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Autore Discussione: Il metodo Draghi è restituire centralità alle istituzioni  (Letto 7307 volte)
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« inserito:: Luglio 24, 2021, 11:28:53 am »

Il metodo Draghi è restituire centralità alle istituzioni

Una delle caratterizzazioni del metodo Draghi è la formalizzazione delle sedi decisionali. Sembrerebbe ovvio che si decida nei luoghi e nei consessi preposti (per legge o per precedente accordo politico), ma non è così. I governi degli ultimi anni, periodo estendibile anche all’inizio della Repubblica, avevano le sedi istituzionali per le decisioni ma poi tutto avveniva in quelle informali. Governi recentissimi hanno visto le scelte più importanti annunciate, o smontate, con dichiarazioni date nei luoghi più impensabili, dalle spiagge ai marciapiedi urbani, e nei modi più vari e sgangherati. L’eccezione sono stati i governi tecnici, accomunabili all’attuale ma diversi, perché costruiti sulla rimozione della responsabilità politica e non, come sta avvenendo ora, su un’assunzione, specialissima, di responsabilità, come abbiamo avuto modo di osservare in precedenti cene. Stabilito che il governo e la maggioranza sono nei loro pieni poteri il metodo Draghi consiste nel portare le decisioni, con tempi definiti, nei luoghi istituzionali. E da lì si esce con le scelte fatte. Non vale, a smentire questa tesi, l’esempio degli emendamenti alla riforma della giustizia o il contrasto sul Ddl Zan. Per la prima vale sì la responsabilità di governo e probabilmente verrà fatta pesare con la fiducia.

Il dibattito politico c’è, è molto articolato, spacca anche la maggioranza, ma poi, con uno strumento perfettamente costituzionale, tutto viene ricondotto all’urgenza e alla necessità di decidere (tra l’altro, oggi è successo per il decreto recovery). Per il ddl Zan la responsabilità è affidata alla maggioranza, non al governo, e sia essa a dimostrare di saper funzionare. Per il Green pass, e torniamo alle parole iniziali, già l’indicazione delle sedi e dei tempi di decisione ci fa capire che il modo di operare di questo governo è diverso da qualunque esempio passato. Con una postilla: la presenza di ministri di ogni partito della maggioranza, in numero maggiore rispetto alla piccola squadra di tecnici, rende l’esperimento ancora più efficace.
Comunque, a ora di cena da Palazzo Chigi verranno comunicate tutte le decisioni con una conferenza stampa di Mario Draghi, cui si unisce la ministra della giustizia Marta Cartabia per qualche possibile altra indicazione sui temi della riforma pronta a essere avviata.

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« Risposta #1 inserito:: Agosto 10, 2021, 12:02:10 am »

Francesco Costa è giornalista e vicedirettore del Post.

DA COSTA A COSTA

Poca roba
La risposta con cui ieri Draghi ha masticato Salvini non dovrebbe oscurare un fatto più importante delle parole, e cioè la sostanziale sconfitta politica di Salvini, peraltro l’ennesima: la Lega è entrata in Consiglio dei ministri dicendo “no al green pass” e ne è uscita dicendo “bene, avanti così”, è entrata ragliando che gli under 40 non dovrebbero vaccinarsi ed è uscita spiegando con tono piagnucoloso che si riferiva soltanto ai “dubbi sul vaccino ai minorenni” (peraltro infondati anche quelli).

È un fatto politico che andrebbe osservato a prescindere dalle proprie idee, perché le prove ormai sono tante, dal Papeete in poi, tanto che al Post lo abbiamo scritto in tempi non sospetti: Salvini è un politico scarso. Il suo indiscusso successo di consensi si è basato fin qui su una formidabile somiglianza con un pezzo significativo degli italiani, un mix di atteggiamento da bulletto al bar, esibizione del cinismo, vittimismo infantile, linguaggio da tronista e impianto valoriale composto da proverbi e buongiornismi. In questo è ancora imbattibile: nessuno somiglia agli italiani più di lui. Ma la politica è ottenere risultati, e guadagnare influenza per ottenere altri risultati. Da questo punto di vista, Salvini è poca roba.

I più arrabbiati per questa palese inadeguatezza dovrebbero essere quelli che lo hanno votato: avevano il paese in mano e sono finiti a farsi umiliare dall’ex capo della BCE. Ma anche i suoi avversari che a lungo lo hanno descritto come imbattibile – “guai a votare, se no vince Salvini” – dovrebbero ragionare un po’ sui propri limiti.

Pubblicato il 23/07/2021
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« Risposta #2 inserito:: Agosto 11, 2021, 03:53:54 pm »

Francesco Costa è giornalista e vicedirettore del Post.


DA COSTA A COSTA
Poca roba

La risposta con cui ieri Draghi ha masticato Salvini non dovrebbe oscurare un fatto più importante delle parole, e cioè la sostanziale sconfitta politica di Salvini, peraltro l’ennesima: la Lega è entrata in Consiglio dei ministri dicendo “no al green pass” e ne è uscita dicendo “bene, avanti così”, è entrata ragliando che gli under 40 non dovrebbero vaccinarsi ed è uscita spiegando con tono piagnucoloso che si riferiva soltanto ai “dubbi sul vaccino ai minorenni” (peraltro infondati anche quelli).

È un fatto politico che andrebbe osservato a prescindere dalle proprie idee, perché le prove ormai sono tante, dal Papeete in poi, tanto che al Post lo abbiamo scritto in tempi non sospetti: Salvini è un politico scarso. Il suo indiscusso successo di consensi si è basato fin qui su una formidabile somiglianza con un pezzo significativo degli italiani, un mix di atteggiamento da bulletto al bar, esibizione del cinismo, vittimismo infantile, linguaggio da tronista e impianto valoriale composto da proverbi e buongiornismi. In questo è ancora imbattibile: nessuno somiglia agli italiani più di lui. Ma la politica è ottenere risultati, e guadagnare influenza per ottenere altri risultati. Da questo punto di vista, Salvini è poca roba.

I più arrabbiati per questa palese inadeguatezza dovrebbero essere quelli che lo hanno votato: avevano il paese in mano e sono finiti a farsi umiliare dall’ex capo della BCE. Ma anche i suoi avversari che a lungo lo hanno descritto come imbattibile – “guai a votare, se no vince Salvini” – dovrebbero ragionare un po’ sui propri limiti.

Pubblicato il 23/07/2021
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« Risposta #3 inserito:: Novembre 24, 2021, 09:48:24 pm »

“7 cose di cui vergognarsi”: il discorso sugli italiani di Antonio Padellaro

Dall’invocazione dell’uomo forte all’egoismo collettivo, un saggio del fondatore del “Fatto quotidiano” denuncia vizi e costumi dell’Italia peggiore.

Angelo Cannatà 17 Novembre 2021

 “Il nostro non è certo un Paese che spreca energie con i meritevoli, impegnato com’è a favorire gli ammanicati… viviamo in un sistema strutturato in forma piramidale sull’appartenenza”, quella familiare, della sezione di partito, della parrocchia, della mafia. È solo un frammento di 7 cose di cui vergognarsi, PaperFirst, di Antonio Padellaro, ma dice molto dei mali del cosiddetto bel Paese e degli errori (da non ripetere) degli italiani. Sottomettersi per un lavoro o per la carriera, per es., è una costante in Italia, fino all’adesione alla Loggia Ungheria che – leggiamo – ha millantato grandi poteri e fatto in realtà piccoli favori “come nel Borghese piccolo piccolo di Monicelli quando il protagonista… pur di sistemare il figlio al ministero si iscrive alla massoneria e umiliandosi ottiene in anticipo dal capufficio massone il testo della prova scritta del concorso di ammissione” (p. 78).
Bisogna vergognarsi di questa ricerca di un protettore; e della tendenza ad adulare i potenti, a coltivare l’odio, a rimpiangere il passato (per citare altri temi del libro). La verità e che il Nostro, mostrando i vizi e i costumi italici (tema dell’inarrivabile “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani” di Leopardi), dice molto anche di sé: sia denunciando il comportamento altrui, sia riconoscendo, con sincera autocritica, d’aver avuto in passato qualche vizio ora denunziato: insomma, il prudente Padellaro è stato immune all’autocensura? No. “Che la prudenza non mi avrebbe reso invulnerabile al morso della censura (e dell’autocensura) – racconta – lo appresi nelle mie successive vite giornalistiche, quando l’ambiguo rovello si manifestò sotto nuove, svariate forme” (p. 67).
Parla di fatti lontani nel tempo, e il lettore vedrà i dettagli; qui importa dire che Padellaro non pontifica e non dà lezioni: evidenzia, descrive, mostra, gli errori di molti colleghi, e i suoi, di un mondo in cui non tutti hanno il coraggio di Enzo Forcella, giornalista di cui narra le dimissioni da “La Stampa” per non sottostare alla censura della famiglia Agnelli (pp. 17-21). Con una precisazione non di poco conto: si parla delle censure di un tempo, “ma oggi che la libertà di stampa viene tutelata – dice il Nostro – per quale motivo l’informazione si deve prostrare al potente di turno?” (p. 23). Dove, è giusto evidenziarlo, Padellaro dice una verità (leccare il culo ai potenti è pratica diffusa), ma trascura che non sottostare al proprietario di una testata significa pagarla cara anche oggi, come mostra il conflitto di MicroMega con lo stesso editore/la stessa famiglia che portò Forcella alle dimissioni.
Racconta fatti Padellaro – incluse le telefonate moleste quando dirigeva L’Unità, non solo del segretario dei Ds Fassino (p. 25) – con attenzione alla godibilità estetica di un libro scritto con stile, intriso d’ironia, sempre documentato (è testimone di 50 anni di Storia d’Italia): “il terrorismo, il piduismo, la corruzione endemica, lo stragismo mafioso…” il corpo del Paese è segnato da ferite profonde. Dicono: si stava meglio quando si stava peggio. Possibile che molti, con queste tragedie alle spalle, rimpiangano il passato? “Nella nostra ridente penisola si calcolano più di mille morti per mano di mafia, quasi trecento i caduti sotto il fuoco dei brigatisti rossi, oppure massacrati dalle bombe degli stragisti neri… Come si fa ad averne nostalgia” (p. 58).
Rimpiangere “questo” passato è vergognoso. È un tasto su cui batte spesso Padellaro: liberiamoci degli opposti estremismi, scrive ne Il gesto di Almirante e Berlinguer, Paper First, che contiene più degli incontri segreti tra i leader del Msi e del Pci (qualcuno ha frainteso, la sua idea di una piazza dedicata ad Almirante e Berlinguer non implica un cedimento al fascismo, è piuttosto il riconoscimento di un gesto di pacificazione di due “nemici”. C’è bisogno di gesti di riconciliazione, quando è possibile). La verità è che Padellaro denuncia e attacca, ma mentre scrive ama (anche) mettersi a nudo ed esporre le proprie idee ed esperienze senza veli, a costo di dire cose scomode per sé stesso: “Mi tolga una curiosità, ma lei per caso è parente di quel Padellaro che era con me a Salò?” Si chiude così il primo capitolo della sua biografia, il Fatto Personale, Paper First: con la domanda di Giorgio Almirante – posta “con sorriso cattivo” – dopo un’intervista scomoda (pp. 29-30). Lavorava al Corriere della Sera, allora, il futuro fondatore del Fatto; l’episodio dice del coraggio di mettere in piazza il passato fascista di un familiare, ma anche di un modo d’essere giornalista che non fa sconti e non è disponibile ad accomodamenti.
Nessun accomodamento, nemmeno oggi; piuttosto, denuncia delle 7 cose di cui vergognarsi, tra cui “l’invocazione dell’uomo forte, l’egoismo collettivo, un’informazione ininfluente” – (falansteri del tedio sono i giornali, p. 104) – “mentre la pubblica opinione è in balia delle Bestie social e della follia No Vax”. Su quest’ultimo tema è bene soffermarsi perché il Nostro sull’opposizione al green Pass denuncia la responsabilità degli intellettuali, e attacca giustamente Agamben e Cacciari: hanno “evocato il rischio che con provvedimenti del genere si potessero sopprimere le libertà fondamentali garantite dalla Costituzione (…) Un’escalation di paragoni insensati che in assenza di autocontrollo verbale ha già condotto qualcuno fuori di testa a tirare in ballo Auschwitz” (pp. 120-121). Parole sante. In linea con la lucida critica di Paolo Flores d’Arcais ad Agamben (“Filosofia e virus: le farneticazioni di Giorgio Agamben”, MicroMega, 16-3-2020).
Insomma, è ricco di mille racconti l’ultimo lavoro di Padellaro, “uno straordinario ripasso dell’Italia peggiore” (p.11) in parte già descritta con Furio Colombo ne Il libro nero della democrazia, Baldini&Castoldi; ma oggi in verità c’è qualcosa di più in 7 cose di cui vergognarsi: “una cronaca della realtà nella quale si alternano orrore e ridicolo”, fatti, ricordi, denunce, aneddoti e citazioni che spaziano da Italo Calvino a Woody Allen, da Philip Roth a John Swanbeck. Un libro che mostra il nostro tempo meglio di tanti testi osannati dai giornaloni: le pagine sull’odio e l’invocazione dell’uomo forte, per dire, dicono più d’interi libri sul fascismo (e lo sfascismo) di ieri e di oggi. Importante il tema “sottomissione”: “Per molti italiani… la brama di affiliazione e di fedeltà –leggiamo – ha trovato via via approdi diversi. Per un ventennio la figura di Silvio Berlusconi si ergeva gigantesca e indulgente… Poi, più niente e più niente. Finché un giorno è arrivato Mario Draghi” (p. 34). Ecco, il Giornale Unico oggi è votato alla santificazione di Draghi. Non va bene. E i capitoli di Padellaro spiegano perché, introdotti dalle strisce ironiche di Natangelo che arricchiscono un libro lucido, mai scontato, divertente. È un piacere leggerlo.
 
Da - https://www.micromega.net/7-cose-di-cui-vergognarsi-padellaro/
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« Risposta #4 inserito:: Gennaio 19, 2022, 06:55:06 pm »

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L’effetto Draghi sul turismo non si è visto e il Bel Paese aspetta Godot

  scritto da Econopoly il 22 Dicembre 2021

L’autore di questo post è Luca Martucci, consulente ed esperto di marketing di destinazione –
Il 2021 sarà ricordato come il secondo anno della pandemia, ma anche per le vittorie italiane nello Sport, all’Eurovision e perfino ai campionati di pasticceria. Grazie al cosiddetto effetto Draghi l’Italia sarebbe diventata la locomotiva d’ Europa, il PIL starebbe crescendo più degli altri paesi, il miglior vino del mondo è italiano, etc etc. Nel tripudio generale l’Economist ha proclamato l’Italia Country of the year 2021 ed anche il brand del Bel Paese avrebbe scalato le classifiche internazionali.
Peccato che per quanto riguarda il turismo l’effetto Draghi non si sia visto, se non per l’istituzione di un ministero dedicato. Almeno così sembra di capire in base alle statistiche ufficiali.
I dati provvisori delle statistiche nazionali
Che il turismo Internazionale in Italia e nel mondo stia soffrendo una crisi gravissima ormai lo sanno anche i bambini. Secondo i dati di Banca d’Italia Il confronto con il 2019 è drammatico, ma è la scarsa ripresa rispetto al 2020 che colpisce di più. La spesa dei turisti stranieri è aumentata solo di un misero mezzo miliardo di euro grazie all’incremento dei valori di spesa e permanenza media.
 
I dati provvisori di ISTAT sono sicuramente più incoraggianti sia per il turismo nazionale per ovvi motivi, che per quello dall’estero. Rimane come sempre la perplessità su certe differenze tra le due statistiche ufficiali. Nonostante si tratti di rilevazioni con oggetto e modalità diverse, una maggiore coerenza tra le due sarebbe utile per capire davvero come vanno le cose.
 
L’effimera medaglia d’argento delle Italia nel 2020
La scarsa ripresa verso il primo anno di pandemia risulta evidente dal confronto con i risultati di altre destinazioni. Nel 2020 l’Italia, come avevamo previsto un anno fa, è stata la seconda destinazione mondiale per arrivi di viaggiatori alle frontiere e la prima in Europa per presenze di turisti internazionali negli esercizi ricettivi. Un risultato tanto eclatante quanto ignorato dal mainstream, anche perché non consacrato dal tradizionale ranking della UNWTO, la cui ultima pubblicazione risale al 2018.
Mentre la Francia continua indisturbata ad insistere sul suo primato mondiale, la non celebrata medaglia d’argento dell’Italia è stata effimera. È prevedibile che quest’anno lo Stivale sarà superato non solo dalla solita Spagna, ma anche da Messico e Turchia. D’altra parte il nuovo ministro ha più volte menzionato il fatto che all’inizio dell’anno l’Italia è la più cliccata, per poi finire al quinto/sesto posto nelle classifiche.
 
È logico che Turchia e Messico, tra i paesi con le frontiere più aperte, abbiano scalato la classifica, nella quale “sulla fiducia” abbiamo riservato il solito primo posto ai cugini transalpini. Rispetto al 2019 la Turchia ha registrato fino a settembre una flessione degli arrivi pari al 51% contro -71% della Spagna e -65% dell’Italia, ma è di nuovo il confronto con l’anno scorso che fa riflettere. Una cosa è certa: l’estate in Italia è stata davvero fiacca se comparata a quella dei due paesi concorrenti.
 
A parte i limiti di queste autocertificazioni dei vari paesi, ci sembra che Banca d’Italia sia stata tanto generosa nei suoi conteggi per il 2020 quanto troppo pessimista per l’anno in corso. Vale la pena ricordare che lo scorso anno la Spagna ha preferito azzerare del tutto il contatore degli arrivi per aprile e maggio, calcolandone solo 200 mila per giugno, a fronte dei 3,8 milioni contabilizzati a totale dello stesso trimestre dall’Istituto di Via Nazionale.
Ma la vera domanda è: che cosa il Bel Paese sta facendo davvero per sviluppare uno dei suoi asset principali e recuperare competitività ? La risposta è che nonostante gli allarmi reiterati da operatori, hotel ed altri addetti ai lavori e a fronte di previsioni di vera ripresa solo tra un paio di anni, si continua ad aspettare Godot!

Aspettando Godot
Niente di meglio della metafora di Samuel Beckett per descrivere la situazione nelle stanze che contano. Godot non sono i turisti internazionali che ingrossano le statistiche e che prima o poi torneranno, ma quelli ideali, immaginati e modellati nei vari convegni. Godot sono quei viaggiatori colti di spirito, che viaggiano solo per fare esperienze, improntate a quella sostenibilità diventata ormai una vera e propria fissa.
Sono quei turisti che tutte le volte che bevono un bicchiere di buon vino o provano con piacere le specialità locali, diventano automaticamente turisti enogastonomici. Quelli che anche se vengono dall’altra parte del mondo e visitano il Bel Paese per la prima volta, dovrebbero far contenti assessori e destination manager evitando Roma o Venezia , per soggiornare in qualche sperduto quanto delizioso paesino dell’entroterra, ora detto anche “area intima“.

Godot è il frutto dell’illusione del Pensiero Dominante che punta con ossessione ad un turismo bello e politicamente corretto quanto marginale dal punto di vista di sistema e di economia del settore.
È la convinzione che segmenti di nicchia, dei quali per ignoranza, superficialità o prevalenza di interessi particolari viene esaltato a dismisura il potenziale, possano dare all’Italia grandi soddisfazioni non solo qualitative , ma anche quantitative. Sono i “milioni di milioni “ di turisti delle radici o islamici.
Per quasi 30 anni il Godot per eccellenza è stata l’aspettativa di un ministero del turismo. Oggi l’Italia è l’unica potenza europea del turismo ad avere un dicastero dedicato, ma gli effetti ancora non si vedono ed il peggioramento nel ranking mondiale suona quasi paradossale.

Il nuovo ministero, vicino al suo primo compleanno, non ha ancora completato la sua organizzazione. L’ impressione è che finora abbia operato più per gestire ristori e indennizzi (se bene o male lasciamolo dire ai beneficiari) che per rilanciare davvero il settore sia per i flussi incoming, che outgoing. Vediamo vídeo e campagne della Farnesina o del ministero del Sud , perché niente del nuovo ministero?
Neanche una minima campagna di controinformazione verso i media che secondo il ministro sono i responsabili dell’ingiustificato allarmismo che fa paura ai mercati esteri. Il tutto con una certa confusione nella gestione di aperture e chiusure, spesso non motivata dalla situazione epidemiologica del paese, come nel caso del Brasile, mercato importante per i flussi da e per l’Italia tuttora inspiegabilmente chiuso .
Di certo il ministero si giocherà tutte le sue carte nella già famosa messa a terra del PNRR, i cui benefici attesi per il settore rischiano di diventare il nuovo Godot per eccellenza. Continua anche l’attesa per ENIT che verrà, dopo il nuovo assetto con la nomina di un’amministratore delegato (anzi due, visto che il primo è rimasto in carica solo qualche mese) e soprattutto per l’attesissimo hub digitale.
Godot è anche l’illusione che l’atavico conflitto stato-enti locali si possa risolvere con un gentlemen agreement e senza la riforma del titolo V! Lo dimostrano il proliferare di discutibili promozioni locali come Fly to Milano, See Sicily o per il Lazio “Più Notti, Più Sogni” (uff!) o la partecipazione delle regioni alle fiere internazionali ancora in ordine sparso.
Aspettano Godot anche quelli che credono che la neonata ITA Airways con queste dimensioni possa essere un fattore di successo per il turismo italico. Infine anche restare in attesa che scenda dal cielo la famosa “destagionalizzazione“ è l’ennesimo aspettare Godot .

Aspettando il Revenge Travel, lunga vita anche al turismo urbano!
Una delle teorie dominanti nel dibattito nazionale è che il turismo lento, all’aria aperta e nei luoghi meno visitati, già in tendenza da anni, abbia subito un’accelerazione a causa della pandemia. Teorie condivisibili solo se viste nell’attuale contesto che speriamo possa finire al più presto. I più radicali sostengono addirittura che questo sarà l’unico turismo che sopravviverà!
Noi aspettiamo, invece, e vediamo come una grande opportunità il cosiddetto Revenge Travel. Tradotto in italiano i “Viaggi di Vendetta”, intesa questa come reazione alle privazioni subite durante la pandemia e vorace recupero del tempo perduto. Voglia di viaggiare per evadere dalla routine, per divertirsi, vedere le bellezze artistiche e paesaggistiche, ma anche festeggiare, ballare, fare l’amore o spendere come mai fatto. In luoghi sperduti ed isolati e nelle città, come da sempre.
Il turismo urbano, termine ignorato dal vocabolario della nomenclatura nostrana che insiste sul concetto di città d’arte, continuerà a ricoprire un ruolo importante. Non solo per viaggi di vacanza, soprattutto brevi, ma anche per eventi, congressi, lavoro, vita notturna ,shopping, corsi di studio e visite a parenti e amici che non si vedono da anni.
Piuttosto che insistere solo su borghi e villaggi , che comunque (e per fortuna!) hanno un limitato potenziale di crescita, ci si dovrebbe preoccupare del perché tra le top 100 città destinazioni nel mondo secondo questo interessante report di Euromonitor l’Italia sia presente solo con le solite 4 big e Verona .

 Il turismo Italiano ha bisogno di cose semplici, buon senso, pragmatismo e di una visione più industriale, più audace, senza troppe elucubrazioni che privilegiano l’approccio “bucolico” a tutti i costi, a volte quasi “francescano” come quando ENIT ci dice che “il turismo di lusso in Italia diventa emotivo e spirituale”.
Non dovrebbe essere difficile, nonostante pastoie politiche, burocrazia, campanilismo e atavici problemi del settore. È necessario tornare ai fondamentali, ascoltare chi sta sul campo, in Italia come all’estero  guardare alla concorrenza e superarla, visto che partiamo già favoriti da un’attrattività unica .

Twitter @rioconcierge

da - https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2021/12/22/turismo-effetto-draghi-godot/?uuid=96_a899meEk
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