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Autore Discussione: Philippe Forest, teorico e scrittore  (Letto 3548 volte)
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« inserito:: Giugno 24, 2007, 04:35:13 pm »

24/6/2007 (11:35) - INTERVISTA PHILIPPE FOREST

"Non si sfugge alla letteratura"
 
Philippe Forest, teorico e scrittore
 
L’autore di “Tutti i bambini tranne uno” riflette sul rapporto fra verità e finzione: “L’autobiografia è un romanzo che s’ignora”

GABRIELLA BOSCO


Teorico del romanzo, attento lettore dei libri altrui, Philippe Forest non pensava di diventare scrittore. È stata la vita a costringerlo, mettendolo di fronte a un’esperienza impossibile, per la quale non esiste neppure la parola. Una bambina che perde il padre diventa orfana. Un padre che perde la sua bambina che cosa diventa? La lingua non sa dirlo. Ma è necessario farlo, perché quell’esperienza non ti inghiotta nel nulla da cui proviene. Forest ha creato dei personaggi: un padre, Félix; una madre, Alice; una bambina, Pauline. Ha raccontanto la loro storia, per cercare di dire la sua. È nato così L’enfant éternel, tradotto in italiano per Alet con il titolo Tutti i bambini tranne uno. Il lutto e il desiderio sono i momenti chiave di quel libro, che risponde al richiamo impensabile del reale attraverso la scrittura: raccontando come sono andati i fatti, ma soprattutto facendo l’unico gesto concesso. Poi è venuto il secondo libro, Per tutta la notte, in cui quel padre e quella madre devono vivere l’assenza, accettare il rischio della follia, scappare dal vuoto. Per Forest si è trattato ancora di cercare le parole per dire qualcosa che si sottrae alla comprensione. Un gesto necessario, il suo, urgente.

Se un critico letterario, parlando di «Per tutta la notte», lo definisce un’autobiografia, è d’accordo?
«Io parlo sempre dei miei libri come di romanzi. Trovo imbarazzante, spiacevole il modo in cui certi scrittori speculano su ciò che hanno vissuto per parlare dei libri che hanno scritto. Forse è una strategia di difesa che ho sviluppato, ipocrita se vuole. Ciò che mi è successo riguarda solo me. Su un piano più strettamente letterario, potrei rispondere che quando si racconta la propria vita si fa sempre un romanzo. Le autobiografie sono romanzi che si ignorano. Non è possibile fare una trascrizione diretta della verità. Non appena ci si mette a farlo si è già passati dalla parte della finzione, del romanzo».

È vero però che oggi l’autobiografia, per quanto illusoria, è di gran moda. Abbiamo perfino un’università dell’autobiografia.
«È un ricco mercato. Nel mondo editoriale fioriscono le collane di testimonianze. Ti vengono presentate come documenti di vita, letteratura non romanzesca o persino non letteratura e invece se li leggi ti accorgi che sono romanzi fin dalla prima pagina. Siccome la vita è un romanzo, ogni individuo ha diritto al romanzo della sua vita. È un desiderio legittimo. Ma nel contesto attuale questa aspirazione prende un aspetto discutibile perché si trova incanalata in un discorso di tipo psicologico, di sviluppo personale in relazione con idelologie genere new age, “diventate voi stessi"... Lo stupefacente è che più le persone cercano di diventare loro stesse, più finisce che diventano uguali a tutte le altre. È il meccanismo dell’alienazione proprio della società postmoderna. Da una ventina d’anni in Francia sono nati molti gruppi di riflessione, atélier di scrittura che fanno riferimento ai lavori di Philippe Lejeune, il teorico dell’autobiografia, e alla sua nozione del racconto di vita come luogo di una ricerca dell’identità personale, ma al tempo stesso familiare, collettiva, nazionale. Io sono molto ostile a questa nozione di autobiografia perché poggia su una concezione naïve dal punto di vista letterario, secondo cui l’autobiografia permetterebbe di affermare una qualche verità relativa alla persona umana, al soggetto. E sono ostile a questo discorso, alle sue implicazioni morali e politiche, perché tutto quello che la grande letteratura del XX secolo ha cercato di produrre è stato in direzione della messa in discussione della nozione di identità».

Forse si dovrebbe operare una distinzione netta tra quel che è scrittura del sé e il romanzo dell’io come lei lo intende.
«Il francese permette un’opposizione tra le je e il moi: il je è il soggetto, il moi l’oggetto. Parlare di moi significa che la persona diventa oggetto di un discorso, oggetto di alienazione. Parlare di je insiste invece sul gesto creatore da parte del soggetto che si reinventa con l’atto della scrittura, è un gesto di disalienazione, di libertà. Per me la letteratura è un discorso del je e non del moi. Detto questo, io non nego la dimensione autobiografica dei miei libri. È necessaria l’esperienza di partenza, che poi è oggetto di elaborazione nei miei romanzi esattamente come in quelli di pura finzione. Nell’Enfant éternel c’è tutto un lavoro di costruzione, effetti d’eco che si stabiliscono tra la storia raccontata e storie prese dalla letteratura infantile, Peter Pan per esempio, o dalla letteratura tout court, Hugo, Mallarmé. In Per tutta la notte ho voluto far sparire la letterarietà, ma anche lì c’è un lavoro di composizione con l’alternanza tra capitoli di narrazione al passato e capitoli dialogati che evocano il teatro. Non si può sfuggire alla letteratura. Quando si racconta, anche se si scrive contro la letteratura si fa ugualmente della letteratura. Si tratta casomai di riflettere al modo in cui si fa letteratura».

In «Sarinagara», il suo terzo romanzo (che uscirà presto in Italia per Alet), questo carattere della sua scrittura è ancora più evidente.
«L’esperienza personale di quel padre e di quella madre continua e entra in risonanza con altre storie lontane nello spazio e nel tempo, quelle di tre tre artisti giapponesi - un poeta, un romanziere e un fotografo - che hanno vissuto la morte di un bambino. Passo da storie altrui per dire la mia».

Nel panorama della letteratura mondiale, chi sono gi autori che rispondono all’appello impossibile del reale?
«Philip Roth, Kenzaburo Oe, Pascal Quignard, Philippe Sollers, Peter Handke... In Italia, voglio citare Primo Levi. Io trovo straordinario Il sistema periodico, che è autobiografico ma insieme è esercizio di sperimentazione vertiginoso. Questo per spiegare come non sia questione di opporre letteratura del vero e letteratura sperimentale. Grande scrittore per me è qualcuno che è completamente nella costruzione letteraria e insieme è completamente nella verità».

da lastampa.it
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