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Autore Discussione: AMEDEO LA MATTINA.  (Letto 119032 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Febbraio 12, 2011, 10:48:28 pm »

Politica

12/02/2011 - RETROSCENA

Ma il Cavaliere tira dritto e pensa anche alla piazza

«Sono perseguitato: mi vogliono portare via tutto, anche le aziende»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA


Berlusconi tira dritto. Quello che doveva dire a Napolitano lo ha detto in maniera chiara e netta. Di fronte ad una partita truccata, con i magistrati che giocano sporco e violano la Costituzione e le leggi può succedere di tutto. Non escluso iniziative di piazza. E’ andata male, molto male l’incontro di ieri al Quirinale. La giornata non era cominciata bene per Berlusconi quando ha letto i giornali che riportavano alcune indiscrezioni del Quirinale: il capo dello Stato avrebbe voluto annullare l’incontro dopo aver letto l’anticipazione dell’intervista al Foglio con quelle frasi sull’Italia come la Ddr comunista, il golpe bianco e che l’unico suo giudice è il popolo elettore.

Per tutta risposta Napolitano, dopo avere incontrato il vicepresidente del Csm Vietti, ha espresso concetti diametralmente opposti, indicando nella Costituzione e nelle leggi tutto ciò che serve per far valere la giustizia e la legalità. Insomma un modo per ricordare ciò che lo stesso presidente della Repubblica aveva detto al Cavaliere: si presenti dai giudici e faccia valere la sua difesa. Con queste premesse non poteva finire bene l’incontro del pomeriggio dove Berlusconi si è presentato nel ruolo della vittima («sono perseguitato da quando sono sceso in politica») e il capo dello Stato a consigliare cautela.

Fino al punto di avergli ricordato che se lo scontro è diventato così duro la colpa è anche sua perché lo ha radicalizzato. Un’accusa che il presidente del Consiglio non accetta, sottolineando che è suo obbligo difendere non solo e non tantola sua persona, ma l’istituzione che rappresenta, il voto popolare che gli ha dato un mandato.Il premier ha spiegato di non voler creare alcun conflitto istituzionale, ma deve potere governare senza condizionamenti e pressioni della magistratura, di un altro organo dello Stato che ha violato le leggi e la Costituzione perché i Pm non sono competenti sul caso Ruby.

E nonostante ci sia stato un voto della Camera che ritiene essere il caso di competenza del Tribunale dei ministri, i Pm continuano come se nulla fosse. A questo punto, ha osservato Berlusconi, non mi resta che sollevare il conflitto di attribuzione di fronte alla Corte Costituzionale e andare avanti con le riforme della giustizia, ma non a colpi di decretazione d’urgenza come era sembrato in un primo momento durante l’ufficio di presidenza del Pdl dell’altra sera. «C’è stato un equivoco», ha spiegato il Cavaliere che ha sottolineato più volte il fatto di essere perseguitato, di essere totalmente estraneo alle accuse che gli sono state mosse.

Ecco perché ha sottolineato la necessità di difendersi e di eliminare lo «scandalo delle intercettazioni». «Sono ingiustamente aggredito da quando sono sceso in politica e questa aggressione mi è costata tantissimo. Sono sulla bocca di tutti, sono l’uomo dei festini...». Napolitano ha più volte consigliato cautela, cercando un ampio dibattito su temi così delicati per la vita del Paese. Ricordando, soprattutto, che ci sono sentenze della Corte Costituzionale che hanno già annullato certe leggi.

Insomma, è meglio evitare di assistere scontri all’arma bianca come è successo nel passato proprio con i giudici costituzionali. Il Colle è molto preoccupato per il clima di tensione che c’è nel Paese, dello scontro permanente tra le istituzioni, facendo capite che non è opportuno sollevare il conflitto di attribuzione davanti alla Consulta. L’atteggiamento di Napolitano è stato interpretato a Palazzo Chigi e nel Pdl come un volersi schierare dalla parte dei pm, smarcarsi dal problema posto da Berlusconi, che vuole tirare dritto senza ascoltare i consigli del Quirinale.

Una sorta di «me ne frego» che prospetta il peggio. Se fosse un arbitro vero, dicono i berlusconiani, Napolitano potrebbe intervenire certo non pubblicamente ma far trapelare attraverso il Csm la preoccupazione di un pronunciamento del gip di Milano nella direzione voluta dai pm. E questo dopo che un ramo del Parlamento sostiene con un voto a maggioranza che il Tribunale di Milano non è competente. Ora, se prima Berlusconi aveva qualche remora e la necessità di coinvolgere nell’attività legislativa in modo preventivo il Quirinale, cambia tutto.

Anche perché, come avrebbe detto il premier nei suoi colloqui privati, qui non solo vogliono farmi dimettere ma togliergli tutto, tutto quello che ho: pure le aziende. Attenzione, avrebbe detto Berlusconi allo stesso Napolitano, che c’è il rischio che la situazione sfugga a tutti di mano e che possano verificarsi situazioni spiacevoli anche nelle piazze.

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« Risposta #61 inserito:: Febbraio 18, 2011, 04:58:18 pm »

Politica

18/02/2011 - GOVERNO TRA INCHIESTE E POLEMICHE

Berlusconi gongola "Ora tutti in piazza"

«Fini? È un fallito».

Il premier pensa a una manifestazione il 26 marzo


AMEDEO LA MATTINA

«E’ un disperato, un fallito, uno che ha perso la testa ora che i suoi gruppi parlamentari si stanno sbriciolando e il suo pseudo progetto politico è fallito. Più mi attacca e più io mi rafforzo. Casini dovrà riflettere sul compagno di strada che si è scelto». Berlusconi è uscito dal bunker (così almeno lui crede) in cui i pm milanesi lo aveva costretto a rinchiudersi. E ora ride delle «disgrazie» di Gianfranco Fini e punta tutte le sue potenzialità ad allargare la maggioranza e a rendere «improcedibile» il processo sul caso Ruby su cui si stanno lambiccando il cervello i suoi avvocati. Intanto entro la prossima settimana saranno 5 i nuovi deputati che si aggiungeranno al centrodestra e il gruppo dei Responsabili potrebbe arrivare a quota 29 anche con prestiti del Pdl. L’operazione «spacca le ossa a Futuro e Liberà» sta procedendo a ritmi serrati anche al Senato. L’obiettivo è sempre lo stesso: ritrovare la maggioranza nella bicamerale, dove dovrà passare il federalismo regionale, e nelle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera. Qui, nell’aula di Montecitorio, arriverà presto il processo breve, forse senza quelle norme transitorie che non piacciano al capo dello Stato perché retroattive. Il premier con questa mossa potrebbe dire che non è un provvedimento ad personam e non riguarda i suoi processi Mills e Mediaset.

Una volta allargata la maggioranza, il Cavaliere procederà alle nomine del nuovo ministro delle politiche europee e dei sottosegretari. In prima fila i Responsabili che scalpitano, «ma devono stare calmi, prendere un po’ di valeriana», spiegano i berlusconiani. Prima bisogna mettere tutti i tasselli al loro posto, dimostrare a Bossi che i numeri ci sono sia in aula che nelle commissioni. La manovra diversiva è forte, potente, dopo avere incassato pure il sostegno del ministro Tremonti sul piano di sviluppo economico (bisognerà vedere quanto concreto in termini di risorse finanziarie). Ma Berlusconi vuole dimostrare al Quirinale che il governo sta lavorando e di «non essere ossessionato dalla giustizia». In questo modo, aggiungono a Palazzo Grazioli, Napolitano non può più pensare di sciogliere il Parlamento. E a marzo tutti in piazza. La prima settimana, forse addirittura l’8 marzo, a marciare saranno donne del Pdl. Poi il 26 appuntamento a Roma: un milione di persone per sostenere il governo, per esprimere solidarietà a Berlusconi, senza forzare i toni contro i magistrati. Cosa molto difficile da evitare visto che la data è a ridosso del processo sulle ragazze. Il 26 marzo sarà pure l’occasione per aprire la campagna elettorale delle amministrative e presentare i candidati a sindaco. La data ha un significato simbolico: 17 anni fa, il 27 e 28 marzo del 1994, Berlusconi vinse le elezioni per la prima volta (si è deciso per il 26 perché cade di sabato).

E’ tutto fatto per dimostrare che il capo è uscito dal bunker e va in piazza con il suo popolo acclamante. «Altro che spacciato - sostiene Berlusconi - come scrive ogni giorno La Repubblica e un’opposizione allo sbando. Sono loro, a cominciare da Fini ad essere spacciati. Si fanno forti dietro i loro amici magistrati, ma io ho la pelle dura». Il premier è convinto che il Fli è destinato a scomparire, «un ectoplasma», mentre il Pd litiga su tutto, ora sono avvitati sulla candidatura alla premiership della Bindi. Ieri inoltre è scoppiata la grana con Di Pietro e i dipietristi che in commissione Giustizia hanno votato con la Lega e il Pdl sul divieto del rito abbreviato nei processi per ergastolo.

Intanto Casini frena sulla Santa Alleanza con la sinistra perchè ha capito che così il Cavaliere resuscita, rischiando di perdere altri pezzi per strada. Come sta accadendo a Fini. Il leader Udc inoltre non vuole suscitare l’irritazione del Vaticano dove oggi Berlusconi andrà a celebrare l’anniversario dei Patti Lateranensi (oltre a Letta ci sarà il pupillo Alfano). Un po’ di freddezza c’è da parte dei vescovi e cardinali. Nessun colloquio privato, solo incontri tra delegazioni: un po’ di imbarazzo dopo il caso Ruby c’è, ma niente di irreparabile.

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« Risposta #62 inserito:: Febbraio 23, 2011, 05:28:37 pm »

Politica

23/02/2011 - RETROSCENA

Disappunto del premier: il Colle mi ostacola mentre mi rafforzo

Ma le colombe spingono il Cavaliere a non accentuare le frizioni con il Quirinale

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Berlusconi non l’ha presa bene. E’ convinto che Napolitano continui a mettergli «i bastoni tra le ruote proprio ora che la maggioranza cresce e il Fli si è polverizzato». Era salito al Colle per parlare delle drammatiche vicende libiche e su come affrontare l’emergenza migrazione che potrà abbattersi sulle nostre coste. Ma si è trovato di fronte un Capo dello Stato freddo e irritato su un’altra questione, quella del decreto Milleproroghe: un provvedimento-mostro, una salsiccia indigeribile in cui è stato infilato tutto e il contrario di tutto. Il premier ha finto di dare ragione a Napolitano («capisco, capisco...») che nella lunga e dettagliata nota del Quirinale ha voluto sottolineare apposta le parole di condivisione del suo interlocutore, a scanso di equivoci: per evitare cioè interpretazioni diverse una volta rientrato a Palazzo Chigi. Per evitare, in sostanza, che il Cavaliere possa prendere le distanze e costringere il Quirinale a fare un altro comunicato il giorno dopo.

Tutto deve essere chiaro, messo nero su bianco, senza possibili equivoci. Non è dato sapere se il premier, oltre quel «capisco e condivido», abbia spiegato che il pasticcio è stato fatto al Senato e dal ministro dell’Economia Tremonti. Ora comunque la patata bollente ce l’ha lui, con le colombe che lo spingono a evitare frizioni con Napolitano e lo invitano a procedere allo spacchettamento. In altre parole fare un altro decreto nel quale inserire le parti oggetto delle contestazioni presidenziali. Il problema è che i tempi sono risicatissimi (il decreto Milleproroghe scade il 27 febbraio) e l’opposizione è pronta all’ostruzionismo.

Comunque, rimane agli atti che Berlusconi è d’accordo con Napolitano, ma non gli ha detto quello che pensa e come l’ha presa veramente. E’ anche il resto che lo preoccupa, quel richiamo del Capo dello Stato all’uso eccessivo dei decreti, della fiducia, a una serie di ultimatum all'esecutivo. «D’ora in avanti, di fronte a casi analoghi - dice il Presidente - non potrò rinunciare ad avvalermi della facoltà di rinvio». E’ considerato un avvertimento, un modo per mettere sabbia nel motore del governo, un messaggio che va oltre la questione in sé del Milleproroghe e che riguarda le riforme della giustizia. Al Quirinale si guardano bene dal mescolare temi e vicende diversi: viene sottolineato il comportamento lineare e coerente di Napolitano. Anche sul versante della giustizia ognuno fa la sua parte e se ne assume la responsabilità. Non sfugge però che dentro la maggioranza ci sia una dialettica su cosa fare, su quali provvedimenti portare in Consiglio dei ministri. Il ministro Alfano si è collocato sul versante moderato. Bossi ha detto no all’immunità e ha frenato sul processo breve. Sembra che gli avvocati-deputati stiano trovando una soluzione legislativa sulla prescrizione deiprocessi del Cavaliere che non sembra disposto a trattare sulla giustizia. Le colombe consigliano prudenzaper non irritare il Quirinale. Nella maggioranza tuttavia un po’ tutti notano la strana coincidenza di un Capo dello Stato che solleva questioni così spinose sul Mille proroghe nel giorno in cui il centrodestra cresce nei numeri e i gruppi di Fini si stanno sciogliendo come neve al sole. Non solo. Berlusconi si chiede perché questo intervento arrivi proprio ora, dopo venti giorni dal voto del Senato e a tre giorni dalla scadenza. Tenuto conto, osservano alcuni parlamentari, che nell’iter a Palazzo Madama il Colle ha avuto la sua «piccola vedetta» che ha seguito i lavori e l’evolversi del provvedimento.

Insomma, rimane il gelo tra Palazzo Chigi e il Colle, le diffidenze e i retropensieri. La maggioranza regge. Anche la Lega regge nonostante dentro il Carroccio le posizioni di Maroni sono sempre più lontane da quelle di Bossi che non vuole staccare la spina, ma nota il crescente isolamento del governo rispetto alle altre istituzioni. Berlusconi allora deve allargare al massimo la sua maggioranza e arrivare, come chiedono i leghisti, a quota 330. E’ questo l’unico modo per evitare l’impasse nelle commissioni e consolidare i numeri in Aula. Su questo versante tutto sembra filare per il meglio. Il Cavaliere vede il suo acerrimo nemico Fini nella polvere, ma il terremoto politico in Libia e i «continui bastoni tra le ruote» del Presidente della Repubblica lo hanno messo di cattivo umore. Ora deve pure vedersela con Tremonti che non è d’accordo sullo spacchettamento del Milleproroghe. Forse dovrà intervenire lo stesso Bossi per convincerlo che questo s’ha da fare perché già i problemi con il Quirinale sono tanti.

da - lastampa.it/politica
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« Risposta #63 inserito:: Marzo 10, 2011, 06:27:42 pm »

Politica

10/03/2011 - PERSONAGGIO

"È la carta decisiva", il delfino Angelino alla prova finale

Parte una lunga campagna elettorale (anche per il ministro)

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Il delfino che avanza ha sgombrato il campo dalle norme ad personam, ha indorato la pillola amara delle riforme costituzionali della giustizia che ieri ha illustrato al capo dello Stato. Una missione quella del ministro Angelino Alfano che, a suo dire, è andata a buon fine («il Presidente della Repubblica è stato cordialissimo, ineccepibile sotto il profilo istituzionale»). E che si sarebbe conclusa in serata a Palazzo Grazioli con la scelta di far presiedere dal capo dello Stato i due Csm previsti dalla bozza del governo.

Una scelta che dovrebbe essere ratificata oggi dal Consiglio dei ministri (tranne sorprese dell’ultima ora) per dare il segnale di una riforma non punitiva. La logica politica è infatti di smussare tutti gli angoli e trovare una sponda alleata nel presidente della Repubblica. Regista della mediazione è sempre Alfano. Il quale, dopo la visita al Colle, è sceso a Montecitorio per parlare con i Responsabili, i deputati del nuovo gruppo parlamentare che mantengono in vita il Cavaliere e che presto saranno ricompensati. Oltre a Saverio Romano Romano all’Agricoltura, le poltrone dei due viceministri al dicastero dell’Attività produttive potrebbero andare all’ex Pd Calearo e all’ex Udc Pionati. Il Guardasigilli ha fatto un discorso di prospettiva politica, di mobilitazione a sostegno della riforma costituzionale che dovrà affrontare le forche caudine del lungo passaggio parlamentare e le barricate della magistratura e dell’opposizione.

Si punta però ad ottenere i voti del Terzo Polo, quantomeno dell’Udc, e si guarda con ottimismo all’eventuale referendum. Ecco perchè la riforma deve essere aperta, ben spiegata agli italiani che devono percepirla come una necessità assoluta e non come la volontà di punire i magistrati che lo perseguitano. Alfano si è presentato ai Responsabili non solo in una veste tecnica, del ministro che spiega una «riforma epocale». Ha parlato da leader politico che chiama i nuovi arrivati nella maggioranza alla mobilitazione. Ha fatto capire che questo non è il momento di innervosirsi, di litigare tra chi deve entrare nel governo (e nervosismo ce n’è tanta in giro), ma di giocarsi tutti insieme una «importante carta politica».

La riforma della giustizia, ha spiegato, è uno degli obiettivi primari del centrodestra fin dal ‘94. E quella che è andata ad illustrare a Napolitano (il giorno prima del cdm, «per portare l’ultima l’ultima versione del testo, non per sgarbo») recepisce molti spunti della riforma concepita nella Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema. «Non è una riforma blindata. Il capo dello Stato ci invita al confronto e noi lo faremo», ha precisato. Nel pomeriggio però Berlusconi ha ragionato in maniera più affilata. Intanto non ha escluso che ci possa essere qualche provvedimento destinato ad incidere sulla prescizione dei suoi processi, ma questa è ancora una carta coperta: se e quando verrà tirata fuori, farebbe saltare tutto il castello delle buone intenzioni. Comunque, per il Cavaliere questa è la volta buona: «Riusciremo a modificare l’ordinamento giudiziario.

Ci hanno provato in tanti ma noi ci riusciremo. Saranno possibili modifiche nel corso della doppia lettura, ma non accetteremo che vengano messi bastoni tra le ruote fino a bloccare una riforma sacrosanta». Alfano, durante l’incontro con i Responsabili, ha detto che da oggi comincia una lunga campagna elettorale: le riforme della giustizia, insieme a quelle per lo sviluppo e l’economia, porteranno il governo alla fine della legislatura, fino al 2013. E questo è molto rassicurante per chi ha fatto il salto della quaglia. Alla fine ci sarà un doppio sbocco nelle urne: elezioni politiche e referendum confermativo delle riforme costituzionali. «Bisogna vincerle entrambi», ha spiegato il Guardasigilli, per il quale potrebbe aprirsi la strada della successione.

DA - lastampa.it/politica
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« Risposta #64 inserito:: Marzo 22, 2011, 10:25:33 pm »

Politica

22/03/2011 - LIBIA LE SPINE DEL GOVERNO

Il Cavaliere promette a Bossi che batterà i pugni in Europa

"Non potevamo star fuori, ma ho l’impressione che non ne trarremo vantaggi"

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Il timore di Berlusconi e di Bossi è uscire con le ossa rotte dalla "guerra anarchica" in Libia. Francia e Gran Bretagna fanno di testa loro, andando oltre la risoluzione Onu e puntando al petrolio libico che finora è stato appannaggio italiano. E intanto sulle nostre coste continuano a sbarcare ogni giorno centinaia di migranti e questo per la Lega è un’immagine devastante: il più amaro fallimento della politica di contrasto all’immigrazione clandestina. Non bisogna dimenticare, tra l’altro, che siamo in piena campagna elettorale per le amministrative e che ogni partito della maggioranza pensa al bottino dei voti. E allora Bossi si è infuriato non tanto con Berlusconi (sa che il Cavaliere sarebbe voluto rimanere defilato da questo conflitto armato) quanto con quei ministri che hanno gestito le trattative diplomatiche e militari.

Ditone puntato contro La Russa e Frattini come se i ministri della Difesa e degli Esteri si fossero mossi con un eccesso di protagonismo nella disattenzione del premier occupato in altre vicende (i processi di Milano e il rimpasto di governo). Cosa che ovviamente non è vera, sostengono chi lavora accanto a Berlusconi. Il quale ieri si è sentito dire dal leghista Calderoli che bisognava trattare meglio l’uso delle nostre basi militari: noi apriamo le piste di Trapani Birgi, Gioia del Colle e Decimomannu ma i maghrebini che arrivano devono essere divisi tra i Paesi europei. Ma Bossi qualche appunto diretto ce l’avrebbe da fare al suo amico Silvio, ma non glielo dice in faccia: pensa che il Cavaliere abbia gestito male la sua presenza al vertice parigino dell’altro giorno, quando è stato escluso dalla riunione ristretta tra Sarkozy, Cameron e la signora Clinton. Quella era l'occasione per mettere le cose in chiaro. La Lega è veramente sul piede di guerra. Ha minacciato di non votare più il rifinanziamento delle missioni militari e nello stesso Pdl non mancano fortissime perplessità. Al Consiglio dei ministri Brunetta ha detto che non è il caso di sprecare altri soldi che vanno invece concentrati su missioni più serie e che già ci costano un occhio della testa, «nonostante Tremonti...».

Berlusconi ha chiesto al suo alleato Bossi e alla sua maggioranza di tenere i nervi saldi, di non enfatizzare le divisioni dando all’opposizione il destro per attaccare il governo. «Non era possibile tenersi fuori da questo intervento militare e dai nostri impegni internazionali», ha spiegato a Bossi durante il volo che li portava da Milano a Roma. Anche se il premier è preso da mille dubbi: «Da tutto questo ho l'impressione che l'Italia non ne trarrà alcun vantaggio...». Anzi, c'è il rischio che nei pozzi petroliferi l’Eni venga sostituita dalla francese Total, che Sarkozy e Cameron sviluppino quella che negli ambienti di Palazzo Chigi viene definita «una politica neocoloniale» che porterà l'Italia ad essere espulsa da quell’importante quadrante geopolitico proiettato verso il resto dell'Africa.

Berlusconi sa che ci sono in ballo interessi enormi in questa guerra libica che sta procedendo in ordine sparso e che tanti problemi gli sta creando nella maggioranza. Ora cercherà disperatamente di porvi rimedio. Venerdì a Bruxelles al Consiglio europeo alzerà la voce, batterà i pugni sul tavolo; guarderà negli occhi gli inquilini dell'Eliseo e Downing Street colpevoli a suo avviso di essere andati oltre la risoluzione Onu; chiederà con forza ultimativa che l’Europa si faccia veramente carico dei profughi che stanno inondando l’Italia e che le operazioni militari passino subito sotto il controllo della Nato. Questo, almeno, è quello che ha promesso a Bossi. Venerdì a Bruxelles vedremo se il premier italiano si farà sentire e rientrerà nel grande gioco da protagonista.

Intanto qui a Roma Pdl, Lega e Responsabili stanno cercando di mettere a punto una mozione parlamentare comune che formalizzi il sostegno del Parlamento all’azione militare. Ma la Lega vuole che sia un documento di fatto dettato da via Bellerio. Un documento che teoricamente dovrebbe essere concordato anche con l’opposizione.

da - lastampa.it/politica
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« Risposta #65 inserito:: Marzo 23, 2011, 11:40:22 am »

Esteri

23/03/2011 - LIBIA IL FRONTE INTERNO

"Medierò io con Gheddafi"

La tentazione di Berlusconi

Prima il cessate il fuoco, poi una trattativa a tutto campo anche con il rais

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Cessare il fuoco, pensare al dopo, anche dialogando con Gheddafi.
Berlusconi vuole che al più presto le armi tacciano, che i cacciabombardieri rimangano sulle piste per tentare di aprire una fase di trattativa con i ribelli da un lato e con il Colonnello dall’altro. Dovrebbero essere poi le Nazioni Unite a verificare sul campo che la tregua sia effettiva, rispettata veramente da entrambe le parti. A quel punto potrebbe iniziare una trattativa di pacificazione, con un ruolo attivo dell'Unione africana nei confronti di Gheddafi per convincerlo a lasciare o a trovare un’intesa. Mentre l'Italia potrebbe svolgere il «suo ruolo naturale» di dialogo e di ricostruzione con la «nuova Libia» e il comitato degli insorti di Bengasi, città dove abbiamo da poco riaperto il consolato italiano. E una volta che politica e diplomazia avranno ripreso la parola, Berlusconi non esclude di ritornare a parlare direttamente con il Raiss. Disposto anche a recarsi a Tripoli.

Il premier batte su un tasto: «Dobbiamo smetterla di dare l'impressione di essere in guerra».
Gli italiani a suo avviso sarebbero spaventati. Il nostro Paese sta facendo la sua parte accanto alla coalizione dei volenterosi per aiutare il popolo libico e non per cacciare, o peggio ancora, eliminare il Colonnello. Il Cavaliere ha commissionato un sondaggio dal quale risulta che il 75% dei cittadini è contrario all’azione militare. Confermandosi nella convinzione che sarebbe stato meglio non infilarsi in questa vicenda. Ma tant’è, ormai ci siamo dentro e bisogna gestirla, frenando le manie di grandezza della Francia, le mire egemoniche di Sarkozy nel mediterraneo e sul petrolio libico. «Al di là di tutto e del fatto che sono addolorato per Gheddafi - ha osservato - dobbiamo difendere i nostri interessi economici. Non possiamo consentire che l'Eni venga soppiantata da Total».

Ieri sera Berlusconi ha appreso che Sarkozy, dopo la telefonata di Obama, avrebbe aperto alla possibilità di un comando integrato con la Nato. Ma il premier è prudente: vuole capire se si tratta veramente di un cambio di rotta dell’Eliseo. E’ confortato tuttavia dalle posizioni della Russia, della Turchia e di quei Paesi che vogliono uno stop ai bombardamenti. Il premier guarda anche alla Germania neutralista. Frattini però gli ha fatto presente che la Merkel sta pagando un prezzo politico altissimo per la sua posizione neutralista.
Il ministro degli Esteri gli ha consegnato un dossier su quello che scrivono i giornali tedeschi dal quale emerge un vero e proprio j'accuse nei confronti della Cancelliera. E questo a conferma del fatto che l’Italia doveva partecipare alla coalizione in maniera leale.

Anche La Russa ha avuto modo di spiegare a Berlusconi che non potevamo restarne fuori anche se ora la Lega non fa altro che lucrare consensi su una rendita di posizione neutralista.
Il ministro della Difesa è arrabbiato con quelli che dentro e fuori il Pdl lo accusano di avere schiacciato il governo su un’immagine da guerrafondai.

«La nostra era una strada obbligata. Di me hanno fatto la classica caricatura di Fiorello... “Bombardate!”, perché sono di destra.
La verità è che l’unico moderato sono stato io. Ho chiamato Berlusconi alle 2 di notte per dirgli che ci avevano chiesto l’uso dei bombardieri e che io ho rifiutato. E infatti non abbiamo sparato nemmeno un colpo con i nostri Tornado che hanno solo l'obiettivo di "accecare" i radar libici». Quando La Russa si è lamentato che in molti nella maggioranza gli avevano attribuito l’immagine del Dottor Stranamore, e che lo stesso premier aveva lasciato correre questa voce, lo stesso premier gli ha ragione. E gli ha promesso che avrebbe fatto una dichiarazione per smentire queste voci. Ma il ministro della Difesa non ha voluto perché sarebbe apparso come una accusatio non petita, accusatio manifesta».

Berlusconi si presenterà al vertice europeo con una posizione forte contro Francia e Gran Bretagna, per spingere verso una soluzione diplomatica. Ma per farlo ha bisogno che tutto il Parlamento italiano sia dietro di lui, anche l’opposizione. Intanto però deve mettersi
d’accordo con Bossi che preme per una risoluzione molto dura, soprattutto sul versante immigrazione, da presentare alle Camere.
Fino a ieri sera non c’era un’intesa. In Parlamento intanto andranno La Russa e Frattini, il quale in questi giorni si è tenuto in costante contatto con il capo dello Stato.
Berlusconi non sembra volerci mettere la faccia in questa fase di bombardamenti.

da - lastampa.it/esteri
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« Risposta #66 inserito:: Aprile 02, 2011, 06:15:41 pm »

Politica

02/04/2011 - RETROSCENA

La Lega nel panico: se non li cacciamo danni alle elezioni

Il ministro dell’Interno: "Tengo duro". Ma la maggioranza è divisa

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Quel «fuori dalle palle» agitato da Umberto Bossi come una clava sulla testa degli immigrati rischia di rimanere un buco nell’acqua al centro del Mediterraneo. In piena campagna elettorale per le amministrative lo «tsunami umano» (così l'ha chiamato Berlusconi) può costare caro alla Lega se non riuscirà a mantenere la parola e riportare a Tunisi i tunisini. «Sui rimpatri non cedo, tengo duro, perché sono contrario a certe ipotesi che vanno nella direzione contraria», ha tuonato il ministro dell’Interno Maroni, facendo la faccia feroce dopo l’incontro con Regioni, Comuni e Province. Ma nelle ultime 48 ore il Carroccio sta ingranando la marcia indietro, rendendosi conto che applicare in maniera rigida il reato di clandestinità non porta da nessuna parte.

In questi giorni infatti dentro la maggioranza si sono confrontate due linee. La prima è stata quella del premier, più pragmatica, che non si è mai illuso sulla possibilità di poter portare indietro molti di coloro che sono sbarcati a Lampedusa. E ha pensato ad un gestione unitaria di profughi e clandestini. Maroni invece era rimasto fermo su una posizione ideologica: identificare i migranti e poi rimandarli a casa con le buone o con le cattive. «Come se fosse così facile», aveva confidato Berlusconi. Così, a poco a poco, i leghisti hanno dovuto prendere coscienza che le operazioni di forza stavano andando a sbattere contro un muro. Anche se fino a ieri Maroni intimava che la Tunisia «deve» riprendersi i suoi cittadini. Ma è chiaro che molto è propaganda. La verità è che nelle ultime 48 ore Bossi ha accettato di rivedere la sua posizione intransigente. Approdando all’ipotesi di concedere dei permessi di soggiorno temporanei.

Il primo passaggio è convincere il governo tunisino a riprendersi chi è partito. «Ma non 100 al giorno come dice Berlusconi - osservano fonti accreditate del governo - perché ci metteremmo tre anni prima di rimpatriare tutti, ma in dose massiccia». Se questa operazione dovesse fallire, l’altra strada è l'art. 20 della Bossi-Fini, cioè concedere il permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari. Giuridicamente ineccepibile. Viene meno la qualifica di clandestini e il relativo reato di clandestinità che comporta l’espulsione, e si toglie alle amministrazioni locali la possibilità di chiudere i propri territori. Ma innanzitutto non si consente a francesi, tedeschi, svizzeri e belgi e quant’altri di respingere questi immigrati. Del resto, ha fatto presente Berlusconi, «molti di loro arrivati in Italia hanno manifestato l’intenzione di volersi ricongiungere con parenti e amici in Francia soprattutto, ma anche in Germania e in altri Paesi. Per loro noi pensiamo di istituire dei centri in prossimità delle frontiere».

Insomma, il governo vuole forzare la mano a quei Paesi che hanno mostrato di essere insensibili al problema umanitario che sta gravando sulla sola Italia. «C'è un egoismo generalizzato molto negato da parte degli altri capi di Stato europei», ha spiegato il premier durante la riunione della cabina di regia sull’emergenza immigrazione.

Bruxelles sembra ora che venga incontro, con il Presidente della Commissione Europea, José Durao Barroso, che a Berlusconi ha promesso l’impegno di «una più fattiva solidarietà verso l’Italia». Il problema però sono i singoli Paesi, a cominciare dalla Francia che non ne vuole sentire di aprire le frontiere. Ecco perché anche Maroni si è acconciato, insieme a tutta la Lega, al piano B rispetto ai rimpatri in Tunisia. Appunto, i permessi di soggiorno temporanei. «E' un modo - ha intimato Maroni - per far capire all’Europa che, di fronte al diniego totale di collaborazione, abbiamo uno strumento legislativo per attuare il principio di solidarietà». L'11 aprile il ministro si troverà faccia a faccia con i suoi colleghi a Bruxelles al cosiddetto Consiglio Gai: vedremo come andrà a finire.

da - lastampa.it/politica/sezioni/
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« Risposta #67 inserito:: Aprile 06, 2011, 03:48:03 pm »

Politica

06/04/2011 - RETROSCENA

E il premier esulta "Non ci ferma più nessuno"

"Ora dovrebbero sospendere il dibattimento, ma temo non lo faranno"

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Avete visto? Quando stiamo calmi, concentrati sulle cose da fare e soprattutto rimaniamo uniti, non ci ferma nessuno». Più che soddisfatto della giornata di ieri in Parlamento, Berlusconi in serata ha pure ricevuto la telefonata di Maroni da Tunisi. «Missione compiuta, accordo fatto con la Tunisia», gli ha annunciato con un sospiro di sollievo il ministro dell’Interno che ha interpretato fino in fondo la Lega di governo. Proprio come voleva il premier, piegando la linea intransigente, propagandistica ed elettorale di Bossi che ha tanto irritato il Pdl. «Tutti i partiti della maggioranza avverte il vicecapogruppo alla Camera Osvaldo Napoli devono dividere costi e benefici di questa operazione nella quale non ci può essere chi porta la croce e chi si fa la campagna elettorale».

Berlusconi ha voluto che Maroni ci mettesse la faccia e così è stato, con una giornata che si chiude in attivo per lui. Ieri tuttavia era stato svegliato male dalla pubblicazione sul Corriere della Sera di alcune sue telefonate “compromettenti” sul caso Ruby sopravvissute agli omissis a tutela dello status parlamentare del Cavaliere. Ma ha subito capito che quella pubblicazione poteva fargli gioco e utilizzarla a suo vantaggio. «La Boccassini, facendo uscire queste conversazioni telefoniche proprio nel giorno del voto sul conflitto di attribuzione, ha pestato una merda che si trasformerà in un boomerang», ha detto con le parole colorite uno stretto collaboratore di Berlusconi. E ora, dopo il voto sul conflitto di attribuzione, il processo andrebbe sospeso perché i giudici non dovrebbero ignorare la volontà del Parlamento. La pensa così il Cavaliere, che tuttavia non nutre grande speranze che ciò accada: «Contro di me è in atto un brigatismo giudiziario».

È alla Camera che il centrodestra esulta e fa dire al neoministro Saverio Romano che superato il crinale tra conflitto di attribuzione e processo breve «il clima si rasserenerà». «Nelle prossime settimane - aggiunge un altro ministro, Raffaele Fitto - non ci saranno provvedimenti impegnativi». «Dovrà tornare in aula solo la legge comunitaria che contiene un emendamento sulla responsabilità civile dei magistrati, ma non mi sembra un grande problema», osserva il responsabile degli Esteri Franco Frattini. La maggioranza del resto regge e pezzettino dopo pezzettino aumenta di numero grazie alle “potenzialità” e alle “offerte” di cui dispone il Cavaliere. Il Fli addirittura ha chiesto di aprire un’inchiesta parlamentare sull’ingresso della Siliquini, ritornata all’ovile del Pdl dopo il passaggio ai finiani, nel Cda delle Poste.

La maggioranza regge anche se per andare avanti deve tenere tutti i suoi ministri e sottosegretari inchiodati in aula. Alla minima assenza va giù come è accaduto pochi minuti dopo il voto sul conflitto d’attribuzioni (il governo è stato battuto su un emendamento dell’opposizione sui piccoli comuni). Per questo Berlusconi ha bisogno di aumentare le sue truppe e arrivare a quota 330. Obiettivo ancora lontano. Le promesse di posti di governo sono troppe e non ancora onorate. La prossima settimana forse ci sarà una nuova infornata di viceministri e sottosegretari. I nomi che ieri circolavano a Montecitorio sono quelli di Pionati, Calearo, Bernini, Misiti e Musumeci. Poi ci sono da sistemare le new entry liberaldemocratici, Tanone e Melchiorre che ieri hanno abbandonato il Terzo Polo e votato il conflitto di attribuzione. Ingressi scaglionati, perché sono tanti in lista d’attesa. «In ogni caso - spiegava un ministro durante una pausa dei lavori parlamentari - i Responsabili si stanno comportando bene e quindi dovranno essere ricompensati». Ma non tutti sono d’accordo con una ricompensa immediata. Alcuni suggeriscono a Berlusconi di fare le nuove nomine dopo Pasqua. Altri di arrivare prima al traguardo dei 330 deputati e poi si vede.

Montecitorio ieri sembrava un accampamento di guerra, con l’opposizione sottotono, che potrebbe animarsi oggi quando arriverà il processo breve. Ma un esponente del Pd seduto su un divanetto diceva sconsolato che di questo passo, nonostante tutte le difficoltà dentro la maggioranza, Berlusconi arriverà alla fine della legislatura.

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« Risposta #68 inserito:: Maggio 17, 2011, 05:15:09 pm »

Elezioni 2011

17/05/2011 - ELEZIONI 2011

Adesso Silvio accusa la Lega "Distinguersi su tutto non paga"

In vista dei ballottaggi ora i moderati del Pdl suggeriscono un cambio di rotta

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

La fortezza berlusconiana mostra crepe visibili nei bastioni. Berlusconi vede che l’onda lunga del 2008 si è andata ad infrangersi sugli scogli di Milano e della Lega, con Bossi che ieri a via Bellerio ruggiva («perdiamo per colpa del Pdl e della Moratti che è bollita, per fortuna noi vinciamo altrove»). Nelle stesse ore, man mano che i dati veri del ministero dell’Interno confermavano le proiezioni, anche il premier accusava la Lega di avere contribuito a questa batosta, «perché differenziarsi come hanno fatto loro negli ultimi tempi, su tutto, non paga». Chissà se nella telefonata che c’è stata tra i due queste cose se le sono dette in faccia. Nel giro stretto del capo, rimasto in silenzio stampa ad Arcore con il suo portavoce Paolo Bonaiuti, c’è aria di funerale. E molti adesso ammettono che la ricandidatura della Moratti sia stato un errore.

Lui, Berlusconi, deve ripensare la strategia di comunicazione, con quale linea riprendere la campagna elettorale per il secondo turno. Sono tanti i dirigenti del Pdl che gli consigliano più moderazione, di concentrarsi sui problemi della città, di non continuare con il bombardamento della procura di Milano e i concentramenti rumorosi davanti al Tribunale. Ascolterà questi consigli che anche Bossi gli aveva dato? Riuscirà a far emergere la vera anima moderata della Moratti e non dare ascolto alla Santanché e Sallusti che nel partito con cattiveria hanno soprannominato Olindo e Rosa.

Adesso Berlusconi è deluso, amareggiato, stupito. Stupito che Lettieri a Napoli non ce l’abbia fatto al primo turno mentre il «forcaiolo» De Magistris abbia superato il 20% dei voti. Perfino a Cagliari il candidato del centrodestra Fantola è costretto al ballottaggio e a inseguire il vendoliano Massimo Zedda (Sel) addirittura in vantaggio.

Ma lo choc di Berlusconi è per la sua Milano, per il dato di Pisapia che veleggia attorno al 48%. «Non è pensabile che una città come Milano non possa essere governata da noi. È una città che deve guardare avanti e non può guardare al passato». Ha chiesto spiegazioni al coordinatore Verdini che, imbarazzato, nel pomeriggio ha subito risposto che bisognava aspettare i dati certi, i voti scrutinati e non le proiezioni. Certo, ha provato a dire Verdini, la Moratti ha un trend negativo... «Negativo? Pessimo. Se questi dati verrannoconfermati dallo scrutinio, al ballottaggio non vinceremo mai, nemmeno se recuperassimo tutti i voti moderati in libera uscita», ha osservato il premier. Il quale è ancora più deluso, amareggiato e stupito per il flop personale come capolista del Pdl a Milano. La città non l’ama più? Nella scorsa tornata aveva fatto il pieno di preferenze totalizzandone 53 mila. Un plebiscito che questa volta non c’è stato perché il Cavaliere a Milano dovrebbe attestarsi attorno ai 15, massimo 20 mila preferenze. Una cifra terribile di sfiducia per il futuro politico di Berlusconi, che testardamente ha voluto trasformare queste elezioni amministrative in un referendum su se stesso, sul governo e sulle inchieste che lo riguardano.

Per Berlusconi a Napoli la vittoria al secondo turno potrebbe essere a portata di mano perché il Pd non riuscirà a trovare un accordo con De Magistris. Poi quelli del Terzo polo mai e poi mai voterebbero per il «forcaiolo». Ma a Milano lo spartito è diverso. Qui il Cavaliere non ha il minino dubbio che Casini, Fini e Rutelli vogliano dargli il colpo finale del ko. Ben sapendo che fargli perdere questa città significa spezzare l’asse con Bossi e far cadere il governo. Nessuna dichiarazione ufficiale, comunque. Il portavoce Paolo Bonaiuti rinvia a oggi quando i dati saranno definitivi. A bocce ferme incontrerà Bossi. Vuole farlo a mente fredda. Meglio prima far decantare le cose ed evitare reazioni emotive. Tenendo conto, ha spiegato Berlusconi, che la Lega non è andata bene a Milano. Il Carroccio era accreditato del 15% e ora bene che vada raggiunge il 10%. Qualcuno nel Pdl sospetta che non ci sia stato un impegno forte del Carroccio, che avrebbe fatto votare per la propria lista e non per la Moratti.

Circolano le voci più incontrollate, sospetti e veleni tipici di una campagna elettorale andata male. Veleni che scorrono anche dentro il Pdl. La resa dei conti nel partito è rinviata alla fine dei ballottaggi, ma già c’è chi dice «io l’avevo detto che andava a finire così». Sono le colombe che puntano il dito contro gli «estremisti» interni, e non risparmiano nemmeno Berlusconi che ha forzato e sbagliato i toni. C’è Scajola sul piede di guerra che attende di essere reintegrato nel governo. Non solo. Cosa succederà tra i Responsabili, tra i nuovi arrivati nella maggioranza che adesso sentono puzza di bruciato? Continueranno a garantire il loro voto al governo?

Sono tanti gli interrogativi che si pone Berlusconi, il quale non vuole sentir parlare di divisioni. Dovrà avere il colpo d’ala, tirare il coniglio dal cilindro, salvare il salvabile alle amministrative e poi rilanciare l’azione del suo esecutivo con provvedimenti di crescita economica, di riduzioni delle tasse. Tremonti glielo permetterà? Sono queste le riflessioni che si ascoltano tra i dirigenti Pdl.

Non è di questo che però ieri sera si è messo a discutere ad Arcore. Ha preferito convocare un vertice per il calciomercato con il presidente e l’allenatore del Milan Galliani e Allegri.

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« Risposta #69 inserito:: Maggio 21, 2011, 09:06:26 am »

Elezioni 2011

20/05/2011 - RETROSCENA

L'arrocco del Cavaliere: anche da sconfitto nessuna successione

E Paniz stoppa gli aspiranti: «L'erede? Sarà Marina Berlusconi»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Berlusconi si prepara a resistere all’onda d’urto della sconfitta a Milano. «Solo un miracolo può consentirci di ribaltare l’esito del voto», spiega sconsolato un ministro che ha partecipato alle riunioni di Palazzo Grazioli. Sono troppi i punti da recuperare di fronte a un calo fisiologico dei votanti (calcolato nell’ordine del 20%) e alla carica dei milanesi che torneranno a votare Pisapia. Allora la ridotta politica del premier rimangono Napoli e Cagliari. Napoli, innanzitutto, da strappare dalle «grinfie del forcaiolo» De Magistris. Vincere quantomeno sotto il Vesuvio gli consentirebbe di mascherare la débâcle, di continuare a parlare di pareggio (come ha fatto Verdini commentando i risultati elettorali del primo turno). Portare Lettieri a Palazzo San Giacomo governato dalla sinistra da lunga pezza sarebbe il disperato tentativo di depotenziare il «nuovo progetto» di cui ha parlato ieri Bossi. E che di fatto prevede la messa in rampa di lancio di un successore alla premiership, senza però crisi di governo e cambi in corsa prima delle elezioni politiche. Arrivando insieme al 2013 se si vince a Milano, al 2012 se si perde nella città della madonnina.

Insomma, Bossi propone un rilancio forte, visibile, tangibile del centrodestra sempre nel formato Pdl-Lega, attraverso una serie di riforme. La prima, quella fiscale. Ma una riforma del genere Tremonti (sempre che la voglia fare in questa legislatura) non la spenderebbe per rilanciare Berlusconi a Palazzo Chigi. La farebbe soltanto se fosse nelle condizioni di poterla gestire e - soprattutto - di poterla utilizzare per se stesso.

Ma Berlusconi di successione non ne vuole sentir parlare. Ieri l’avvocato-deputato Maurizio Paniz ha azzardato che «l’erede di Berlusconi è Marina Berlusconi». Forse solo una boutade da parte di un deputato entrato nelle grazie del capo. E’ chiaro comunque che nel Pdl si respira un’aria di resistenza all’ultimo sangue. Anche il cosiddetto «patto azzurro» è funzionale a respingere l’assalto di Bossi che scatterà all’indomani dei ballottaggi. E’ il patto che hanno stretto in questi giorni Frattini, Alfano, Scajola, Gelmini, quell’area di ex Forza Italia che non vuole morire leghista, che vuole «segare» Verdini e La Russa, che ce l’ha a morte con i falchi come Daniela Santanchè che vengono visti come i veri responsabili dello scivolone milanese. Tornare allo spirito moderato e liberale di Fi del ’94, ricostruire il Pdl partendo dai congressi, superare il triunvirato e la ripartizione con gli ex An è il loro programma. Obiettivo: portare alla testa del partito un coordinatore unico (Alfano?).

«Non ha perso Berlusconi, che generosamente ci ha messo la faccia, ma il partito... (il Pdl, ndr) e la Lega poi non ha avuto buoni risultati elettorali, anzi...», dicono quelli della guardia pretoriana. E’ quella parte del Pdl che non vuole Tremonti nominato alla vicepresidenza del Consiglio e candidato in pectore a Palazzo Chigi, come sembra suggerire Bossi. Un’ipotesi che lo stesso Berlusconi esclude (lo ha già fatto sapere al Senatur), perché il premier non contempla nessun successore e pensa ancora di potere essere lui a rilanciare il centrodestra. E questo anche se dovesse perdere Milano e soprattutto se dovesse vincere a Napoli.

Resistere, resistere, resistere. Vendere cara la pelle. Da Palazzo Chigi Berlusconi non vuole schiodare nemmeno in caso di sconfitta nei prossimi ballottaggi. Ieri chi è andato a trovarlo nei suoi appartamenti romani lo ha trovato «tonico», pronto alla pugna. Lui, il premier, ha addirittura detto di essere pronto ad allargare la maggioranza e a Bossi ha assicurato che metterà in riga i Responsabili che latitano nelle votazioni parlamentari. In Consiglio dei ministri ha assicurato che il governo è saldo e con Bossi è tutto ok.

Ma cosa farà Bossi se il suo amico Berlusconi non dovesse mettersi in testa di guidare il rilancio e la successione in maniera concordata? Ieri i due si sono incontrati e con loro c’erano Calderoli e Tremonti. Non era quella l’occasione per parlare di tutto questo. Non era il momento della resa dei conti. Anzi è il momento di lanciare un messaggio di unità, di apparire compatti perché è necessario compiere la missione impossibile di Milano. Forse i due alleati saliranno insieme su un palco alla fine della campagna elettorale. Poi si vedrà.

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« Risposta #70 inserito:: Maggio 21, 2011, 04:54:58 pm »

Elezioni 2011

21/05/2011 - RETROSCENA

I duri del Pdl esultano "Silvio è più falco di noi"

Santanchè: "Nessuno sa fare campagna elettorale come lui"

Le colombe: "Il capo non è più lucido e ci sta portando a sbattere"

AMEDEO LA MATTINA

ROMA

I falchi esultano, le colombe piangono e la balcanizzazione del Pdl compie un altro passo avanti. Il ritorno in pubblico di Berlusconi, con l’inondazione televisiva, divide il partito. C’era chi aspettava qualcosa di nuovo, un colpo d’ala, una curvatura in chiave moderata, mettendo da parte la tiritera dei bolscevichi alle porte di Milano e dei pm d’assalto con le mani su Napoli. E chi invece ora vede confermato il proprio approccio radicale, uscendo dal cono d’ombra degli untori che hanno fatto perdere il primo turno alla Moratti. In prima fila quella Daniela Santanché che è stata crocifissa come il modello perdente da evitare come il demonio. Ride al telefono la pasionaria del berlusconismo: «Berlusconi non mi è sembrato una colomba, anzi è sempre l’aquila che vola più in alto di tutti. Nessuno sa fare campagna elettorale meglio di lui. Sarebbe bene seguire il suo esempio». Insomma, come dire che lei e i duri del Pdl non sono stati sconfessati, tutt’altro e questo perché il vero capo dei falchi si chiama Silvio Berlusconi. Con buona pace della Moratti che chiedeva toni smorzati e un focus solo sui temi cittadini.

«Così invece - dicono dall’altra parte della barricata si continua con gli stessi argomenti, senza novità, il che dimostra che il capo non è più lucido e ci sta portando tutti a sbattere». I cosiddetti moderati del Pdl hanno le mani tra i capelli: «Se poi la "sorpresa" di cui ha parlato Calderoli è quella di spostare due ministeri a Milano e due a Napoli siamo fritti: ma si rendono conto di cosa significa? Della rivolta che ci sarebbe a Roma da parte delle famiglie dei ministeriali che sarebbero costretti a trasferirsi? Significherebbe perdere decine di migliaia di voti solo nella capitale. E’ puro masochismo».

Vedremo se i progetti annunciati da Calderoli con un' intervista alla Padania andranno in porto. I romani del Pdl sono esterrefatti e hanno già altri guai a casa loro. «Adesso - spiega il senatore Andrea Augello con la massima flemma è il momento degli espedienti comunicativi tipici della campagna elettorale per recuperare i voti persi per strada. Dopo i ballottaggi tornerà la politica e penseremo a cosa fare veramente». Il senatore Augello osserva da lontano ciò che sta accadendo a Milano e Napoli, avendo ben altre gatte da pelare visto che nel Lazio e a Roma sta infuriando un’altra "guerra civile" dentro il Pdl con il sindaco Alemanno e la presidente della Regione Polverini che sostengono a Terracina, un grosso comune nel Sud del Lazio, un candidato diverso da quello ufficiale del partito. Appunto, un altro esempio di balcanizzazione del Popolo della Libertà, un fiorire di liste autonome che fanno capo proprio ad Alemanno e la Polverini. Un fenomeno al quale vorrebbero dare una regolata quegli esponenti del «patto azzurro» (Alfano, Frattini, Gelminie Scajola) con l’avvio del tesseramento e i congressi locali per arrivare entro la fine dell’anno alleassise nazionali dove eleggere un coordinatore unico. Superando la divisione tra ex An e ex Fi. Ma qui il problema scoppiato nel Pdl è che le divisioni sono all’interno delle stesse componenti tradizionali.

Intanto Berlusconi continua la sua campagna elettorale con i toni di sempre, gli stessi che non hanno portato alle urne molti milanesi di solito schierati a destra. E se c’è una cosa che accomuna falchi e colombe è il giudizio sulla Moratti, che non tira, che continua a sbagliare, come quando annuncia l’abolizione dell’ecopass che ha messo lei. «Perché non lo diceva durante la campagna elettorale per il primo turno?», si chiedono tutti. L’unica novità, almeno per il momento, è che il premier non ha ripreso a inveire contro i magistrati che lo hanno messo alla sbarra. E sta entrando un po’ più nel merito delle questioni cittadine. Il portavoce del Cavaliere, Paolo Bonaiuti, sottolinea questi aspetti. «Non ha mai citato Pisapia e De Magistris. Ha invece giustamente ricordato che dietro di loro c’è chi ha gestito il potere per 18 anni a Napoli e la sinistra di protesta, non certo quella riformista».

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« Risposta #71 inserito:: Giugno 07, 2011, 02:14:05 pm »

Politica

07/06/2011 - GOVERNO IL VERTICE

Pdl e Lega: si va avanti per tutta la legislatura

Ad Arcore tensione Berlusconi-Tremonti, alla fine la spunta il ministro

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

I leghisti raccontano che Bossi è stato spettatore dello scontro tra Berlusconi e Tremonti. Spiegano che il problema vero è tra loro due: un problema difficilmente risolvibile perchè il ministro dell’Economia ha gli argomenti forti per tenere i cordoni della borsa chiusi e per non fare la riforma del fisco. Eppure questa volta il capo leghista si è schierato, con moderazione, dalla parte del Cavaliere. Anche lui vorrebbe un segnale tangibile sulla pressione fiscale ma ha trovato un muro nell’inquilino di via XX settembre. Il quale è stato chiaro pure sulla necessità di fare una manovra triennale da 40 miliardi nell’arco per centrare l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2014.

Insomma, il governo galleggia, l’incontro di ieri non ha prodotto grandi decisioni. Non è stato deciso chi sarà il nuovo ministro della Giustizia. Berlusconi ha carta bianca ma prende tempo perchè prima deve rendere operativa la nomina di Alfano a segretario politico del Pdl (per fare questo bisogna cambiare lo statuto del partito). Totale impasse sull’allargamento della maggioranza all’Udc (Casini come precondizione vuole la testa del Cavaliere e quindi una crisi di governo). Non c’è traccia di nomine di un vicepremier leghista (a maggior ragione Tremonti) che avrebbe il sapore di commissariare il presidente del Consiglio. Incertezza assoluta sulla futura premiership, nonostante ieri Bossi abbia detto che se Berlusconi intende ricandidarsi avrà il suo sostegno. E questa non è un’affermazione di poco conto perché significa che non c’è ancora il benservito al Cavaliere. Non c’è in questa fase, almeno. Infatti l’unico vero risultato del vertice è stato quello di decidere sulla necessità di serrare i ranghi dopo la sconfitta elettorale e andare avanti insieme, comunque. Senza rinfacciarsi di chi è la colpa della batosta nelle urne. Alla fine del vertice Angelino Alfano dichiara che «l’alleanza è solida» e che andrà avanti «sino al 2013». Così come conferma l’intezione di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014. «E’ andata bene» commenta in serata a Roma Berlusconi. Secondo il quale il taglio delle tasse resta in programma, «vedremo come».

«Bossi - osservano i berlusconiani - non può alzare troppo la cresta perchè di voti, e tanti, ne ha perso pure lui. Siamo nella stessa barca e nessuno può permettersi di scendere». In altre parole, Bossi si deve tenere stretto Berlusconi in questo momento. Lo choc post-elettorale è ancora troppo vivo per prendere decisioni politiche importanti. In autunno si capirà meglio quali margini ci sono per continuare la legislatura: se sarà possibile arrivare alla scadenza naturale del 2013 oppure è più opportuno andare al voto anticipato nel 2012. Un’ipotesi quest’ultima, che lo stesso Bossi ha messo sul tavolo del vertice come extrema ratio, e che il premier ha escluso convinto di poter controllare la maggioranza in Parlamento e avviare le riforme.

Intanto qualcosa il Carroccio ha strappato: Berlusconi ha dato il via libera al trasferimento «operativo» degli uffici del ministro delle Riforme e della Semplificazione a Milano (cioè di Bossi e Calderoli) pur rimanendo il resto dei due dicasteri a Roma. Così il 19 giugno a Pontida, davanti al suo popolo, Bossi potrà sventolare la bandiera verde con maggiore forza.

L’impressione è che il governo abbia il motore imballato e i leghisti hanno la sensazione che il Cavaliere abbia ormai il fiato corto. Ma nessuno sa bene come uscirne. L’unica cosa certa è che dall’incontro di ieri a uscirne vittorioso è stato Tremonti che ha visto confermata la tabella di marcia: nelle prossime settimane verrà preparata una manovrina per aggiustare i conti, poi a settembre ci procederà con la legge di stabilità per il prossimo triennio e con la delega sul fisco che Berlusconi voleva anticipare e approvare entro l’estate come segnale agli elettori che li hanno abbandonato.

Il processo al ministro dell’Economia in quanto colpevole di aver fatto perdere una barca di voti non c’è stato. Ma lo scontro c’è stato. Bossi questa volta ha preso le parti di Berlusconi, insistendo su un alleggerimento della pressione fiscale sulle piccole imprese da fare presto. Il premier vuole andare oltre e mettere mano alle aliquote Irpef. Ma il ministro dell’Economia gli ha ricordato che è stato lui a sottoscrivere il patto di stabilità a Bruxelles con gli altri capi di Stato e di governo. E poi, ha aggiunto Tremonti, non è tanto l’Europa a doverci preoccupare, ma i mercati, le borse. «Se facciamo un passo falso ci massacrano. E’ questo che volete?». Chi ha visto dopo il vertice Tremonti, lo ha descritto sereno e soddisfatto.

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« Risposta #72 inserito:: Giugno 27, 2011, 05:45:40 pm »

Politica

24/06/2011 - RETROSCENA

P4, l'incubo di Berlusconi: telefonate sul bunga bunga

Il Cavaliere molto indispettito per i commenti di ministri e vertici del partito nei suoi confronti

Teme la pubblicazione di conversazioni tra colleghi di governo critici con lui

AMEDEO LA MATTINA
INVIATO A BRUXELLES

Silvio Berlusconi è arrivato a Bruxelles per il vertice europeo sotto la nuvola nera delle intercettazioni che a suo parere sono «una scatola vuota» dal punto di vista penale. Ed è quello che ripetono tutti nel governo, anche il ministro della Giustizia Angelino Alfano. Eppure questa «scatola vuota» preoccupa, e non solo per questioni di violazione della privacy. L’ossessione del premier è leggere sui giornali una conversazione tra ministri e ministre sul «bunga bunga».

Già qualcosa del genere è venuta fuori dall’inchiesta che riguarda Flavio Briatore il quale aggiornava Daniela Santanchè sulle attività amatorie del Cavaliere. E fintantoché a parlarne in termini di «malattia» è il padrone del «Billionaire» passi. Succederebbe invece il finimondo se saltasse fuori un’intercettazione telefonica in cui sono ministri e ministre a dire che il capo pensa solo al «bunga bunga», che non è più in grado di governare, che l’esecutivo è allo sbando. Un «malato», appunto: una parola pronunciata al telefono con Luigi Bisignani che potrebbe marchiare a fuoco chi l’avrebbe pronunciato. Ancora nulla da codice penale, però con quale faccia quel ministro e quella ministra potrebbe presentarsi di fronte al presidente del Consiglio? E la stessa immagine di Berlusconi, spiegano nel Pdl, ne uscirebbe ulteriormente frantumata in una fase politica certamente non esaltante per il centrodestra. «Sono dispiaciuto afferma Osvaldo Napoli - perché alla fine intercettazioni senza rilevanza penale finirebbero per rovinare rapporti personali con un inevitabile riflesso sul piano politico. Come fai a lavorare insieme a un tuo collega se sai che pensa certe cose di te?».

Preoccupazioni che si sommano ad altre preoccupazioni. Ad esempio, da questo spettacolo messo in piazza chi ne esce bene è solo Giulio Tremonti. E questo lo dicono i «nemici» di Tremonti. Emerge che il potere di condizionamento di Luigi Bisignami non arriva fin dentro il ministero dell’Economia, mentre era di casa a Palazzo Chigi. E qui entra in scena Gianni Letta. E’ l’inquilino di via XX settembre ad essere sempre la bestia nera per Berlusconi e gli altri ministri che sono tenuti all’oscuro dei contenuti della manovra di 40 miliardi per il pareggio di bilancio del 2014 di cui si sta discutendo al vertice di Bruxelles. La prossima settimana forse se ne saprà di più e sembra che Tremonti abbia promesso di incontrare i gruppi parlamentari. Una promessa alla quale sono in pochi a credere perché il ministro dell’Economia finora ha sempre fatto di testa sua. Questa volta, precisano a Palazzo Chigi, non può farlo: non ha più la sponda della Lega. Comunque, il contenuto delle intercettazioni e il fatto che alcuni ministri (Mariastella Gelmini, innanzitutto) parlino con Bisignani in maniera poco gratificante di Tremonti, lo avrebbero rafforzato su vari fronti. Pure sulla decisione da prendere sul nuovo governatore della Banca d’Italia. Ed è notorio che il candidato a quella importante poltrona di via Nazionale sia Vittorio Grilli, il direttore generale del ministero dell’Economia.

A Bruxelles Berlusconi sta affrontando ben altri problemi, sicuramente più gravi. E’ rimasto fulminato quando Antonis Samaras, leader della Nea Demokratia, gli ha detto «you are the next» quando il nostro premier insisteva sulla necessità che l’opposizione greca sostenesse il piano di rigore del loro governo. «Tu sei il prossimo», che poi è uno dei fantasmi (la deriva greca, appunto) che agita da tempo l’Italia e che proprio Tremonti sventola sotto il naso a tutti coloro che gli contestano il suo rigore. A cominciare dal Cavaliere.

Con le persone con le quali ieri ha parlato Berlusconi mostra sicurezza, convinto che il governo arriverà alla fine della legislatura. Finge di non essere preoccupato delle intercettazioni che impazzano sui giornali. Ha detto che a preoccuparlo è piuttosto la montagna di milioni che dovrà pagare se la sentenza Mondadori venisse confermata. Tutto il resto è «una porcata, bassa umanità». Per il premier di fronte a «uno scandalo del genere, ad una palese, ennesima violazione della privacy, servirebbe un intervento autorevole....». Il riferimento è al Quirinale, al capo dello Stato che è anche presidente del Csm. Ma dal Colle non una parola. Un silenzio che per Berlusconi la dice lunga pure sulla possibilità di poter approvare un provvedimento sulle intercettazioni. Un tema che è tornato prepotentemente all’ordine del giorno della maggioranza. Le parole di Massimo D’Alema («una valanga di intercettazioni senza rilievo penale») dovrebbero far sperare in un possibile dialogo con l’opposizione. Ma sono pochi a crederci. Dice Franco Frattini: «Vorrei vedere se presentassimo pari pari la legge sulle intercettazioni scritto dal governo Prodi. Come farebbe il Pd a sottrarsi?».

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« Risposta #73 inserito:: Luglio 06, 2011, 05:18:55 pm »

Politica

06/07/2011 - RETROSCENA

Dietrofront sulla salva Fininvest

La furia del Cavaliere: "Un agguato"

Per il premier Tremonti sapeva e ha informato il Colle: «Vuole rovinarmi, dirà di no su tutto»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Quando ha capito che al Quirinale la norma salva Fininvest non sarebbe passata, Berlusconi è andato in escandescenza, pronunciando parole di fuoco nei confronti del Capo dello Stato. «Mi vuole rovinare. Ma qui non gioca solo sulla mia pelle. Non si rende conto che non rischio solo io ma ci vanno di mezzo anche i lavoratori delle mie aziende. Si tratta di migliaia di posti di lavoro. E questi sarebbero i paladini del popolo? E’ stata montata dalla sinistra una crociata indegna, assurda». Non è un caso infatti che la dichiarazione con la quale ha comunicato il ritiro della «norma giusta e doverosa» si chiuda proprio con il riferimento ai lavoratori di «qualche impresa» che potrebbero ricordarsi di «questa vergognosa montatura».

Ma in tutta vicenda il premier ci vede anche il gioco sporco di Tremonti e di tutti quelli (pochi per la verità) che sapevano della norma-blitz inserita all’ultimo minuto nella manovra economica. Vertici della Lega compresa, che ieri hanno fatto sapere di essere stati tenuti all’oscuro, di avere scoperto solo a cose fatte che la norma era stata inserita. Quando invece (Berlusconi ne ha la certezza) che Calderoli sapeva, eccome. Tanto che ieri in Transatlantico ha confidato di aver letto la manovra versione proFininvest dalla prima all’ultima riga.

«La verità è che mi hanno lasciato solo, quasi nessuno nel partito e nel governo ha difeso la norma nel merito, norma giusta e sacrosanta. Ma è Tremonti che mi ha teso un agguato», si è sfogato il Cavaliere. A cosa si è riferito Berlusconi è presto detto. In sostanza la norma, su input di Palazzo Chigi, è stata scritta dall’ufficio legislativo del ministero della Giustizia e timbrata dal Guardasigilli. Il quale l’ha trasmessa al ministro dell’Economia che, secondo una certa vulgata, avrebbe prima opposto resistenza per poi cedere. Versione negata dallo stesso presidente del Consiglio: «Figuriamoci se Tremonti si fa imporre qualcosa che non condivide. Semmai è lui che impone le sue idee agli altri».

Ed ecco l’agguato: una volta messa la sua firma sull’ultima versione della manovra, il ministro avrebbe avvertito Napolitano della presenza della norma salva Fininvest, prendendone le distanze, dicendo di non saperne nulla. Ben sapendo che il Capo dello Stato si sarebbe messo di traverso. Infatti ieri a Gianni Letta è stato comunicato dal Colle che il presidente della Repubblica non avrebbe firmato quella versione della manovra. La mossa di Tremonti, che prima firma e poi nasconde la mano, aveva l’obiettivo di far fare una bruttissima figura non solo al premier ma anche ad Alfano. Un ben servito a colui che si è presentato come il segretario del «partito degli onesti»; il preferito dal Cavaliere come successore.

Che le cose siano andate veramente così non è dato saperlo. Questa è comunque la ricostruzione dei fatti da parte di un Berlusconi infuriato con Tremonti: l’avrebbe lasciato fare nella convinzione che il premier sarebbe andato a sbattere sui muraglioni del Quirinale. E così è successo. Rimane un punto interrogativo? Ma come è possibile che nessuno si sia preoccupato di sondare bene il Capo dello Stato prima di spedire lassù sul Colle l’ultima versione della manovra? Cosa ha fatto Gianni Letta mentre al ministero della Giustizia stavano scrivendo la norma? Non sapeva niente nemmeno lui? Sembra un po’ una commedia dell’assurdo e degli equivoci. Sicuramente un gioco a scaricabarile e quando Berlusconi ha capito che era rimasto con il cerino in mano, insieme ad Alfano silente, ha ritirato il «lodo Mondadori». La decisione è arrivata nel pomeriggio di ieri a Palazzo Grazioli. Presenti Letta, Frattini, Alfano.

«Il Capo dello Stato ormai dirà no su tutto, non ci farà passare più niente da qui alla fine della legislatura. Ma noi - ha detto Berlusconi - dobbiamo resistere e andare avanti». Andare avanti con la convinzione che sono in molti a remare contro, con Bossi sempre lì a tirare il filo della tensione. Ieri il «Secolo d’Italia» titolava in prima pagina «Ma qual è il vero volto della Lega». Intanto i leghisti hanno annunciato di voler cambiare la manovra in Parlamento e dicono basta alle leggi ad personam. Tranquilli, dice il ministro Matteoli, «la Lega si presenta come un partito movimentista nel territorio, poi a arriva a Roma e vota ciò che il governo decide...».

I deputati si aspettavano che il capo si presentasse alla riunione del gruppo, ma lui non si è presentato. Forse per evitare di dire qualche parola di troppo oppure per non rubare la scena ad Alfano. E qui, dopo una giornata di silenzio, il segretario ha difeso la norma salva Fininvest: «Sacrosanta ma strumentalizzata perché riguardava Berlusconi, se non avesse riguardato il premier sarebbe stata giudicata diversamente».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/410218/
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« Risposta #74 inserito:: Luglio 09, 2011, 04:57:40 pm »

Politica

09/07/2011 - CENTRODESTRA, GOVERNO IN BILICO

Berlusconi tregua forzata con Tremonti

Il premier lo invita a colazione:"Non sei insostituibile".

Bossi: "Giulio fa bene a sentire i mercati"

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Una giornata tormentata. Una delle più difficili per il governo. La crisi politica si è incrociata con la speculazione finanziaria e il crollo della Borsa. In mattinata si era diffusa la voce che Tremonti si sarebbe dimesso. Le premesse c’erano tutte, del resto. Le cronache politiche e i retroscena dei giornali dipingevano una situazione politica disastrosa. In un’intervista a Repubblica Berlusconi accusava il ministro dell’Economia di non fare gioco di squadra e di sentirsi «un genio mentre tutti gli altri sono dei cretini». «Lui è preoccupato dei mercati, ma io gli ricordo sempre che in politica il fatturato è composto dal consenso e dai voti». La rottura sembrava vicina ma sono intervenuti in tanti a placare la bufera, anche il Quirinale e Bossi che si è lanciato in uno sperticato assist tranquillizzante per l’inquilino di via XX Settembre, «una brava persona, perbene e capace. Se ascolta i mercati fa bene, altrimenti faremmo la fine della Grecia». Poi una stoccata al premier: «Litigano tutti, adesso Berlusconi se la prende anche con Tremonti, meno male che ci siamo noi che teniamo la barra dritta».

Berlusconi invece la pensa diversamente su Tremonti, ma i mercati hanno imposto una finta tregua. Nell’intervista a Repubblica ha parlato anche del suo futuro politico. Ha annunciato che non si candiderà a Palazzo Chigi nel 2013 (al suo posto ci sarà Alfano, mentre per il Quirinale il candidato sarà Letta). Tuttavia non sono state queste le affermazioni a tenere banco, ma la tempesta attorno al ministro agitata dall’imbarazzante inchiesta su Marco Milanese. Non c’è dubbio che Tremonti ne esce indebolito, «un’anatra zoppa - dicono i berlusconiani - che ora deve abbassare le penne». Ma fortissima preoccupazione per i mercati ha costretto il premier a correre ai ripari. Verso mezzogiorno ha fatto sapere di avere invitato a colazione il ministro dell’Economia. Dopo un’ora di incontro, una nota precisava che la manovra verrà approvata prima dell’estate e c’è «la volontà del governo di raggiungere il pareggio di bilancio per il 2014, in linea con gli impegni assunti a livello europeo». Una nota formale dove, comunque, non viene ribadita la piena fiducia in Tremonti.

Da Palazzo Chigi fanno sapere che i due si sono visti esclusivamente per dare un segnale rassicurante ai mercati. Quanto invece ai rapporti personali rimane una situazione di sfiducia reciproca. L’inquilino di via XX Settembre non si dimette, almeno fino all’approvazione della manovra. Ma il premier gli ha detto chiaro e tondo che la deve smettere di remare contro. «Tu non sei insostituibile. La manovra sarà cambiata in alcuni punti e il saldo rimarrà intatto: se non sei d’accordo dillo subito».

Tremonti si aspettava solidarietà e conforto per la vicenda Milanese, che il Cavaliere gli dicesse di credere alla sua onestà. E in effetti il premier non ha dubbi sulla trasparenza morale del suo ministro dell’Economia. Non è questo il punto, quanto il fatto che il presidente del Consiglio non è più disposto a sentirsi commissariato da Tremonti, non regge più le pressioni degli altri ministri maltrattati e insultati. C’è una risposta da dare ai Comuni, alle Province e alle Regioni sulle barricate. E la Lega (lo ha ribadito anche ieri Maroni) vuole rivedere più in profondità il patto di stabilità a favore degli enti locai virtuosi.

Resta il fatto che Tremonti non si dimette e con Berlusconi è condannato a convivere. E per addolcire il clima nel decreto della manovra è pure saltato fuori un “tesoretto” di 5,8 miliardi che saranno utilizzati ad ottobre con la nuova Finanziaria per ridurre la pressione fiscale.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/410787/
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