Franca RAME

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spettacoli
29/05/2013

Le due Milano di Franca Rame

L’attrice e Fo simbolo della città che passò dal miracolo economico alla rivolta permanente post 1968

Michele Brambilla
Milano

Se pensiamo alle Milano che lascia nella memoria Franca Rame, ce ne vengono in mente due. 

La prima è una città di cui conserviamo immagini in bianco e nero: gli anni del miracolo economico, i magazzini Upim e All’Onestà, l’Inter di Herrera e il Milan di Rocco. Era una Milano borghese, che i lombardissimi Franca Rame e Dario Fo – di Parabiago lei, della sponda magra del lago Maggiore lui – rappresentavano al Carosello, portando nelle case i primi sogni di benessere. Li conoscemmo così, nel “dramma coniugale” che era la pubblicità
dell’Agipgas, nel “rinfreschiamoci le idee con una Recoaro” e con gli elettrodomestici Zoppas.

 

La seconda Milano di Franca Rame è anch’essa borghese, ma di una borghesia che cambiò pelle verso la fine degli anni Sessanta diventando paladina e portavoce del “nuovo”, il Sessantotto e la rivolta permanente. Era la Milano di Giulia Maria Crespi detta “la zarina”, editrice del Corriere della Sera, simbolo della milanesità quasi alla pari del Duomo e della Scala; di Camilla Cederna, anch’essa trasvolata dalle cronache borghesi a quelle “impegnate”; e, per passare dai salotti alle piazze, la Milano di Mario Capanna.

 

Contro quel mondo si scagliò un milanese adottivo, ma non per questo meno affezionato, come Indro Montanelli, che denunciò la deriva radical chic di una borghesia che aveva, a suo modo di vedere, ceduto al conformismo imperante, illudendosi di conquistare il diritto a un posto al sole nella nuova Italia comunista, o gruppettara, che ci si illudeva che sarebbe nata di lì a poco.

 

Comunque la si veda, è questa seconda Milano quella che è poi rimasta come cifra definitiva di Franca Rame e di suo marito. La palazzina Liberty occupata, il teatro impegnato e il Soccorso Rosso ai primi estremisti e terroristi. Proprio su quest’ultimo tema Montanelli sferzò Franca Rame il 28 aprile 1978, quando - in pieno sequestro Moro – lei andò a trovare in carcere Renato Curcio. «Sembra – scrisse Montanelli – che la cosa non abbia fatto molto piacere al prigioniero, che avrebbe accolto la visitatrice con queste parole: “Vieni per me, o per Moro?”». C’era infatti il dubbio che Franca Rame fosse andata a trovare il fondatore delle Brigate Rosse nel tentativo di cercare una mediazione per il leader democristiano rapito. «Resta solo da sperare – commentò Montanelli – che sia andata per lui. Affidata ai terroristi, la sorte di Moro ci dà il brivido, ma il brivido della tragedia. Affidata a Franca Rame…».

 

Ci vollero vent’anni perché queste differenti Milano, quella di Franca Rame e quella di Indro Montanelli, tornassero un po’ più vicine, accomunate da un unico “nemico” che era Silvio Berlusconi. Ma accomunate fino a un certo punto. Una distanza culturale, quasi antropologica, è rimasta, in modo tale che la Milano di Franca Rame è, ancora oggi, una parte della città, ma non tutta. 

 

Bella donna e brava attrice, lei ha pagato ingiustamente il dazio che pagano tutte le donne il cui nome viene sempre accostato a quello del proprio uomo: quasi si trattasse di una “donna di”, e non di lei stessa. Ma ora che se ne va, lasciando un po’ più sola una Milano che, un po’ ingrigita, le sopravvive, merita di essere ricordata per quello che è stata lei sola; e per quanto ha pagato, anche in termini di orrenda violenza, per il suo impegno politico, condivisibile o no che sia stato, a seconda dei punti di vista.

da - http://lastampa.it/2013/05/29/spettacoli/le-due-milano-di-franca-rame-nXSyq6x6ZRZGZwX6hvw4fP/pagina.html

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Franca Rame, ultimo saluto al Piccolo.

I milanesi in coda per l'abbraccio a Fo

Il Nobel accoglie i tanti cittadini che si sono messi in coda in via Rovello, nella storica sede del Piccolo Teatro per salutare l'attrice.

Fo sorride e si intrattiene con tutti, insieme a lui c'è il figlio Jacopo


Seduto su una sedia, vicino alla bara coperta da una sciarpa rossa, Dario Fo accoglie i cittadini in visita alla camera ardente al Piccolo Teatro Grassi, in via Rovello a Milano, per porgere l'ultimo saluto a Franca Rame. Il premio Nobel sorride, si intrattiene con tutti ed è accompagnato dal figlio Jacopo. La coda per rendere omaggio all'attrice va via via allungandosi, in questo momento ci sono circa duecento persone.

Tra loro ci sono Cochi Ponzoni ("Un altro pezzo di Milano che se ne va. Un grande dolore per una donna insostituibile, con una dignità e una forza di carattere uniche") e Carla Fracci "Si è molto esposta politicamente, con un sostegno vero alla sinistra. Con Dario ha rappresentato una forza straordinaria per la difesa di questo paese". Milly Moratti, uscendo dalla camera ardente, ha detto: "Dobbiamo trovare casa all'archivio di Franca e farne un vera fabbrica del teatro per le generazioni che verranno. Sono tante le cose che stava ancora facendo".

La camera ardente è stata aperta alle 9 del mattino e rimarrà aperta 22 ore. Si è scelto di non chiuderla neppure di notte, in modo da lasciare a tutti la possibilità di portare il proprio saluto a una donna che è stata il simbolo di tante battaglie civili, in teatro e in città.
Anche il luogo scelto per la camera ardente non è casuale: è qui che Rame e Fo si sono conosciuti e si sono innamorati.
 

(30 maggio 2013) © Riproduzione riservata

http://milano.repubblica.it/cronaca/2013/05/30/news/franca_rame_ultimo_saluto_al_piccolo_i_milanesi_in_coda_per_l_abbraccio_a_fo-59966328/?ref=HRER3-1

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Nella casa di Milano La notte, il malore, l'ambulanza. «Sessant'anni di amore e liti»

«Le urlavo di respirare È morta tra le mie braccia»

Fo: scriveva «Fuga dal Parlamento», il suo testamento


«Mi è morta tra le braccia». Dario Fo racconta gli ultimi istanti di Franca. Li ripete a se stesso quasi a convincersi che sia accaduto davvero.
«Si era alzata come tutte le mattine. Forse più affaticata del solito, la notte aveva tossito tanto. Ma insomma, era in piedi. Come sempre preoccupata per me, che la valigia fosse pronta, che non dimenticassi niente. Sarei dovuto partire per Verona, per le prove dello spettacolo su Maria Callas che avevamo scritto insieme e che avrei dovuto interpretare sabato all'Arena. Ma poi d'un tratto le manca il fiato. Franca! Che succede?! Mi guarda come per chiedermi aiuto. Respira! le grido. Respira forte! Non ce la fa, il suo petto si solleva sempre più lento. Quando arriva l'ambulanza è ormai fermo.
I medici provano in ogni modo a rianimarla. Ma lei non c'era già più».
Difficile credere a quelle parole: Franca non c'è più. Dopo sessant'anni insieme, come pensare a un domani da solo quando si è sempre stati in due? Dario e Franca, Franca e Dario. Più che una coppia, una cosa sola. Come Filemone e Bauci, due grandi alberi con radici e rami intrecciati.

Continua a parlare di lei Dario, di quei dolori sempre più forti negli ultimi mesi, del prurito violento che la tormentava negli ultimi giorni.
Della sua stanchezza e della sua forza. Di come la sera prima avesse voluto farsi leggere tutto di fila l'ultimo testo scritto con tanta fatica e ostinazione: Fuga dal Parlamento . «La sua esperienza al Senato, ripensata e confrontata con quello che accade oggi. I prodromi di quell'orrendo sfascio cui stiamo assistendo». Il suo testamento politico e civile. Franca sognava di portarlo lei stessa in teatro.
Nel salotto di casa, tutto parla di lei: i tanti ritratti di Dario, la poltrona con il cuscino davanti alla tv, una sciarpa rimasta lì...
Gli amici più stretti, Gad Lerner, Felice Cappa, i giovani collaboratori devoti come figli, Chiara, Luca, Fabrizio, tutti fanno cerchio intorno a Dario. Cercano di proteggerlo dal telefono che suona di continuo. Lui paziente non si nega, saluta, ringrazia chi lo chiama. Scuote la testa ripensando a quest'anno orribile: «Se ne sono andati tutti, Jannacci, Missoni, Melato, Don Gallo...».

Aspetta l'arrivo di Jacopo, il loro figlio, partito a rotta di collo dall'Umbria. E intanto non smette di parlare di lei, come a tentare di riacciuffarla ancora. Ogni tanto con la mano indica la loro stanza. Franca è là, distesa sul loro letto. Addormentata per sempre, attorno al viso un foulard rosa pallido, il colore di quegli orecchini di corallo, dono di Dario, che indossava sempre. «Il solo conforto è che ero qui.
Fosse successo solo un'ora dopo, quando ero già partito, non mi sarei mai dato pace». Neanche lei l'avrebbe permesso. Mai sarebbe potuta andarsene senza un ultimo abbraccio di Dario. «Ci siamo amati tanto, ma non tutto è stato rose e fiori. Ci sono stati momenti difficili...».
Anche scioccanti, come quando nel 1989 Franca annunciò in diretta tv di volerlo lasciare. «Eravamo reduci da un litigio clamoroso, ma mai avrei pensato... Sapevo che quel pomeriggio lei andava dalla Carrà e da casa guardavo la diretta, quando la sento dire: ho deciso di lasciare Dario, niente dura per sempre, morto un papa se ne fa un altro... Mi è venuto un colpo».

Non è stato il solo choc. «Ogni tanto spariva. Un mese, due, via da casa. Una volta un'intera estate da Jacopo. La chiamo dicendole che basta, che arrivo anch'io, e lei: vieni pure ma non mi trovi». Tosta, tostissima Franca. Non certo il tipo che fa finta di niente, che gira la testa dall'altra parte. Piuttosto meglio metter in pratica quel titolo scritto a quattro mani e due cuori con Dario: Coppia aperta, quasi spalancata .
Ma sempre e comunque coppia.

«Siamo stati esageratamente fortunati. Gli ultimi anni sono stati i più dolci. Amici, complici. Lei non solo bella come nessuna, non solo brava sulla scena, ma anche intelligente e coraggiosa. Non c'è galera che non conoscesse, per Soccorso Rosso aveva girato tutte le carceri.
Così come era di casa negli ospedali, nei centri sociali. Pronta a mettere insieme in poche ore dei congelatori per conservare le medicine o dei materassi per i rom sfrattati». Una vita, mille avventure. «C'erano sere che non potevamo tornare a casa, minacciati di morte, sempre in predicato di venir arrestati... Dopo lo spettacolo, si sgusciava da qualche uscita d'emergenza e ci si rifugiava a dormire da qualche amico».
Il teatro non è mai un mestiere facile, tanto più se, come il loro, coniugava ogni sera arte e politica. «Franca è nata sulla scena, la sua è una grande famiglia di comici dell'arte. Sua madre, l'Emilia, l'ha fatta debuttare neonata nei panni dell'infanta in Genoveffa di Brabante.
 
Quando ha saputo che volevamo sposarci, mia suocera ha mandato un lamento: un altro attore in famiglia! In cambio ha preteso che ci sposassimo in chiesa. Era convinta che le unioni degli altri figli non fossero andate bene perché non consacrate. In effetti la benedizione del parroco di Sant'Ambrogio ha funzionato».

Giuseppina Manin

30 maggio 2013 | 8:46© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cultura/13_maggio_30/franca-rame-dario-fo_b3524fc2-c8ea-11e2-b696-db4a64575c16.shtml

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