cuffia e la musica inizia a scorrermi nelle vene, le dita si muovono sulla tastiera del computer come se seguissero un tragitto inesorabile. 

In qualche caso la mia testa sa già dove andrà a parare, ma quasi sempre si affida all’istinto. Il Buongiorno non può avere la razionalità solenne di un editoriale. Tutte le volte che gli fa il verso diventa una predica prevedibile. (Per fortuna ho lettori affezionati e implacabili: esiste una pagina Facebook che prende in giro i miei assolo di trombone). Il Buongiorno funziona soltanto se ha la leggerezza e l’imprevedibilità di un corsivo. Cioè soltanto quando è scritto con amore. Alludo all’amore dell’artigiano che rimane mezz’ora di più al tavolo di lavoro per piallare un aggettivo o sostituire una metafora traballante. Il segreto consiste nel mettere il Buongiorno a bagnomaria. Succede quando lo abbandono per qualche minuto, così da tornare presso di lui con la mente sgombra e il distacco critico di un potenziale lettore. A quel punto non mi piace più e lo riscrivo per intero, ma nella metà del tempo. 

Altro che mago. Sono un manovale che ogni giorno si monta la testa e pensa di poter fabbricare un mondo migliore con le sue parole. Un’illusione, certo. Ma se non la credessi vera, mi passerebbe la voglia di provarci.

Da - http://lastampa.it/2014/04/24/cultura/opinioni/buongiorno/quindici-anni-un-buongiorno-2PzaN5yYVwZzrYGPHUTKoJ/pagina.html
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« Risposta #593 inserito:: Aprile 28, 2014, 05:59:33 pm »

23/04/2014
Massimo GRAMELLINI

Chissà perché, quando una donna bella dichiara di sentirsi sola si trasforma subito in una notizia. Ultimo caso, la ministra delle riforme Maria Elena Boschi che rivela a Vanity Fair quanto le piacerebbe poter riformare almeno la sua esistenza, trovando un marito e abrogando le tazze di latte bevute in solitudine la sera davanti alla tv. Parole che ci sorprendono. Come se esistesse un’associazione automatica tra bellezza e pienezza del vivere. E fosse impossibile, a chi magari bellissimo non è, immaginare la perfezione estetica abbinata a una condizione latente di infelicità. Eppure già Apuleio, agli albori della letteratura, raccontò in una favola immortale il percorso tormentato di Psiche, la creatura più bella del mondo, rimasta a lungo zitella proprio a causa della sua esagerata e inibente avvenenza, mentre le sorelle trovavano con disinvoltura marito. 

Curioso e feroce il destino delle donne: crescono con l’idea, instillata da altri, che solo la bellezza e il successo le renderanno felici. Ma appena raggiungono uno o entrambi gli obiettivi, si accorgono che il loro punto di vista è cambiato. Si scoprono insicure per la paura di perdere ciò che sono diventate. E al tempo stesso più esigenti: sentendosi all’apice, pretendono il massimo dal proprio compagno e di rado lo trovano, perché è ancora piuttosto difficile incontrare un maschio che accetti di stare accanto a una donna simile senza andare in crisi di identità. Inutile illudersi: la belle

Da - http://www.lastampa.it/2014/04/23/cultura/opinioni/buongiorno/io-bella-da-sola-XTPDTmF5Bu6SI0WVb3W6zO/pagina.html
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« Risposta #594 inserito:: Aprile 28, 2014, 06:00:45 pm »

26/04/2014
Massimo GRAMELLINI

In assenza di Laura Boldrini, impegnata a cantare «Bella Ciao» altrove, toccava al vicepresidente Roberto Giachetti rappresentare la Camera dei Deputati alle cerimonie romane del Venticinque Aprile. Giachetti è un Pannella serio, un digiunatore intemerato allergico alla cravatta e all’etichetta. Pur avendo diritto all’autoblù, vi ha rinunciato per poter scorrazzare con la sua moto privata, e nemmeno celeste, fino all’Altare della Patria. 

Giunto all’altezza della Bocca della Verità, è stato fermato a un posto di blocco da due vigili urbani. Giachetti si è tolto il casco e ha spiegato di essere uno degli invitati, come tale autorizzato a rombare nella zona momentaneamente preclusa al traffico. Ma i vigili gli hanno risposto che per motivi di sicurezza l’accesso al cuore politico della Capitale era consentito soltanto alle autoblù. 

Giachetti ha subito colto l’ironia dell’intera vicenda: tutti pronti a tuonare contro i simboli del potere, poi appena qualcuno vi rinuncia viene trattato da intruso. Invece i pizzardoni non l’hanno colta. Il loro ruolo li dispensa dall’essere ironici. Devono (dovrebbero) far rispettare le regole. Persino quando, come in questo caso, le regole sono in palese ritardo rispetto alla sensibilità dei cittadini. Alla fine il buon Giachetti ha parcheggiato la sua moto non blu accanto alla Bocca mozza-bugiardi e ha raggiunto Napolitano a piedi, dopo una vasta camminata archeologica. Siamo orgogliosi di lui. Però anche dei vigili. Hanno fatto tutti la cosa giusta: ogni tanto capita, il Venticinque Aprile. 

Da - http://lastampa.it/2014/04/26/cultura/opinioni/buongiorno/a-piedi-nel-blu-WICt2kjeJ2IV36U3aIzG2I/pagina.html
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« Risposta #595 inserito:: Aprile 30, 2014, 11:24:04 pm »

30/04/2014

La legge del branco
Massimo GRAMELLINI

Prima di abbozzare un pensiero sui poliziotti che ieri, durante il congresso di un loro sindacato, hanno salutato con un’ovazione i tre colleghi che nel 2005 a Ferrara ammazzarono di botte il diciottenne Federico Aldrovandi senza un vero perché, provo a infilarmi nelle loro teste. Si sentono vittime, è chiaro. Come tutti, in questo strano Paese. Ce l’hanno con l’opinione comune che ha chiamato assassini i loro colleghi, anche se la sentenza definitiva sostiene che non avevano la volontà di uccidere. E ce l’hanno con i magistrati che hanno fatto scontare sei mesi di carcere ai condannati (gli altri tre anni della pena erano coperti dall’indulto), nonostante in casi analoghi non sia quasi mai accaduto. Il motore di quell’applauso è dunque il solito di tutte le ribellioni italiane: lo spirito di casta accerchiata. La legge di un branco che reclama per sé l’impunità, ragionando in modo non dissimile dalle bande di ultrà che fronteggia per le strade. Con l’aggravante che i poliziotti sono dipendenti dello Stato: non rappresentano una fazione, ma il garante delle regole del gioco. 

La sciagurata ovazione di ieri è il danno peggiore che potessero fare a se stessi. Non hanno soltanto mancato di rispetto a quel povero morto e ai suoi familiari. Hanno fornito un pretesto corposo alle prossime provocazioni che riceveranno nelle piazze. E nuovi argomenti a chi, fin dai tempi del G8 di Genova, li accusa a torto o a ragione di comportarsi come i cattivi, quelli da cui dovrebbero proteggerci, e di prendersela con i deboli, quelli che dovrebbero proteggere. 

Da - http://lastampa.it/2014/04/30/cultura/opinioni/buongiorno/la-legge-del-branco-ZckaHS1T31FTg81xPUo4tN/pagina.html
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« Risposta #596 inserito:: Maggio 03, 2014, 12:13:22 pm »

03/05/2014

Massimo GRAMELLINI

Per Piero Pelù il concittadino Matteo Renzi è un piduista. Per Berlusconi il nuovo Hitler è Beppe Grillo (che immagino ricambi volentieri la cortesia). Per l’avvocato Taormina i gay sono malati e geneticamente diversi. Ma dove le trovano, questi formidabili showman, le loro immarcescibili certezze proclamate ai quattro venti mediatici senza l’ombra di un dubbio o di un sorriso? Risulta a qualcuno che Renzi durante le elementari sia stato iscritto alla P2, che Grillo abbia mai invaso la Polonia o che Saffo e Giulio Cesare fossero geneticamente diversi dall’avvocato Taormina? Immagino che a dare loro la forza di sparacchiare teoremi indimostrabili sia la sensazione di essere nel giusto e di sfidare la morale corrente, cioè il famigerato P.C., che non è un computer portatile né un antico partito franato sotto un muro, ma il Politicamente Corretto. La scorrettezza di cui si sentono alfieri impone di guardare il mondo da un unico punto di vista, il proprio, e di concludere che se l’Altro è diverso da loro significa che è un debosciato o un cretino. 

Le sicurezze assolute aiutano a vivere, soprattutto a coprire le proprie insicurezze. E gli insulti restano il modo più rapido per aggregare consenso, perché l’umiliazione del Nemico distrae l’uditorio e lo gratifica, facendolo sentire migliore. Eppure ogni tanto potrebbe essere persino emozionante rinunciare alle scorciatoie e inerpicarsi lungo il sentiero evolutivo, cercando di trasmettere un’idea senza farla passare per forza attraverso la svalutazione degli altri. 

Da - http://lastampa.it/2014/05/03/cultura/opinioni/buongiorno/il-peluista-Dz0jdMIcwNC3oktKxdHlHM/pagina.html
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« Risposta #597 inserito:: Maggio 05, 2014, 11:40:38 pm »

04/05/2014

Massimo GRAMELLINI

Nella finale della coppa calcistica nazionale ogni Paese offre uno specchio di sé. Anche noi, modestamente. Si comincia con un simpatico assalto degli ultrà della Roma a quelli napoletani. Non importa che la partita sia Napoli-Fiorentina e i romanisti non c’entrino nulla. La finale di Coppa Italia è una sorta di convegno dove delegazioni di violenti provenienti da ogni bar sport della penisola si danno appuntamento fuori dallo stadio per regolare i conti in sospeso: laziali contro romanisti, romanisti contro napoletani, pare addirittura napoletani contro veronesi. Al culmine della battaglia, una brigata di teste di cuoio giallorosse tende un agguato ai marines partenopei, o viceversa: dall’immane scontro di cervelli scaturisce un parapiglia. Da qui in poi i contorni della vicenda diventano ancora più sfocati. L’unica certezza è che qualcuno estrae una pistola e spara. Riassumendo: un agguato per le strade e l’assolo di un pistolero. Non a Tripoli o a Beirut, dove al massimo può succedere di imbattersi in Dell’Utri, ma nel cuore di Roma, capitale di un sedicente Stato occidentale. Sul selciato restano vari feriti, uno dei quali messo malissimo. Gli altri travolgono lo sparatore e ne fanno poltiglia da pronto soccorso. 

Dopo essersi espressa fuori dallo stadio, la cultura sportiva degli italioti si trasferisce all’interno e assume la forma di due valentuomini appollaiati sopra una balaustra, uno dei quali indossa una maglietta che inneggia all’assassino del poliziotto catanese Raciti, a cui un ultrà tirò addosso un lavandino. I due pensatori si presentano come i capipopolo della tifoseria napoletana. Pare che senza il loro meditato assenso non si possa disputare la partita. I desideri degli altri settantamila dello stadio e dei milioni davanti alla tv non contano ovviamente nulla. Solo i pendagli da curva hanno il monopolio della minaccia fisica e verbale. Marek Hamsik, il capitano del Napoli che un destino milionario ma bizzarro ha condotto dalla natia Slovacchia a questi climi molto meno temperati, si attarda a parlamentare con gli ambasciatori ultrà e, quando ormai si sta consumando la vergogna di una resa ai violenti in diretta televisiva, in un eccesso di magnanimità i capibastone concedono alle squadre e all’Italia intera il permesso di giocare. 

Con un’ora di ritardo tutto è pronto per la cerimonia dell’inno nazionale ispirata al modello americano del Superbowl, con una cantante, Alessandra Amoroso, che intona «Fratelli d’Italia» al microfono. Ma i fratelli riuniti allo stadio fischiano l’esecuzione fin dalle prime note e ha un bel sgolarsi Matteo Renzi in tribuna: quando i fischi non bastano più, a soffocare la musica arriva il sostegno di qualche bombetta carta, una delle quali manda un vigile del fuoco all’ospedale. 

Ora che gli agguati, gli spari, i ricatti, i fischi e i petardi sono finiti, la finale di Coppa Italia può persino cominciare. L’Italia, quella è già finita da un pezzo. Naufragata in un profluvio di parole, proclami e decreti che servono a coprire la mancata applicazione delle leggi. Perché se un hooligan inglese o spagnolo si azzardasse a fare anche un decimo delle cose che vi abbiamo sommariamente raccontato passerebbe il resto della sua giovinezza in carcere, meglio ancora a compiere qualche lavoro socialmente utile. Come del resto chiunque di noi, se commettesse quegli stessi reati lontano dallo stadio, ormai ridotto a porto franco della bestialità tribale travestita da «onore e rispetto» non si sa di chi, certo non degli altri e tantomeno di se stessi. I bambini inquadrati sugli spalti dell’Olimpico avevano sguardi impauriti e severi: un verdetto di sconfitta per tutti. 

Da - http://lastampa.it/2014/05/04/cultura/opinioni/buongiorno/ultimo-stadio-pIWHs4QT5OJUjWIElBNGSJ/pagina.html
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« Risposta #598 inserito:: Maggio 06, 2014, 04:45:18 pm »

06/05/2014

Pare abbia suscitato un certo scandalo la decisione del sindaco Fassino di mostrare il dito medio a un gruppo di tifosi del Toro che lo stavano insultando. Pare anche che il dito medio ricordasse la silhouette ossuta del suo titolare, tanto che a qualcuno dei presenti è sembrato che l’ex segretario dei Ds stesse sollevando verso il cielo una copia in scala di se stesso. Forse solo un monaco zen avrebbe diritto di fargli la morale: sfido chiunque a rimanere impassibile mentre ti insultano il parentado stretto. Persino se ti trovi in un luogo sacro, quale in effetti è il terreno su cui sorgeva e risorgerà (anche grazie a Fassino) lo stadio del Grande Torino. Senza contare che a sinistra il gestaccio non è considerato un insulto, a meno che lo facciano Bossi e Santanché. Il problema di Fassino non è dunque il dito. E’ il naso. Della stessa foggia di quello di Pinocchio. 

Quando la notizia ha cominciato a circolare, il sindaco ha mandato una smentita. Avrebbe dovuto sapere che nell’era dei telefonini le bugie hanno le gambe opposte alle sue, cioè cortissime. In Rete giravano già foto compromettenti del dito in libera uscita e ai Cinquestelle non è parso vero di poter postare un video che immortalava la scena. Nei Paesi di cultura protestante, tanto sarebbe bastato per costringere il primo cittadino di Torino a dare le dimissioni: lì sono ancora arretrati e un politico scoperto a mentire su qualcosa viene ritenuto capace di mentire anche su tutte le altre. Ma per fortuna in Italia la bugia è una forma di legittima difesa, un titolo di merito, e a colpi di menzogne ben assestate si può arrivare ovunque, un domani persino al Quirinale.

Da - http://www.lastampa.it/2014/05/06/cultura/opinioni/buongiorno/fassinocchio-5NpCoHFrjY2EMg4l7ABUnI/pagina.html
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« Risposta #599 inserito:: Maggio 07, 2014, 08:27:24 am »

07/05/2014
Massimo GRAMELLINI 

Monica la vendicatrice
Tra Hillary Clinton e la prossima presidenza degli Stati Uniti si erge un fantasma che all’improvviso ha ripreso vigore: Monica Lewinski, simbolo planetario delle amanti Usa e Getta sacrificate sull’altare del perbenismo coniugale. Passata la boa dei quaranta, la ex stagista del farfallesco Bill ha minacciato apertamente Hillary: se si candida, la rovinerò. Può darsi che dietro questo comportamento così poco elegante ci siano il bisogno di soldi e la disponibilità degli avversari politici della Clinton a fornirglieli. Ma il furore vendicativo di Monica si nutre anche di motivazioni immateriali e facilmente condivisibili da milioni di donne innamorate di un uomo altrui. Perché un’amante può accettare tutto, ma non che la moglie in carica derubrichi la relazione adulterina a pazzia narcisista della rivale, pur di negare che il marito abbia avuto un ruolo attivo nella vicenda. Quest’idea di molte donne tradite che le ragioni del tradimento vadano ricercate in un mix tra la propria negligenza emotiva e la spregiudicatezza dell’amante rafforzerà la loro autostima, ma consente al maschio di ritagliarsi il ruolo prediletto di pupazzo inconsapevole e vittima. 

Se Hillary avesse il coraggio di riconoscere che Monica non fece tutto da sola conquisterebbe il voto di milioni di elettrici, indispensabili tra l’altro per sconfiggere il repubblicano Jeb Bush, l’intelligentone della famiglia, che ha dalla sua una carta formidabile: peggio del fratello non potrà mai fare. 

Da - http://lastampa.it/2014/05/07/cultura/opinioni/buongiorno/monica-la-vendicatrice-zqSIcvqki8K0FKuRRiVKtI/pagina.html
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