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Autore Discussione: Si può essere al contempo intellettuali e attivisti No Green Pass?  (Letto 3632 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Dicembre 08, 2021, 06:20:54 pm »

Si può essere al contempo intellettuali e attivisti No Green Pass?

By Helga Marsala -7 dicembre 2021
 
IL MONDO DELLA CULTURA NON È ESENTE DA RETORICHE NO PASS, NO VAX, NO MASK. STIMATI INTELLETTUALI SI TROVANO A LEGITTIMARE, CON LE LORO ANALISI IN ODOR DI COMPLOTTISMO, LE ESASPERAZIONI DI UNA MINORANZA IMPAURITA, A VOLTE INCATTIVITA, IN CERCA DI PUNTI DI RIFERIMENTO IDEOLOGICI

Ci è andata giù duro, Maria Laura Rodotà, diritta e tagliente come una spada, infischiandosene del politically correct e di quel vago timore reverenziale che, di fronte a certi personaggi, è facile percepire: li ha chiamati, semplicemente, “pirla”. E ha chiesto loro, a proposito delle polemiche sui vaccini, di non mettere in mezzo il padre, pace all’anima sua: conviene ed è garanzia di autorevolezza agganciare la propria narrazione al compianto Stefano Rodotà, icona di una sinistra che progressivamente ha fatto dei diritti civili più di una bandiera, quasi la sostanza di contenitori politici un po’ infiacchiti, annacquati, o perlomeno confusi sul piano delle politiche socioeconomiche. Dire qualcosa di sinistra? A invocare Rodotà ci si guadagna e ci si ritrova, da Italia Viva ad Articolo Uno.

GLI INTELLETTUALI NO GREEN PASS
E lo hanno fatto anche loro, Ugo Mattei (giurista e docente di caratura internazionale, icona del Manifesto sui Beni Comuni) Massimo Cacciari (politico e filosofo, illustre professore di Estetica) Giorgio Agamben (autorevole voce del pensiero contemporaneo, docente di Filosofia teoretica) e Carlo Freccero (massmediologo, critico televisivo e accademico): sono i quattro sapio-moschettieri della battaglia No Pass, versione politicamente engagé della più naïf e irrazionale protesta No Vax.
In tema di pandemia il mondo della cultura – incluso quel piccolo sottoinsieme che è il sistema dell’arte – non è rimasto immune alla tendenza negazionista, complottista, o semplicemente demagogica. Non si tratta però di andare contro il vaccino tout court, dicono in tanti, ma di condannare una gestione repressiva e iniqua della pandemia da parte del governo italiano, ovvero il tentativo delle élite di controllarci e toglierci spazi di democrazia. E così si provano a scansare teorie bislacche su mutazioni genetiche, apocalissi prossime venture, stermini programmati su scala globale. Sarebbe un fatto di principio e di determinazione politica: questa l’accusa che rimbalza tra una piazza e un salotto tv, una chat Telegram e una tavolata in pizzeria, un’aula universitaria e un muretto di periferia.
Certe tesi le hanno dunque cavalcate con passione anche i professori di cui sopra, inspiegabilmente schieratisi con i rivoltosi e riunitisi in una sorta di fronte intellettuale della resistenza: l’8 dicembre si confronteranno in un incontro live su Facebook, dedicato al tema della certificazione verde e organizzato da ‘Generazioni future Rodotà’, ovvero, come si legge sul loro sito, “la Società Cooperativa di mutuo soccorso intergenerazionale ad azionariato diffuso ‘Stefano Rodotà’, nata per promuovere la difesa e la valorizzazione dei beni comuni”.  Ma cosa c’entra il celebre giurista e accademico, venuto a mancare nel 2017, con il Covid e con la guerra contro il nefasto “siero genico”? La risposta della figlia ha viaggiato rapida su Twitter, spinta da un fiume di reaction e condivisioni: “Mio padre era un meridionale illuminista, si sarebbe stravaccinato, ascoltava cortesemente i pirla ma non li amava”. Fine delle discussioni, delle speculazioni e delle appropriazioni indebite.
Il riferimento al pensiero illuminista suona come una boccata d’ossigeno in mezzo a tanto rumore, agli isterismi diffusi, a un terrorismo subdolo che vorrebbe contagiare – con risultati scarsi, grazie al cielo – una società tutto sommato recettiva. La stragrande maggioranza delle persone ha afferrato il senso: il virus si combatte con l’unico strumento attualmente a disposizione, l’unico in grado di indebolirlo lentamente e di costruire, lungo la via dell’immunizzazione, una barriera collettiva, tale da ostacolarne la mutazione e il fiorire di varianti. Realtà totalmente rovesciata dai guerriglieri NoVax, secondo i quali sarebbero proprio i vaccini a stimolare ceppi sempre più resistenti: niente di più falso, dice la scienza, dinanzi a cui occorrerebbe porsi non con fideistica venerazione, ma con quella serena fiducia e quel naturale approccio razionale che dal secolo dei Lumi in poi dovrebbero essere patrimonio acquisito dell’Occidente.

I COMPLOTTISTI E LA COLPA DEL SISTEMA
La retorica maldestra sulla pericolosità del vaccino, sulle pseudo terapie alternative e sull’attentato all’autodeterminazione dei popoli, è però un fenomeno tanto inspiegabile per una società ben alfabetizzata e globalizzata, quanto incalzante. A fomentare i sospettosi è da un lato quella controinformazione (o disinformazione) spacciata tra improbabili blog e gruppi social, dall’altro la radicata diffidenza nei confronti di un mainstream – di volta in volta la scienza, la politica, la finanza – visto come incarnazione della nuova minaccia autoritaria. Liberticida, sanguisuga, guerrafondaia, persino genocida. Il tutto semplificato e ridotto a una formuletta, buona per orientarsi nella complessità del reale.
Amplificatore di rabbia sociale repressa, il complottismo – che fa rima con vittimismo – è allora una delle scorie tossiche prodotte dalle incompiute democrazie del consumo, dell’alienazione, della competizione estetizzante e della frustrazione. Rintracciare il nemico sembra essere diventata la maniera migliore per costruire il proprio recinto identitario, il proprio ancoraggio, la propria chance di ribellione. Che siano i migranti, la casta, i mass media, big Pharma o la luciferina lobby Pluto-giudaico-massonica, poco cambia. Il meccanismo è sempre lo stesso. Un capro espiatorio da trovare, una linea di demarcazione da tracciare (i buoni e i cattivi, gli oppressi e gli oppressori) e una battaglia da imbastire. Mentre il sacrosanto esercizio del dubbio viene confuso con lo scetticismo ottuso, e l’esercizio critico con l’invettiva populista.
Chi, tra le fila della politica, ha avuto la scaltrezza di cavalcare l’onda per averne consenso, si è portato a casa un bastimento di voti imbevuto del cinismo peggiore.

IL GREEN PASS? COME NELL’URSS E NELLA GERMANIA DI HITLER
Ora, che a questo delirio possano dare una legittimazione “colta” alcuni stimati rappresentanti dell’intellighenzia nazionale, è un pensiero che indigna e rattrista. Com’è possibile che delle menti così brillanti caschino in un simile, pericoloso tranello? Perché cavalcare da una tale, assurda prospettiva l’urgenza di contestazione?  Eppure, accade. “La discriminazione di una categoria di persone, che diventano automaticamente cittadini di serie B, è di per sé un fatto gravissimo, le cui conseguenze possono essere drammatiche per la vita democratica. Lo si sta affrontando, con il cosiddetto green pass, con inconsapevole leggerezza. Ogni regime dispotico ha sempre operato attraverso pratiche di discriminazione, all’inizio magari contenute e poi dilaganti”: è l’incipit di una lettera firmata da Agamben e Cacciari, pubblicata sul sito dell’Istituto italiano degli studi filosofici di Napoli. Musica per le orecchie di quei No Vax che insultano biecamente le vittime dell’Olocausto, identificandosi con i milioni di ebrei sacrificati dal nazifascismo.
I due prof., invece, preferiscono evocare l’Unione Sovietica, dove l’esibizione della “propiska” (il passaporto interno) era conditio sine qua non per spostarsi entro i confini del Paese, fino ad arrivare a dichiarazioni agghiaccianti, come l’ultima di Agamben (autore del libro “L’invenzione di un’epidemia”, e il titolo dice già tutto), che sentito in Senato oggi, 7 dicembre, per il ciclo di audizioni su vaccini e Green Pass, ha candidamente spiegato che il primo Stato “intervenuto in modo obbligatorio sulla salute dei cittadini con un obbligo è stato lo Stato nazista per proteggere la razza ariana dalle malattie ereditarie”, tanto che “la legge fatta approvare da Hitler nel 1933, appena salito al governo, portò alla sterilizzazione forzata di 400 mila persone“. E ancora parole pesantissime come “discriminazione “, “barbarie“, “odio“, il tutto per una malattia che avrebbe solo “lo 0,2% di mortalità“. Da restare semplicemente esterrefatti.
Filosofi negazionisti e anche antiscientisti? Non proprio. Nella lettera congiunta i due filosofi aggiungono che “Nessuno invita a non vaccinarsi! Una cosa è sostenere l’utilità, comunque, del vaccino, altra, completamente diversa, tacere del fatto che ci troviamo tuttora in una fase di ‘sperimentazione di massa’ e che su molti, fondamentali aspetti del problema il dibattito scientifico è del tutto aperto”. Che è un modo per continuare a inculcare nella testa delle persone il senso del pericolo e l’immagine paralizzante della “cavia”. Peccato che la fase sperimentale si sia conclusa, come da protocollo, nel momento in cui è partita la somministrazione di massa, che il monitoraggio prosegua nel tempo come per qualunque altro farmaco, e che la rapidità con cui si è giunti all’obiettivo è spiegabile con la gravità della situazione e le ingenti risorse messe ovunque a disposizione.

DEMOCRAZIA, DISINFORMAZIONE E MISURE SANITARIE
Per fortuna che qualcuno, tra chi ogni giorno si occupa di informazione, ha capito quanto pericoloso possa essere dare il medesimo spazio a uomini di scienza e difensori di posizioni personali, arbitrarie, o peggio a sostenitori di conclamate fake news: da Enrico Mentana per la7 a Monica Maggioni per Rai2 la linea è stata trasparente, severa. Nessun megafono, sui loro canali, a chi diffonde contenuti pericolosi o fasulli (gente che ha già a disposizione uno spazio immenso in rete, sui social e su realtà indipendenti di ogni sorta). Per molti un segno dell’azione repressiva che il sistema mette in atto contro dissidenti e voci critiche.
Ma è davvero così? Una democrazia non esiste forse, oltre che nella pluralità delle libere opinioni, nella meditata e responsabile articolazione degli spazi di condivisione? Non è lecito che un editore possa scegliere di incoraggiare – in un momento così delicato per il pianeta – comportamenti definiti dalla scienza corretti, utili, necessari? Sempre a proposito di “bene comune”. E invece, sarebbe tutto un piano per zittirci e renderci schiavi: “Io vedo il futuro”, dichiarava Freccero in una puntata de ‘L’aria che tira’, “Siamo qui a parlare, a litigare sui vaccinati e sui non vaccinati, mentre l’élite, il potere, pensa al futuro, pensa a come controllarci. Noi non siamo pecore, vogliamo votare e decidere il nostro futuro”.

TRATAMIENTO ANTIENVEJECIMIENTO
La questione è certamente politica, nel senso profondo del termine. E bene lo sanno Cacciari e Agamben, che però in questi mesi hanno spinto però la faccenda in una direzione inquietante. Così concludevano la loro lettera: “Il bisogno di discriminare è antico come la società e certamente era già presente anche nella nostra, ma il renderlo oggi legge è qualcosa che la coscienza democratica non può accettare e contro cui deve subito reagire”. È davvero così difficile accettare – al netto dei tanti errori commessi dai governi – che non sia qui un esercizio malato del potere, un desiderio di repressione, a muovere le famose oligarchie, e che il Green Pass sia solo una misura sanitaria adottata nel pieno di un’emergenza mondiale?  Evidentemente appassiona di più l’altra versione, quella romanzata, quella che fa della “deriva anti-democratica” il refrain a tinte fosche di questi anni difficili.
E sì, da vaccinati ci si può ammalare, si può contagiare, ma il virus non arriva facilmente a intaccare i polmoni e ha un tempo di sopravvivenza nelle vie aeree (e dunque di contagio) assai minore: i vaccinati entrati in contatto col virus, così spiegano gli studi, si negativizzano rapidamente. E anche nel caso in cui il Sars-CoV-2 prenda campo, la malattia si manifesta prevalentemente in una forma contenuta, non grave, non mortale. Il beneficio che il sistema sanitario ne ottiene è tutto nell’alleggerimento delle Terapie Intensive, per non parlare delle migliaia di vite umane scampate alla morte, dopo la strage della prima, drammatica fase.
Perché non renderlo obbligatorio, allora? Perché la legge necessaria sarebbe ancor più divisiva e necessiterebbe di una maggioranza parlamentare a favore, col rischio di un impasse politico grave. E perché in fondo poco cambierebbe, a parte una maggiore complessità di gestione: vaccinarsi dietro obbligo non eviterebbe probabilmente, in questa fase critica, una qualche forma di controllo nei luoghi pubblici e nei posti di lavoro, e non comporterebbe – checché ne dicano i complottisti più fantasiosi – arresti di massa e blitz nelle abitazioni.

IL SENSO DEL CONTAGIO E DELLA RELAZIONE
La vera faccenda politica su cui occorrerebbe soffermarsi, con l’aiuto di chi si occupa di cultura e informazione, è semmai quella del gap che divide i paesi ricchi dai paesi in via di sviluppo o in piena povertà. Là dove il vaccino non arriva per assenza di fondi, dove le varianti possono meglio moltiplicarsi e spostarsi velocemente lungo le traiettorie internazionali, dove le condizioni igienico-sanitarie scarseggiano e la ricerca non trova sostegno, l’occidente benestante (e largamente colpevole) dovrebbe farsi due conti e intervenire. Se non per compassione, quantomeno per intelligenza: tutelare sé stesso, offrendo un’occasione a chi i mezzi non li ha. Due cose che finiscono per coincidere, in un mondo ridisegnatosi secondo parametri irrinunciabili di globalità e di comunicazione. Tutto è connesso, sempre. Un po’ come per un’altra importante e sottovalutata corrispondenza, quella tra il fenomeno delle migrazioni e la realtà dei cambiamenti climatici.
La straordinaria lezione politico-culturale che la logica del contagio e la catastrofe pandemica dovrebbero stimolare sta proprio in questa forma di consapevolezza: è nel volto dell’altro, nel destino dell’altro, poi nella pratica assidua della cura, che il senso della soggettività si compie, insieme all’idea di futuro. Anche in un’epoca definita dal pensiero scientifico, dall’iper-tecnologia, dalla virtualità. Ed è nella sfida delle relazioni che la complessità del reale si articola, evitando semplificazioni mediocri. Contro la dittatura – quella sì – della miseria, della malattia e del mancato accesso al sapere, la guerra è tutta da combattere. E riguarda anche e soprattutto chi ne è fuori.

– Helga Marsala

TAGCarlo FreccerocovidGiorgio Agambengreen passMassimo CacciarinopassnovaxprotesteStefano RodotàUno Mattei
Da - https://www.artribune.com/professioni-e-professionisti/politica-e-pubblica-amministrazione/2021/12/cultura-intellettuali-no-greenpass-vaccino-novax/?fbclid=IwAR2cmHO8pbHOEpP63DpxdRUAKBNoa59aIo-5pmNwgNN_pND3vX8yqb8Su00
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 08, 2021, 11:34:53 pm »

A cena e anche altrove capita di dover fronteggiare gli epigoni dei filosofi e dei giuristi televisivi anti vaccino, anti green pass, scopritori di trame e di cospirazioni mondiali.

Sarebbe bello poter parlare del campionato, della pioggia e della neve, ma purtroppo bisogna ingaggiare queste tremende tenzoni per dimostrare ciò che una schiacciante maggioranza ha deciso di fare senza bisogno di troppe riflessioni, rispettando l’abituale criterio della divisione del lavoro intellettuale, e quindi fidandosi di ciò che è indicato dai professionisti della scienza medica e dalle autorità sanitarie, e perciò vaccinandosi e rispettando le altre prescrizioni contro la pandemia. Allora proviamo a vedere qualche argomento un po’ meno frequentato, così, magari con l’effetto sorpresa, riusciremo a tenere a bada i nostri polemisti. Potremmo proporre di guardare alle regole sanitarie e alle restrizioni sociali come a decisioni prese per rispondere a una specie di stato di natura e non alla società organizzata dalla costituzione e dall’ordinamento italiano ed europeo. L’idea è che la comunità in cui viviamo è precedente all’organizzazione statale e continua, in un modo o nell’altro, a sopravvivere anche dentro all’assetto democratico e istituzionale che conosciamo. La Costituzione e le leggi sono un modo per regolare quella comunità pre-statale, quella condizione un po’ rousseauiana di libera associazione tra umani. Di fronte a una paura inusitata (a memoria d’uomo moderno occidentale), universale, travolgente e pervasiva, come la pandemia a entrare in gioco non è stata la società moderna, fatta in parte rilevante da buoni selvaggi, simpatici tolleranti e ben disposti includenti, ma quella specie di comunità pre-statale, che è un pienone di sentimenti e attitudini tendenti alla cattiveria, alla sospettosità, all’esclusione. Le regole coercitive prima e poi l’esortazione alla vaccinazione, rafforzata dal green pass, sono state una risposta alle pulsioni micidiali di quella comunità un po’ selvaggia. La paura dell’untore è qualcosa di antico, molto più antico delle costituzioni e delle garanzie. Lo stato non poteva lasciarla prevalere. Il green pass è stato, perciò (qui sta il punto che dovreste cercare di far intendere ai complottisti), non una restrizione dei diritti, delle garanzie e degli assetti costituzionali ma una difesa di quei diritti, garanzie e assetti. Perché di fronte alla paura del contagio, dell’untore, del complotto, la società si sarebbe disgregata, andando in crisi prima che lo stato di diritto e la prassi costituzionale potessero agire. Serviva invece qualcosa che permettesse di mantenere i rapporti sociali in uno stato accettabilmente decente in una fase come quella pandemica. Il lockdown, nella sua enormità come compressore di diritti e perfino di abitudini, è stato la prima risposta, rozzissima, ma necessaria. E si sarebbe dovuto capire già allora che quella decisione interveniva nei rapporti basici della comunità umana pre-statale e che serviva a salvare, a mettere al riparo, il resto della costruzione sociale. Il green pass e annessi, con il suo modo elastico di funzionare e la graduabilità della sua applicazione, è ed è stato lo strumento principale per mettere la nostra società contemporanea al sicuro rispetto al rischio di rigurgiti remoti ma ancora latenti.

Insomma, la Costituzione non è stata cancellata o forzata, ma protetta e tutelata.

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« Risposta #2 inserito:: Dicembre 08, 2021, 11:40:42 pm »

Due gli obiettivi immediati, della cattiva politica:mantenersi il posto a tavola e distruggere l'immagine, alta e ampiamente meritata, di Draghi nel mondo.

Ma, allora la popolazione lascia fare?

Si, è diversamente impegnata nel subire soprusi, tra mugugni e le sfilate di piazza.

Il Gregge segue sempre chi ha più cani-pastore.

ciaooo



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« Risposta #3 inserito:: Dicembre 18, 2021, 12:57:17 pm »

Gianni Cuperlo
 
Bellissima serata di rievocazione ieri per i sessant’anni della seconda rete della Rai.
Sono passate immagini, testimonianze, filmati che hanno fatto un po’ la storia della televisione italiana e del servizio pubblico.
Umberto Broccoli, gigante tra i critici, come al solito ha dato prova di garbo e intelligenza.
Parecchie cose le ricordavo per averle viste al tempo della loro messa in onda, a cominciare da quel genio di Arbore nella sua stagione migliore a metà degli anni ottanta.
E poi ci sono stati i passaggi commoventi di Enzo Tortora, prima e dopo la sua incredibile e vergognosa vicenda umana e professionale.
Ora, nella rievocazione di quel caravanserraglio televisivo che e stato Portobello a colpire non è stata la memoria di Paola Borboni che fa chiacchierare il pappagallo (che mi sa non ha mai davvero chiacchierato!).
No, la palma della serata spetta senza dubbio a quel signore strepitoso (confesso che il nome non lo ricordo) che si presentò una sera da Tortora con la proposta di risolvere una volta e per sempre l’annoso problema della nebbia in Valpadana.
La sua proposta era di abbattere il Passo del Turchino (praticamente un pezzo di montagna a ridosso della costa ligure) così da far scorrere l’aria ed evitare gli addensamenti nebbiosi nella stagione invernale.
Alla cortese obiezione di Enzo Tortora, che lì ci vivevano delle persone, circa 4000 italiani, la risposta fantastica fu “Si sposteranno, ma pensiamo a quante vite umane salveremo e a quali costi ci risparmieremo eliminando questa brutta bestia che è la nebbia”.
Credo fossimo alla fine degli anni Settanta o i primi del decennio successivo e questo simpatico signore poteva avere i suoi quattro minuti di gloria nella televisione mentre milioni di italiani seduti nel tinello di casa se la ridevano alla grande.
Diciamoci la verità: nessuno tra noi avrebbe mai immaginato che mezzo secolo dopo una infinità di signori propensi ad abbattere il Passo del Turchino avrebbero invaso le nostre vite dispensando verità assolute attraverso social pronti a recepirne il pensiero e la profondità.
Boh, è andata così, inutile prendersela troppo.
Al massimo, come fece Enzo Tortora, non rinunciamo mai a replicare e dire la nostra.
Buona giornata e un abbraccio

Da Fb del 17 dicembre 2021
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« Risposta #4 inserito:: Gennaio 05, 2022, 11:53:03 am »

Lo Scaffale Capovolto
Gilberto Gavioli - Preferiti
oggi e Domani
Franco Romanò

Questo è l'editoriale scritto da Rosella Prezzo sul quotidiano Domani.
Ritengo la sua analisi e anche quella di Donatella De Cesare citata da Prezzo, siano nella loro pacatezza e profondità fra le poche risposte serie e non scomposte alle tesi di Agamben e Cacciari.

Rosella Prezzo: l’editoriale di domani

Una buona riflessione per riorientare il pensiero filosofico e superare i suoi vecchi stilemi.
"Le posizioni di alcuni filosofi come Giorgio Agamben e Massimo Cacciari sulla pandemia hanno sconcertato molti. Io vorrei cercare di capire da dove nascano, e non limitarmi a criticarne le conclusioni. Forse alla radice c’è un’idea astratta di uomo e di libertà, che si riverbera anche sulla concezione del potere. Un’astrazione che viene da lontano, da precedenti semplificazioni e astrazioni.


L’uomo in natura
Quasi due secoli fa, Giacomo Leopardi scriveva: «Non si conosce perfettamente una verità se non si conoscono perfettamente tutti i suoi rapporti con tutte le altre verità, e con tutto il sistema delle cose. Qual verità conosceranno dunque bene quei filosofi che astraggono assolutamente e perpetuamente da una parte essenzialissima della natura?».
Nel pensiero di Leopardi la «parte essenzialissima della natura» da cui non si può fare astrazione è quel congegno complesso, stritolante e misterioso (poiché non se ne riesce a comprendere il fine) in cui è preso ogni vivente, sia umano che non umano. Ed è da questa che invece certi filosofi prescindono sistematicamente.
In una lettera a Giovan Pietro Vieusseux del 4 marzo 1826, Leopardi distingue due modi di considerare l’uomo: l’«uomo in natura» e «l’uomo in società», e si dice incline più al primo che non al secondo. «Gli uomini», spiega, «sono a’ miei occhi quel che sono in natura, cioè una menomissima parte dell’universo».
I pensatori del suo tempo, e in parte anche del nostro, erano infatti più propensi a considerare l’uomo in società, cioè a osservarlo esclusivamente all’interno delle relazioni che l’uomo stesso ha creato, relazioni per l’appunto sociali, culturali, economiche, di potere.
Queste relazioni sono ovviamente molto importanti anche per Leopardi, e le sue continue e illuminanti riflessioni sulle società e sui rapporti tra gli uomini ne sono la prova, ma non esauriscono il tessuto di relazioni in cui è preso l’uomo in quanto vivente. C’è un tessuto più vasto, che ha a che fare con il corpo, con la biologia, gli impulsi, le malattie, le reazioni chimiche, le forze animate e inanimate sia del pianeta (i vulcani, i terremoti, le pestilenze) sia del cosmo.
La sua è evidentemente una prospettiva non antropocentrica, che non poteva non scontrarsi con le ideologie dominanti nel suo tempo, infatuate di progresso, e che vedevano la civiltà, la scienza e la ragione umana in costante ascesa.
Leopardi scrive quelle parole a Vieusseux, direttore dell’Antologia – che lo aveva invitato a collaborare alla rivista ¬¬¬– proprio per declinare garbatamente quell’invito: il suo sguardo sull’uomo non è infatti di quel tipo che si richiede a chi scriva su un giornale. E aggiunge: «Tenete dunque per costante che la mia filosofia (se volete onorarla con questo nome) non è di quel genere che si apprezza in questo secolo».
Fare astrazione. Non la si apprezzava nel suo secolo, ma forse neppure nel nostro. Certo il suo pensiero è stato riconosciuto e posto ai vertici della nostra tradizione, come pure la sua opera poetica. Ma quanto ha davvero attecchito nelle categorie e nei concetti che sorreggono le analisi filosofiche del nostro tempo?
Non sono molti i filosofi che si facciano carico della complessità delle relazioni in cui è immersa la vita umana. Piuttosto, da quel tessuto ritagliano una piccola parte, astraggono quelle relazioni che credono più rilevanti, o quelle che sanno vedere attraverso i loro strumenti concettuali e i loro paradigmi, cioè, innanzitutto, quelle di tipo economico, sociale e di potere, e solo su quelle ragionano.
Come se l’uomo non fosse anche un vivente la cui vita biologica è intrecciata a quella di altre vite, come se l’uomo non fosse anche una specie vivente tra le altre.
Esistono forze su cui noi umani non riusciamo ad agire? Certo, direbbe Leopardi, e guai a non considerarle. Ma se portiamo alle estreme conseguenze certe teorizzazioni di alcuni filosofi odierni, la risposta è ben diversa. È come se dicessero: «Non neghiamo che esistano forze che l’uomo non può dominare (per esempio le tempeste solari, gli asteroidi, i terremoti, le dinamiche del clima), ma per ciò che ora ci interessa possiamo farne astrazione».
È successo qualcosa di simile anche con il virus che si sta insinuando nei corpi viventi dell’intera nostra specie. Questa entità biologica elementare ha fatto irruzione come un imprevisto nella nostra vita associata, sbucando fuori di colpo da quella parte rimossa di relazioni da cui si pensava di poter fare astrazione.
Certamente lo avevano previsto alcuni scienziati e altre voci più consapevoli del nostro tempo, che ragionano seguendo paradigmi epistemologicamente improntati all’ecologia, ma per altri modi di ragionare, il virus è entrato in scena come qualcosa di assolutamente inaspettato, non previsto dalle teorie economiche e politiche dominanti, e neppure dalle teorie del potere che sono state elaborate nel secolo scorso dal cosiddetto «pensiero critico», a cui continuano a ispirarsi alcune riflessioni odierne, come quella di Giorgio Agamben sullo stato d’eccezione.
Queste teorie contemplano solo attori umani, sociali. Lo stile di pensiero da cui sorgono manca assolutamente di quell’attitudine a vedere l’uomo in natura, e a proiettare, come invece fa costantemente Leopardi, i fatti sociali su quel più vasto orizzonte, che è antropologico, biologico e cosmico, e che considera anche i tempi lunghissimi della specie umana – che si sta rivelando sempre più fragile, proprio come la dipinge Leopardi ne La ginestra, per di più spinta a gran velocità verso il suo stesso limite.
A questo tipo di considerazioni la tradizione novecentesca del pensiero critico sembra del tutto impreparata. Come se nel profondo dei suoi fondamenti si fosse sempre più consolidata l’abitudine ad astrarre l’uomo e le sue vicende da quello da cui pure è impossibile separarlo: dal corpo, dalla specie, da tutto ciò che è vivente e che contribuisce a mantenere la vita sul pianeta, dagli animali, dai vegetali, dai batteri, dai virus, dall’atmosfera, dalla gravitazione e dai fenomeni cosmici.
Nelle posizioni assunte da alcuni filosofi nei confronti della pandemia a me pare di intravedere l’effetto di un veleno mentale, quello stesso che denunciava Leopardi: l’astrazione.

Egemonia umana
Donatella Di Cesare, nel suo intervento uscito sull’Espresso il 20 dicembre scorso, e che mi sento di condividere in pieno, sostiene che non bisogna confondere lo stato di eccezione con lo stato di emergenza, quello che stiamo vivendo a causa della pandemia e di molte altre sciagure del nostro tempo (migrazioni, ingiustizie e – aggiungo io, perché non lo si può dimenticare – il rischio di una sesta estinzione di massa).
Io direi però che già nei concetti del pensiero critico novecentesco, di Adorno, di Debord, di Foucault, nel loro modo di analizzare il potere, si avverte una simile lacuna, quella di chi vede il mondo unicamente dominato dall’uomo, nel bene come nel male, dimenticando il suo «basso stato e frale», come se tutto ciò che accade fosse in suo potere, sia che si tratti di determinarlo che di evitarlo.
Ha ragione Di Cesare a dire che il pensiero di Agamben scivola nel complottismo. Del resto, che cos’è il complottismo se non un voler credere che ogni fatto del mondo dipenda dall’uomo? che il corso delle cose possa essere guidato addirittura da pochissime menti?
Perciò, di fronte a qualcosa che invece l’uomo non controlla, come l’espandersi di un’epidemia globale, non fa meraviglia che quel modo di pensare si rafforzi ancor più, quasi come in un estremo tentativo irrazionale di riaffermare l’egemonia umana sulle forze naturali. In fondo il complottismo è più consolatorio che inquietante.
Secondo Di Cesare bisognerebbe «salvare Agamben da Agamben», cioè difendere i concetti che Agamben ha elaborato in questi decenni da ciò che va sostenendo negli ultimi tempi, come se il suo pensiero avesse subìto un crampo.

A me sembra piuttosto necessaria una revisione di quegli stessi presupposti, davvero troppo umani, che stanno a fondamento del suo pensiero filosofico come di molti altri del recente passato. Un pensatore come Leopardi, mi viene da pensare, non avrebbe mai preso quelle cantonate sulla pandemia.

Rosella Prezzo

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« Risposta #5 inserito:: Gennaio 06, 2022, 05:25:58 pm »

da Katia Colica

Che il Papa faccia il predicozzo contro chi ha cani e gatti anziché figli non mi turba. È pagato per farlo; sicuramente avrà accanto uno che: "Oh, è gennaio 2022: e dici qualcosa di papale, France'!".
Mestiere suo. Quelli che non capisco sono altri.
Quanti gatti hai? mi chiedi tu ogni volta che mi incontri, oh madre di famiglia tradizionale, sorrisino sarcastico per farmi intendere che immagini la mia casa come il gallinaio di tua zia Carmela. E li tieni tutti in casa?
No, fanno i turni, vorrei dirti. Gongoli ad assaporare il contrasto con la tua vita da signora normale, i figli lucidati di fresco; gli animali sì, ma solo affettati nel piano inferiore del frigo.
Ecco: io al Papa saprei spiegarlo, ma agli altri, a te signora tradizionale, come lo spiego che la mia storia è un treno che passa lento, che le scelte a volte si fanno coi dadi, a volte si fanno col sangue.
Che l'amore può passare dappertutto; che si può essere spudoratamente felici lo stesso.
Che questa vita sa già dove andare e così, spesso, non ascolta e non vuole vedere. Come te. Uguale a te.

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« Risposta #6 inserito:: Gennaio 19, 2022, 03:47:13 pm »


Giuseppe M. Sbattersene di "loro" è il miglior modo di vivere con interesse le opportunità “concesse” dal Regime Facebook, cioè conoscersi e conoscere autori e opere.

Gli sfascisti agiscono in ogni campo, anche nella diffusione della cultura, ma voi che siete "Differenti" ignorateli. A noi meno colti siete utili.
Utilità, che molti “imparati” della “intellighenzia” considerano poca cosa, sbagliando come hanno sempre sbagliato, deve essere valorizzata come necessaria per rendere ancora praticabile, senza gravi rischi, il suffragio universale in Italia.

Pericolosissimo affidare il voto a superficiali, inconsapevoli e manipolabili Greggi, Branchi o a Morti Sociali lagnosi; tenuto conto che vogliamo restare una Democrazia, anche se incompleta.
Quindi settori umani che vanno culturalmente arricchiti! 

Se oggi siamo condizionati, sia in politica, sia nelle piazze, da stupidità diffusa e da follia crescente, lo dobbiamo per la condizione sociale affatto serena, diffusa tra la gente.
Ma anche e forse soprattutto a causa di una élite che si è fatta mettere in un angolo, da movimenti portatori del Caos, sino al punto che oggi definire il loro, Narcisismo Inutile al Sistema, è superato essendosi trasformato negli anni in Narcisismo Patologico.     

Che non si cura nei salotti chic, ma in ambulatori o studi specializzati.
ggiannig ciaooo
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« Risposta #7 inserito:: Gennaio 27, 2022, 06:35:41 pm »

Gianni Gavioli ha condiviso un post.

Amministratore
  
Francesca tradita, in terra di Romagna (terra di inganni) uccisa per aver giustamente ripreso il cuore di Paolo.

Quando gli Italiani traditi con inganni contrattuali condivisi tra coloro che "li dominano", saranno capaci di recuperare la loro dignità di cittadini?

Soltanto con la lucida consapevolezza dei disvalori imperanti nella Cattiva Politica (quella delle schede bianche per scopi meschini e castranti) ciò potrà avvenire.
Ma soltanto dopo un illuminato, Democratico Disinganno.

ggiannig ciaooo

io su Fb il 26 gennaio 2022 - Inganni contrattuali.
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« Risposta #8 inserito:: Gennaio 30, 2022, 09:44:23 pm »

Ci sono anche questi "Italiani" tra i “Diversi”.
Ma uno sprazzo di luce arriverà, anche per loro.
Prima o poi.

Per i "Differenti in Meglio", Mattarella Presidente Eletto dalla Nazione, "questa volta"!!

Draghi rafforzato dal riconoscimento dei suoi meriti nella Nazione e nel Mondo intero!!

Ci rasserenano nel momento non facile dell’indispensabile cambiamento in “Meglio”.

Altri giudizi che si fermano, incapaci d’andare oltre alle personali solitudini, vanno aiutati a conoscere i fatti e i progetti. Anche i progetti più pericolosi, quelli ancora inespressi, degli sconfitti dalla Nazione degli Italiani.
Gli Italiani consapevoli di ciò che si è realizzato in questi dei 6 giorni, perché non si sono limitati a guadarsi allo specchio, stando ad osservare senza capire.

ciaooo
io su Fb del 30 gennaio 2022 su un post deprimente.

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« Risposta #9 inserito:: Gennaio 30, 2022, 09:47:43 pm »

Parlarne è utile per capire la non applicabilità di un progetto, il presidenzialismo è una ventilazione cerebrale.
E tutti sappiamo che l’iperventilazione fa girare la testa e da senso di vertigine.

Se non la si risolve subito reca confusione, formicolio al viso, alle mani e stordimento.
Non ci sarebbe utile nelle attuali condizioni di arretramento culturale.

Noi abbiamo bisogno urgente di una Democrazia Autorevole, non altro per il momento.
Arrivati ad avere una Democrazia Autorevole, potremo e dovremo scegliere tra Progetti di PROGRESSO o di CONSERVAZIONE, che nulla avranno più a che vedere con le nevrosi di Destra o di Sinistra, tanto convenienti alla Cattiva Politica.
E saremo TUTTI più sereni!

ggiannig ciaooo.

Io su Fb del 30 gennaio ’22 su un post di una amica in Fb.
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« Risposta #10 inserito:: Febbraio 02, 2022, 10:58:20 am »

Narcisismo primario e secondario

Consulenza Psicologica

Nell’elaborazione teorica freudiana il concetto di onnipotenza è strettamente
legato al concetto di narcisismo. Freud distingue un narcisismo primario ed
un narcisismo secondario o protratto e ne fornisce la seguente definizione:
“Il narcisismo non sarebbe una perversione, bensì il complemento libidico
dell’egoismo della pulsione di autoconservazione, una componente del quale
è legittimamente attribuita ad ogni essere vivente. (…) Ci formiamo così il
concetto di un investimento libidico originario dell’Io di cui una parte è
ceduta in seguito agli oggetti, ma che in sostanza persiste e ha con gli
investimenti d’oggetto la stessa relazione che il corpo di un organismo
ameboide ha con gli pseudopodi che emette. (…) Grosso modo, osserviamo
anche una contrapposizione tra libido dell’Io e libido oggettuale. Quanto più
si impiega l’una, tanto più si depaupera l’altra. (…) Infine, per ciò che
attiene alla differenziazione delle energie psichiche, siamo indotti a
concludere che inizialmente, durante lo stadio narcisistico, esse coesistono e
la nostra approssimativa analisi non riesce a far distinzione tra esse; solo
quando avviene l’investimento d’oggetto diventa possibile discriminare
un’energia sessuale – la libido – da un’energia delle pulsioni dell’Io.” (Freud,
1914).
L’elaborazione del concetto di narcisismo vede le sue basi nella “Teoria
duale dell’istinto o delle pulsioni”. Secondo tale teoria esistono due tipi di
pulsioni diverse: le pulsioni sessuali, miranti alla conservazione della specie,
e le pulsioni dell’Io (o di autoconservazione), per la preservazione
dell’individuo.
Dal punto di vista evolutivo la libido prevede un primo stadio di
autoerotismo, a sua volta scisso in due sotto-stadi: quello dell’autoerotismo
vero e proprio e quello narcisistico. Successivamente le pulsioni trovano
soddisfacimento in un oggetto esterno tramite la “scelta oggettuale”.
Nello stadio del narcisismo primario, quindi, le pulsioni trovano un primo
oggetto adatto al loro soddisfacimento, ma quest’oggetto non è ancora
esterno all’individuo: è il suo “Io” stesso, che inizia proprio in quel momento
a delinearsi.
Le pulsioni dell’Io e i desideri libidici, quindi, non sono ancora separati gli
uni dagli altri. In genere, Freud (1914) designa come narcisismo primario
quella fase nella quale il bambino assume sé stesso come oggetto d’amore,
prima di scegliere oggetti esterni. Il periodo durante il quale questa fase si
sviluppa sarebbe il primo stadio della vita. In tale periodo il principio
primario che orienta lo sviluppo del bambino è quello istintuale e il mondo
degli oggetti esiste solo come conseguenza della necessita di soddisfare le
pulsioni stesse.
Il narcisismo primario contribuisce alla formazione di quel sentimento di
soddisfazione basale di sé, di pienezza fondamentale di sé, di fiducia di base.
Provoca un progressivo rafforzamento e sviluppo dell’Io che è indispensabile
per lo sviluppo ulteriore di quest’ultimo.
Secondo Freud a questa “organizzazione narcisistica” non si rinuncerà mai
completamente. Infatti, una certa dose di libido permarrà sempre nell’Io
(libido dell’Io o libido narcisistica) e da essa stessa deriveranno i successivi
investimenti oggettuali ad opera delle pulsioni sessuali (libido oggettuale)
(Lingiardi, Madeddu, 2001).
Processi di idealizzazione dell’oggetto e di formazione dell’ Ideale dell’Io
(precursore del Super-Io, la cui definizione si avrà nel 1922 con L’Io e l’Es)
fanno parte di un impiego ulteriore della libido narcisistica.
L’Io ideale ha la sua genesi nella relazione fusionale del lattante con la
madre. È l’istanza ideale più arcaica e Freud la definisce il surrogato del
narcisismo perduto della prima infanzia.
L’Io ideale è quella struttura che contiene le tracce dei vissuti onnipotenti
narcisistici riguardanti la diade madre – lattante nel periodo fusionale.
Quando l’Io si trova in uno stato di impotenza nella gestione dei desideri e
nella loro realizzazione l’Ideale dell’Io onnipotente fa vivere l’impossibilità
come ferita narcisistica.
La caratteristica dello stadio narcisistico che maggiormente è importante
sottolineare ai fini della nostra trattazione è il sentimento di onnipotenza, che
deriva dal fatto che le pulsioni trovano nel soggetto stesso la loro “fonte” e il
loro “oggetto”, che gli permette di raggiungere la “meta”, cioè la “scarica”.
Freud, infatti, aveva presupposto l’esistenza di una fase dell’evoluzione
sessuale, (quella appunto del narcisismo) intermedia tra quella
dell’autoerotismo e quella dell’amore oggettuale. Quello che Freud definisce
‘narcisismo primario’ è uno stadio evolutivo precoce durante il quale il
bambino investe tutta la sua libido su sé stesso: l’io, in questo caso, è posto
alla stregua di un oggetto esterno. A tal proposito Freud afferma che:
“… Ci formiamo … il concetto di un investimento libidico originario dell’io di
cui una parte è ceduta in seguito agli oggetti, ma che in sostanza persiste ed
ha con gli investimenti d’oggetto la stessa relazione che il corpo di un
organismo ameboidale ha con gli pseudopodi che emette.”(Freud,1914)
Freud designa come narcisismo primario quella fase nella quale il bambino
assume sé stesso come oggetto d’amore, prima di scegliere oggetti esterni. Il
periodo durante il quale questa fase si sviluppa sarebbe il primo stadio della
vita, antecedente alla costituzione dell’io, ed il cui archetipo è quello della
vita intrauterina.
Nel narcisismo secondario si assiste, invece, ad un ripiegamento sull’Io della
libido sottratta agli investimenti oggettuali. La libido viene cioè ritirata dall’
oggetto e nuovamente investita sull’Io. È una sorta di regressione a un punto
di fissazione narcisistico preesistente. Il narcisismo secondario potrebbe
derivare anche dalla perdita dell’oggetto libidico e l’investimento pulsionale
viene nuovamente spostato all’interno dell’io, regredendo in libido
narcisistica.
Riassumendo: esiste un investimento libidico originario dell’Io, di cui, in
seguito, una parte viene ceduta agli oggetti.
Nella vita adulta, però, in situazioni di intolleranza alle frustrazione della
realtà, la libido può essere reintroiettata e reinvestita sull’Io, creando uno
stadio di narcisismo secondario, caratteristico delle nevrosi narcisistiche o
schizofrenia, in cui la libido non è più disponibile agli investimenti
oggettuali.
Il nevrotico distoglie la libido dagli oggetti reali e la rivolge agli oggetti della
fantasia; in lui la libido resta oggettuale. Nello psicotico la libido è ritirata
sull’Io a ripristinare uno stato primitivo infantile e l’onnipotenza del
pensiero.
Ma questa sono solo alcune delle molte condizioni “narcisistiche”, che
possono comprendere regressioni sia fisiologiche che patologiche, e una
svariata serie di fenomeni clinici: sonno, autismo, megalomania, paranoia,
ipocondria, credenze magiche, animismo, onnipotenza del pensiero, malattie
organiche, innamoramento, certi tipi di omosessualità o di altre perversioni,
persino vanità, autoammirazione, autostima, “sentimento oceanico”, e così
via. In tutti questi casi la libido “si ritirerebbe dagli oggetti”, ed avendo ciò
una implicazione economica, vi sarebbe un effetto come di vasi comunicanti:
più diminuiscono gli investimenti sugli oggetti, più possono aumentare i
suddetti fenomeni narcisistici.
Una certa quota di narcisismo è quindi normale e necessaria a qualunque
individuo. Possiamo affermare che il narcisismo sano si colloca in una
posizione intermedia lungo un continuum tra due estremi patologici: da una
parte un narcisismo eccessivo, caratterizzato da un Sé grandioso, sentimenti
di superiorità, arroganza e senso di onnipotenza, dall’altra parte troviamo
invece un deficit narcisistico, il quale comporta sentimenti di inferiorità,
impotenza e scarsa stima di sé. Un narcisismo sano si troverebbe al centro di
questa linea immaginaria.

Bibliografia
-Freud S. (1914), Introduzione al narcisismo. Torino: Bollati Boringhieri
(1976)
-Lingiardi, V., & Madeddu, F. (2002). I meccanismi di difesa. Mi

Da - http://www.pierocaponeri.com/consulenza-psicologica/narcisismo-primario-secondario/
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