Cultura e società: come la cultura influenza l'azione sociale
Oltre ad essere influenzata, la cultura influisce sull'agire sociale, sia sotto forma di valori interiorizzati individualmente, sia sotto forma di norme e modelli culturali approvati all'interno di un gruppo.
Due approcci teorici:
Come si è detto, il rapporto tra società e cultura è di influenza reciproca. Nell'ambito degli studi sociologici si è, dunque, cominciato a utilizzare una prospettiva culturale, che si basa su fattori culturali specifici, per spiegare sia alcuni comportamenti rilevanti delle persone (da quelli economici a quelli politici), a livello microsociale, sia andamenti più generali e complessivi, come lo sviluppo economico di interi paesi o alla stabilità della democrazia, a un livello cioè macrosociale.
Ciò che ci si domanda è come avvenga che i valori, le norme e le credenze abbiano un impatto sui comportamenti effettivi delle persone. Si possono identificare due modelli teorici utilizzati per rispondere a questa domanda: il modello dell'attore socializzato di Parson (1960 circa) e il modello dell'identità sociale, così definito da Francesca Cancian (1976).
1. Modello dell'attore socializzato. Questo modello può essere fatto risalire alla teoria di Parson. L'idea di base è stata anticipata dei lavori di Freud e Durkheim, ma è stato Parson ad avere sviluppato una teoria sistematica di come i valori sociali spiegano l'integrazione degli attori sociali nel sistema sociale. I valori condivisi da una collettività si traducono in azioni conformi attraverso il processo di interiorizzazione che avviene perlopiù durante l'infanzia, e che comporta l'inserimento dei valori nel sistema della personalità. I valori si trasformano dunque in motivazioni profonde, stabili; la conformità viene rinforzata, nelle fasi successive della vita, da meccanismi di controllo sociale (sanzioni, riprovazione sociale) che fanno parte della normale interazione quotidiana. Le disposizioni profonde della personalità sono la base per far sì che si realizzino le aspettative legate ai ruoli sociali, rendendo così prevedibili i comportamenti dei singoli e della collettività.
Questo modello è stato molto influente nella ricerca sociologica ed è stato spesso utilizzato per spiegare l'influenza della cultura sulla politica, nonostante abbia comunque ricevuto numerose critiche a vari livelli. Alcuni hanno osservato che questo modello trascura la possibilità di conflitto, di anticonformismo; altri ne hanno criticato la difficoltà di sottoporla a verifica empirica.
2. Modello dell'identità sociale. Questo modello, così definito da Francesca Cancian (1976), parte dalla constatazione che la connessione tra valori e comportamenti non è sempre chiara. Numerose ricerche non hanno trovato nessuna relazione significativa tra ciò che l'individuo dice di fare o di voler fare o che si dovrebbe fare con quanto effettivamente fa. Alcuni sostengono ci sia una relazione positiva tra valori e comportamenti, altri suggeriscono che la relazione sia negativa.
Secondo Cancian, le credenze normative sono collegate al comportamento se queste credenze sono condivise con un gruppo e definiscono un identità che è convalidata da questo gruppo. Dunque, solo certe classi di credenze condivise saranno correlate al comportamento; i membri di un gruppo possono condividere molte credenze, ma sono quelle che definiscono la loro identità in quanto membri collocati in una particolare posizione sociale saranno in relazione con l'azione. Gli individui, inoltre, agiscono in conformità a una norma perché questo è il modo per dare validità a una particolare identità. Se ogni membro di un gruppo crede che gli altri abbiano modificato le loro credenze, che definiscono l'appartenenza al gruppo, allora le norme del gruppo cambieranno. Di conseguenza le norme comuni possono cambiare anche molto rapidamente e senza che vi siano rapporti di interazione. Le credenze condivise sulla realtà, infine, delimitano possibili azioni significative. Se gli individui o gruppi desiderano attribuire validità ad alcune identità trovano dei limiti nelle alternative definite dagli assunti condivisi sulla realtà. Ad esempio, è impossibile essere una strega finché l'esistenza di questa identità non sia stata pubblicamente accettata.
Questo modello stabilisce, dunque, che le credenze e i valori devono dare forma a specifiche identità sociali perché siano in grado di orientare l'azione. Weber ha utilizzato uno schema teorico per certi aspetti simile quando ha identificato la logica in base alla quale le immagini del mondo, definite dalle idee religiose, orientano l'agire sociale. Le credenze religiose, dunque, orientano in una direzione piuttosto che in un'altra l'agire sociale, condizionando quindi lo sviluppo storico, quando si saldano a specifici gruppi e strati sociali fornendo un senso coerente alla loro condotta di vita.
La teoria della cultura politicaQuesta teoria formula tre postulati di base:
1. Gli attori non rispondono direttamente alle situazioni, ma rispondono ad esse attraverso la mediazione di orientamenti, ossia in base a disposizioni ad agire in certi modi all'interno di determinate situazioni;
2. Questi orientamenti variano in funzione di condizioni che sono di tipo culturale;
3. Gli orientamenti non sono acquisiti in maniera automatica, ma appresi attraverso un processo di socializzazione alla cultura di una determinata società.
Alla fine di questo processo, che presenta aspetti cognitivi, affettivi e valutativi, si formano degli orientamenti all'azione che costituiscono un insieme coerente e omogeneo e consentono di prevedere l'interazione sociale. A questo livello il concetto di cultura politica copre lo stesso significato della nozione di carattere nazionale, che ebbe importanza soprattutto nel II dopoguerra.
Gli studi sul carattere nazionale cercavano di spiegare le propensioni politico-culturali delle principali nazioni coinvolte nella guerra attraverso i modelli di socializzazione infantile e le motivazioni inconsce acquisite attraverso quest'ultima.
Il concetto di cultura civica è dunque una specificazione di quello di cultura politica. Rimanda a una configurazione di proprietà e di relazioni tra queste proprietà, la dove la cultura politica definisce l'orientamento psicologico dei membri di una società nei confronti della politica. Questa configurazione è descritta da Almond e Verba, come una "cultura politica mista", che combina tratti che appartengono a due diversi modelli: il modello attivista, che richiede che i cittadini siano impegnati e attivi politicamente e quello di tipo passivo, basato sulla fiducia verso l'autorità. Questo tipo "misto" di cultura politica sarebbe il più funzionale al mantenimento di un moderno sistema politico democratico.
Questo tipo di modello si trovava, alla fine degli anni 50, in base ai risultati dell'indagine comparata di Almond e Verba, nelle culture politiche della Gran Bretagna e degli Stati Uniti.
Cultura e sviluppo politicole nozioni di "cultura politica" e di "cultura civica" si sono imposte di recente nelle scienze politiche e sociali per spiegare una serie di fenomeni, tra cui la formazione delle preferenze politiche, il cambiamento politico, ecc.. Si cerca ora di mettere in evidenza l'influenza che la cultura esercita sui processi politici e sulla stabilità della democrazia, dunque, il tipo di cultura politica cui gli individui debbano essere socializzati.
Sul piano teorico si è cominciato a dare importanza al problema di come si formino le preferenze politiche, di come cambino ed orientino l'azione politica. La teoria culturale, che si basa sull'assunto che le preferenze siano endogene, che emergano cioè dall'interazione sociale e dai valori condivisi che spiegano diversi e opposti modelli di pratiche sociali, è in grado di spiegare i loro meccanismi di formazione.
La sua origine risale al programma di ricerca sulla cultura politica formulato, agli inizi degli anni 60, nell'ambito della scienza politica americana. Tra gli studiosi ricordiamo Almond e Verba (1963), che col loro studio spiegano il diverso grado di efficienza e stabilità della democrazia di cinque nazioni a partire dal modo in cui sono fatte le rispettive culture politiche. È il primo tentativo di spiegare gli esiti democratici con variabili culturali. La tesi di fondo è che ogni sistema politico è legato a un insieme di valori e di credenze condivisi dai membri di una data società, cioè a una cultura, che si forma e si stabilizza nel tempo, attraverso i processi di apprendimento mediati dalla famiglia, dalla scuola e da altri gruppi sociali intermedi, ed entra a far parte della personalità degli individui, originando delle disposizioni ad agire in un modo determinato. Si applica qui il modello dell'attore socializzato.
Calvino e la dottrina della predestinazioneÈ soprattutto con un'altro grande protagonista della riforma, Calvino, e con le sette religiose che si formano a partire dal suo insegnamento, che la rottura con il cattolicesimo si compie definitivamente. Calvino introduce la dottrina della predestinazione, secondo la quale Dio, col suo volere, ha salvato una parte dell'umanità e condannato alla dannazione eterna l'altra, senza che l'uomo possa intervenire a modificare la situazione. Con questa dottrina Dio è considerato quindi trascendente e diverso rispetto all'uomo.
Questa dottrina ha avuto anche delle conseguenze per l'azione. Weber parla di spinte pratiche all'azione, ossia di meccanismi microsociali che indirizzano l'agire di grandi masse di persone in direzione di un nuovo tipo di imprenditorialità capitalistica. Queste sono però delle conseguenze impreviste e non volute dall'opera dei riformatori. La predestinazione poteva condurre al fatalismo, in quanto se l'uomo non può fare nulla per ottenere la salvezza, in quanto tutto è già stato deciso, non gli restava che accettare passivamente il proprio destino.
La predestinazione ha condotto invece ad un atteggiamento opposto, di attivismo in questo mondo, perché quando il protestantesimo cominciò a diffondersi a un numero crescente di persone, sorse il problema della certezza della salvezza, in quanto se i protagonisti della riforma erano sicuri di far parte degli eletti, gli uomini e le donne comuni vivevano in uno stato d'angoscia perché non sapevano a quale parte dell'umanità erano stati predestinati, se ai salvati o ai dannati. Per rispondere a questa situazione, la massa di credenti deduce dalla scelta divina dal successo nel lavoro professionale, onestamente e metodicamente conseguito, in una condotta di vita che Weber chiama ascesi laica.
Ne “Le Sette Protestanti”, Weber ha accentuato il ruolo dell'appartenenza alle sette nel favorire lo sviluppo economico. L'obiettivo di Weber in quest'opera è quello di spiegare la permanenza, nella società americana di inizio secolo, ormai capitalistica, di un rapporto ancora forte tra religione e mondo economico. Venivano così a formarsi un gran numero di sette, cioè di associazioni religiose volontarie e selettive, chiamate oggi capitale sociale, capaci di rispondere all'esigenza del mondo economico di valutare su solide basi l'affidabilità delle persone con cui si entrava in affari. Queste reti sociali garantivano dunque la riputazione morale delle persone che ne facevano parte.
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Tratto da SOCIOLOGIA DEI PROCESSI CULTURALI di Manuela Floris• Contatta la redazione a
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